giovedì 7 ottobre 2021

Cartelle esattoriali, così il Governo punta a incassare 7 miliardi nel 2021. - Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste

 

(Illustrazione Giorgio De Marinis)

All’esame delle Camere il piano del Mef con obiettivi di fine anno e indicatori di efficienza Il 46% delle entrate complessivamente preventivate deve arrivare da rottamazione ter e saldo e stralcio.

Dalle cartelle esattoriali il Governo conta di incassare 7,2 miliardi. L’obiettivo 2021 che l’agenzia Entrate-Riscossione (Ader) dovrà centrare entro il 31 dicembre è stato fissato dall’atto aggiuntivo alla convenzione che ogni anno il ministero dell’Economia stipula con le Entrate.

Atto che, come prevede la legge, deve ottenere l’ok delle commissioni Finanze di Camera e Senato. Proprio mentre la maggioranza non perde occasione di chiedere sospensioni delle notifiche, rinvii dei versamenti o remissioni in termini per chi è decaduto dai piani di rateizzazione, la stessa maggioranza è chiamata a dare il via libera al piano di azione dell’agente pubblico della riscossione.

Un intreccio reso ancora più delicato sia dalla risoluzione proprio delle due commissioni Finanze sullo stato della riscossione e sulle misure da adottare per riscrivere il sistema, sia dall’annunciato via libera al prossimo Consiglio dei ministri della delega fiscale, dove troverà posto anche l’indicazione sul riordino del recupero coattivo di multe, imposte e contributi. Due appuntamenti in calendario nei prossimi giorni.

Il piano del Mef.

Tornando al piano presentato dal ministero dell’Economia alle Camere, come detto, si prevede un volume di incassi di circa 7,2 miliardi di euro per il 2021 (erano stati 6,4 miliardi nel 2020), destinati a salire a 11,7 miliardi nel 2022 e a 10,4 miliardi nel 2023. Una stima ambiziosa che comunque tiene conto, come si legge nella relazione che accompagna il piano, degli interventi di sostegno a imprese e cittadini adottati durante la pandemia che per la riscossione si sono tradotti nella sospensione della notifica delle cartelle e di tutti gli atti della ex Equitalia dall’8 marzo 2020 al 31 agosto 2021. E ora, nel solco tracciato da ministero e Governo, la linea dell’agenzia della Riscossione è di procedere comunque a una ripresa più graduale dell’attività di notifica delle cartelle riferite ai ruoli consegnati durante il periodo di sospensione e a quelli che saranno inviati entro fine anno.

Altro dato che emerge dall’atto aggiuntivo è che circa il 46% dei 7,2 miliardi attesi come incasso 2021 dovrà arrivare dalle definizioni agevolate come la rottamazione ter e il saldo e stralcio anche queste stimate al momento in 3,3 miliardi.

Ipotesi allo studio.

Alla luce di questo obiettivo da centrare nei tre mesi rimasti del 2021 non appare poi tanto casuale che il Governo, con il prossimo decreto fiscale collegato alla manovra, tra le ipotesi allo studio abbia inserito anche quella di una remissione in termine per tutti i contribuenti decaduti dai piani di rateizzazione, sia quelli concessi per difficoltà economiche sia quelli scaduti di luglio e settembre.

Il target fissato da Via XX Settembre per la riscossione tiene conto anche dei 16 milioni di cartelle che entro il 31 ottobre saranno cancellate e relative ai carichi affidati all’agente della riscossione dal 2000 al 2010 di valore fino a 5mila euro e notificati ai contribuenti con redditi 2019 fino a 30mila euro.

Nuovi indicatori e costi

Tra gli indicatori su cui si dovrà misurare l’attività di agenzia Entrate/Riscossione il piano del ministero fissa nel 75% la percentuale di rateizzazioni concesse entro cinque giorni dalla presentazione dell’istanza, rispetto al totale delle dilazioni concesse con un limite di importo fino a 100mila euro (quelle per cui non serve documentazione a supporto). Viene poi introdotto un nuovo indicatore superiore al 25% per misurare la capacità di avviare, nel rispetto del principio della gradualità, la notifica dei ruoli ricevuti dagli enti impositori nel corso del 2020.

