giovedì 11 ottobre 2018

Stefano Cucchi, il carabiniere Francesco Tedesco confessa il pestaggio. - Ilaria Sacchettoni

Stefano Cucchi, il carabiniere Francesco Tedesco confessa il pestaggio


Colpo di scena al nuovo processo istituito per la morte di Stefano Cucchi. Uno degli imputati, il carabiniere Francesco Tedesco, ha confessato di aver pestato il trentenne morto giorni dopo l’arresto all’ospedale Pertini. Non solo ma ha anche chiamato in causa i suoi colleghi dell’Arma Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a processo per omicidio preterintenzionale. E’la prima ammissione di responsabilità al processo bis per la morte di Cucchi. In aula i genitori di Stefano hanno ascoltato la rivelazione con una espressione composta.

Sparita la relazione dell’Arma sul pestaggio.
Come se non bastasse dagli archivi dell’Arma è sparita la prima relazione, che attestava il pestaggio subito dal giovane, arrestato per spaccio di droga, alla periferia di Roma, il 15 ottobre 2009 e morto in ospedale una settimana dopo.

Pestato perché non collaborava.
Nel nuovo processo per Stefano Cucchi a giudizio, per omicidio preterintenzionale, sono finiti i tre carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco che, quella notte, mentre erano in corso gli accertamenti che accompagnano sempre il fermo di un indiziato, lo sottoposero, secondo l’accusa, a un violento pestaggio. Il motivo? Cucchi si sarebbe rifiutato di collaborare sia alle perquisizioni che al fotosegnalamento. E per questo, secondo quanto scrive il pm Giovanni Musarò, il giovane fu colpito «con schiaffi, pugni e calci, fra l’altro provocandone una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale». Ma a processo, per decisione della gup Cinzia Parasporo, sono finiti anche i loro colleghi Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini, accusati (come pure lo stesso Tedesco) di aver testimoniato il falso durante il primo processo calunniando gli agenti della polizia penitenziaria benché innocenti e di aver mentito sulle circostanze del fotosegnalamento. Mandolini, in particolare, per il pm, aveva tentato di accreditare l’idea che il ragazzo non fosse stato sottoposto a fotosegnalamento su sua richiesta mentre la procedura fu elusa perché ritenuta rischiosa: le foto avrebbero testimoniato i segni delle percosse.

Fonte: Corriere della sera del 11/10/2018

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