sabato 13 ottobre 2012

Md contro Ingroia. La storia si ripete. - Giorgio Bongiovanni


ingroia-antonio-sfum-web
Nella storia della lotta alla mafia, e in particolare nel percorso vissuto da quegli uomini che hanno fatto della lotta alla mafia più che una professione una vera e propria “missione”, si sono verificate vicende così uguali (nella modalità e nella tempistica), che non si può non dire che la storia si ripete. Il percorso di Pietro Scaglione, Gaetano Costa, Rocco Chinnici, passando per il generale dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri è stato per certi versi identico.
Queste persone avevano come denominatore comune il fatto di essere integerrimi nella lotta alla mafia, incorruttibili, dei veri leader capaci di smascherare (attraverso indagini strategiche, creando veri e propri pool) i rapporti tra la mafia e il potere. Oltre a questo comune denominatore ce n’era un altro ancora più devastante. Essere costantemente e implacabilmente attaccati e offesi dai nemici “legittimi” come i mafiosi, la stampa para mafiosa, il potere economico e soprattutto la politica di destra, di centro e anche di sinistra, nella migliore delle ipotesi “tollerante” della mafia, nella peggiore delle ipotesi “collusa” con la mafia. Ma non solo. La cosa più grave che si verificava e si verifica a tutt’oggi, a dimostrazione che la storia si ripete, riguardava  gli attacchi, gli ostacoli, i tradimenti, le offese, le invidie, le gelosie, l’odio che provenivano dagli amici, dall’interno delle istituzioni che loro stessi servivano e alle quali appartenevano.  L’ultimo, clamoroso, assurdo episodio che conferma la regola riguarda la volgare e incivile offesa che viene fatta al giudice Ingroia da Magistratura Democratica, l’istituzione tra le più importanti nella storia della magistratura fondata per tutelare non solo l’immagine, la professionalità e la preparazione dei magistrati iscritti a questa corrente, ma anche la libertà di pensiero.
Farà bene Ingroia a dimettersi da un movimento che si è trasformato da pionieristico a sinedrio, a chiesa, a setta.
Quello che ferisce maggiormente sono gli attacchi che giungono ad Antonio Ingroia dai colleghi e amici di indagini antimafia, amici con i quali Ingroia ha pianto sulle bare di Falcone e Borsellino. Perché succede tutto questo, qual è la ragione? Questi amici sono collusi con la mafia? Sono stati pagati dal potere per ostacolare Ingroia? Sicuramente no. A questi esponenti di Magistratura Democratica hanno promesso forse dei posti di potere nel prossimo governo? Sicuramente no, ma se dovessero continuare qualcuno potrebbe pensare male.
Si potrebbe anche pensare che si tratta di una strategia offensiva al contrario del tipo: io devo aiutare il mio amico che sta sbagliando, non è più umile, vuole essere protagonista e magari vuole scendere in politica quindi lo attacco per fargli capire che è nell’errore. Certi attacchi arrivano da personaggi che, dimenticando il passato, dimenticando le bare sulle quali hanno pianto, non si rendono conto che così facendo diventano complici ideali di coloro che vogliono che Antonio Ingroia appaia solo. A questi oscuri personaggi, ai killer e ai mandanti basta che Ingroia o magistrati come lui appaiono soli per poterli colpire. Ecco quindi che la storia si ripete.
Grazie a Dio all’interno di Md ci sono valorosi magistrati come Giancarlo Caselli, Vittorio Teresi, Lia Sava ed altri che al contrario difendono l’operato di magistrati come Ingroia.
Da giornalista che conosce a fondo la storia della mafia e dell’antimafia consiglierei ai vertici di Magistratura Democratica di battersi il petto e dire “mea maxima culpa”. Con umiltà e altrettanta fermezza consiglierei loro (al di là di eventuali legittimi disaccordi con Ingroia)  di apparire e dimostrare al nemico che si è uniti senza lasciare da solo l’amico, il collega e il fratello con il rischio che quest’ultimo venga colpito dal nemico. Mi rammarico tanto che alcuni di quei magistrati che hanno pianto sulle bare dei loro amici non abbiano tratto una lezione dal passato.
Oggi il giudice Ingroia viene accusato di voler scendere in politica, ma visto che salvo rarissime eccezioni (di singoli esponenti politici) è stato attaccato praticamente da tutti con quale partito potrebbe presentarsi?! Quale sarebbe quindi il grande partito politico che secondo i sondaggi appoggerebbe Antonio Ingroia?!
Di fatto tra le accuse a lui rivolte vi è quella che riguarda la sua partecipazione a convegni legati a partiti politici.   Ritengo che non solo faccia bene ad andarci, ma sottolineo come sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino abbiano partecipato a diversi incontri organizzati da partiti politici di destra (MSI) e di sinistra (PCI). A tal proposito basta riprendere  gli estremi delle date e dei luoghi che attestano la loro partecipazione a questi incontri (così come mi accingo a fare in un prossimo editoriale).
Secondo il mio pensiero Ingroia lascerebbe la toga solo nel caso in cui scoprisse che ormai la magistratura è arrivata al punto massimo delle indagini nella ricerca della verità sulle stragi di Stato; in quel caso quindi opterebbe per continuare quella ricerca attraverso la politica. Magistrati come Ingroia sono a tutti gli effetti servitori dello Stato-stato, sono gli stessi  che hanno promesso sulle bare degli eroi e dei padri della nostra Patria di trovare la verità dall’interno di qualunque istituzione facessero parte.
Ma di queste “eresie” evidentemente è meglio non farne menzione e lasciare piuttosto spazio a pericolose e strumentali polemiche tanto utili ai poteri criminali del nostro Paese.
Sono sempre più convinto che Magistratura Democratica perseveri nell’errore, così come si legge nella Bibbia “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.  Non scorderò mai che nel 1988 Md, con il dissenso di Giancarlo Caselli (che votò a favore di Giovanni Falcone), ma sostenuta da quello che Paolo Borsellino definì un “Giuda”, bocciò Falcone come consigliere istruttore caricandosi una parte di responsabilità con la sua morte.
Il settarismo è il baratro delle religioni, ma dovremmo ricordarci che è altrettanto letale anche nei movimenti laici.