In termini di costi della riscossione l’Agenzia (che dal 1° ottobre è subentrata a Riscossione Sicilia) dovrà mantenere nel 2021 lo stesso livello dell’anno precedente pari a 13,5 euro per ogni 100 euro riscossi. E questo richiede un efficientamento sempre maggiore dell’attività svolta allo sportello sia fisico sia online, quest’ultimo in sperimentazione in quattro province e che da metà ottobre sarà esteso in altre tre.

IlSole24Ore

Arriva il nuovo forfait per 1,9 milioni di partite Iva. Come funziona. - Dario Aquaro e Cristiano Dell’Oste

 

(Illustrazione di Laura Cattaneo)

Nel 2021 il 46% delle nuove attività sceglie la flat tax. Il Parlamento conferma il regime mentre si studiano ritocchi ai coefficienti di redditività e si allontana l’estensione dell’obbligo di e-fattura.

I 153mila italiani che hanno aperto una partita Iva scegliendo il regime forfettario nel 2021 possono stare tranquilli: la riforma fiscale non cancellerà l’agevolazione. Sono in arrivo, però, diversi correttivi. Che potrebbero riguardare i coefficienti di redditività e i casi di superamento del limite di 65mila euro di ricavi o compensi. Si allontana, invece, l’ipotesi di estendere a tutti i forfettari l’obbligo di fatturazione elettronica dal 1° gennaio 2022.

Verso il Consiglio dei ministri.

Il disegno di legge delega è atteso in settimana in Consiglio dei ministri, come annunciato dal premier Mario Draghi. Ma la Nota di aggiornamento al Def (Nadef) anticipa già che la base della riforma sarà la relazione votata dalle commissioni parlamentari lo scorso 30 giugno. Un documento che riporta alcune indicazioni:

il regime forfettario fino a 65mila euro di ricavi e compensi sopravvivrà al riordino delle imposte sostitutive, con le aliquote al 15% e al 5% (per le nuove attività);

si raccomanda di introdurre un regime biennale di favore che accompagni verso la tassazione ordinaria chi supera i 65mila euro (al momento, invece, c’è un salto all’Irpef a partire dall’anno successivo); in relazione al complesso delle sostitutive, si ipotizza una revisione della base imponibile; il che – tradotto per il forfettario – significherebbe ritoccare i coefficienti di redditività (la percentuale che, applicata ai ricavi, determina il reddito da tassare).

Un’uscita morbida.

Si può stimare che oggi i contribuenti nel forfait siano circa 1,9 milioni, contando chi ha applicato i regimi agevolati nelle dichiarazioni dell’anno scorso (compresa una “coda” di vecchi minimi) e chi ha optato aprendo una partita Iva tra il 2020 e il 30 giugno di quest’anno, al netto delle chiusure. Ognuno di loro paga in media 1.730 euro di sostitutiva.

Dopo il balzo di adesioni del 2019 – quando fu innalzata la soglia di ricavi – l’appeal del regime resta elevato. Ancora nei primi sei mesi del 2021, il 46% delle nuove partite Iva ha scelto la flat tax.

Ma l’attuale assetto dell’agevolazione «finisce con l’inibire la crescita dimensionale» di molte partite Iva individuali, per dirla con le parole delle commissioni Finanze. Da qui la proposta di un’uscita morbida dal regime per chi supera i 65mila euro (restando entro una soglia ancora da definire): due anni supplementari di forfait con aliquota al 20%, a patto di incrementare il volume d’affari di almeno il 10% all’anno.

Nulla si dice, invece, circa gli altri vincoli: ad esempio per chi si trova a superare il limite dei 30mila euro di reddito da lavoro dipendente, magari a causa di un aumento di stipendio. In questo caso, scatta l’esclusione dal forfait senza uscita morbida. Mentre chi incassa altri tipi di reddito (immobiliari o di capitali) non ha divieti. Insomma, sono diversi gli aspetti che – volendo – potrebbero essere razionalizzati.

Coefficienti da aggiornare.

