Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 7 aprile 2022
NON VOGLIO VEDERLO. - Toni Capuozzo
Il Family Act è diventato legge, riforma organica per famiglie. - Simona Tagliaventi
Assegno unico, autonomia giovani, conciliazione vita-lavoro donne.
Per la prima volta, e da oggi con il voto del Senato è realtà, l'Italia si dota di una riforma organica delle politiche per la famiglia, che prevede un potenziamento del sistema del welfare, con l'introduzione dell'assegno unico e universale, il sostegno alle spese per i percorsi educativi dei figli, la revisione dei congedi parentali con la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura dei figli per entrambi i genitori, misure di incentivo al lavoro femminile e infine il tema della formazione e della emancipazione giovanile.
L'assegno unico e universale - che è già in vigore e può essere richiesto dai nuclei familiari di cittadini italiani o con permessi di soggiorno, residenti in Italia, con a carico un figlio minore (a partire dal 7° mese di gravidanza), o un figlio entro i 21 anni di età - sostituisce le detrazioni Irpef sui figli a carico; gli assegni al nucleo per figli minori; gli assegni per le famiglie numerose; il Bonus Bebè; il premio alla nascita e il fondo natalità per le garanzie sui prestiti, con un'unica prestazione calcolata sulla base dell'Isee.
Con il Family Act vengono inoltre rivisti e rafforzati i congedi parentali di maternità e di paternità fino al compimento dei 14 anni del figlio; vengono introdotte detrazioni fiscali per le spese legate all'istruzione universitaria e per la locazione dell'immobile adibito ad abitazione principale o, per le giovani coppie composte da soggetti aventi entrambi età non superiore a 35 anni alla data di presentazione della domanda, per l'acquisto della prima casa.
Il Family Act prevede anche misure premiali per i datori di lavoro che realizzino politiche atte a promuovere una piena armonizzazione tra vita privata e lavoro, quali, ad esempio, il lavoro flessibile. Inoltre una quota della dotazione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese verrà riservata all'avvio delle nuove imprese femminili e al sostegno della loro attività per i primi due anni; premi anche per chi incentiva il lavoro femminile nelle regioni del Mezzogiorno. "Ringrazio per il contributo trasversale di ricomposizione delle posizioni a livello parlamentare. La riforma del Family Act deve essere di tutti, non deve avere l'identità di una parte politica, perché è un riforma di cui tutti noi ci dobbiamo rendere responsabili, è una riforma per il Paese di oggi e per il Paese di domani. Attraverso questo voto proponiamo un nuovo modo di fare politica che richiede mediazione, onestà, attenzione ai tempi e rispetto delle parole, come diceva Tina Anselmi", ha commentato la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti a Palazzo Madama.
Dopo l'approvazione il leader di Iv Matteo Renzi ha twittato: "Un'altra idea pensata e presentata alla Leopolda diventa legge dello Stato. Dalla Leopolda alla Gazzetta ufficiale: il Family act. Grazie a Elena Bonetti e a tutta Italia viva. E grazie anche alla Leopolda, vivaio di idee e di speranze". La presidente della commissione Lavoro, Susy Matrisciano del M5s che è anche relatrice del provvedimento ha sottolineato che "il Family Act riguarda la vita quotidiana di milioni di mamme e papà".
L’inutile idiota. - Marco Travaglio
I rastrellatori di Rep scrivono ogni giorno lo stesso pezzo sui presunti “putiniani” d’Italia. Ma, siccome in 42 giorni di guerra non han trovato nessuno che giustifichi Putin, inventano. Dopo la lista di proscrizione di Johnny Riotta tocca, buon ultimo, a Francesco Merlo, che è un po’ il colonnello Buttiglione (o, a giudicare dalla prosa malferma, il generale Damigiani) di Ri-pubblica. Vaneggia di un “laboratorio dove Putin rimescola la politica italiana in vista delle elezioni” (quando le vince chi non garba a lui, c’è dietro Putin): la “Federazione negazionisti equidistanti”, la “Cosa Putiniana”, la “Gioiosa Macchina Antiguerra” dei “Né Né”. Il “leader predestinato” è Conte, “antiamericano e negazionista” (non si sa di cosa, visto che ha condannato Putin decine di volte ed evocato l’Aja ancor prima di Bucha), “pronto a un nuovo assalto alla democrazia in sintonia con la guerra di Putin” (pare che voglia candidarsi alle elezioni). Ed ecco i cosacchi: Orsini, Dibba, Freccero, Cacciari, Landini, Salvini (la Meloni no, il suo “atlantismo è solido”), Travaglio, Anpi, Leu, “Articolo 21” (sic), SI, centri sociali, insomma “gli utili idioti” che Letta, dall’alto della sua “statura morale”, deve “cacciare via dalla sinistra come furono cacciati i mercanti dal tempio” da un oscuro collega del segretario Pd, Gesù.
