martedì 16 ottobre 2018

Trovata la traccia dell'animale più antico mai scoperto.

Una moderna sougna della specie Rhabdastrella globostellata, che produce le stesse sostanze trovate in rocce molto antiche (fonte: Paco Cárdenas) © Ansa
Una moderna spugna della specie Rhabdastrella globostellata, che produce le stesse sostanze trovate in rocce molto antiche (fonte: Paco Cárdenas)

Era una spugna vissuta più di 600 milioni di anni fa.


Trovata la traccia dell'animale più antico mai scoperto: era simile alle spugne ed è vissuto tra 660 e 635 milioni di anni fa, almeno 100 milioni di anni prima della famosa esplosione del Cambriano, durante la quale comparvero rapidamente la maggior parte degli animali complessi. La traccia, scoperta da ricercatori dell'Università della California a Riverside guidati da Alex Zumberge, non è fossile ma molecolare: si tratta di particolari composti prodotti esclusivamente dalle spugne e ritrovati in antichissime rocce in Oman, Siberia e India. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution.
Invece di cercare fossili convenzionali i ricercatori hanno puntato a tracce molecolari di vita animale, chiamate biomarcatori. "I fossili molecolari sono molto importanti per lo studio degli animali più antichi", spiega Zumberge. "Infatti le prime spugne erano probabilmente molto piccole, non avevano uno scheletro e quindi non hanno potuto lasciare un fossile ben conservato o facilmente riconoscibile".
Il biomarcatore identificato, chiamato 26-metilstigmastano, possiede una struttura unica e viene prodotto soltanto da alcune specie di spugne moderne. "La firma molecolare che abbiamo trovato costituisce la prima prova che le spugne, e quindi gli animali multicellulari, prosperavano negli antichi mari già 635 milioni di anni fa", conclude Zumberge. Lo studio inoltre fornisce importanti nuove informazioni sulle spugne attuali, capaci di produrre molecole uniche e distintive che possono essere utilizzate come testimonianze del passato.
Fonte: ansa del 16/10/2018


Bari, queste carrozze mai usate sono costate 22 mln, sono da rottamare.


(FOTO LUCA TURI)

Mai utilizzate dalle Sud Est, sono al centro di uno scandalo e il reato sta per prescriversi.

Il giudice Laura Calzolaro aveva fissato fino a fine anno un calendario di udienze fitto, che avrebbe potuto portare in tempi ragionevoli almeno a una sentenza di primo grado. Ma non aveva fatto i conti con la crisi della giustizia barese, tutt’ora senza casa. E così anche il processo per i treni d’oro di Ferrovie Sud-Est si avvia mestamente sul binario che porta alla prescrizione. Con una ulteriore beffa: le 25 carrozze acquistate nel 2006 per 22,5 milioni di euro, che non potranno più essere utilizzate, presto o tardi dovranno essere avviate alla demolizione.
Lo scandalo da cui è nato tutto il caso delle Sud-Est, partito da un articolo della «Gazzetta», si chiuderà dunque senza colpevoli. L’udienza teoricamente prevista oggi non si terrà, 
né sono state eseguite nuove notifiche per stabilire la data di rinvio. 