Dalla Sharp arrivano i pannelli solari trasparenti per balconi e finestre.- Enrica Bartolotta

pannelli solari sharp trasparenti per balconi e finestre

Il 1 di ottobre Sharp Japan ha presentato il suo nuovo pannello solare: un manufatto in vetro laminato nero e celle fotovoltaiche, disegnato apposta per singoli appartamenti da installare come parapetto per i balconi ma che essendo trasparente potrebbe anche essere applicato a finestre ad esempio nei grattacieli.
Essendo semitrasparente (Sharp See Thru) e poco più sottile di un centimetro, il pannello è perfetto per essere applicato sui balconi e ringhiere dei condomini. Oltre a consentire all’appartamento la dovuta privacy, è un perfetto schermo contro i raggi solari che vengono così immagazzinati ed usati come riserva di energia.

Purtroppo, i prodotti più efficienti attualmente in commercio hanno un coefficiente di conversione che arriva fino al 20% che, nel caso dei pannelli Sharp non arriva al 7%.
Una potenza energetica che rientra nell’ordine di un massimo di 95 Watt a pannello: un risultato per ora ancora non all’altezza rispetto a quelli raggiungibili oggi.
Bisogna però dire che sono davvero pochi i pannelli solari così sottili, in commercio, e questo di Sharp risponde ad un sempre crescente bisogno dei consumatori di voler essere green ma senza dimenticare raffinatezza e stile.
Inoltre per il momento, Sharp Japan non si è ancora pronunciata riguardo ad un’eventuale piano di vendita, perciò tutto può ancora succedere.
Incrociamo le dita! Per un vivere più sostenibile che sia anche elegante ed utile.
Guardate le immagini disponibili ad oggi dei Pannelli Sharp See Thru:
Pannelli Solari Sharp Trasparenti
Pannelli Solari Sharp Trasparenti

Ddl anticorruzione, Severino: “Deve essere attuato, ce lo chiedono Ue e cittadini”.