Mancano i due vecchi amori merliani: B., l’unico che in 42 giorni non ha mai citato Putin; e Renzi, che nel 2015 (dopo la Crimea) disse di “fidarsi di Putin” e fino al 24 febbraio sedeva nel Cda di Delimobil, partecipata dalla banca di Putin. E manca soprattutto Rep, che dal 2010 al ’16 allegava l’inserto Russia Oggi a cura e a spese del Cremlino. Per sei anni, oltre a ciucciarsi Merlo, i lettori voltavano pagina e si sorbivano pure i soffietti a Putin. Che “disprezza l’ipocrisia e ritiene la sincerità una virtù”. “Record di vendite senza precedenti per Lada Kalina, la piccola utilitaria con cui Putin ha macinato ad agosto oltre 2mila km”. “Concorso web per dare un nome al nuovo cane di Putin”, che “leggerà le proposte e deciderà. Poi farà conoscere il piccolo pastore bulgaro alla labrador Connie”. Che tenero. E giù botte all’“errore delle sanzioni”, ai “perfidi pregiudizi occidentali” sullo zar garante del “pluralismo politico” (con gli oppositori morti ammazzati o in galera). Senza dimenticare le good news: “L’armata russa sceglie i blindati Made in Italy”. Cioè i “Lince” Iveco (gruppo Agnelli, editore di Rep), venduti a Putin sotto Monti, Letta e Renzi (quelli della “statura morale”). E Merlo, intanto? Coabitava col Minculpop russo, ritirava lo stipendio finanziato pro quota da Mosca e soffriva in silenzio. Non sospettava che sei anni dopo, per molto meno, si sarebbe dato dell’“utile idiota”, fra l’altro esagerando con l’utile.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/07/linutile-idiota/6551493/
La guerra è un affare: ecco chi ci guadagna. - Nicola Borzi
Armi e gas: i colossi Usa guadagnano dal conflitto e gli Stati Ue sono clienti.
EFFETTI COLLATERALI - I rialzi maggiori in Borsa. I big della Difesa fanno festa con aumenti a 2 cifre. Il metano russo sostituito da esportatori americani.
L’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio, pare lontana dalla fine, ma ha già vincitori e vinti. Se non sul campo, almeno sul piano economico: i mercati hanno prezzato alcuni dei suoi effetti. L’analisi del Fatto sulle azioni di 24 tra le imprese più rilevanti nel settore delle armi e dell’energia, mostra che a trarre profitto sono multinazionali che producono sistemi per la difesa, statunitensi in primis ma non solo, e i grandi esportatori americani di gas naturale liquefatto (Lng), chiamati a rimpiazzare progressivamente le forniture di metano russo dalle quali l’Europa dipende per il 40% del suo fabbisogno. Non sono ovviamente ancora noti aumenti di ordini, fatturato o utili, ma i rialzi dei titoli segnalano le attese degli investitori.