A proposito della base imponibile, la revisione dei coefficienti di redditività è stata suggerita – tra gli altri – dal direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, al Parlamento (il 16 marzo scorso). I coefficienti, infatti, non sono stati modificati quando è stata elevata la soglia di ricavi e oggi «non sono coerenti con la struttura dei costi di imprese di dimensioni meno contenute».

Secondo un’analisi preliminare delle Finanze, un adeguamento dei coefficienti comporterebbe una riduzione della base imponibile – e quindi del prelievo – per i settori del commercio ambulante (oggi al 40% per gli alimentari e al 54% per gli altri prodotti) e delle costruzioni (86%), e un aumento per gli intermediari del commercio (oggi a 62%). Invariati gli altri coefficienti, compreso quello dei professionisti che sono il secondo settore d’attività più numeroso, proprio dopo il commercio.

E-fattura incompatibile.

Altro tema: gli adempimenti. Che la fattura elettronica sia utile a combattere l’evasione fiscale Iva lo dice chiaramente la Relazione sull’economia non osservata, allegata alla Nadef. E infatti nei mesi scorsi l’Italia ha chiesto l’ok di Bruxelles per estendere la e-fattura ai forfettari, che sono esclusi dall’obbligo.

Sul punto, però, la stessa Relazione è netta: «Al di sotto di una determinata soglia di ricavi e compensi, l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica non è compatibile con la disciplina dell’Unione europea».

ISole24Ore

Perché la pressione fiscale resta alta nonostante il Pil in crescita? - Dino Pesole

 

(Illustrazione di Andrea Marson)

Il Governo vuole procedere a tappe: un primo intervento nella prossima legge di Bilancio, poi decreti legislativi nel corso del 2022 con effetti non prima del 2023.

Il Pil cresce e dovrebbe consolidare l’attuale rimbalzo congiunturale così da assicurare un percorso di crescita strutturale nei prossimi anni, ma la pressione fiscale resta sostanzialmente ferma tra il livello stimato per il 2021 (41,2% del Pil, contro il 42,1% del 2020) e il 41,5% del 2024. Stando a quel che prevede la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, al netto della misura che riguardano l’erogazione del beneficio dei 100 euro mensili (che viene conteggiata tra le maggiori spese), la pressione fiscale passerebbe dal 41,2% del 2021 al 40,9% nel 2024.

Al momento si può contare sul “fondo potenziale” da destinare alla riduzione della pressione fiscale pari a 4,3 miliardi nel 2021 e sull’intenzione - ribadita dal Governo - di ridurre la pressione fiscale «utilizzando prioritariamente le risorse derivanti dal contrasto all'evasione nell'ambito della sessione di bilancio».

L’urgenza della riduzione delle tasse.

La pressione fiscale fotografa l’insieme delle tasse e dei contributi incassati dallo Stato in rapporto al Pil. È un indicatore importante da valutare nella sua dinamica anno dopo anno, che tuttavia non fotografa il peso reale del complesso delle entrate fiscali e contributi sui singoli contribuenti. In molti casi, il livello effettivo del prelievo si attesta su valori decisamente superiori rispetto all’indice ufficiale, a causa del permanere di un’alta evasione (la stima varia dai 110 ai 130 miliardi l’anno). Va dunque senz’altro accolta con favore l’intenzione del Governo di agire sul fronte del contrasto all’evasione (intendimento che peraltro è agevole individuare in tutti i programmi di governo degli ultimi decenni).

Certamente passi in avanti sono stati compiuti verso quello che i tecnici definiscono «l’adempimento spontaneo al pagamento delle imposte» (la cosiddetta tax compliance), ma l’evasione resta uno dei problemi principali da affrontare attraverso un mix di misure di contrasto, il pieno utilizzo degli incroci con le banche dati, una drastica opera di semplificazione degli adempimenti tributari e il potenziamento dei pagamenti digitali. Sono linee di indirizzo che dovrebbero tra breve essere inserite nel disegno di legge delega che il Governo si appresta a presentare in Parlamento.

Razionalizzazione della spesa e contrasto all’evasione.