Le accuse di truffa allo Stato si prescriveranno nel corso del 2019, dunque ormai non si fa più in tempo a completare l’istruttoria che necessità dell’ascolto di buona parte dei testimoni di accusa e di quelli di difesa. Esclusa la competenza della Corte dei conti (lo hanno stabilito le Sezioni unite della Cassazione) resta soltanto il Tribunale delle imprese di Bari, dove è in corso l’azione di responsabilità che Sud-Est ha intentato a carico dell’ex amministratore Luigi Fiorillo. Ma, anche qui, si tratta di risarcimenti teorici perché il patrimonio dell’avvocato tarantino è stato completamente sequestrato.
Parliamo delle 25 carrozze acquistate da Sud-Est di seconda mano dalle ferrovie tedesche, con oltre un milione di km l’una sulle spalle, per 37.500 euro l’una, poi rivendute all’intermediaria Varsa di Varsavia per 280mila ciascuna, quindi ristrutturate in Croazia e infine rivendute a Sud-Est a circa 900mila euro l’una. Totale, appunto, 22,5 milioni di euro. Peccato che in base a una perizia chiesta dalla Procura di Bari (e contestatissima da parte delle difese) il loro valore di mercato è pari a circa la metà: con 900mila euro si acquista infatti materiale nuovo, di ultima generazione. Nei numerosi passaggi di mano - è l’ipotesi di accusa - il valore delle carrozze si è progressivamente incrementato: nell’affare sono intervenute fiduciarie sparse in mezza Europa, ma le indagini non hanno mai approfondito questo aspetto se non per evidenziare alcune curiose coincidenze.
Che fine hanno fatto quelle carrozze? Sono abbandonate sui binari delle stazioni Sud-Est, ormai in condizioni disastrose: alcune (come mostrano le foto in alto) sono state chiuse con tavole di legno per evitare che possano diventare rifugio per i disperati della notte. Il punto è che non potranno mai circolare (solo dieci sono state effettivamente utilizzate, le altre non hanno mai percorso nemmeno un chilometro), perché - come confermano alla «Gazzetta» fonti ministeriali - anche ammesso che possano essere rimesse in sesto, non sarebbe possibile ottenere l’autorizzazione all’esercizio da parte dell’Ansf. Potrebbero al limite essere vendute in qualche Paese extraeuropeo dove non sono in vigore le normative di sicurezza Ue, ma che esista un acquirente interessato è tutto da dimostrare. Il destino inevitabile è dunque la demolizione: non nel primo lotto di 60 rotabili che l’azienda del gruppo Fs si avvia a distruggere nelle prossime settimane, ma con ogni probabilità quando gli accertamenti giudiziali saranno definitivamente conclusi.
Nelle aule del Tribunale di Bari si sta infatti discutendo della richiesta da 260 milioni che Sud-Est (con gli avvocati dello studio Grimaldi) ha avanzato nei confronti di Fiorillo per il buco in bilancio creato nei suoi ultimi dieci anni di gestione della società. Nell’elenco degli atti ci sono anche una serie di decreti ingiuntivi che riguardano, a vario titolo, le carrozze d’oro. Nella prima udienza del 12 settembre, davanti al giudice Magaletti, le parti hanno depositato una serie di memorie e si sono costituiti i componenti del collegio sindacale che Fiorillo ha chiamato come presunti corresponsabili delle spese a lui contestate. L’udienza è stata aggiornata al 27 marzo, ed è ipotizzabile che non si arrivi a sentenza prima di altri due anni.


Fonte: lagazzettadelmezzogiorno del 16/10/2018

Legge bilancio 2019: ecco cosa prevede la manovra del governo.