Ddl anticorruzione, Severino: “Deve essere attuato, ce lo chiedono Ue e cittadini”


"Sulla fiducia non è stata presa alcuna decisione. Sarà importante vedere gli emendamenti, poi si deciderà. Ma il disegno di legge deve essere attuato”. Così il ministro della Giustizia che ha aggiunto: "Non ce lo chiede solo l’Europa e il mondo economico, ma anche le persone oneste".


La legge anticorruzione va fatta. Lo chiedono l’Europa e i cittadini. Ne è convinta il ministro della Giustizia Paola Severino che, giungendo a Napoli a un convegno della Federazione dei cavalieri del lavoro, ha detto: ”Sulla fiducia non è stata presa alcuna decisione. Sarà importante vedere gli emendamenti, poi si deciderà. Ma il ddl deve essere attuato”. 
Perché l’approvazione del ddl anticorruzione è una richiesta non solo dell’Ue, dell’economia e delle imprese, ma “dei cittadini perbene“. “Non ce lo chiede solo l’Europa, gli organismi internazionali, l’economia ed il mondo delle imprese – ha detto Guardasigilli – ce lo chiedono i cittadini perbene, i giovani, le persone che si sono mobilitate in iniziative, le più diverse, ma che in comune hanno la forza di chi non intende rinunciare a uno scatto di orgoglio del nostro Paese. L’approvazione del ddl – ha concluso la Severino – è un obiettivo che non possiamo mancare”.

La Padanie ed i padani.



Dove le trovano? Nei fiumi?

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10151203250193874&set=a.285072333873.144325.136742868873&type=1&theater

venerdì 12 ottobre 2012

Allarme del Giurista Rodotà: Può un Parlamento di non eletti mettere mani in modo così incisivo sulla Costituzione?



