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giovedì 13 gennaio 2022

La Banda Bassetti. - Marco Travaglio


 

L’ideona della Banda Bassetti&Draghetti di abolire il bollettino quotidiano del Covid perché i dati vanno sempre peggio e la gente si deprime, o magari capisce, è coerente con la politica del “rischio (s)ragionato” inaugurata a fine aprile con la fine prematura delle restrizioni. La politica del “meno salute e più pil(u) per tutti”, cara a Confindustria e i suoi derivati, pare pianificata da Boris Johnson travestito da Walter Ricciardi: si finge il massimo rigore (Green pass, Super Gp anche rafforzato, obbligo vaccinale, multe, garrote, anatemi), ma si lascia galoppare il virus sostituendo la quarantena ai trivaccinati con l’“autosorveglianza”, nella folle illusione che il Covid modello Omicron sia un’influenzetta per tutti fuorché per i No Vax. Intanto continuano a morire e a finire intubati anche migliaia di Vax, perché Delta sopravvive a Omicron e 16 milioni di bivaccinati non hanno ancora potuto o voluto farsi la terza dose. Undici mesi di guerra termonucleare hanno convinto appena il 2% dei No vax a vaccinarsi; ma in compenso i detti e contradetti di governo, autorità e scienziati sfusi stanno convincendo molti Sì vax a diventare No vax sul booster, per non parlare della quarta dose (si farà anzi no forse boh). Siccome i dati si ostinano a non collimare con le conferenze stampa del premier e dei suoi fan, non potendo abolire il premier (anzi, volendolo promuovere al Colle), non resta che abolire i dati. In attesa che Cetto La Qualunque assuma la guida del Cts, la soluzione si presta a interessanti applicazioni in altri campi.

Spread: siccome Draghi fu magnificato a febbraio dai giornaloni come “scudo anti-spread” che “ci fa guadagnare miliardi” con la sola forza del pensiero, ma ieri mattina il differenziale di rendimento fra Btp e Bund ha superato quota 142 (il putribondo Conte l’aveva lasciato a 105), lo spread verrà calcolato non più sul titolo di Stato tedesco, ma sulla pizza del fango del Camerun.

Meteo: siccome fa freddo e la gente in coda potrebbe dubitare della perfetta organizzazione Figliuolo, il meteo è abrogato fino alla bella stagione.

Sanità: siccome un terzo dei malati ufficialmente ricoverati per Covid entra in ospedale per altre patologie, il problema è risolto vietando i termometri.

Calcio: la Roma, squadra del cuore di Draghi, sta andando maluccio, dunque fino a nuovo ordine è abolita la schedina.

Quirinale: siccome i giustizialisti ritengono che un pregiudicato per frode fiscale che ha finanziato per vent’anni Cosa Nostra non possa fare il presidente della Repubblica, saranno cancellate tutte le sentenze di condanna per imputati con le iniziali S.B. Ah no, mi avvertono che è già così da anni. Come non detto.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/01/13/la-banda-bassetti/6454156/

mercoledì 6 ottobre 2021

Ball-ottaggi. - Marco Travaglio

 

Ultime notizie dal magico mondo degli esperti.

“Il voto rafforza Draghi”, “Vince Draghi”. Infatti la Lega ha subito disertato il Consiglio dei ministri (peraltro con più di una ragione) perché SuperMario pretendeva il solito voto a scatola chiusa degli Ufo detti volgarmente “eletti dal popolo” sulla delega fiscale con riforma del catasto incorporata. Dopo le sconfitte della Lega (sorpassata dalla Meloni) e del M5S, che pagano anche l’adesione all’ammucchiata draghiana, sarà tutto un rafforzamento.

La destra paga il “fango del caso Morisi” e l’“agguato” di Fanpage alla Meloni. Parola delle educande di Libero, quelle di “Raggi patata bollente”.

“È la fine dei populisti”, dei “sovranisti” e “dell’antipolitica”. L’antipolitica è il primo partito: 45% di astenuti. Populisti e sovranisti, sempreché così si possano definire FdI, Lega e M5S, totalizzano nei sondaggi il 57-58%. Alle Politiche del 2018 erano al 55%, quindi sono pure aumentati. Ma un pallottoliere in redazione no?

“A destra vincono i moderati”. A Roma un elettore su tre vota tal Michetti solo perché gliel’ha chiesto la Meloni che, se si fosse candidata lei, avrebbe probabilmente vinto al primo turno. A Torino l’ultramoderato Damilano s’è fatto scavalcare da tal Lo Russo del Pd. A Milano il pediatra Bernardo straperde, ma non perché non sia moderato: perché non lo conosceva nessuno. Né come moderato né come estremista.