Risultati immagini per governo italiano attuale

Pensioni, reddito di cittadinanza, flat tax. Ma anche sterilizzazione degli aumenti dell’Iva e pace fiscale. Ecco le principali misure della manovra da 37 miliardi del governo gialloverde (qui il comunicato del Consiglio dei ministri il documento trasmesso alla Commissione europea).
Niente clausole Iva per 12,5 miliardi.
Il primo impegno del contratto di governo è la sterilizzazione degli aumenti che scattano il 1° gennaio 2019 (dal 10 all’11,5% per l'aliquota più bassa, dal 22 al 24% per quella più alta).
Pensioni a quota 100.
Il superamento della legge Fornero è una misura che entrambe le forze di governo inseguono e rivendicano. L'obiettivo è di garantire la possibilità di andare in pensione a chi tra età e contributi arriva a 'quota 100', probabilmente partendo dalla combinazione 62-38. Il costo è di 7 miliardi di euro e il meccanismo dovrebbe partire a febbraio.  Saranno quattro l’anno le finestre per andare in pensione, come scrive l’agenzia Radiocor.
PER SAPERNE DI PIÙ / Pensioni, quota 100 favorirà il riscatto della laurea.
Reddito di cittadinanza e Centri per l’impiego.
Per la bandiera del M5S servono 9 miliardi (di cui 2,6 da attingere dalle risorse già stanziate per il Rei) a cui aggiungere un ulteriore miliardo destinato al rafforzamento dei centri per l'impiego. L'attivazione vera e propria della misura dovrebbe scattare in primavera. L'assegno da 780 euro, secondo quanto annunciato finora, verrà caricato sul bancomat, con una sorta di monitoraggio degli acquisti. Il sostegno sarebbe garantito solo a patto di frequentare corsi di formazione e di prestare 8 ore a settimana di lavoro socialmente utile. Il reddito verrebbe meno dopo il rifiuto di tre offerte di lavoro, ma con una specifica “geografica”, con l'obiettivo di non penalizzare cioè chi non accetterà come prima offerta un'occupazione al di fuori della propria città o Regione.
PER SAPERNE DI PIÙ / Reddito di cittadinanza e offerte di lavoro, spunta la regionalizzazione.
Pace fiscale al 20% con tetto di 100mila euro.
L'accordo raggiunto dopo un lungo braccio di ferro sul decreto fiscale collegato alla legge di bilancio stabilisce un'aliquota al 20% per sanare il pregresso di chi ha già presentato la dichiarazione dei redditi. Sarà prevista l'opzione di dichiarazione integrativa ma con la possibilità di far emergere fino a un massimo del 30% in più rispetto alle somme già dichiarate e comunque con un tetto di 100.000 euro. Per ridurre il contenzioso, si potranno inoltre sanare le liti con il fisco pagando senza sanzioni o interessi il 20% del non dichiarato in 5 anni in caso di vittoria del contribuente in secondo grado (o il 50% in caso di vittoria in primo grado). Allo stesso tempo, con la rottamazione ter delle cartelle Equitalia saranno cancellati sanzioni e interessi, dilazionando i pagamenti in 5 anni e arriverà lo stralcio delle minicartelle sotto mille euro accumulate dal 2000 al 2010.
PER SAPERNE DI PIÙ / Condono fiscale con aliquota al 20%: come funziona la sanatoria.
Dalle pensioni d’oro 1 miliardi in 3 anni.
Il taglio delle pensioni sopra i 4.500 euro netti al mese nella parte di assegno non coperta dai contributi pagati porterà nelle casse dello Stato un miliardo di euro nell'arco di un triennio. La precisazione temporale è arrivata dopo gli annunci di Luigi Di Maio.