Le armi. L’“operazione militare speciale” di Putin ai danni di Kiev ha cambiato le dinamiche geopolitiche. La Germania ha stanziato 100 miliardi per il riarmo, altri 19 Paesi della Nato (tra i quali l’Italia) sono pronti a portare le spese militari al 2% del Pil con un incremento dei budget di 73,3 miliardi di euro l’anno, al quale si aggiungeranno i maggiori stanziamenti Usa e di altri Paesi. Molti titoli del settore avevano già iniziato a segnare rialzi prima del 24 febbraio, quando il dispiegamento di truppe russe segnalava il conflitto in arrivo. L’asticella la fissa l’indice S&P 500 delle maggiori azioni di Wall Street che tra il 23 febbraio, ultima chiusura prima della guerra, e il 6 aprile ha segnato +5,7%. Nello stesso periodo alcune aziende hanno ottenuto performance più elevate: tutte sono fornitrici del Pentagono e dei Paesi Nato. La prima, a sorpresa, è l’italiana Leonardo che ha visto un rialzo del 43,9% da 6,4 a 9,2 euro. Seguono Bwx Technologies (+26,3%), società della Virginia che fornisce componenti e combustibile nucleare al governo Usa, e Booz Allen Hamilton (+25,2%), gigante della consulenza strategica in stretti rapporti con il Dipartimento della Difesa di Washington. Poi Bae Systems (+23,3%), gigante britannico del settore, la sconosciuta ai più L3Harris (+16,8%), società tecnologica contractor della Marina Usa, e i colossi americani Northrop Grumman, che produce aerei e droni come il Global Hawk (+15,8%), Heico (+14,2%) che realizza motori di aerei e avionica, Lockheed Martin (dai caccia F-35 ai missili anticarro Javelin, +14,2%), General Dynamics (dai sottomarini delle classi Virginia e Columbia ai carriarmati M1 Abrams, +10,6%) e Honeywell International (droni per esercito e marina, +9,6%). Dalla bonanza è rimasta fuori la francese Safran, attiva nei caccia, che ha perso in Borsa l’8,15%.
Il gas. L’altro settore che mostra il cambio di paradigma geopolitico è quello dei produttori ed esportatori di gas naturale liquefatto (Lng), specie di shale gas, il combustibile ottenuto dal fracking delle rocce di scisto, considerata una delle attività più dannose per il clima e l’ambiente, la cui produzione è aumentata del 70% dal 2010. Gli esportatori statunitensi di Lng stanno emergendo come i veri grandi vincitori della crisi dell’approvvigionamento del Vecchio continente, poiché per il terzo trimestre consecutivo hanno esportato volumi record nell’Unione europea e a prezzi decollati dopo l’invasione russa dell’Ucraina, scattata proprio quando gli esportatori Usa di Lng avevano completato progetti di sviluppo pluriennali per esportare grosse quantità. A dicembre gli Usa hanno venduto all’estero il 13% della propria produzione di Lng, con una crescita di sette volte rispetto a cinque anni prima. Già a dicembre, prima della guerra ma nel pieno dei rincari del gas in Europa, gli Usa avevano superato il Qatar come maggior esportatore mondiale di Lng. Ma i qatarioti stanno preparando investimenti giganteschi per riprendersi la leadership. Il più grande esportatore statunitense è Cheniere Energy, seconda società al mondo dopo la compagnia nazionale emiratina Qatar Energy per capacità di export (35 milioni di tonnellate l’anno), i cui titoli in Borsa dal 23 febbraio non a caso hanno segnato +18,9%.
Tra le altre società Usa del settore che ne hanno beneficiato in Borsa ci sono i giganti Chevron (+20,5%) e, in misura minore, ExxonMobil (+7,8%). Male invece la malese Petronas (-2,1%), la britannica Bp (-4,6%) e la francese TotalEnergies (-10,8%). A fare la differenza sono la presenza geografica e le infrastrutture. I costi industriali di raffreddamento, stoccaggio, trasporto e rigassificazione peseranno sul conto finale per i clienti europei, decretando un maggior o minor rincaro rispetto al gas russo, di certo più conveniente. Ma la misura non è determinabile anche per la segretezza dei contratti di fornitura stipulati con Mosca. Come impararono a loro spese già i Romani, vae victis.
Fusione nucleare, Oxford ce l’ha fatta! La svolta energetica confermata anche dall’Aeia. - Rosita Cipolla
Svolta storica per l'energia pulita che imita le stelle! Una startup britannica fondata dall'Università di Oxford ha raggiunto la fusione nucleare usando un approccio innovativo.
