venerdì 15 novembre 2024

Trump e il populismo autoritario. - Domenico Gallo

 

La mappa che esce dal voto del 5 novembre crea le condizioni perfette per attuare il Project 2025, il piano sulla concentrazione di poteri nell’esecutivo. Anzi, lo mette sin da subito in atto.

L’elezione di Trump alla Casa Bianca ci annuncia l’avvento di un modello di “populismo autoritario”, i cui contorni sono stati già descritti nel “Project 2025”, il piano scritto dai conservatori USA per rimodellare il ramo esecutivo del governo federale degli USA in caso di vittoria repubblicana alle elezioni presidenziali statunitensi del 2024. Concepito nel 2022, il Progetto mira a reclutare decine di migliaia di “patrioti” a Washington per sostituire lo “stato profondo” (gli attuali addetti ai lavori del servizio civile federale), in modo che siano fidi esecutori del prossimo presidente repubblicano. Fin dal momento dell’insediamento Trump avrebbe il potere assoluto sull’esecutivo. Il Progetto propone di tagliare i finanziamenti del Dipartimento di Giustizia, di smantellare l’FBI e il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale e di eliminare i dipartimenti gabinetti dell’Istruzione e del Commercio. Secondo il Washington Post il Progetto prevede perfino l’immediato ricorso all’Insurrection Act per dispiegare l’esercito per l’applicazione della legge nazionale e ordinare al Dipartimento di Giustizia di perseguire gli avversari. Fra i punti qualificanti del Progetto c’è la concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente: l’intero ramo esecutivo del governo USA sarebbe posto sotto il diretto controllo presidenziale, eliminando l’indipendenza del Dipartimento di Giustizia, della Federal Communications Commission, della Federal Trade Commission e di altre agenzie;

Il Progetto 2025 ha creato un database modellato su un questionario per selezionare 20.000 dipendenti in base alla loro aderenza all’agenda del Progetto, da distribuire in tutti i 4.000 posti chiave del governo e delle agenzie federali per i quali la Casa Bianca ha poteri di nomina e nei posti lasciati liberi dal previsto licenziamento di 50.000 funzionari con incarichi amministrativi di rilievo.

In armonia col Progetto, Trump ha dichiarato che licenzierebbe «i pubblici ministeri marxisti radicali che stanno distruggendo l’America», che «cancellerà totalmente il Deep State» e che nominerà «un vero procuratore speciale per perseguire il presidente più corrotto nella storia degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, e l’intera famiglia criminale Biden». Trump interpreta l’articolo 2 della Costituzione degli Stati Uniti come autorizzazione ad attribuire il potere esecutivo esclusivamente al Presidente, per cui si ritiene in diritto «di fare qualunque cosa come Presidente». Coloro che lavorano nel Dipartimento di Giustizia, dell’EPA e dell’USAID (agenzia governativa, fondata da John Kennedy, al fine di combattere la povertà globale) sono descritti come «ideologi della sinistra radicale» e «attivisti» che sono «incorporati» nei loro dipartimenti; l’uso dell’esercito servirebbe anche alla caccia agli immigrati senza documenti (anche se richiedenti asilo), da deportare in massa.

Se questo progetto venisse attuato, come Trump sembra intenzionato a fare, sarebbe sostanzialmente abrogato il principio organizzatore della democrazia: checks and balances, non ci sarebbe più alcun contro-potere capace di mantenere l’esercizio del potere politico nei binari della Costituzione. I poteri selvaggi che guidano l’economia e la politica si sbarazzerebbero definitivamente dei lacci e lacciuoli dello Stato di diritto.  

Magistrato, giudice della Corte di Cassazione. Eletto senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell’arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare del conflitto nella ex Jugoslavia.