PER SAPERNE DI PIÙ / Pensioni d'oro, il difficile traguardo di 1 miliardo di tagli.
Forfait per gli autonomi.
Il forfait esiste già ed è al 15% per i professionisti con ricavi fino a 30mila euro e per le altre categorie con ricavi fino a 50mila euro. L'obiettivo è estendere la platea ad autonomi, Snc, Sas e Srl che optano per il regime di trasparenza con ricavi fino a 65.000 euro. Dai 65.000 ai 100.000 euro si pagherebbe un 5% addizionale. Le start up e le attività avviate dagli under35 godrebbero di un supersconto al 5%. Il costo è di circa 600 milioni il primo anno e di 1,7 miliardi a regime.
PER SAPERNE DI PIÙ / «Flat tax», come funziona per professionisti, artigiani e commercianti.
Sgravi Ires, su utili reinvestiti taglio al 15%.
L'aliquota al 24% scenderebbe di 9 punti sugli investimenti in ricerca e sviluppo, in macchinari e in assunzioni stabili. Il costo sarebbe di 1,5 miliardi di euro. Dovrebbero essere anche confermati gli ammortamenti di Industria 4.0.
Addio a sconti Ace e Iri.
Per finanziare le agevolazioni fiscali alle imprese saranno abolite l'Ace, l'Aiuto alla crescita economica, e la mai nata imposta ridotta Iri, destinata al mondo delle Pmi e attesa dal primo gennaio 2019. Il recupero finanziario è di circa tre miliardi.
7 miliardi di tagli, anche sull’immigrazione.
Per legge i ministeri devono già operare tagli per un miliardo di euro l'anno. Lo sforzo richiesto potrebbe essere però ben superiore, pari a 3-4 miliardi. Promesso un taglio di 1,3 miliardi in tre anni spesi per l'immigrazione, di cui 500 milioni nel 2019.
Dagli investimenti la spinta al Pil.
Il capitolo investimenti è quello più gradito al ministro dell'Economia, Giovanni Tria. E' previsto che valga lo 0,2 del Pil, pari a 3,5 miliardi. Oltre alle risorse finanziarie si punta a sbloccare gli investimenti a livello locale con uno sblocco dei bilanci dei Comuni (anche quelli in perdita) e con una revisione della soglia per gli appalti senza gara.
Decreto taglia leggi e norme su Rc-auto.
La novità è l'arrivo di un secondo decreto che scorpora dal Dl fiscale norme altrimenti non omogenee. Il Dl - chiamato “taglia scartoffie e leggi inutili” - cancella oltre 100 adempimenti per le imprese e ingloba misure per garantire una Rc auto “più equa”. Sancisce inoltre l'incompatibilità tra ruolo di governatore regionale e commissario alla sanità e blocca i pignoramenti della casa per chi ha crediti verso la Pa e per bloccare i medici che aumentano la lista di attesa per l'intramoenia.
Proroga ecobonus, efficienza energetica al 50%.
L'ecobonus per le ristrutturazioni al 50% è prorogato al 31 dicembre 2018 così come quello per l'efficienza energetica ma al 50% anziché al 65 per cento. Estese al 2019 le deduzioni per acquisti di elettrodomestici e apparecchiature ad elevata classe energetica e lo sgravio al 36% per i giardini. Lo prevede il Documento programmatico di Bilancio. I target da privatizzazione sono fissati in 640 milioni nel 2019 e 600 milioni nel 2020.
Da dismissioni immobiliari 600 milioni in 2018.
Secondo quanto indicato nel Dpb che contiene sia le misure del decreto fiscale che della legge di Bilancio nel 2018 sono attesi 600 milioni da dismissioni immobiliari, di cui 50 milioni da patrimonio dello Stato, 380 milioni da beni degli Enti locali e 170 milioni dagli enti previdenziali.
Fonte: ilsole24ore del 15/10/2018