UNA FASE COSTITUENTE PIU’ DEMOCRATICA. - Stefano Rodotà



Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza, senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità di guardare oltre l’emergenza. È stato modificato l’articolo 81 della Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio. Un decreto legge dell’agosto dell’anno scorso e uno del gennaio di quest’anno hanno messo tra parentesi l’articolo 41. E ora il Senato discute una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo, ruolo del Presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona “manutenzione” della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all’emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia.
In tutto questo non è arbitrario cogliere un altro segno della incapacità delle forze politiche di intrattenere un giusto rapporto con i cittadini che, negli ultimi tempi, sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione e non possono essere messi di fronte a fatti compiuti. Proprio perché s’invocano condivisione e coesione, non si può poi procedere come se la revisione costituzionale fosse affare di pochi, da chiudere negli spazi ristretti d’una commissione del Senato, senza che i partiti presenti in Parlamento promuovano essi stessi quella indispensabile discussione pubblica che, finora, è mancata.
Con una battuta tutt’altro che banale si è detto che la riforma dell’articolo 81 ha dichiarato l’incostituzionalità di Keynes. L’orrore del debito è stato tradotto in una disciplina che irrigidisce la Costituzione, riduce oltre ogni ragionevolezza i margini di manovra dei governi, impone politiche economiche restrittive, i cui rischi sono stati segnalati, tra gli altri da cinque premi Nobel in un documento inviato a Obama. Soprattutto, mette seriamente in dubbio la possibilità di politiche sociali, che pure trovano un riferimento obbligato nei principi costituzionali.
La Costituzione contro se stessa? Per mettere qualche riparo ad una situazione tanto pregiudicata, uno studioso attento alle dinamiche costituzionali, Gianni Ferrara, non ha proposto rivolte di piazza, ma l’uso accorto degli strumenti della democrazia. Nel momento in cui votavano definitivamente la legge sul pareggio di bilancio, ai parlamentari era stato chiesto di non farlo con la maggioranza dei due terzi, lasciando così ai cittadini la possibilità di esprimere la loro opinione con un referendum. Il saggio invito non è stato raccolto, anzi si è fatta una indecente strizzata d’occhio invitando a considerare le molte eccezioni che consentiranno di sfuggire al vincolo del pareggio, così mostrando in quale modo siano considerate oggi le norme costituzionali.
Privati della possibilità di usare il referendum, i cittadini — questa è la proposta — dovrebbero raccogliere le firme per una legge d’iniziativa popolare che preveda l’obbligo di introdurre nei bilanci di previsione di Stato, regioni, province e comuni una norma che destini una quota significativa della spesa proprio alla garanzia dei diritti sociali, dal lavoro all’istruzione, alla salute, com’è già previsto da qualche altra costituzione. Non è una via facile ma, percorrendola, le lingue tagliate dei cittadini potrebbero almeno ritrovare la parola.
L’altro fatto compiuto riguarda la riforma costituzionale strisciante dell’articolo 41. Nei due decreti citati, il principio costituzionale diviene solo quello dell’iniziativa economica privata, ricostruito unicamente intorno alla concorrenza, degradando a meri limiti quelli che, invece, sono principi davvero fondativi, che in quell’articolo si chiamano sicurezza, libertà, dignità umana. Un rovesciamento inammissibile, che sovverte la logica costituzionale, incide direttamente su principi e diritti fondamentali, sì che sorprende che in Parlamento nessuno si sia preoccupato di chiedere che dai decreti scomparissero norme così pericolose. È con questi spiriti che si vuol giungere a un intervento assai drastico, come quello in discussione al Senato. Ne conosciamo i punti essenziali. Riduzione del numero dei parlamentari, modifiche riguardanti l’età per il voto e per l’elezione al Senato, correttivi al bicameralismo per quanto riguarda l’approvazione delle leggi, rafforzamento del Presidente del Consiglio, poteri del governo nel procedimento legislativo, introduzione della sfiducia costruttiva. Un “pacchetto” che desta molte preoccupazioni politiche e tecniche e che, proprio per questa ragione, esigerebbe discussione aperta e tempi adeguati. Su questo punto sono tornati a richiamare l’attenzione studiosi autorevoli come Valerio Onida, presidente dell’Associazione dei costituzionalisti, e Gaetano Azzariti, e un documento di Libertà e Giustizia, che hanno pure sollevato alcune ineludibili questioni generali.
Può un Parlamento non di eletti, ma di “nominati” in base a una legge di cui tutti a parole dicono di volersi liberare per la distorsione introdotta nel nostro sistema istituzionale, mettere le mani in modo così incisivo sulla Costituzione?
Può l’obiettivo di arrivare alle elezioni con una prova di efficienza essere affidato a una operazione frettolosa e ambigua? Può essere riproposta la linea seguita per la modifica dell’articolo 81, arrivando a una votazione con la maggioranza dei due terzi che escluderebbe la possibilità di un intervento dei cittadini? Quest’ultima non è una pretesa abusiva o eccessiva. Non dimentichiamo che la Costituzione è stata salvata dal voto di sedici milioni di cittadini che, con il referendum del 2006, dissero “no” alla riforma berlusconiana. A questi interrogativi non si può sfuggire, anche perché mettono in evidenza il rischio grandissimo di appiattire una modifica costituzionale, che sempre dovrebbe frequentare la dimensione del futuro, su esigenze e convenienze del brevissimo periodo.
Le riforme costituzionali devono unire e non dividere, esigono legittimazione forte di chi le fa e consenso diffuso dei cittadini. Considerando più da vicino il testo in discussione al Senato, si nota subito che esso muove da premesse assai contestabili, come la debolezza del Presidente del Consiglio. Elude la questione vera del bicameralismo, concentrandosi su farraginose procedure di distinzione e condivisione dei poteri delle Camere, invece di differenziare il ruolo del Senato. Propone un intreccio tra sfiducia costruttiva e potere del Presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere che, da una parte, attribuisce a quest’ultimo un improprio strumento di pressione e, dall’altra, ridimensiona il ruolo del Presidente della Repubblica. Aumenta oltre il giusto il potere del governo nel procedimento legislativo, ignorando del tutto l’ormai ineludibile rafforzamento delle leggi d’iniziativa popolare. Trascura la questione capitale dell’equilibrio tra i poteri.
Tutte questioni di cui bisogna discutere, e che nei contributi degli studiosi prima ricordati trovano ulteriori approfondimenti. Ricordando, però, anche un altro problema. Si continua a dire che le riforme attuate o in corso non toccano la prima parte della Costituzione, quella dei principi. Non è vero. Con la modifica dell’articolo 81, con la “rilettura” dell’articolo 41, con l’indebolimento della garanzia della legge derivante dal ridimensionamento del ruolo del Parlamento, sono proprio quei principi ad essere abbandonati o messi in discussione.