https://www.libertaegiustizia.it/2024/11/09/trump-e-il-populismo-autoritario/

mercoledì 13 novembre 2024

Trump, il populismo e nuovi movimenti. - Tommaso Merlo


Il vento populista che ancora soffia potrebbe tornare presto anche da noi e le vecchie caste politiche e giornalistiche tremano. Pensavano che la loro vittoria restauratrice fosse definitiva e di essersi tolti per sempre dai piedi quei bifolchi populisti. Ed invece no. Stravince Trump mentre in Europa imperversa il voto di protesta e l’astensione. Anche da noi, dove le vecchie caste erano convinte che passata la sbornia populista gli elettori sarebbero tornati all’ovile ed invece non vota più nessuno e ancora meno leggono i loro giornali. Il popolo preferisce farsi gli affari propri che sostenere un sistema in cui non si riconosce e detesta. Ne ha tutto il diritto e in una democrazia sana non deve essere il popolo a cambiare, ma la politica. Una democrazia sana comprende il malcontento e cerca di rappresentarlo, non di sopprimerlo come successo da noi. In Italia il popolo ha votato cambiamento radicale e si è ritrovato la restaurazione. Ed ecco i risultati. Il fossato tra popolo e classi dirigenti ha raggiunto proporzioni spaventose. Siamo una democrazia senza popolo e quindi spenta e ammosciata. Un paese politicamente inconsistente. Senza rotta, senza idee, senza slancio. In mano a vecchie caste politiche e giornalistiche che se la cantano e se la suonano tra loro mentre procediamo a rimorchio di un’America che ci ripudia e di un Europa che non esiste. Davvero una bella vittoria per i restauratori. Con la ciliegina della guerra tornata di moda. In Italia i populisti erano i vituperati gialloverdi che al governo hanno riacceso la luce dopo decenni di buio pesto. Il problema è che quella luce si è rispenta solo un anno dopo. Un po' colpa loro, un po' degli altri, sta di fatto che oggi di quella stagione rimane poco o nulla, ma l’astensionismo di massa e la stracciante vittoria di Trump confermano che i populisti nostrani hanno tirato i remi in barca troppo presto. È mesta cronaca. Quando la verde bolla salviniana esplose, gonfiò quella grigiastra della Meloni, ma da quando i fratelli d’Italia sono al potere, di populismo se n’è visto ben poco. Tipico. In campagna elettorale leoni, nei palazzi pecoroni. Già, imperversa l’era del pensiero unico neoliberista e quindi del conformismo di natura egoistica un po' ovunque. Anche i gialli del Movimento si sono dati una calmata e da anni fanno la corte al Pd per essere accettati al camposanto della fu sinistra, per aderire cioè ad un establishment che un tempo volevano cacciare. Una inspiegabile strategia suicida ma pare che le ennesime emorragie di voti abbiano fatto sorgere qualche dubbio ai reggenti. Meglio tardi che mai. Del resto il messaggio che giunge dall’America è chiaro. I populisti devono rimettere i remi in acqua e ricominciare a remare contro un establishment e un modo di fare politica che ha fatto il suo tempo. Già, ma gialli e verdi hanno un grosso problema di credibilità dato che la loro occasione storica l’hanno sprecata. Non gli basterà togliersi le cravatte e rimettersi le magliette, non gli basterà tornare a parlare come mangiano o un nuovo logo. Perfino una totale rifondazione potrebbe non bastare. L’uomo brand Trump ce l’ha fatta a tornare in sella, ma lui non ha mai rinnegato il suo populismo e un sistema bipartitico lo ha favorito. Da noi vedremo, di certo vi sono praterie politiche immense per nuovi movimenti che dalla società civile abbiano l’ambizione populista di rimettere il popolo al centro della democrazia e concretizzare politicamente le loro nuove consapevolezze. Una battaglia sacrosanta. La politica deve rappresentare il popolo non i politicanti e i loro amichetti delle lobby. La democrazia deve esprimere in maniera genuina la volontà popolare che piaccia o meno a Lorsignori. Già, i restauratori si sono illusi e gli ex populisti si sono arresi troppo in fretta, ma i popoli non tornano mai indietro perché sono espressione della storia e quindi evolvono con essa. Lorsignori possono ostacolare il cambiamento ma non fermarlo. E il salutare vento populista che ancora soffia potrebbe presto tornare anche da noi.

Tommaso Merlo

martedì 12 novembre 2024

Taxi 1729, verso i buchi neri: elogio di Srinivasa Ramanujan. - di Anita Eusebi

“Volevo fare qualcosa di speciale per celebrare il suo anniversario”, dice Ken Ono, matematico della Emory University di Atlanta, “è davvero affascinante per me esplorare i suoi scritti e provare a immaginare come il suo cervello possa aver funzionato, è come essere un antropologo della matematica”. Il riferimento è ai suoi recenti studi nell’ambito della teoria dei numeri, svolti nell’intenzione di onorare il 125mo anniversario della nascita, il 22 dicembre scorso, di uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, al pari di Gauss o di Eulero: Srinivasa Ramanujan (1887-1920), lo straordinario autodidatta indiano “che stupì Cambridge”, solito riempire di formule quaderni e lavagne, tralasciando incurante la necessità di dimostrarle. Lui le “vedeva” le formule, non aveva bisogno di conferme. Lui famoso per aver visto nel numero 1729 del taxi con cui l’amico e matematico illustre Hardy era giunto in ospedale a trovarlo, definito da quest’ultimo “alquanto stupido”, il più piccolo numero esprimibile come somma di due cubi in due modi diversi.