sabato 13 ottobre 2018

F-35, l’intera flotta a terra. Storia dell’aereo più costoso del mondo. - Gianni Dragoni

(ANSA)

È la parola proibita. Nessun politico o militare italiano parla volentieri dell'F-35, il cacciabombardiere americano di ultima generazione che rappresenta il più costoso programma aeronautico della storia, e la cui flotta è stata lasciata a terra per ispezioni dei condotti del carburante dopo che un velivolo è precipitato due settimane fa nella Carolina del Sud.
L’aereo è prodotto da un consorzio guidato da Lockheed Martin in alleanza con l'industria britannica Bae Systems, che alla fine degli anni Novanta del secolo scorso si aggiudicarono la gara del Pentagono, battendo la Boeing. Anche l'Italia ha aderito a questo programma, fin dal 1998, sia partecipando al finanziamento della fase di sviluppo, per avere un ritorno industriale e lavoro per le proprie industrie, soprattutto il gruppo Finmeccanica-Leonardo, sia acquistando questi aerei per sostituire velivoli più vecchi, Tornado, Amx e Av-8 B.
Il sì di vari governi: Prodi, D'Alema, Berlusconi.
In origine chiamato Jsf (Joint strike fighter, il caccia interforze degli Stati Uniti), l'F-35 è diventato l'emblema di velivolo da combattimento molto costoso e con problemi di sviluppo e di efficacia, forse troppo costoso. Lo stesso Pentagono ha rivolto critiche severe in alcune fasi della produzione, si è parlato del rischio di esplosione dell'aereo se colpito da un fulmine e di difetti ad altri congegni tecnologici, come il casco del pilota. A livello politico l'Italia ha aderito al programma nel 1998, quando al governo c'era Romano Prodi e il ministro della Difesa era Beniamino Andreatta. Ci sono stati accordi firmati dai governi e approvazioni del programma nelle commissioni parlamentari.
A favore del programma F-35 si sono pronunciati, in vari tempi, il governo Prodi, poi il primo D'Alema insediatosi nell'ottobre 1998, poi il secondo governo Berlusconi nel 2002, di nuovo Prodi nel 2007, quindi il quarto governo Berlusconi nel 2009.
Quando Andreatta disse: «L'F-35 costa metà dell'Eurofighter».
«L'ultimo caccia americano costa la metà dell'Eurofighter ed è migliore sotto il profilo tecnologico, perché può muoversi con un sistema di collegamenti via satellite, senza scoprirsi», disse il ministro della Difesa Andreatta il 9 luglio 1998, all'assemblea dell'Aiad. Andreatta si schierò a favore del Jsf-F-35 davanti ai rappresentanti delle industrie nazionali della difesa, più favorevoli all'Eurofighter, il caccia europeo prodotto dalle industrie di quattro nazioni (Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia) che, nelle previsioni, avrebbe dovuto dare più lavoro alle fabbriche italiane rispetto a un aereo americano. Gli americani promettevano costi unitari medi per velivolo più bassi in base all'assunto di arrivare a produrre e a vendere tra i 2.500 e i 3.000 aerei, non solo in casa loro ma in tutto il mondo. L'Efa in origine partiva da una stima di ordini domestici, cioè dei quattro paesi costruttori, di 620 aerei. È chiaro che più sono i velivoli prodotti e più si possono realizzare economia di scala spalmando sull'intera produzione i costi “non ricorrenti” di progettazione, sviluppo e ingegneria.
Per saperne di più: Il caccia F-35 stupisce tutti al salone di Parigi-Le Bourget
Il via nel dicembre 1998.
Il primo via libera in Parlamento c'è stato nel dicembre 1998, poche settimane dopo il giuramento di Massimo D'Alema come presidente del Consiglio. Le commissioni Difesa della Camera (9 dicembre) e del Senato (15 dicembre) hanno dato parere favorevole all'adesione dell'Italia come “partner informato” alla prima fase, detta “Cdp”, con un contributo di 10 milioni di dollari. Un piccolo impegno finanziario, ma già un importante impegno politico, come hanno dimostrato i fatti successivi. Con il secondo governo Berlusconi, nel giugno 2002, confermato il parere positivo delle due commissioni Difesa, l'Italia ha aderito alla fase successiva, detta “Sdd”, impegnandosi con un miliardo e 28 milioni di dollari (circa un miliardo e 190 milioni di euro dell'epoca).
L'impegno iniziale per 131 aerei.
Il 7 febbraio 2007, sotto il governo Prodi, l'Italia ha firmato il Memorandum d'intesa (MoU) relativo all'ulteriore fase di sviluppo del velivolo, detta “Pfsd”, con un impegno finanziario di 904 milioni di dollari (circa 695 milioni in euro). Quel memorandum conteneva un impegno indicativo di acquisto di 131 F-35. Quell'”impegno” originario, di carattere politico ma non ancora un vero contratto, prevedeva una stima di spesa intorno ai 15 miliardi di euro spalmata in molti anni per 131 supercaccia. Una stima, ma la cifra è ballerina anche perché programmi industriali così lunghi e complessi dal punto di vista tecnologico possono provocare facilmente un aumento dei costi (mai si è verificata una diminuzione rispetto ai preventivi, come mostra anche il caso dell'Eurofighter).