“Per far parte del nuovo centrosinistra, i 5Stelle devono invitare a votare Gualtieri e Lo Russo”. Il nuovo centrosinistra, per il Pd, non è un’alleanza, ma un’annessione. A Roma si ripresentava la Raggi, ma il Pd ha candidato Gualtieri; a Milano si ripresentava Sala e i 5Stelle erano pronti ad appoggiarlo, ma lui li ha respinti e ha vinto senza di loro. A Torino, Conte, Appendino, Letta e Boccia puntavano sul rettore del Politecnico Guido Saracco per un progetto comune che poteva sbancare al primo turno, come Manfredi a Napoli. Ma i dem locali hanno deciso di cancellare ogni traccia della sindacatura Appendino e candidato Lo Russo, il consigliere che l’aveva denunciata e fatta condannare per un debito di Fassino (tutto vero). E che ha pure siglato un solenne “patto” con l’ex FI Portas giurando di non fare accordi neppure al ballottaggio con gli appestati 5S. Intanto Gualtieri definiva la giunta Raggi “peggio di Alemanno” (condannato per Mondo di Mezzo). Per convincere gli elettori di Raggi e Appendino a votare Gualtieri e Lo Russo non servono appelli (fra l’altro poco dignitosi) di Conte: sono Gualtieri e Lo Russo che, se vogliono quei voti, devono chiederli, riconoscendo alcune delle cose buone fatte dalle due sindache 5Stelle. Volendo, non hanno che l’imbarazzo della scelta.

ILFQ

domenica 20 giugno 2021

Il Corpus Domini. - Marco Travaglio

 

L’altra sera abbiamo seguito disciplinatamente la conferenza stampa del premier Draghi per fare chiarezza sul lievissimo casino dei vaccini. E ne siamo usciti più incasinati di quando non aveva ancora fatto chiarezza. Dopo mesi di ordini, contrordini e controcontrordini sui limiti di età per Astrazeneca, ci era parso di capire da Ema, Aifa, Cts & C. che almeno una cosa fosse assodata: chi ha fatto la prima dose di AZ, se ha più di 60 anni deve fare la seconda dose omologa con AZ; se ha meno di 60 anni, deve fare il richiamo eterologo con Pfizer o Moderna (Johnson&Johnson, monodose ma a vettore virale come AZ è al momento disperso, ma non sottilizziamo). Poi ha parlato Draghi: avendo più di 60 e anche di 70 anni ed essendo stato vaccinato con AZ, è “prenotato per l’eterologo” perché “la prima dose con AstraZeneca ha dato una bassa risposta immunitaria”. Oh bella: ma il suo Cts e il suo ministero della Salute avevano detto l’opposto: eterologo sotto i 60, omologo sopra. Infatti tutti i suoi coetanei, dopo la prima dose AZ, sono prenotati per la seconda dose AZ. E poi come fa Draghi a sapere che ha “una bassa risposta immunitaria”? A parte il fatto che il test sierologico sugli anticorpi dopo la prima dose non è probante, vuole forse dirci che prima del richiamo dobbiamo passare tutti dal medico? E perché nessuno è stato avvertito, né i medici né i pazienti? Non solo: siccome era pure assodato che gli under 60 non dovevano ripetere AZ ma passare al mix con Pfizer o Moderna, Draghi comunica che sono liberi di rifarsi AZ se muniti di “consenso informato”. Informato da chi? Dal medico. Che però può fornire solo consensi disinformati: sul mix vaccinale l’Aifa ha deciso di non decidere, per mancanza di studi scientifici. E quale medico, dopo un simile verdetto, rischierà di prescrivere l’omologo AZ agli over 60?

Mentre ci maceravamo nei dubbi, abbiamo letto i giornali di destra e scoperto che il problema era solo nostro: sono tutti estasiati per la cristallina chiarezza di Draghi, colto nell’estremo sacrificio di “metterci il braccio” (Libero), pardòn “il bazooka” (qualunque cosa voglia dire, Giornale), anzi di “offrire il suo corpo” (Repubblica): il famoso Corpus Domini. Intanto insigni scienziati spiegano quanto il mix sia molto meglio dell’omologo. A saperlo prima, si potevano far autenticare i vaccini da Vittorio Sgarbi. O affidare le fiale di Pfizer, Moderna, AZ e J&J a un battaglione di baristi per shakerarle tutte insieme già in prima dose, con una punta di spritz, una spruzzata di seltz, un’olivetta e una fettina d’arancia. E condire il tutto con un decreto chiarificatore di un solo articolo definitivo: “Fate un po’ come cazzo vi pare”.