Il lavoro di Ono, come lui stesso racconta nel Notices of the AMS di gennaio 2013, fornisce oggi a posteriori la dimostrazione rigorosa di una delle brillanti intuizioni di Ramanujan. Si tratta di funzioni matematiche speciali, dette mock theta functions, il cui uso è noto in letteratura per il calcolo dell’entropia dei buchi neri. E’ inconcepibile che abbia avuto un’intuizione simile, senza fare calcoli, con gli strumenti matematici dell’epoca. Eppure deve averla avuta”Così ha detto Ono in occasione della Ramanujan 125 Conference, tenutasi nel novembre scorso presso l’Università della Florida. "Abbiamo dimostrato che Ramanujan aveva ragione", conclude Ono, "abbiamo sviluppato un teorema secondo cui il metodo bizzarro usato per costruire i suoi esempi è corretto". Quale miglior modo dunque per rendergli degno omaggio? Le formule belle e incomprensibili degli ultimi suoi scritti datati 1920 sfidano e commuovono ancora oggi la comunità matematica mondiale.

https://www.scienzainrete.it/contenuto/news/taxi-1729-verso-buchi-neri-elogio-di-srinivasa-ramanujan

Arthur Rimbaud

*“Ho finito per trovare sacro il
disordine della mia mente.”*
Arthur Rimbaud - 
20 ottobre 1854 il grande poeta francese Arthur Rimbaud .

Uno dei Poeti maledetti, che cambiò la poesia e l'arte, e che voleva reinventare l'amore
Su di lui Jean Cocteau scriverà: “Arthur Rimbaud è stato l’essere più straordinario che abbia mai solcato la terra”.
René Char invece disse che Rimbaud fu “il primo poeta di una civiltà non ancora nata“ mentre Camus lo considerò “Grande ed ammirevole poeta, il massimo del suo tempo, oracolo sfolgorante”.
Ancora più esaltanti i toni che ebbero su di lui Aldo Palazzeschi e il giornalista e critico letterario Félix Fénéon.
Per il primo Rimbaud è stato “il caso più stupefacente, inquietante e insolubile nella poesia.
Arthur Rimbaud fa parte a sè, senza le naturali parentele che tutti i poeti hanno fra di loro”.
Il secondo lo definì semplicemente un poeta che è “al di fuori di ogni letteratura, e probabilmente al di sopra”.
Quella di Arthur Rimbaud è stata una voce fondamentale nell’intera storia poetica.
Dopo di lui la poesia non sarà più la stessa, perché Rimbaud è stato in grado di trasformarne radicalmente il linguaggio.
Non basterebbero centinaia di pagine per ripercorrerne l’arte e la vita di questo straordinario artista.
Arthur Rimbaud scrisse poesie dai quindici ai diciannove anni, denigrò il perbenismo del suo paese natale, scappò di casa, attaccò Stato e istituzioni, irruppe nel mondo artistico del tempo con un impeto che non si era mai visto prima, indignò la borghesia, sbeffeggiò la religione, sconfessò la morale;
instaurò una relazione scandalosa col poeta Verlaine, finì in carcere, ripudiò i canoni formali della poesia, spaccò la cultura poetica del tempo, osservò in maniera precisa la problematica esistenziale della sua epoca come non avrebbe potuto fare nessun altro poeta, fu il ribelle romantico per eccellenza, partecipò alla Comune parigina,
vagabondò per mezza Europa e teorizzò la funzione sociale del poeta veggente.....
"I dettagli, sono i dettagli a fregarci.
L'amore è un dettaglio.
Non è una questione di pienezza, di totalità, è invece una questione di gesti, di sguardi.
Se mancano, manca l'amore. Se mancano è meglio lasciar perdere."
Arthur Rimbaud
Da La musica, il cinema e la poesia. 

https://www.facebook.com/photo/?fbid=1110373957754915&set=a.470022661790051

Leggi anche: https://it.wikipedia.org/wiki/Arthur_Rimbaud#:~:text=Presa%20la%20pistola%2C%20Verlaine%20spar%C3%B2,un%20proiettile%20al%20polso%20sinistro.

Profezie di Nostradamus: previsioni per il 2025

 

Le previsioni di Nostradamus per il 2025.

Sarà l’anno più caldo di sempre? Diremo addio a papa Francesco e a Carlo III di Inghilterra? Ecco che cosa ci aspetta secondo l’astrologo provenzale.

Tra curiosi e scettici, Nostradamus cattura ancora una volta l’attenzione con le sue profezie per il 2025.

Sarà perché nei secoli la notorietà di Nostradamus – filosofo, medico, astronomo, astrologo, indovino e consigliere alla corte di Francia – è rimbalzata dalla Provenza al mondo intero e non accenna a diminuire. O perché dell’astrologo francese si dice che già nel XVI secolo abbia previsto alcuni degli eventi più importanti dei secoli a venire, tutti concentrati sui gradini più alti della scala della gravità, non intesa in senso newtoniano. O per il gusto di provare a sciogliere gli enigmi che si celano dietro le sue quartine.

Sta di fatto che ormai da sette anni anche inProvenza segue “da vicino” le previsioni di Nostradamus.

2019-2025: sette anni di guai.