Dal Regno Unito arriva una splendida notizia sul fronte dell’energia pulita: la fusione nucleare non è più un’utopia, è già realtà. Ad annunciare di averla raggiunta la società First Light Fusion, fondata dall’Università di Oxford. Per raggiungere lo straordinario traguardo – che è stato convalidato dall’Autorità per l’energia atomica del Regno Unito (UKAEA) – è stato utilizzato per la prima volta un approccio innovativo, più semplice e più efficiente: la cosiddetta tecnologia dei proiettili.
Per ottenere questo risultato di fusione, First Light ha utilizzato il suo grande cannone a gas iperveloce a due stadi per lanciare un proiettile su un bersaglio, contenente il combustibile di fusione. – spiega la startup – Il proiettile ha raggiunto una velocità di 6,5 km al secondo prima dell’impatto.
First Light ha chiarito di essere riuscita a raggiungere la fusione spendendo meno di 45 milioni di sterline “e con un tasso di miglioramento delle prestazioni più veloce di qualsiasi altro schema di fusione in storia”.
Con questo approccio più semplice che riutilizza la tecnologia esistente, l’analisi condotta da First Light mostra che la fusione dei proiettili offre un percorso verso un costo dell’energia livellato (“LCOE”) molto competitivo di meno di $50/ MWh. – sottolinea la società energetica – L’attrezzatura di First Light è relativamente semplice, costruita in gran parte con componenti prontamente disponibili. First Light ritiene che questo approccio acceleri il viaggio verso l’energia da fusione commerciale poiché esiste una grande quantità di ingegneria che può essere riutilizzata per realizzare il progetto dell’impianto proposto.
Adesso la First Light ha in programma di avviare delle collaborazioni con i produttori di energia esistenti per sviluppare un impianto pilota, utilizzando il suo approccio unico alla fusione nucleare.
Risultati incoraggianti anche dall’AIEA
Recentemente in Europa è stato raggiunto anche un altro traguardo incoraggiante nel settore dell’energia che imita le stelle. Il team internazionale di scienziati, che sta lavorando da tempo al Joint European Torus (JET) – il più grande reattore a fusione nucleare – è riuscito infatti ad ottenere una quantità record di energia: 59 megajoule nel giro di 5 secondi (l’equivalente di 11 megawatt). Il precedente primato risaliva al 1997, quando era stata prodotta meno della metà dell’energia.
Al momento un nuovo progetto di ricerca coordinato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) sta cercando di approfondire i materiali da usare per la realizzazione dei reattori a fusione.
“I risultati del progetto potrebbero contenere risposte importanti a domande relative a costi, efficienza e rifiuti prodotti da grandi esperimenti di fusione e reattori, come ITER e DEMO, nonché future centrali elettriche a fusione” chiarisce l’AIEA.
Perché la fusione nucleare rappresenta la svolta.
Ma cosa si intende esattamente per fusione nucleare e perché è considerata l’energia del futuro? Si tratta un processo complesso che avviene nel Sole e nelle altre stelle e che produce una quantità di energia. La fusione non è altro che la sorgente d’energia del sole e delle stelle. Per soddisfare le necessità di una popolazione mondiale in continua crescita, la ricerca sul campo sta dimostrando che questa fonte di energia può essere usata per produrre elettricità in modo sicuro, rispettoso dell’ambiente e con risorse di combustibile abbondanti. In pratica è l’opposto della fissione nucleare – la reazione utilizzata oggi nelle centrali nucleari – in cui l’energia viene rilasciata quando un nucleo si divide per formarne altri più piccoli.
La fusione nucleare non produce emissioni di carbonio. Infatti gli unici sottoprodotti delle reazioni di fusione sono piccole quantità di elio, un gas inerte che può essere rilasciato in sicurezza, senza provocare danni ambientali.