Lombardia, Rosi Mauro: esistono già accordi Pdl-Lega per elezioni.

Lombardia, Rosi Mauro: esistono già accordi Pdl-Lega per elezioni


La senatrice ex dirigente leghista: Maroni non ha mai avuto intenzione di mollare Formigoni.


Milano, 12 ott. (TMNews) - "Maroni non ha mai avuto alcuna intenzione di mollare Formigoni". Lo ha detto, in un'intervista a Radio Popolare, l'ex dirigente leghista e leader del sindacato padano Rosi Mauro, secondo cui "ci sono già accordi tra il Pdl e la Lega per le prossime elezioni, sia a livello nazionale, sia per quanto riguarda le regioni del nord". "La nuova Lega Nord che doveva nascere all'insegna di una grande pulizia, è invece nata sulla sporcizia e rimane ancorata a quella sporcizia", ha detto Rosy Mauro, oggi senatrice del Gruppo Misto, commentando la decisione di Roberto Maroni di non abbandonare la giunta regionale lombarda. Rosi Mauro ha proseguito: "Roberto Maroni più volte si è presentato davanti ai militanti con una ramazza, usata come simbolo della sua volontà di fare pulizia dentro e fuori il partito. E'stata usata per finta, per gettare fumo negli occhi, per mantenere lo sporco dentro e fuori il partito". L'ex braccio destro di Umberto Bossi ha commentato anche la possibile posizione del fondatore della Lega rispetto alle scelte fatte in Lombardia: "Non so se Bossi direbbe apertamente di non condividere quello che sta facendo ora Maroni con la Regione Lombardia". Nell'intervista, Rosi Mauro ha poi detto: "Di quella sera, della sera delle dimissioni di Bossi non dimenticherò mai le immagini e le parole di Roberto Maroni. Le prime, lui con la ramazza in mano, e le seconde, quando prometteva di non volere più fare accordi con Silvio Berlusconi. Purtroppo, io di pulizie in casa Lega non ne ho viste. Io non mi sono piegata a un uomo che non ho mai considerato un capo - ha rincarato Mauro - perché come gli ho detto apertamente in faccia, Roberto Maroni sarà un eterno secondo e non sarà mai in grado di guidare una Lega come era quel partito quando era la vera Lega". 

http://notizie.virgilio.it/generated/topten/2012/10_ottobre/12/lombardia-rosi-mauro-esistono-gia-accordi-pdl-lega-per-elezioni.html

Trattativa, i pm depositano memoria difensiva: “Immunità è solo per il re”.


Trattativa, i pm depositano memoria difensiva: “Immunità è solo per il re”


La procura di Palermo deposita la costituzione in giudizio di fronte alla Consulta per il conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica. Dagli atti emerge che le telefonate - quattro in tutto su 9295 telefonate di Mancino captate - non sono mai state trascritte nei brogliacci della polizia giudiziaria. "L'immunità assoluta contraddice i principi democratico-costituzionali".