Del 2019Michel de Nostredame – così Nostradamus negli antichi registri di Saint-Rémy-de-Provence, il villaggio provenzale che gli diede i natali nel 1503 – parlò come di un annus horribilis; per il 2020 le sue centurie predissero guerre, sciagure naturali e rivolgimenti politici in gran parte del pianeta; toni inquietanti e apocalittici sono quelli dei colori con cui l’indovino dipinse il 2021, e anche per il 2022 annunciò innumerevoli disastri di enorme portata. Ancora, Nostradamus indicò il 2023 come “l’inizio di una nuova era” della storia dell’umanità, foriera di sciagure ma anche di rivelazioni; e per il 2024 previde disastri climatici, cambiamenti tecnologici e conflitti tra superpotenze.

Se è difficile dire quante e quali di queste profezie abbiano effettivamente trovato riscontro nello svolgersi degli eventi (si tratta pur sempre di interpretazioni), è però certo che gli ultimi anni sono stati prodighi di grandi lezioni per l’umanità: dal punto di vista geopolitico, geoclimatico e pandemico, eventi capaci di mettere a repentaglio il futuro del genere umano si sono presentati puntuali all’appuntamento. Sarà forse per questo, o per quel diffuso senso di incertezza che ne deriva: la spinta a consultare le Profezie di Nostradamus per il 2025 resta insopprimibile.

Le profezie di Nostradamus: la natura e la mano dell’uomo.

Come per gli anni precedenti, anche per il 2025 nelle Centurie di Nostradamus convivono eventi generati dalla natura ed avvenimenti dovuti alla scelleratezza del comportamento umano, non senza connessioni tra l’una e l’altra categoria di cause.

Non ci sono forse le nostre scelte anche dietro molte delle catastrofi naturali che si stanno moltiplicando proprio negli ultimi decenni? Se in molti casi è quella che un tempo si sarebbe chiamata “natura matrigna” a provocare disastri, in più di un’occasione e in più di una delle sue pagine lo stesso Nostradamus ci richiama alle nostre responsabilità.

Le profezie di Nostradamus per il 2025: più calore e siccità che mai.

È sul fronte dei fenomeni naturali che le profezie di Nostradamus per il 2025 segnalano gli eventi più numerosi e inquietanti. A partire dal protrarsi della grave situazione climatica che ha già visto indicare il 2023 come l’anno più caldo di sempre per il nostro pianeta da parte dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (e l’estate 2024 non è ancora finita).

“La terra arida diventerà più arida, e ci saranno grandi inondazioni quando si vedrà”, scrisse Nostradamus, immaginando anche una situazione di fame diffusa a causa di ‘un’onda pestifera’. In pratica, l’anno più caldo e più secco dal 1850, cioè da quando si registra la temperatura media mondiale. Impossibile non notare un’inquietante segnale di continuità con l’attuale crisi climatica: probabile, anzi, che le sfide ambientali si intensificheranno nel 2025.

Le profezie di Nostradamus per il 2025: terremoto in Giappone.

Oltre agli eccessi estremi di calore e siccità, per il 2025 Nostradamus predice un terremoto catastrofico che dovrebbe a sua volta provocare uno tsunami di proporzioni devastanti. Il cataclisma dovrebbe verificarsi al largo delle coste del Giappone, area non nuova a fenomeni di questo tipo.

Come non ricordare, infatti, il Grande terremoto e maremoto del Giappone orientale del 2011, quando il mega sisma sottomarino dell’11 marzo, con epicentro nell’Oceano Pacifico a 72 km a est della penisola di Oshika, generò lo tsunami che mise fuori uso i generatori di emergenza dei sistemi di raffreddamento dei reattori della centrale nucleare di Fukushima?

Una previsione, quella di Nostradamus, che non può non ricordarci il carattere imprevedibile del pianeta Terra e il potenziale di future calamità.

Da notare che Nostradamus avrebbe previsto un terremoto in Giappone anche per il 2022 (“Verso la mezza siccità estrema / Nella profondità dell’Asia diranno terremoto”), destinato a provocare molti danni materiali. E in effetti il 16 marzo un terremoto di magnitudo 7.4 ha colpito il Paese, ancora una volta al largo di Fukushima.

Le profezie di Nostradamus per il 2025: forti eruzioni vulcaniche in vista

Terremoto e maremoto non sono gli unici cataclismi previsti da Nostradamus per il 2025. Nelle centurie dell’indovino francese si identificano infatti anche fenomeni vulcanici di proporzioni enormi.

In particolare, Nostradamus avverte di un’eruzione vulcanica che potrebbe essere peggiore, in temini di effetti, persino di quelle più forti del Vesuvio, avvenute rispettivamente nel 79 d.C. e nel 1631 d.C.

La prima seppellì Pompei ed Ercolano con i loro abitanti sotto 8 metri di cenere incandescente che in poco tempo le intense piogge trasformarono in una colata di fango spessa 20 m; la seconda provocò la morte di circa 18mila persone: con queste premesse, possiamo farci un’idea delle proporzioni dell’evento previsto dal veggente provenzale per il prossimo anno, e del suo potenziale distruttivo.