mercoledì 6 aprile 2022
Morte presunta. - Marco Travaglio
La guerra continua fra una strage e l’altra. Ma per fortuna sta per finire: oltre ad aver già perso la guerra, a essere solo al mondo e abbandonato da tutti, alla vigilia di un golpe e del default, Putin ha le ore, anzi i minuti contati. Così assicurano i bollettini medici che affiancano quelli militari sui giornaloni, della cui credibilità non abbiamo motivo di dubitare, specie quando scambiano i loro desideri per notizie. Dacché ha invaso l’Ucraina, gli hanno affibbiato una collezione di patologie da Guinness dei primati. Altro che il diabete di Mussolini, che illuse gl’italiani per ben 23 anni. Anzitutto Putin è “folle: nella sua mente una realtà parallela” (Valentino, Corriere). “Impazzito, gli resta un anno o forse tre” (Khodorkovsky, dissidente, Cnn). “Folle come Stranamore” (Fabbri, Giornale). “Mente instabile” (ibidem). “Da manicomio” (Ulickaya, Libero). “In delirio”, “staccato dalla realtà” (Zafesova, Stampa). “Stanco, vecchio e paranoico. E se Putin fosse malato? Ha qualcosa che non va”, “non è più lui”, è “terrorizzato dal Covid” (Casadio, Domani). “Malato? Invecchiato? Sofferente? Fatalmente intaccato dalla morte”, “uccide i suoi figli due volte” (Recalcati, Stampa, qualunque cosa voglia dire). “Ossessionato e paranoico” (Littell, Corriere), forse perché era “un bambino povero e ribelle” (Valentino, Sette-Corriere), “un piccolo selvaggio, randagio e affamato” (Merlo, Rep) nonché “tassista abusivo” (Losito, Domani). “Un grande infelice” (Onfray, Stampa). “La sua arroganza serve a nascondere una paura profonda” (Ammaniti, Corriere). “Ossessionato dal video dell’uccisione di Gheddafi: ha passato ore e ore a guardarlo e riguardarlo” (intervista di Fubini a un politologo bulgaro, Corriere).
“Il gonfiore del viso, il problema a un gamba, la fatica a muovere un braccio e il lungo isolamento fisico” (Mastrolilli, Rep). “Sta morendo di cancro all’intestino” (Daily Star e Daily Telegraph). “Gonfiore e scatti d’ira. Sono i farmaci e gli steroidi per il tumore” (Sabadin, Messaggero). Senza dimenticare “la demenza o il Parkinson”, a piacere (Martinelli, Stampa). E i “problemi alla colonna vertebrale per pregressi traumi sportivi, o una neoplasia al midollo spinale compatibile con difficoltà deambulatorie e irrequietezze posturali”, senza contare “down depressivo ed esaltazione maniacale” (Modeo, Corriere). “Cancro alla tiroide, visitato 135 volte da un oncologo” (Castelletti, Rep). “Cancro che cura con i clisteri” (Libero). Ma “può anche essere il diabete” (Gazzaruso, endocrinologo, Giornale). Gli mancano: l’alopecia, sennò lo invitavano agli Oscar; l’uveite, per non ingelosire Silvio; la filossera e l’allergia all’ossigeno, perché non ama Woody Allen. Ma siamo poi sicuri che non sia già morto?
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/04/06/morte-presunta/6550064/
LAMENTO DI UN INCOMPETENTE. - Nestor Halak
“These are by no means a provision of the treaty. These are the proposal of the Ukrainian side, which we consider a constructive step towards finding a compromise and which will be considered by Russia and an appropriate response will be given”.
Parole del delegato russo ai recenti colloqui di pace ad Istambul. Seguite, peraltro, dalla sospensione delle operazioni militari nelle aree di Kiev e Chernihiv. Mi paiono parole (e fatti) piuttosto preoccupanti.
Ad essere sincero, fin dall’inizio questa “operazione speciale” del Cremlino in Ucraina non mi ha troppo convinto. Mi pareva innanzi tutto fuori tempo: tutta la stampa occidentale stava paventando da mesi l’invasione russa, e con questo uno dei fattori più importanti in un’operazione militare, la sorpresa, era irrimediabilmente compromessa. Per di più Mosca aveva continuato a negare decisamente fino al giorno prima, perdendoci dunque anche in credibilità. Mi chiedo: un’operazione simile non sarebbe stata di gran lunga più facile nel 2014 dopo la disfatta ucraina a Debaltsevo? Sarà forse che forse all’epoca i russi non erano pronti, ma allora perché non in momento qualsiasi degli otto anni trascorsi, quando l’”invasione” non era sbandierata ogni giorno in televisione?