Se immune da ogni responsabilità il Capo dello Stato diventa un sovrano. E’ questa la tesi sostenuta dalla procura di Palermo nel costituzione in giudizio presentata questa mattina di fronte ai giudici della Consulta nel conflitto di attribuzione sollevato dal Capo dello Stato. “Un’immunità assoluta” – si legge nel testo – può essere ipotizzata per il Capo dello Stato “solo se, contraddicendo i principi dello Stato democratico-costituzionale, gli si riconoscesse una totale irreponsabilità giuridica anche per i reati extrafunzionali”. E una tale “irresponsabilità finirebbe per coincidere con la qualifica di ‘inviolabile’ che caratterizza il Sovrano nelle monarchie ancorché limitate”. 
Come effetto, scrivono i magistrati di Palermo, una “vistosa serie di gravi conseguenze” potrebbe derivare da una “eventuale decisione di accoglimento” del ricorso del Quirinale. “Ci si deve chiedere – prosegue il testo – se una garanzia dell’immunità presidenziale – si legge nel documento firmato dai professori Pace, Serges e Serio – così irrazionalmente dilatata al di là dei limiti segnati per le intercettazioni legittime” da altre sentenze della Corte (n.390/2007; n.113 e n.114 del 2010) “non finisca per costituire una violazione dell’obbligatorietà dell’azione penale” (articolo 112 Costituzione) e “ciò per motivi privi di fondamento in Costituzione ed anzi contrari alla giurisprudenza di codesta Corte e tutt’affatto irrazionali”. 
Intanto, sempre leggendo la memoria della procura di Palermo – un documento di 32 pagine - si scopre che sono quattro le telefonate intercettate tra Nicola Mancino e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Quattro su un totale di 9.295 conversazioni captate sulle utenze dell’ex ministro dell’Interno. 
E’ stata la stessa Corte Costituzionale, nell’ordinanza con cui ha ammesso il ricorso di Napolitano, a richiedere alla Procura di Palermo quante siano state le conversazioni di Napolitano indirettamente captate e in che date sono avvenute. Gli atti depositati dalla Procura di Palermo riferiscono che le telefonate effettuate da Mancino sono state registrate in un arco di tempo che complessivamente va dal 7 novembre 2011 al 9 maggio 2012: sei le utenze messe sotto controllo. Le quattro telefonate al Capo dello Stato, indirettamente intercettate, sono state effettuate da Mancino nelle seguenti date: il 24 dicembre 2011 alle ore 9.40 (durata 3 minuti): il 31 dicembre 2011 alle ore 8.48 (durata 6 minuti); il 13 gennaio 2012 alle ore 12.52 (durata 4 minuti); il 6 febbraio 2012 alle ore 11.12 (durata 5 minuti).
Scrivono i pm nella costituzione in giudizio che “l’intercettazione della conversazione del Presidente della Repubblica che sia occasionale, del tutto involontaria, non evitabile e non prevenibile, non può per la ragione di tali caratteristiche, integrare in sè alcuna lesione di prerogative previdenziali quali che sia il contenuto della conversazione”.
Aggiungono inoltre i magistrati che Il verbale della polizia giudiziaria relativo alle intercettazioni indirette del Capo dello Stato è stato redatto “senza l’indicazione del contenuto della conversazione”. Era stata la stessa Corte Costituzionale a chiedere il verbale, il cosiddetto “brogliaccio”, delle intercettazioni. Si legge nella memoria che non è stato effettuato, “anche su disposizione della Procura della Repubblica di Palermo, alcuna trascrizione delle conversazioni tra il sen. Mancino e il Presidente della Repubblica le cui registrazioni sono tuttora custodite dalla Procura della Repubblica nell’ambito del procedimento 11609/08 nel quale sono state disposte ed eseguite. Deve quindi essere sottolineato – si legge ancora negli atti depositati oggi in Corte Costituzionale – che le conversazioni con il Presidente della Repubblica non hanno mai formato oggetto di deposito che determinasse la possibilità della conoscenza ad opera di qualsivoglia parte processuale”.