Per la fabbrica di Cameri 800 milioni.
L'8 aprile 2009 c'è stato un nuovo passaggio politico. Sotto il quarto governo Berlusconi, le commissioni Difesa di Camera e Senato hanno espresso parere favorevole sul programma del governo per proseguire la partecipazione al programma F-35. Il programma prevedeva anche la costruzione in Italia, all'aeroporto militare di Cameri (Novara), di una fabbrica per la produzione di ali e per l'assemblaggio finale e verifica del caccia americano, non solo per i velivoli destinati all'Italia ma anche in Europa e altri paesi. La fabbrica è costata circa 800 milioni di euro, soldi spesi direttamente dallo Stato. La fabbrica è affidata in gestione all'ex Alenia Aeronautica, ora divisione velivoli di Leonardo-Finmeccanica.
Il taglio a 90 aerei fatto dal governo Monti.
La vita dell'F-35 è proseguita tra polemiche crescenti per i costi, finché durante il governo Monti l'Italia ha tagliato l'impegno d'acquisto da 131 a 90 velivoli. La decisione fu presa nel febbraio 2012, il ministro della Difesa era Giampaolo Di Paola, ex capo di Stato maggiore della Difesa. Secondo alcune stime con quel taglio l'Italia avrebbe risparmiato 4 miliardi di euro sul totale (rispetto a 15-16 miliardi di partenza) e la spesa avrebbe dovuto ridursi a circa 13 miliardi. Ma non c'è mai stato un calcolo ufficiale della spesa. Nella scorsa legislatura il 24 settembre 2014 la Camera ha approvato una mozione presentata dal deputato Pd Gian Piero Scanu che prevedeva il “dimezzamento” della spesa iniziale prevista per gli F-35. Ma questo impegno (le mozioni peraltro non sono vincolanti per il governo) non è mai stato tradotto in cifre, cioè in riduzione del numero di velivoli né in una definizione precisa della spesa complessiva da sostenere. L'allora ministra della Difesa, Roberta Pinotti del Pd, è stata contestata perché il successivo Def non ha tenuto conto dell'impegno espresso da quella mozione. In un'intervista Pinotti ha detto, senza sbilanciarsi a favore del taglio dei velivoli: «Gli F3-5 sono stati una scelta dell'Italia che risale addirittura al '98 con Andreatta».
La ministra Trenta: «Non compreremo altri F-35».
Arriviamo al governo attuale. Il 6 luglio scorso la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, ha detto a Omnibus, su La7: «Sicuramente non compreremo nessun altro F-35. Stiamo analizzando se mantenere o tagliare i contratti in essere. Intorno ai caccia si crea un indotto tecnologico, di ricerca e occupazionale». Per questo, sostiene la ministra «potremmo scoprire che tagliare costa di più che mantenere». Pertanto «bisogna analizzare bene le implicazioni». La ministra di area M5S non ha chiarito però se ci sarà il taglio e di quanti aerei sarà. Su Facebook Trenta quel giorno ha aggiunto: «Siamo sempre stati critici del programma, nessuno lo nasconde, proprio per questo non compreremo nuovi caccia. Stiamo portando avanti un'attenta valutazione che tenga esclusivamente conto dell'interesse nazionale».
In aprile (con Gentiloni) l'Italia ha comprato altri otto F-35. 
Intanto gli acquisti dell'F-35 fatti dallo Stato italiano sono proseguiti, a lotti, in silenzio e senza piena trasparenza. L'Osservatorio Milex sulle spese militari ha rivelato, senza essere smentito, che il 25 aprile (c'era ancora il governo Gentiloni) è stato firmato il contratto per un nuova tranche di otto aerei destinati all'Italia. Questo porta l'impegno totale già assunti dall'Italia a 26 cacciabombardieri, di cui dieci già consegnati (nove all'aeronautica e uno alla Marina).
L'ipotesi di un taglio di 15 velivoli.
Secondo indiscrezioni raccolte dal Sole 24 Ore, l'ulteriore taglio ipotizzato in queste ultime settimane, ma sono solo voci, potrebbe toccare 15 aerei a decollo verticale per l'Aeronautica, sui 75 totali previsti per quest'arma, mentre non verrebbero toccati i 15 aerei destinati alla Marina militare. Lockheed ha detto che ci sono più di 320 F-35 operativi in tutto il mondo in 15 basi, in prevalenza alle forze militari degli Stati Uniti.
Quanto ha speso l'Italia?
Non è mai stato fatto un calcolo ufficiale di quanto abbia speso l'Italia per gli F-35, tra investimento per lo sviluppo e acquisti. Si può stimare che siano stati spesi almeno 4 miliardi di euro. Qualche anno fa Lockheed aveva diffuso stime di un impatto sull'Italia con la creazione di almeno 10mila posti di lavoro. Una stima rivelatasi ampiamente esagerata.
Fonte: ilsole24ore del 11/10/2018