Tutto il contesto, insomma, faceva pensare ad una trappola predisposta dagli americani per costringere la Russia a intervenire massicciamente in una guerra fratricida (si tratta di combattere una popolazione molto affine in un territorio che da secoli faceva parte integrante e significativa del mondo russo, non un tradizionale nemico!), per possibilmente incastrarla in gravi problemi politico militari che avrebbero finito per limitarne massicciamente il potere, magari ottenere l’agognato cambio di governo e forse persino lo smembramento. Tutto ciò quasi gratuitamente, usando gli ucraini (e i russi), come carne da cannone.
Le dimensioni dell’invasione, inoltre, sono subito apparse molto ambiziose, di gran lunga superiori a quanto avrei mai previsto, e nello stesso tempo le forze impiegate assurdamente esigue rispetto al probabile bisogno: non occorre essere analisti militari per sapere che una forza attaccante, per avere buone probabilità di successo, deve essere in numero largamente superiore ai difensori, anche se ha la superiorità aerea, regola assolutamente non rispettata in questa circostanza.
Anche la conduzione delle operazioni è stata fin dall’inizio piuttosto morbida e rilassata, “ a bassa intensità”, quasi si trattasse più di un’esercitazione che di una guerra. Non si avvertiva risolutezza, la volontà di decimare l’esercito nemico, di infliggere i maggior danni possibili e non solo di mettere fuori uso l’infrastruttura militare necessaria per una guerra moderna, cosa che invero è stata ottenuta fin dai primi giorni. Al contrario, gli ucraini parevano agire con criteri completamente contrari e molto feroci. Se da profano mi fosse stato chiesto come avrei programmato un’operazione del genere, avrei senz’altro pensato di dover scatenare immediatamente un colpo il più duro possibile con tutti i mezzi disponibili, con la sola eccezione del nucleare e del mantenimento di una riserva sufficiente. Al contrario abbiamo assistito (e assistiamo) al prosieguo del funzionamento di tutte le infrastrutture ucraine: ferrovie, strade, televisione, internet, telefonini, illuminazione in quasi tutto il paese, tranne dove sono gli stessi ucraini ad impedirlo. Addirittura il gas continua a fluire attraverso i gasdotti ucraini verso paesi che si sono auto dichiarati nemici: drôle de guerre, direbbero i francesi.
Ma la guerra è la guerra, un gioco dove spesso la posta è la sopravvivenza, non si tratta di una partita di calcetto. E l’Ucraina non è l’Iraq, siamo di fronte ad un grande paese con un grande esercito che combatte davvero e non è lì per figura.
In altre parole l’operazione in sé e le sue modalità, mi sono apparse fin dall’inizio, in molti sensi, poco opportune. Ma è da dire che io non ho conoscenze specifiche sulla materia, non ho fatto studi a riguardo né ho avuto esperienze formative. Come per l’affare pandemia, sono solo uno che si informa e cerca di farsi un’opinione sensata a partire da letture e fatti che riesce a racimolare attraverso fonti informative raramente certe, per cui non potevo che presumere – e non posso che presumere – che chi le decisioni le prende, e le ha prese davvero, conosca la situazione molto meglio di me ed abbia competenze, consiglieri e mezzi infinitamente maggiori. Vladimir Putin, inoltre, gode fama di statista molto capace e di fine stratega: possibile non veda ciò che io vedo? Sicuramente no, perciò deve necessariamente sapere molto meglio di me cosa sta accadendo e quali sono le decisioni più remunerative. Così mi sono adeguato.