Per ridurre la pressione fiscale occorre un giusto dosaggio, in termini di corrette coperture finanziarie, tra un programma pluriennale di razionalizzazione della spesa corrente - come peraltro annunciato dal ministro dell’Economia, Daniele Franco nel corso dell’audizione parlamentare dello scorso 21 luglio - e di aumento del gettito per effetto dell’azione di contrasto all'evasione.
Per quel che riguarda questa seconda fonte di finanziamento della riforma fiscale, va tuttavia precisato che le maggiori entrate che si ipotizza di incassare grazie alla lotta all’evasione dovrebbero essere correttamente contabilizzate solo ex post, una volta che siano state effettivamente incassate. Utilizzarle come fonte di copertura ex ante (lo si è già fatto in passato) pare una strada non del tutto coerente con i dettami di finanza pubblica, oltre a presentare margini di aleatorietà.

Si dovrebbe agire anche intervenendo sul complesso universo delle agevolazioni fiscali (oltre 600 per un costo di 68 miliardi), ma si tratta di un’operazione che richiede un ampio consenso in sede politica, perché comunque si tratta di decidere quali categorie andare a “colpire”, e tutto ciò può avere un costo in termini di consenso, e dunque di riscontro a breve dal punto di vista elettorale.

Il Pil e il fisco.

La nuova previsione tendenziale del Governo indica tassi di crescita del Pil reale dal 6% del 2021 al 4,2% del 2022, per poi attestarsi al 2,6% nel 2023 e all'1,9% nel 2024. Previsioni già validate dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che porterebbero il Pil al di sopra del trend pre-crisi nel 2024. Il quadro macroeconomico programmatico, che incorpora l’effetto della politica economica “espansiva” indicata nella Nadef, vede il Pil di quest’anno al 6%, al 4,7% nel 2022, che passa al 2,8% nel 2023 e all'1,9% nel 2024.

La politica fiscale dovrà rafforzare l’incremento del “denominatore” (il Pil), favorendo in tal modo il percorso di graduale riduzione della pressione fiscale. Ma la riforma dovrà puntare prima di tutto all’equità e alla corretta distribuzione del carico tributario, intervenendo sull’Irpef, ma anche sul cuneo fiscale, sull’Iva e sull’Irap. Il tema delle risorse è decisivo, e l’intendimento del Governo è di procedere a tappe, con un primo intervento (con ogni probabilità sul cuneo fiscale) da inserire nella prossima legge di Bilancio, per poi affidare il percorso di taglio delle tasse ai decreti legislativi che dovrebbero vedere la luce nel corso del 2022, con effetti tangibili dunque non prima del 2023.

Quanto al fondo da 4,3 miliardi indicato nella Nadef, si tratta di un insieme di risorse “potenziali” che emergono da quello che il Governo definisce il miglioramento della propensione di imprese e cittadini a pagare le imposte. Ora la quantificazione del maggior gettito dovrà essere ratificato e indicato nel Fondo speciale con un ulteriore provvedimento del ministro dell’Economia.

IlSole24Ore

Riforma del catasto vuol dire aumento delle tasse sulla casa? - Dino Pesole

 

(Illustrazione Giorgio De Marinis)

Nell'immediato, poiché quello sul fisco è un disegno di legge delega (la cui attuazione è demandata ai successivi provvedimenti) non cambia nulla. Si immagina che gli effetti del riordino delle rendite catastali cominceranno a dispiegare i loro effetti entro il 2026.

Un approccio “gradualista”, una sorta di percorso a tappe dai tempi lunghi (l'orizzonte è il 2026) che prova a scommettere su un principio-base tutto da verificare in corso d'opera: la revisione del catasto (attesa da decenni e ritenuta necessaria per rendere più equo e trasparente il prelievo sugli immobili) non comporterà la modifica delle rendite su cui si basa la tassazione.

In sostanza, al percorso che il Governo ha affidato ai 10 articoli del disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri (con la palese dissociazione della Lega) viene sottratto almeno nelle linee guida al rituale balletto dei distinguo in sede politica. Come sarà possibile modificare la struttura del catasto (operazione certo molto complessa che richiederà anni) senza quanto meno ricalibrare il prelievo lo si vedrà quando verrà approvato il relativo decreto legislativo. E non sarà da attenderlo in tempi brevi.