Vitalizi d’oro, la Puglia spende 15 milioni di euro per l’esercito dei 212. In 16 raddoppiano.



BARI – “Deve essere molto chiaro il meccanismo: o le Regioni aboliscono i vitalizi o noi non gli trasferiamo più la quota parte dei soldi pubblici con cui pagano i vitalizi”. L’annuncio  è del vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio. Per la Puglia potrebbe significare avere dallo Stato, 15 milioni e 400mila euro in meno all’anno.
Perché tanto costano i vitalizi dei consiglieri regionali, comprensivi degli assegni di reversibilità alle vedove e i figli non lavoratori che non hanno superato il ventiseiesimo anno di età.
Un esercito di 212 beneficiari che è destinato a crescere visto che una ventina di ex consiglieri o di consiglieri in carica attendono fuori la porta il momento in cui, maturato il diritto, possono battere cassa. Ma c’è chi il vitalizio lo percepisce da una vita. Se consideriamo che la prima legislatura della Regione Puglia è terminata nel 1975, si potrà comprendere quanto sia datato il vitalizio di chi lo percepisce dal 1980. E ne sono diversi, tra gli ex eletti e le vedove che, per una legislatura fatta dal proprio consorte, beneficiano del 65% del vitalizio, da 35 anni. Ne è l’esempio – perché il più datato – la moglie del più volte ministro e primo vicepresidente della giunta regionale pugliese, Michele di Giesi: le spettano 2900 euro dal 1983.
Ma l’elenco è lungo: vedove e figli sono 55, poi ci sono i 157 eletti con vitalizi che vanno da un minimo di 2200 euro – per meno di 5 anni di lavoro effettivo – ad un massimo di 10mila per chi ha superato le 3 legislature.
Ma naturalmente nel mare magnum degli ex ci sono casi particolari: come Patrizio Mazza, eletto per 3 anni, ha versato 66mila euro di tasca propria per agganciare i cinque anni minimi di contributi e assicurarsi un vitalizio da 4mila euro. Stesso ragionamento per Maria Campese assessore della giunta Vendola che però non fu eletta dal popolo ma chiamata in qualità di esterna. Tanto è bastato per aggiudicarsi un bel vitalizio. La ex sindaca di Taranto, Rosanna di Bello incassa mensilmente 3862 euro. Così anche Enrico Balducci che dovrà sostenere il suo stesso partito, la Lega di cui è coordinatore provinciale, quando dovrà sforbiciarsi la pensione d’oro da 8mila euro mensili.
E se loro vi sembrano privilegiati, cosa saranno allora i fortunati che, avendo ricoperto la carica di consigliere regionale e di parlamentare, cumulano il doppio vitalizio? E’ il caso di 16 ex di via Capruzzi: Ida Dentamaro, Salvatore Mazzaracchio, Pietro Mita, il presidente di Regione di Campi Nicola Quarta, il vicepresidente Domenico Romano, Nicola Fusillo, Cosimo Damiano Di Giuseppe, Graziano Ciocia, Franco Borgia, Giuseppe Semeraro, Angelo Antonio Rossi, Francesco Piccolo, Pino Sgobio, Vincenzo Sorice e i più recenti Alba Sasso e Nichi Vendola. Arrivano a superare i 10mila euro al mese.
Senza contare, naturalmente, chi ha nella vita una professione che prevede una pensione tradizionale. Beh, anche quella entrerà nel cumulo totale. E chi è stato europarlamentare? Con un anno di mandato, 63 di età e senza versare contributi, portano a casa il vitalizio e un’indennità transitoria.
Fonte: TeleramaNews  del 12/10/2018

Stephen Hawking, ecco la sua ultima pubblicazione sui buchi neri. - Marta Russo

(Foto: Dave J Hogan/Getty Images)
(Foto: Dave J Hogan/Getty Images)

Il suo ultimo lavoro Black Hole Entropy e Soft Hair è stato completato nei giorni precedenti alla morte di Hawking, avvenuta lo scorso marzo. E ora i fisici delle università di Cambridge e Harvard lo hanno pubblicato online.