ILFQ

lunedì 12 aprile 2021

Italia, l’ufficio complicazione affari semplici lavora giorno e notte. - Milena Gabanelli e Rita Querzè


L’efficienza di un Paese si vede anche dalla chiarezza con cui comunica ai cittadini la propria attività. Ogni servizio è classificato con un nome o un acronimo, e se li cambi spesso, anche quando la sostanza rimane identica, la gente non capisce più di cosa stai parlando.

Purtroppo l’ufficio complicazione affari semplici lavora giorno e notte. La Dad, didattica a distanza, lo scorso settembre, con l’inizio del nuovo anno scolastico, è diventata Did (didattica integrata a distanza), ma gli studenti continuano a fare sostanzialmente la stessa cosa, cioè seguire le lezioni dal computer.

Cambiare nome a volte serve solo a marcare la differenza fra un governo e l’altro. Prendiamo i provvedimenti che servono a risarcire chi è stato danneggiato dalla pandemia, con Conte si chiamavano «Ristori», con Draghi sono diventati «Sostegni». Che cosa c’è di nuovo? Niente.

Il nuovo governo ha cambiato il nome anche ad alcuni ministeri: quello dell’Ambiente è diventato della Transizione ecologica (Mite), quello delle Infrastrutture e dei Trasporti è ora delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili. Ci eravamo abituati al Mit, non sarà immediato familiarizzare con il Mims.

Il ministero per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione è diventato ministero della Transizione tecnologica e dell’Innovazione digitale. Maquillage o sostanza? Vedremo.

Anche gli enti cambiano spesso carta d’identità. Un esempio su tutti: Equitalia. Molti presero alla lettera nell’estate 2016 il «Bye bye Equitalia» dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, e così da luglio 2017 è stata sostituita da Agenzia entrate-riscossione.

Equitalia era una spa (partecipata al 51% dall’Agenzia delle Entrate e al 49% dall’Inps) mentre adesso è un ente pubblico economico, sottoposto alla vigilanza del ministero dell’Economia.

Si sarebbe potuto fare questo passaggio mantenendo il nome, visto che «i contribuenti troveranno nuovo logo, nuova modulistica, mentre i servizi saranno svolti in continuità con la precedente gestione», diceva l’ultima nota della stessa Equitalia, prima di dissolversi.

E infatti le cartelle esattoriali si sono continuate a pagare come sempre. Ma qui la questione di fondo era proprio il nome: Equitalia aveva una brutta reputazione. Il problema è che cambiare insegne, carta intestata, sistemi informatici, biglietti da visita ha un costo per lo Stato, e quindi per i cittadini.

Certo non tutti i cambi di nome sono operazioni di marketing, per esempio l’Agenzia delle Entrate: è nata nel 2001 da una costola del ministero delle Finanze che agiva attraverso le intendenze di finanza sul territorio.

A differenza del ministero, l’attività dell’agenzia è basata sull’autonomia, solo gli obiettivi da raggiungere sono concordati attraverso un contratto di servizio. I risultati parlano: l’indice di redditività (il rapporto tra i costi dell’agenzia e le entrate garantite dal suo lavoro) è salito da 1,93 del 2008 a 6,32 del 2019. Il caso della tassa sui rifiuti è un esempio da manuale.

Negli anni Novanta si decide di dare agli enti locali maggiore potere impositivo con il federalismo fiscale. E quindi dal 1993 al 1997 gli italiani hanno pagato la Tarsu, cioè la Tassa per lo Smaltimento dei Rifiuti solidi urbani.

Nel 1997 con il decreto Ronchi è stata istituita la Tia, Tariffa di igiene ambientale. Nel dicembre 2011 è arrivata la Tares, con il decreto Salva Italia. Infine, nel dicembre 2013 è stata introdotta la Tari con la legge di Stabilità.

Poi diversi Comuni hanno continuato lo stesso con la Tares perché la legge lo consentiva. Inoltre ogni Comune può gestire con una certa autonomia esenzioni e agevolazioni, creando un’enorme confusione.

Con la tassa sugli immobili non è andata meglio. C’era una volta l’Ici, Imposta comunale sugli immobili introdotta dal governo Amato nel 1992. Il governo Prodi la tolse sulle prime case ai redditi bassi. Berlusconi la cancellò del tutto nel 2008, ma per le seconde case nel 2011 istituì l’Imu (imposta municipale propria).