Oggi ci troviamo inoltre in un mondo molto più antropizzato e urbanizzato di quanto non fosse quasi due millenni fa o poco dopo la metà del millennio scorso: l’impatto e gli effetti sarebbero sconvolgenti.

Le profezie di Nostradamus per il 2025: una nuova malattia infettiva

Ancora non è del tutto chiara l’origine della pandemia di Covid-19 che dal 2019 ha sconvolto le nostre vite, ed ecco che per il 2025 Nostradamus prevede la diffusione di una nuova malattia infettiva.

Questa volta, però, il luogo di origine dell’epidemia non coinciderebbe né con un mercato né con un laboratorio. Nostradamus allude, infatti, al ritorno in circolazione di un virus mortale, vecchio di migliaia di anni, che verrebbe rilasciato nell’oceano con lo scioglimento dei ghiacciai: un fenomeno che si sta già verificando.

Ancora una volta siamo chiamati in causa noi umani: la profezia richiama in modo evidente gli effetti del fenomeno del riscaldamento globale che, a partire dall’innalzamento dei mari, rappresentano una nuova minaccia per l’umanità.

Le profezie di Nostradamus per il 2025: tempi duri per la Royal Family

Non è la prima volta, anche tra gli anni recenti, che Nostradamus predice uno sconvolgimento nella monarchia britannica. Secondo le sue Prophéties, il Regno Unito avrebbe dovuto avere un nuovo sovrano già nel 2020, con buona pace della Regina Elisabetta II. Per il 2023, poi, l’astrologo francese avrebbe messo in conto non solo la fine del regno di Her Majesty, ma anche un lungo periodo di lutto nazionale e l’ascesa al trono dell’allora principe Carlo. Sappiamo cosa e quando è successo.

E nel 2025? Un altro Il “re delle isole” sarà “cacciato con la forza” da un uomo “senza il marchio di un re”. Potrebbe trattarsi di un outsider, ma anche di qualcuno che, pur vicino alla corona, semplicemente non è nella linea di successione. Al momento, sospetti e speculazioni tendono a convergere su un membro della Royal Family non troppo gradito a Buckingham Palace.

Le profezie di Nostradamus per il 2025: morto un papa…

Anche il Vaticano è stato spesso al centro delle previsioni di Nostradamus. E secondo l’astrologo nel 2025 lo scranno pontificale vedrebbe appunto un avvicendamento. La stessa ipotesi avanzata per il 2024, ma con una differenza sostanziale: se anche l’anno in corso avrebbe dovuto vedere un nuovo pontefice prendere il posto di Papa Francesco (e chissà, forse il cambio al vertice avverrà da qui al 31 dicembre), il riferimento era a un cardinale di origine asiatica o africana.

Per il 2025, invece, a sostituire Francesco alla cattedra di San Pietro sarebbe “un successore romano”. In ogni caso, un cambiamento sostanziale per l’intera comunità cattolica mondiale.

Le profezie di Nostradamus per il 2025: l’avversario rosso.

Nelle profezie attribuite al 2025 torna in scena anche il contesto geopolitico, altra costante – seppur con diverse variazioni – delle previsioni di Nostradamus. L’indovino chiama infatti in causa un “avversario rosso” che muove guerra, provocando combattimenti e battaglie navali.

Il riferimento è criptico e potrebbe essere attribuito a diverse regioni, ma l’interpretazione della maggior parte degli studiosi del Nostro tende a leggere in questi passaggi il riferimento a una possibile invasione di Taiwan da parte della Cina.

Per Pechino il 2025 sarà l’anno del Serpente, il segno più enigmatico dell’oroscopo cinese e uno dei più venerati insieme al Drago (2024). Simboleggia la saggezza, l’astuzia e l’intuizione: tutte doti necessarie per impostare una strategia bellica vincente.

Biden, Trump e gli Usa nelle profezie di Nostradamus

Le profezie di Nostradamus non sono scritte “per anno”: che cosa dobbiamo aspettarci dopo ogni rivoluzione solare è frutto di un lungo e faticoso lavoro di lettura, esegesi e interpretazione. E nulla ci viene rivelato, parrebbe, del destino degli Stati Uniti dopo che, il 5 novembre, gli elettori americani avranno scelto il loro presidente per i successivi cinque anni.

Possiamo però ripercorrere brevemente le profezie relative agli anni passati per cogliere i segnali di quanto è accaduto oltreoceano nei tempi più recenti.

Un paio di anni fa, ad esempio, scrivevamo: “Secondo le profezie di Nostradamus, nel 2023 gli Stati Uniti potrebbero dover affrontare una guerra civile. Stando alle previsioni dell’astrologo francese, lo scoppio di una guerra civile negli Usa potrebbe verificarsi all’inizio dell’anno”. Che il riferimento fosse, con uno scostamento di un paio d’anni, all’assalto al Campidoglio del gennaio 2021?