L’impegno di Draghi.

“È stata approvata la riformulazione del catasto. Il governo si impegna ad accatastare tutto quello che non è accatastato, terreni, abitazioni, e procede a una revisione delle rendite catastali adeguandole alle rendite di mercato. Occorrono cinque anni, ma il governo si impegna che nessuno pagherà di più o di meno, le rendite restano invariate”. Questo è il commento del presidente del Consiglio, Mario Draghi all'approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge sul fisco. La revisione delle rendite catastali è uno dei capitoli della riforma, e al pari degli altri assi portanti (dall'Irpef all'Irap e all'Iva) contiene i principi base. Una volta ottenuto dal Parlamento il via libera all'esercizio della delega, saranno i successivi decreti legislativi a entrare nel merito dei singoli passaggi della riforma entro 18 mesi dall'approvazione del ddl. La dote finanziaria è tutta da definire.

Lo ha spiegato il ministro dell'Economia, Daniele Franco: “Ogni decreto legislativo comporterà una riduzione di gettito. La copertura andrà individuata con le leggi di Bilancio”. Al momento si può contare su uno stanziamento di oltre 2 miliardi per il 2022, e di circa 1 miliardo per ognuno degli anni successivi. Si vedrà se sarà possibile potenziarlo.

L’invarianza del gettito.

L'obiettivo del Governo (ora da verificare in corso d'opera) è di avviare la revisione delle rendite catastali cercando, per quanto possibile, di mantenere l'invarianza del gettito. In sostanza la redistribuzione del carico fiscale sulla casa dovrebbe passare dall'adeguamento delle rendite ai valori di mercato, senza con questo far crescere l'importo complessivo delle tasse sul mattone. E senza toccare l'abitazione principale. Esercizio complesso. Non a caso tutti i più recenti tentativi di mettere mano alla revisione delle rendite catastali è naufragato sotto il peso delle pressioni politiche.

L'interrogativo è legittimo. I tempi? Difficile ipotizzare che si possa metter mano a un capitolo così controverso e a così alta valenza politico-elettorale, nell'anno (il 2022) che precederà l'appuntamento con le elezioni politiche del 2023 (ammesso che la legislatura giunga al suo naturale compimento). Certo dovrebbero essere poi le aliquote a determinare il prelievo, e pare corretto non assimilare tout court la revisione delle rendite catastali all'incremento della tassazione sugli immobili. Occorrerà evidentemente procedere a tappe, e rendere esplicito uno dei principi-cardine enunciati nel ddl delega, vale a dire quello della “trasparenza”. Che non potrà essere disgiunto dall'altro caposaldo: la semplificazione.

Cosa accade nell'immediato.

Nell'immediato, trattandosi di un disegno di legge delega (la cui attuazione è demandata ai successivi provvedimenti) non cambia nulla. E non vi è da attendere che cambi qualcosa nell'immediato futuro per quel che riguarda le tasse sul mattone. L'obiettivo che il Governo intende perseguire è quello della revisione e dell'aggiornamento dei sistemi di mappatura degli immobili. In questo modo si punta anche a contrastare l'evasione, ma anche ad avviare la complessa revisione del catasto fabbricati. Il tutto entro il 2026, anno in cui si immagina che gli effetti del riordino delle rendite catastali comincerà a dispiegare i suoi effetti. Il dettaglio sarà affidato a un decreto legislativo ad hoc che dovrebbe affiancare alla rendita catastale il valore patrimoniale dell'immobile e una rendita ai valori di mercato. Operazione – promette Draghi – che non comporterà aumenti del prelievo. Come lo si riuscirà a fare lo vedremo nei prossimi anni.

IlSole24Ore

mercoledì 6 ottobre 2021

Ball-ottaggi. - Marco Travaglio

 

Ultime notizie dal magico mondo degli esperti.