Nel 2012 il governo Monti la allargò alle prime case. Nel 2013, però, venne di nuovo tolta da Letta (fatta eccezione per quelle di lusso), che poi introdusse la Iuc, formata da Tasi (tassa sui servizi indivisibili), Tari (tassa sui rifiuti) e Imu. Nel 2019 il governo Conte la abolisce e infine nel 2020 nasce la «Nuova Imu» accorpando Tasi e Imu.

Per promuovere l’informatizzazione della pubblica amministrazione si è partiti nel 1993 con l’Aipa, Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, che nel 2003 è diventata CniPa (Centro nazionale per l’Informatica nella Pubblica amministrazione) e poi nel 2009 DigitPa. Infine nel 2012 Agid (Agenzia per l’Italia digitale).

Non si può dire che la digitalizzazione della Pa sia stata tanto rapida quanto i cambi di nome. Per fare funzionare i centri per l’impiego è indispensabile l’incontro tra la domanda e l’offerta.

Nel 1997 viene istituito il Sil, sistema informativo lavoro. Nel 2003 è stato sostituito dalla Borsa continua nazionale del Lavoro. Nel 2010 è stato creato un nuovo portale, Cliclavoro. Cambiato nome tre volte, ma il risultato è rimasto sempre lo stesso: l’incontro domanda-offerta non è mai partito.

Sempre in materia di lavoro, nel 1996 è stata fatta una importante riforma: in pratica è stata data la possibilità ai privati di fare intermediazione di manodopera. Sono nate le cosiddette agenzie del «lavoro in affitto». Poi diventate del «lavoro interinale». Ora siamo passati al «lavoro somministrato». La sostanza però è sempre rimasta la stessa: un’agenzia per il lavoro ti assume a termine o a tempo indeterminato, e poi ti distacca in un’altra azienda per un certo periodo.

Nel 1993 le Usl si trasformano in aziende e diventano un organo di competenza delle Regioni. Il cambio è radicale, e giustamente si cambia nome: da Usl si passa ad Asl (Azienda sanitaria locale). Ma molte Regioni se ne inventano uno nuovo: in Alto Adige si chiama Asdaa, in Basilicata Asm, in Calabria Asp, Ausl in Emilia Romagna e in Toscana, Asu e As in Friuli-Venezia Giulia, Ats in Lombardia e in Sardegna, Asur nelle Marche, ASReM in Molise, Asp in Sicilia, Apss in Trentino, mentre in Umbria sono rimaste Usl.

Dov’è il senso di questa Babele? Prendiamo la pianificazione urbanistica: differente da Regione a Regione, genera non poche difficoltà a cittadini e imprese. Buttato il Prg (Piano Regolatore), ora abbiamo in Lombardia il Pgt, in Campania il Puc, il Pug in Emilia Romagna, in Veneto i PI, Prc, Pat; e ancora i Psc e i Poc in Toscana, i Pot e i Reu in Calabria.

Senza dimenticare i Pums, e cioè i piani urbani della mobilità sostenibile, i Pup, vale a dire i piani urbani dei parcheggi, i Pcv ossia quelli del verde urbano, e i Pdc, quelli del commercio.

Infine: dal 2001 a oggi siamo passati da due soli titoli edilizi, il «permesso di costruire» e la Dia (dichiarazione di inizio attività del privato), a una molteplicità di istituti giuridici: «Cil» (introdotta nel 2010 ed eliminata nel 2016), «Cila», «Scia».

Quello che cambia è solo la procedura. È fin troppo scontato dire che nella grande ragnatela della Pubblica amministrazione un cambio di nome si giustifica solo con l’introduzione di novità di sostanza, proprio per non disorientare i cittadini.

Quel che invece succede, soprattutto quando qualcosa non funziona perché gestito male, si cambia l’etichetta per dare l’idea di grandi innovazioni, anziché correggere le storture. Che infatti rimangono.

E intanto la confusione aumenta. Insieme alla spesa generata da continue quanto inutili trasformazioni. Sembra quasi una regola: rendere tutto incomprensibile, perché se sei chiaro, diventa chiara anche l’inefficienza. 