A distanza di mesi dalla morte di Stephen Hawking, avvenuta precisamente il 14 marzo scorso, l’astrofisico più famoso dei nostri tempi continua a far parlare di sé. Infatti, i fisici delle università di Cambridge e Harvard che hanno collaborato con lui a uno dei temi centrali della vita e della carriera dell’astrofisico, hanno appena diffuso online sul server pre-print ArXiv l’ultimo documento scientifico del fisico britannico, con il nome Black Hole Entropy and Soft Hair.
Lo studio, completato da Hawking nei giorni precedenti la morte, affronta quello che i fisici teorici chiamano black hole information paradox, traducibile in italiano come il paradosso dell’informazione del buco nero. Questo concetto risulta dalla combinazione della meccanica quantistica e la relatività generale: in parole semplici implica che l’informazione fisica potrebbe sparire in un buco nero. Argomento, tuttavia, molto controverso in quanto infrange le regole comunemente accettate della fisica quantistica, secondo cui la perdita assoluta di informazioni non potrebbe essere possibile.
Le origini del paradosso possono essere ricondotte ad Albert Einstein, che nella sua teoria della relatività generale, aveva fatto previsioni importanti anche sui buchi neri, in particolare sul fatto che un buco nero potesse essere completamente definito solo da tre caratteristiche: massa, carica e rotazione. Quasi 60 anni dopo, Hawking ne aggiunse un’altra: la temperatura. E poiché gli oggetti con alte temperature perdono calore nello Spazio, anche il destino di un buco nero è quello di evaporare e scomparire.
Fonte:  wired del 12/10/2018

giovedì 11 ottobre 2018

Stefano Cucchi, il carabiniere Francesco Tedesco confessa il pestaggio. - Ilaria Sacchettoni

Stefano Cucchi, il carabiniere Francesco Tedesco confessa il pestaggio


Colpo di scena al nuovo processo istituito per la morte di Stefano Cucchi. Uno degli imputati, il carabiniere Francesco Tedesco, ha confessato di aver pestato il trentenne morto giorni dopo l’arresto all’ospedale Pertini. Non solo ma ha anche chiamato in causa i suoi colleghi dell’Arma Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a processo per omicidio preterintenzionale. E’la prima ammissione di responsabilità al processo bis per la morte di Cucchi. In aula i genitori di Stefano hanno ascoltato la rivelazione con una espressione composta.

Sparita la relazione dell’Arma sul pestaggio.
Come se non bastasse dagli archivi dell’Arma è sparita la prima relazione, che attestava il pestaggio subito dal giovane, arrestato per spaccio di droga, alla periferia di Roma, il 15 ottobre 2009 e morto in ospedale una settimana dopo.

Pestato perché non collaborava.
Nel nuovo processo per Stefano Cucchi a giudizio, per omicidio preterintenzionale, sono finiti i tre carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco che, quella notte, mentre erano in corso gli accertamenti che accompagnano sempre il fermo di un indiziato, lo sottoposero, secondo l’accusa, a un violento pestaggio. Il motivo? Cucchi si sarebbe rifiutato di collaborare sia alle perquisizioni che al fotosegnalamento. E per questo, secondo quanto scrive il pm Giovanni Musarò, il giovane fu colpito «con schiaffi, pugni e calci, fra l’altro provocandone una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale». Ma a processo, per decisione della gup Cinzia Parasporo, sono finiti anche i loro colleghi Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini, accusati (come pure lo stesso Tedesco) di aver testimoniato il falso durante il primo processo calunniando gli agenti della polizia penitenziaria benché innocenti e di aver mentito sulle circostanze del fotosegnalamento. Mandolini, in particolare, per il pm, aveva tentato di accreditare l’idea che il ragazzo non fosse stato sottoposto a fotosegnalamento su sua richiesta mentre la procedura fu elusa perché ritenuta rischiosa: le foto avrebbero testimoniato i segni delle percosse.

Fonte: Corriere della sera del 11/10/2018