“Il voto rafforza Draghi”, “Vince Draghi”. Infatti la Lega ha subito disertato il Consiglio dei ministri (peraltro con più di una ragione) perché SuperMario pretendeva il solito voto a scatola chiusa degli Ufo detti volgarmente “eletti dal popolo” sulla delega fiscale con riforma del catasto incorporata. Dopo le sconfitte della Lega (sorpassata dalla Meloni) e del M5S, che pagano anche l’adesione all’ammucchiata draghiana, sarà tutto un rafforzamento.

La destra paga il “fango del caso Morisi” e l’“agguato” di Fanpage alla Meloni. Parola delle educande di Libero, quelle di “Raggi patata bollente”.

“È la fine dei populisti”, dei “sovranisti” e “dell’antipolitica”. L’antipolitica è il primo partito: 45% di astenuti. Populisti e sovranisti, sempreché così si possano definire FdI, Lega e M5S, totalizzano nei sondaggi il 57-58%. Alle Politiche del 2018 erano al 55%, quindi sono pure aumentati. Ma un pallottoliere in redazione no?

“A destra vincono i moderati”. A Roma un elettore su tre vota tal Michetti solo perché gliel’ha chiesto la Meloni che, se si fosse candidata lei, avrebbe probabilmente vinto al primo turno. A Torino l’ultramoderato Damilano s’è fatto scavalcare da tal Lo Russo del Pd. A Milano il pediatra Bernardo straperde, ma non perché non sia moderato: perché non lo conosceva nessuno. Né come moderato né come estremista.

“Per far parte del nuovo centrosinistra, i 5Stelle devono invitare a votare Gualtieri e Lo Russo”. Il nuovo centrosinistra, per il Pd, non è un’alleanza, ma un’annessione. A Roma si ripresentava la Raggi, ma il Pd ha candidato Gualtieri; a Milano si ripresentava Sala e i 5Stelle erano pronti ad appoggiarlo, ma lui li ha respinti e ha vinto senza di loro. A Torino, Conte, Appendino, Letta e Boccia puntavano sul rettore del Politecnico Guido Saracco per un progetto comune che poteva sbancare al primo turno, come Manfredi a Napoli. Ma i dem locali hanno deciso di cancellare ogni traccia della sindacatura Appendino e candidato Lo Russo, il consigliere che l’aveva denunciata e fatta condannare per un debito di Fassino (tutto vero). E che ha pure siglato un solenne “patto” con l’ex FI Portas giurando di non fare accordi neppure al ballottaggio con gli appestati 5S. Intanto Gualtieri definiva la giunta Raggi “peggio di Alemanno” (condannato per Mondo di Mezzo). Per convincere gli elettori di Raggi e Appendino a votare Gualtieri e Lo Russo non servono appelli (fra l’altro poco dignitosi) di Conte: sono Gualtieri e Lo Russo che, se vogliono quei voti, devono chiederli, riconoscendo alcune delle cose buone fatte dalle due sindache 5Stelle. Volendo, non hanno che l’imbarazzo della scelta.

ILFQ

Cartelle esattoriali, Franco: “Possibile nuova rottamazione”. E sul cashback: “Misura utile contro l’evasione, ma non sarà strutturale”.

 

L'apertura a "un'ulteriore spalmatura degli oneri" arriva dal ministro durante l'audizione sulla Nadef di fronte alle Commissioni bilancio. Saranno prorogati con la prossima legge di bilancio, invece, il Superbonus 110% e gli altri bonus edilizi, che però - avverte Franco - "sono uno strumento molto costoso e non sostenibile alla lunga". E sulle politiche europee di bilancio: "In futuro qualche regola ci sarà, il nostro deficit deve tornare a scendere".