Per di più, secondo a Nostradamus, anche a titolo personale per Joe Biden il 2023 non si sarebbe prospettato un anno facile: “Quanto al presidente degli Stati Uniti”, proseguivamo, “stando alle centurie dell’indovino francese, nel 2023 Joe Biden dovrebbe soffrire di una malattia misteriosa, oltre a subire la perdita di un membro della famiglia, provocata da un tragico incidente”. Come non ricordare che già nel 1972 Biden aveva perso l’allora moglie Neilia Hunter e la figlioletta Naomi in un incidente stradale, e nel 2015 il figlio primogenito Beau (Joseph R.) per un tumore?

Quanto a Donald Trump, il veggente Nostradamus ne avrebbe previsto la vittoria alle presidenziali del 1996, parlando di un presidente che “provocherà molta discordia”.

https://www.inprovenza.it/lifestyle/curiosita/profezie-di-nostradamus-previsioni-per-il-2025#:~:text=Oltre%20agli%20eccessi%20estremi%20di,a%20fenomeni%20di%20questo%20tipo.

lunedì 11 novembre 2024

Fahrenheit 2024: l’America rossa di Trump. - Loretta Beretta

 

Non è fantascienza. Trump vince nei podcast e in tutte le contee, cresce tra i ricchi e si proietta sui satelliti dell’amico Musk. Che partecipa ai vertici tra potenti. E non solo adesso. Per i Dem di tutto il mondo è urgente un’agenda. E una strategia per comunicarla.

La mappa per contee è più definitiva di quella degli Stati: la valanga rossa, dove per rossa s’intende trumpiana, è ancora più estesa e permeata di quanto non si sia già capito. Quanto profonda? I numeri dicono tanto, anche se bisognerà aspettare settimane per avere i dati del Census Bureau per un’accurata analisi demografica dei flussi. I numeri dicono che il muro blu non c’è stato e invece il successo di Donald Trump ha investito ogni strato sociale, ogni territorio, andando a prendersi Stati che sembravano in bilico, e non lo erano, e persino strappando consensi là dove alberga e si nutre il sentiment Dem, la città di New York. Nella Grande Mela, per esempio, Trump ha ottenuto il sostegno del 43% degli elettori sotto i 30 anni contro il 32% del 2020. E ha anche raddoppiato il suo sostegno tra gli elettori neri: dal 7% di quattro anni fa è passato al 16%. In tutto il paese la generazione Z è andata meno a votare – si stima un meno 16% – ma il 10% si è spostato su di lui. E non solo maschi. Tra le giovani donne, Harris si è distaccata da Trump di 24 punti, mentre Biden quattro anni fa era sopra di 35. 

Un esito elettorale che ha ribaltato l’istituto dei sondaggi e che ora mette in crisi anche la sociologia urbana, pervasa dal dubbio che la distinzione in metropoli-aree rurali non spieghi più lo spirito che scorre nelle vene del corpo elettorale. Ci sono tanti fattori che hanno trasformato la società in una moltitudine di pixel da saper leggere: c’è la demografia dei singoli territori, il peso delle minoranze nelle grandi città come appunto New York, c’è un successo crescente dello stile trumpiano tra i ricchi come tra i poveri. Ci sono contraddizioni per cui non si trova una necessaria spiegazione. In Missouri ha vinto Trump ma è passato il referendum sull’aborto. In California ha vinto Harris ma sono stati sconfitti una serie di referendum su temi sociali come la riduzione della maggioranza necessaria per approvare interventi di edilizia popolare; l’abolizione dell’impiego non retribuito (nel testo si parlava proprio di schiavitù)  dei detenuti; l’aumento del salario minimo. 

Alle 5 di mattina del 6 novembre, quando lo sgomento per i dati che arrivavano sempre più netti e nitidi, Francesco Memoli, ingegnere italiano che vive a Pittsburgh da 20 anni, spiegava, nella lunga diretta di Radio Popolare, che da quelle parti – «dove ci sono ancora tanti operai» – Trump era arrivato con la promessa di detassare gli straordinari, che sono una componente importante del sistema produttivo locale e su questo si è preso lo Stato più importante (il suo intervento qui al minuto 17). 

Di contro, il tema dell’aborto e quello del voto delle donne per una donna cavalcati da Harris non hanno fatto presa né sulle più giovani né sulle over 45. Tra le prime il voto per la candidata Dem è diminuito di sei punti percentuali rispetto a quattro anni fa, mentre è aumentato esattamente del 6% il consenso di Trump in quella fascia d’età; tra le più adulte invece il calo è stato solo di un punto percentuale.

Sono gli Stati Uniti un paese bigotto e misogino? Si è trattato di un errore di proposte politiche e di contenuti per Kamala Harris mentre Donald Trump li avrebbe azzeccati? 