Siccome ciò che va in onda nei media occidentali è quasi tutto e soltanto propaganda, e dopo l’esperienza pandemica non ho certo voglia di subirmi sciocchezze ventiquattro ore al giorno, ho preso a frequentare siti di analisti politici e militari che mi sembravano più seri e degni di fiducia, come The Saker, Martyanov o South Front, i quali, specialmente i primi due, mostravano sicurezza e approvazione argomentati, e sembravano ritenere l’operazione assolutamente ragionevole, fattibile e vincibile in termini militari e politici, per cui ancora di più mi sono rassicurato: se lo dicono loro che ne capiscono senza dubbio molto più di me, chi sono io per contraddirli? Mi sono quindi lasciato guidare nei giudizi e ho pensato che, come loro sostenevano, l’evidente rallentamento delle operazioni non fosse preoccupante, ma facesse parte del piano, che non si trattava di un’invasione tradizionale ma, appunto, di una “operazione speciale”, che il modo di condurre la guerra, rispecchiasse la situazione sul campo ed il lodevolissimo intento di non fare vittime civili. Anche se, a dire il vero, l’ultimo tentativo in loco di non fare vittime civili, aveva portato ad otto anni di bombardamenti sui medesimi, con decine di migliaia di morti.
Ascoltando queste autorevoli analisi, tenendo conto della competenza dei decisori in alto loco e della fiducia che sembravano meritare, i miei dubbi mi sono sembrati fuori luogo e, per quanto mi è riuscito, li ho accantonati come quelli di un incompetente che doveva almeno astenersi dall’essere presuntuoso. E poi, una volta in guerra, bisogna andare avanti senza mugugnare troppo, anche se si ritengono sbagliate certe decisioni, perché l’importante è uscirne senza le ossa rotte.
Adesso, però, la misura mi pare colma, si comincia a chiedere un po’ troppo alla mia capacità di sospendere il giudizio: leggo che ci sono importanti passi avanti nelle trattative col governo fantoccio (e per di più nazista) di Zelensky che potrebbero presto portare ad un accordo di pace. Questo, per quanto mi sforzi, non riesco a prenderlo seriamente. Un accordo di pace con chi? Con chi ti ha preso in giro finora con i trattati di Minsk? Con chi ha continuato a bombardare parte del suo popolo per otto anni? Con chi ha proibito l’uso della lingua nativa a milioni di cittadini? Con chi ha permesso lo strapotere di formazioni paramilitari chiaramente naziste? Con chi prima di agire chiede istruzioni a Washington? Quanto potranno essere affidabili per un accordo questi soggetti?
Gli obbiettivi dichiarati dell’operazione sono: demilitarizzazione, denazificazione e neutralizzazione dell’Ucraina; riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea; riconoscimento dell’indipendenza della repubbliche di Donetsk e Lugansk con confini uguali a quelli dei rispettivi oblast. E’ di per sé evidente che se per qualsiasi motivo non vengono conseguiti, la guerra è da considerarsi persa e tutto quanto fatto fino ad adesso, morti compresi, inutile e anzi dannoso agli interessi della Russia. Se ci si accorda perché l’esercito non è in grado di continuare, allora si tratta di una sconfitta militare, se lo si fa perché gli equilibri politici all’interno del Cremlino sono cambiati (ed il ruolo di persone come Abramovich nelle trattative fa sorgere sospetti), allora si potrebbe pensare a qualcosa di simile al tradimento.
A questo punto non me la sento più di tacere e di sospendere il giudizio, sarete certo tutti più competenti istruiti, esperenziati e titolati di me, ma a mio avviso qualunque sopravvivenza dell’attuale governo ucraino, fantoccio degli americani, significherebbe al di la di ogni plausibile negabilità, la sconfitta militare e politica della Russia in questa operazione, con enormi ricadute sul prestigio interno e internazionale e forse sulla sua stessa esistenza come superpotenza. A mio avviso, l’unica cosa che può essere trattata con Zelensky è la resa. Aggiungerei che una volta che la guerra è iniziata, anche se non fosse stato saggio iniziarla in quel momento e con quelle modalità, si può solo portarla in fondo oppure perderla, raggiungere gli obbiettivi, oppure non raggiungerli.
Scrivo sciocchezze? Può essere. In questo caso mi correggerete. D’altra parte ho premesso di essere poco competente. E sono anche il primo a sperare che i miei dubbi siano infondati, perché altrimenti si tratterebbe di un’altra sconfitta non solo per la Russia, ma per tutti coloro che si oppongono al nuovo ordine mondiale imposto dagli oligarchi a guida anglosassone. E la prova che nessuno stato può opporsi ai signori dell’economia, neppure la Russia.