Una nuova rateizzazione e rottamazione delle cartelle esattoriali? “Stiamo valutando se un’ulteriore spalmatura degli oneri possa essere considerata”. L’apertura, durante l’audizione sulla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef) di fronte alle Commissioni bilancio di Camera e Senato, arriva dal ministro dell’Economia Daniele Franco. Che però specifica: “Bisogna muovere gradualmente verso una situazione di normalità in cui famiglie e imprese pagano le cartelle, possiamo di nuovo smussare e diluire, ma bisogna tornare alla normalità”. Il ministro ha toccato vari temi di politica economica e fiscale, compreso quello del cashback, la misura anti-evasione varata dal governo Conte II per incentivare l’uso della moneta elettronica e sospesa fino al 2022 dall’attuale esecutivo. “È uno strumento che è stato molto importante per recuperare e muovere verso i pagamenti elettronici, che facilitano il contenimento dell’evasione. C’è un’analisi costi-benefici, nel prorogarla bisogna valutare gli uni e gli altri”. Ma, aggiunge, “non la vedrei come una misura strutturale: nel momento in cui abbiamo spinto le persone verso i pagamenti digitali va bene, si resta nel mondo digitale. Bisogna vedere se siamo arrivati a quel punto o serve un altro utilizzo. Difficilmente se le persone sono abituate all’utilizzo del bancomat tornano indietro”, sostiene.

Saranno prorogati con la prossima legge di bilancio, invece, il Superbonus 110% per la riqualificazione energetica “e gli altri bonus edilizi“, “molto importanti per far ripartire il settore delle costruzioni“: anche qui, però – precisa Franco – “dobbiamo ricordare che sono uno strumento molto costoso” e “non sostenibile alla lunga“. L’edilizia va sostenuta ma “non può crescere a dismisura“, anche perchè interventi come il Superbonus, spiega, “fanno onore per la finanza pubblica: se ciascun italiano fa domanda, l’effetto sui conti e sul debito è stratosferico“. Il ministro ha parlato anche della politica di bilancio: che al momento è “attuata in regime di sospensione” del Patto di stabilità, ma in sede europea “si sta aprendo il dibattito sul futuro delle regole” e “comunque vada è verosimile che qualche regola ci sarà, più o meno stringente di prima”. Pertanto, avverte, “dobbiamo tenere a mente che il deficit deve scendere, l’avanzo primario deve tornare e bisogna ridurre il debito che libera risorse”: insomma, “dobbiamo tornare gradualmente verso una politica di bilancio più prudente”.

La politica di bilancio italiana, però, rimarrà espansiva “nel 2022 e nel 2023“, finché il Pil e l’occupazione non avranno recuperato non solo la caduta ma anche la mancata crescita rispetto al 2019. A partire dal 2024, invece, “riteniamo che possa tornare neutrale”. Nel triennio coperto dalla Nadef (2022-2024), ci sono margini per intervenire sugli ammortizzatori sociali e “avviare un processo di alleggerimento del carico fiscale“, ha annunciato. Per quel che riguarda la crescita, invece, “il 6% (la stima della Nadef sul rimbalzo del Pil nel 2021, ndr) è irripetibile ma tassi di crescita più alti degli scorsi decenni è quello a cui dobbiamo puntare per gli anni 2023, ’24, ’25, ’26. Nel formulare la previsione per il restante anno e il prossimo – ha puntualizzato il ministro – assumiamo non vi siano nuove restrizioni alle attività economiche e ai movimenti delle persone. Ove la pandemia riprendesse, i numeri sarebbero a rischio“.

ILFQ

Superbonus 110%, come accatastare le pertinenze della casa e moltiplicare gli aiuti. - Giorgio Gavelli

 

(Illustrazione Andrea Marson)

Le pertinenze giocano un ruolo differente a seconda della tipologia di edificio su cui si interviene. 

Nell’ambito dei complessi meccanismi di calcolo dei massimali di spesa legati al superbonus (senza dimenticare le agevolazioni “minori” in scadenza a fine anno, salvo proroga), le pertinenze giocano un ruolo differente a seconda della tipologia di edificio su cui si interviene.