Un’auto in Pennsylvania

La campagna di Trump è stata indirizzata agli uomini, aggressiva e nerboruta, perfino volgare come quando a un comizio in North Carolina la sua reazione a una voce che dal pubblico si era alzata per insinuare che la vicepresidente e candidata fosse una prostituta, lui ha risposto sorridendo: «Questo posto è fantastico». Come hanno potuto le donne, e ancor di più le più giovani, ignorare questo e altri fatti detti, urlati, scritti, agiti? 

Per forza c’è altro. La sfiducia, il risentimento, la rabbia. Roger Cohen ha scritto ieri sul NYT un editoriale che parte proprio da qui, da un avvertimento di Mikhail Gorbachev all’Ovest in giubilo per la fine della guerra fredda: «Stiamo facendo la cosa peggiore per voi: vi stiamo privando di un nemico». 

Non da ultimo, su questi e su altri sentimenti c’è la strategia comunicativa. Capillare, quella di Trump e dei suoi. Martellante e pervasiva, occupando ogni canale di trasmissione di informazioni vere, false, distorte o parziali. Non solo bot dell’internet. Cartacei foraggiati da gruppi di interessi di stampo conservatore, se non proprio di destra, e scritti da algoritmi, da anni vengono adagiati con cura sullo zerbino di ogni casa. Controllo della narrativa senza lasciare spazio vuoto. Non da adesso, ma da quando è comparso sulla scena politica e forse prima, senza far passare giorno senza una qualche sparata, un qualche segno, un graffio ma anche un buffetto. Lui e i suoi sostenitori, grandi influencer e piccoli uomini, e donne, uniti in un modo di fare, e forse di essere, imprevedibile e sempre sopra le righe. Si direbbe spontaneo.
Il cambio in corsa Biden-Harris lo aveva visto rallentare: per qualche settimana, Trump e il suo vice JD Vance erano fuori tempo, colpivano nel vuoto con un campionario di attacchi ormai superati e Harris appariva in vantaggio, più fresca, con un consenso crescente tra i big del partito e del jet set, sui media tradizionali. Adeguato il registro linguistico, la campagna Trump ha ripreso a sferrare i colpi sotto la cinta, usando gli stereotipi sessuali e razziali e abusando del politicamente scorretto che, come a scuola, conquista risate e spallucce. Nei discorsi di Trump l’obiettivo era attaccare Harris che invece è andata meno a testa d’ariete contro di lui e anzi lo ha nominato davvero poco. La spesa totale in spot tv, radio, digitali per i Democratici è stata di 5 miliardi di dollari, per i Repubblicani di 4,1. E lo Stato in cui si è concentrata una quota consistente è proprio la Pennsylvania: poco più di 1 miliardo di dollari in totale. Che è stata importante nel successo del Presidente, ma non da sola. Uno degli spot più diffusi in Tv da Harris provava a parlare alla classe media, promettendo interventi per abbassare i prezzi degli affitti e dei generi alimentari, ricordando la manifesta intenzione di Trump di tagliare le tasse alle imprese. La campagna del Tycoon invece ha investito la cifra maggiore per una pubblicità sui mezzi digitali in cui dice di voler eliminare le tasse sui sussidi e sulle mance della previdenza sociale.

Secondo l’analisi di AdImpact, i repubblicani hanno poi speso quasi 215 milioni di dollari in spot televisivi che diffamavano le persone transgender. Harris è stata accusata più volte di essere loro sostenitrice. 

Ma il martellamento di Trump, soprattutto negli ultimi giorni, è stato minuzioso e mirato al target di elettori che voleva coinvolgere: a luglio il profilo di Trump era stato riattivato su Twitch, piattaforma di Amazon, ossia di Jeff Bezos, proprietario del Washington Post che quest’anno per la prima volta da decenni non ha fatto l’endorsement (che naturalmente sarebbe andato a Harris): era stato bannato a seguito dei fatti di Capitol Hill, il 6 gennaio 2021 dopo la vittoria di Joe Biden. Ai tempi, la stessa decisione l’aveva presa Meta, che sempre a luglio ha consentito a Trump di ricomparire su Facebook e Instagram. Piccoli segnali di un consenso – o almeno di non ostilità – da parte dei proprietari delle principali piattaforme social, che così in qualche modo hanno rafforzato i mezzi di propagazione del verbo trumpiano. A parte X, quello chiaramente schierato con Trump per dichiarazione e azione del suo dominus, Elon Musk