Corriere della Sera da Infosannio

domenica 5 luglio 2020

La Regione: 300mila euro per “l’armonia dei bilanci”. - Andrea Sparaciari

La Regione: 300mila euro per “l’armonia dei bilanci”
Consulenze - Il 15 luglio scade il nuovo bando per soggetti privati per “interpretare” la contabilità, incomprensibile pure per il Pirellone.
Settecentomila euro di consulenze esterne per farsi spiegare le norme scritte di proprio pugno. È il paradosso che vive da anni Regione Lombardia, colpevole di aver creato un sistema di gestione della contabilità sanitaria talmente complicato, che nessuno è più in grado di comprenderlo. Un mare magnum formato da flussi di soldi tra Ats, Asst, Aziende ospedaliere e Regione, norme sovrapposte, anticipazioni di cassa, compensazioni… E il bello è che quel sistema – tecnicamente “Gestione sanitaria accentrata” (Gsa) – era stato adottato nel 2012 proprio per rendere più chiara la spesa sanitaria regionale, una torta da 19,2 miliardi l’anno.
A dimostrazione della difficoltà, se non proprio sbando, in cui versano gli uffici deputati alla Gsa, ci sono, nel 2017, i circa 400 mila euro versati a Kpmg, i cui esperti dovevano fornire “un supporto al percorso di riallineamento contabile” e redigere relazioni sull’attività svolta. Risale al 20 aprile 2017 il primo affidamento attraverso gara pubblica da 331.779 euro, cui fa seguito, un mese dopo (il 25 maggio), un secondo affidamento, questa volta diretto, da 42.621 euro. Ma nonostante Kpmg, la situazione non è migliorata. Tanto che Aria SpA – l’Azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti – ha appena pubblicato il nuovo bando da 300 mila euro per “il servizio di assistenza tecnica in materia di armonizzazione dei bilanci ex d.lgs 118/2011 per la tenuta della contabilità economico-patrimoniale, la predisposizione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato di Regione Lombardia, la riconciliazione tra le poste del bilancio regionale della gestione sanitaria accentrata e quelle iscritte nel bilancio regionale”. Durata del contratto: 36 mesi. Scadenza del bando: 15 luglio 2020.
E che ci sia bisogno di aiuto è indubbio. Lo ha ribadito la Corte dei Conti, nei giudizi di parifica sui bilanci lombardi. E lo ha sancito pochi giorni fa, il 30 giugno scorso, Orac – l’Organismo regionale per le attività di controllo –, nella delibera “Istruttoria su Bilancio 2018 relativo alle Aziende Sociosanitarie Regionali Regolazione delle posizioni debitorie/creditorie pregresse”.
L’organo di controllo indipendente ha scavato nei rivoli dei finanziamenti erogati dal Pirellone tra il 1999 e il 2015, tentando di capire perché nei bilanci non torni circa un miliardo di euro. Si tratta di “regolazioni pregresse”: il consultivo dei debiti-crediti sanitari, una somma algebrica che dovrebbe fare zero, ma che zero non ha mai fatto. Tanto che Regione Lombardia è riuscita ad approvare i bilanci di esercizio del 2015, 2016 e 2017, solo a tardo 2018, quando per legge dovrebbero essere chiusi entro il 30 aprile dell’anno successivo.
Il giudizio di Orac è tranchant: “La creazione di una situazione contabile non perspicua appare dovuta anche alla scelta di percorrere per anni canali di finanziamento difficilmente ricostruibili ex post; poiché questi ultimi non appaiono del tutto allineati a talune regole, affiancandosi o sovrapponendosi ad esse (anticipazioni finalizzate e altro)”.
Un pasticcio, al quale il Pirellone ha messo una “pezza” a fine 2019, con una sanatoria (ma all’appello mancherebbero comunque ancora 180 milioni). Ed è stato per arrivare a quella sanatoria che la Regione ha dovuto chiedere aiuto ai consulenti. La cui opera però sembrerebbe andata persa. Scrive infatti Orac: “La Direzione Bilancio non ha trasmesso le relazioni del consulente (Kpmg) che pure sono state richieste ripetutamente; questa lacuna limita oggettivamente la possibilità di approfondimento tecnico della vicenda e va colmata mediante l’invio delle medesime relazioni”.
Intanto, però, il Pirellone è costretto a pagare degli esterni per spiegare al suo personale come interpretare norme scritte dalla Regione stessa per rendere più trasparente la spesa sanitaria. “Oggi Regione Lombardia ha una contabilità incomprensibile”, commenta Michele Usuelli, consigliere di +Europa (e uno dei due nomi in predicato per presiedere la famosa Commissione d’inchiesta regionale sul Covid, ancora oggi fantasma). “Ed è l’unica regione italiana ad aver adottato questo metodo di analisi. Una situazione peraltro ammessa anche dall’assessore al Bilancio, Davide Caparini, il quale in Commissione Bilancio ha promesso che dall’anno prossimo le cose miglioreranno… Tuttavia mi chiedo cosa succederà con il Covid 19: se già non si riusciva a rendicontare l’ordinario, cosa accadrà con la gestione di tutte quelle spese fatte in emergenza?”.