Infatti, nonostante le detrazioni siano attribuite dal legislatore “per unità immobiliare”, fin dai tempi del 36% di bonus ristrutturazione l’Agenzia ha affermato che “l’ammontare massimo di spesa ammessa alla detrazione va riferito all’unità abitativa e alle sue pertinenze unitariamente considerate, anche se accatastate separatamente” (così anche la circolare 24/E/2020).
Quindi, prescindendo dalla opinabile risposta ad interpello n. 568/2021 (peraltro già eliminata dal sito delle Entrate), l’unità principale assorbe, ai fini dei limiti di spesa, tutte le pertinenze, ma questo accade solamente:

• per gli edifici unifamiliari (singola villetta);

• per le unità immobiliari situata all’interno di edifici plurifamiliari che siano funzionalmente indipendenti e dispongano di uno o più accessi autonomi dall’esterno (loft condominiali o villette a schiere dotate dei requisiti richiesti dal comma 1-bis dell’articolo 119 del Dl 34/2020.

Condomìni e palazzine.

Così non è, invece, nei contesti plurifamiliari non indipendenti/autonomi. Nell’ambito dei condomìni e negli edifici da due a quattro unità immobiliari, distintamente accatastate, con unico proprietario (o comproprietà uniforme) vige la diversa regola che il limite di spesa – per gli interventi riguardanti le parti comuni - viene moltiplicato per il numero delle unità immobiliari di ciascun edificio, pertinenze comprese, anche se non servite dall’impianto termico (ecobonus), a patto che si trovino nello stesso corpo di fabbrica.

Questo effetto “moltiplicativo” è particolarmente gradito, al punto che, in questi edifici, ed in particolare nei cosiddetti “condomìni minimi”, si assiste in questi mesi all’iscrizione in catasto di pertinenze (fino ad ora catastalmente incorporate nell’unità immobiliare principale) prima di iniziare i lavori meritevoli di agevolazione.

Operazione perfettamente legittima (ovviamente applicando le regole catastali), anche in considerazione che, nel corso di Telefisco dello scorso mese di giugno, le Entrate hanno affermato che «in assenza di una espressa previsione normativa al riguardo» si ritiene che «l’unico proprietario di un edificio possa frazionarlo prima dell’inizio dei lavori, in più unità immobiliari distintamente accatastate». Peraltro, va ricordato che nel calcolo delle unità «da due a quattro» previste per questi edifici ai fini del 110%, le pertinenze non vanno considerate (tra le altre, si veda la risposta n. 608/2021).

La prevalenza abitativa.

In contesti plurifamiliari, occorre anche considerare se vi è prevalenza di superficie residenziale o meno. Infatti, se tale prevalenza sussiste, hanno diritto alla detrazione per la pertinente quota di lavori realizzati sulle parti comuni anche il proprietario/detentore di unità immobiliari non residenziali (es. uffici o negozi) o delle unità immobiliari “di lusso” (accatastate A/1, A/8 e A/9), senza che ciò li autorizzi a sfruttare la detrazione per i lavori “trainati” sulle singole unità immobiliari.

Qualora, invece, la prevalenza a livello di superficie sia “non residenziale”, la detrazione è ammessa solo per le spese realizzate sulle parti comuni per la quota di pertinenza dei possessori o detentori di unità immobiliari destinate ad abitazione comprese nell’edificio, e solo su tali unità immobiliari (se diverse da A/1, A/8 e A/9) potranno essere agevolati i lavori “trainati”.

In quest’ambito, è stata recentemente diffusa la risposta ad interpello n. 904-2305/2021 della Direzione regionale delle Entrate Lombardia che ha confermato che la superficie delle pertinenze fa “cumulo” con l’unità immobiliare a cui sono asservite, per cui cantine e garage degli immobili abitativi si contano come superfici abitative. Del resto, che la pertinenza segua lo stesso “destino” dell’abitazione principale, è un principio presente all’articolo 818 cod. civ. e, sotto l’aspetto fiscale, più volte ribadito dalle Entrate; proprio ai fini delle imposte dirette si applica con riferimento alle plusvalenze che costituiscono reddito diverso ai sensi dell’articolo 67, comma 1, del Tuir.

La risposta della Direzione regionale delle Entrate Lombardia fa riferimento alla “superficie catastale” delle unità immobiliari come parametro di riferimento, senza considerare altre modalità di calcolo quali la “superficie reale” o il calcolo millesimale. Sul tema sarebbe opportuno un chiarimento specifico.

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