Mentre i Dem diffondevano i video con la candidata che andava a bussare alle porte degli americani per invitarli al voto, Trump intanto entrava nella vita degli elettori dalle cuffiette dei videogiochi e dei podcast, anche di quelli meno famosi, più locali, purché con un significativo numero di followers. Alcuni di loro – Nelk Boys, Adin Ross, Theo Von, Bussin’ With The Boys – sono stati nominati a titolo di ringraziamento durante il discorso di vittoria di mercoledì mattina. L’ultimo dell’elenco era Joe Rogan, comico, il podcaster più famoso di tutti, una potenza di ascolti e visualizzazioni: una volta fervente democratico. Solo su Youtube, la sua intervista di fine ottobre a Trump ha totalizzato quasi 50 milioni di visualizzazioni. Con questi signori, seguiti prevalentemente da un pubblico maschile giovane, l’obiettivo era assicurato. Ore e ore di chiacchiere seduto davanti a un microfono, in un ecosistema amico e confortevole, riverberante, senza filtri, senza regole, senza limiti, pieno di cospirazionisti, dubbiosi, arrabbiati, soli. Come i manovali che, spiegava la radio pubblica NPR, alla fine di una giornata di polvere e fango, in autobus tornano a casa fuori dalle città, in mezzo al niente, con pochissimi soldi, tutto diventato insensatamente caro e si attaccano ai video giochi on line, dai quali spunta The Donald che promette l’America della leggenda, la terra feconda di opportunità e intanto scatena la guerra civile contro gli immigrati irregolari arrivando al cuore degli immigrati che intanto si sono regolarizzati e quindi votano per lui: semplicemente sbagliava, chi pensava che le battute sugli haitiani che mangiano i gatti o sui portoricani che sono pattumiera fossero troppo pure per i trumpiani. Una cacofonia in cui si perdono i sensi e il senso. 

La strategia democratica non ha potuto nulla. Ci si interroga ora se le primarie avrebbero potuto individuare un candidato migliore di Biden e di Harris. Se il passo indietro di Biden sia arrivato troppo tardi e ormai troppo male. Ci si chiede perché gli influencer di Trump abbiano portato voti, mentre lo star system schierato con Harris no.  

Fuori da un seggio elettorale il 5 novembre 2024.

Sarada Peri senior speechwriter di Barack Obama ha detto a Politico.com che «anche il modo in cui ascoltiamo e rispondiamo agli elettori è rifratto attraverso Trump […] Timorosi di alcuni elettori e sprezzanti di altri, non convinciamo quasi nessuno […] Le idee stantie su cui si è basato il partito sono state una reazione alla sua agenda». Will Stancil  avvocato per i diritti civili mette in evidenza il successo della «macchina della rabbia nazionale» trumpiana e invita i democratici, di cui fa parte, a «trovare un modo per fare progressi nei media moderni e strappare un maggiore controllo dell’ambiente informativo nazionale a Trump».
Perché è un errore, non attribuire il reale peso della pluralità di fonti virtuali di [mala]informazione. Donna Brazile, ex presidente del Democratic National Committee, colpita dall’esito di questa campagna ha suggerito come unica strada sia la convocazione del comitato esecutivo democratico e la condivisione di una «nuova strada da seguire». Ed è una strada che non può non passare anche da un aggiornamento di linguaggi e strumenti, una presenza sulla terra ma anche nelle reti virtuali che con i loro algoritmi segreti non sono neutrali e anzi campi di battaglia culturale su cui installare le strategie di futuro, una riconnnotazione dei confini del mondo e una redistribuzione dei pesi. 

E non è fantascienza, Elon Musk e il suo Starlink che vegliano su di noi – a ottobre 2020 il segretario alla difesa, Colin Kahl, si appellò al miliardario perché le forze armate ucraine stavano perdendo la connessione internet nei territori contesi dalla Russia e ora Musk ha preso parte alla telefonata tra Trump e Zelensky –  sono lì a dirlo. Forte e chiaro. 

Lorella Beretta è giornalista freelance. È responsabile della comunicazione di Libertà e Giustizia e curatrice di questa newsletter.


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Il tempio mortuario di Hatshepsut. - Giuseppe Kokos

 

Il tempio mortuario di Hatshepsut è uno dei templi più stupendi dell'antico Egitto, situato a Deir el-Bahari sulla riva occidentale del Nilo, vicino alla Valle dei Re in Alto Egitto. Commissionato dalla regina Hatshepsut, quinto faraone della XVIII dinastia e seconda faraone confermata nella storia, la sua costruzione iniziò nel 1479 a.C. e impiegò circa quindici anni per completarla.

Il regno di Hatshepsut è ricordato come uno dei periodi più prosperi e pacifici della storia dell'Egitto. Il tempio, dedicato sia al dio Amon che alla stessa Hatshepsut, presenta tre terrazze stratificate che si alzano 29,5 metri (97 piedi) e include piloni, corti, una sala ipostilo, una corte solare, una cappella e un santuario.

Lunghe rampe collegano le terrazze, che un tempo erano circondate da rigogliosi giardini con piante esotiche come incenso e mirra. Allineato con l'alba del solstizio d'inverno, il tempio incorpora un meccanismo unico per la scatola luminosa, che permette alla luce solare di viaggiare lungo l'asse centrale del tempio, illuminando prima il dio Amon-Ra, poi la figura inginocchiata di Thutmose III e infine il dio del Nilo Hapi. 

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