mercoledì 11 settembre 2019

DioUniverso, creatore.

L'immagine può contenere: una o più persone e cibo

Dunque, tirando le somme, Dio crea l'uomo col fango e la donna con la costola dell'uomo (e qui già casca l'asino: se ha fatto l'uomo col fango, perchè non utilizzare la stessa procedura e lo stesso materiale per creare la donna?), li dota di organi genitali riproduttivi, ma impedisce loro di utilizzarli e, quando lo fanno, li punisce cacciandoli dall'Eden.

Ora, io posso anche credere in qualcosa, - nell'Universo, ad esempio, inteso come Dio e mio creatore -, posso anche riverire e rispettare il mio DioUniverso creatore, ma non potrò mai credere alle fesserie che ha diffuso la chiesa... perchè mi rifiuto di credere che Dio abbia confidato a qualcuno un suo controsenso.
Anche perchè se Adamo ed Eva non avessero commesso il cosiddetto peccato originale la terra non si sarebbe mai popolata (e sai che noia vivere sempre con lo stesso uomo, la stessa donna, da soli, per l'eternità....), contrariamente a ciò che Dio avrebbe desiderato avendo dotato le sue creature di organi riproduttivi.


by cetta.

La Corte dei Conti stronca le concessioni autostradali. - Carlo Di Foggia

La Corte dei Conti stronca le concessioni autostradali

L’indagine svela i favori ai signori del casello elargiti in 20 anni: profitti stellari, norme capestro, proroghe infinite e investimenti in calo. “Riequilibrare i rapporti”
Anche la Corte dei conti boccia le concessioni autostradali. La revisione “sostanziale” dei contratti evocata dal premier Giuseppe Conte nel suo discorso ha ora una base di partenza. A chiederla, infatti, sono i magistrati contabili. Dopo una lunga istruttoria, avviata a inizio 2018, il giudice Antonio Mezzera ha consegnato il rapporto sull’intero settore, visionato dal Fatto, alla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato – a cui partecipano Palazzo Chigi, ministero delle Infrastrutture e dell’Economia – che dovrà approvarlo il 24 settembre prossimo.
Il documento, 156 pagine, è un duro atto di accusa, che poggia anche sulle critiche pesanti – e inascoltate – delle autorità indipendenti (Concorrenza, Contratti pubblici, Anac, Banca d’Italia) e ripercorre 20 anni di regali, zero trasparenza, mancata apertura alla concorrenza, assenza di gare, proroghe ripetute, scarsi controlli, extra-profitti stellari a fronte di investimenti calanti e clausole capestro in barba alle leggi.
Emblematico è il caso di Autostrade per l’Italia, oggi dei Benetton, il colosso più esposto alle critiche che gestisce 3mila dei 6mila chilometri di rete (in totale i gestori sono 22). Con la privatizzazione del 1997 fu firmata la nuova convenzione con l’Anas con una proroga di 20 anni (al 2038), giustificata con il fatto che si trattava di un’azienda statale. La Corte dei conti non validò la proroga, visto che “avrebbe alterato le condizioni di equilibrio determinate dai piani finanziari, risolvendosi in un beneficio ingiustificato”. Contro si pronunciò anche l’Antitrust. Tutto inutile e la proroga divenne la prassi per tutte le altre concessioni. Risultato? Nel 2003 i Benetton prendono il controllo e già due anni dopo gli investimenti effettuati erano inferiori di 2 miliardi rispetto ai 4,1 previsti dai piani finanziari 1997-2005. Soldi non accantonati ma “usati per finanza speculativa”, spiegò il ministero delle Infrastrutture in Senato nel giugno 2006. Dal 2004 si decise che le proroghe servivano perfino a sanare i contenziosi pregressi. Secondo il rapporto, la Corte dei conti ha “dichiarato illegittimo” l’affidamento del 1997. L’effetto, però, è stato nullo. La più grande convenzione è rimasta col vecchio impianto, senza “tante prescrizioni di garanzia e salvaguardia del bene pubblico”.
Nel 2008 il neonato governo Berlusconi blindò le concessioni per legge pur essendo contratti privati, per superare le critiche degli organi tecnici di controllo e con il Parlamento all’oscuro dei documenti per poter valutare. Quella di Autostrade, per dire, era stata bocciata dal Nucleo per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (Nars) anche perché conteneva una clausola mostruosa che garantisce ai Benetton un indennizzo gigante anche in caso di revoca per colpa grave, come “crolli e disfacimenti”, quello che è poi successo col ponte Morandi. Una norma illegittima secondo il rapporto, perché vietata dal codice civile. Insomma, la concessione si può revocare senza penali miliardarie.
Le critiche riguardano tutti gli ambiti, a partire dalla prassi con cui i concessionari affidano tutti i lavori in house, in barba alla legge (quella del 2017, peraltro, è molto blanda) e alle direttive Ue. In 20 anni si è messo in piedi un sistema “irrazionale”, con proroghe continue, ritardi nel mettere a gara le concessioni e modelli tariffari oscuri e penalizzanti che hanno generato incrementi “senza riscontro nei costi”, sempre più alti dell’inflazione, anche grazie a “una sistematica sottovalutazione dei volumi di traffico”, e remunerato capitali mai investiti a rendimenti stellari a fronte della “costante diminuzione degli investimenti”. Dal 1993 i ricavi dei concessionari sono raddoppiati, da 2,5 a 6 miliardi, di cui un quarto finiscono in profitti. Critiche forti anche per l’assenza di personale adeguato al ministero per effettuare i controlli, assai carenti.
Tirate le somme, la Corte dei conti raccomanda di cambiare passo e soprattutto “una rapida introduzione del nuovo sistema tariffario elaborato dall’autorità dei Trasporti per riequilibrare i rapporti a vantaggio dello Stato”, visto che remunera solo il capitale davvero investito e riduce le tariffe. I signori del casello sono già sul piede di guerra.

martedì 10 settembre 2019

Salario minimo: cos’è, come funziona e perché fa paura alle imprese. - Barbara Massaro (Panorama)



Sostenere le fasce più basse di reddito introducendo l’obbligo del cosiddetto salario minimo, ovvero quella retribuzione oraria base che i datori di lavoro dovrebbero garantire per legge in busta paga.

La proposta targata M5S pende come una spada di Damocle sulla testa delle imprese già dalla passata legislatura e il premier-bis Conte ne ha parlato anche nel suo discorso programmatico alla Camera dei Deputati quando ha annunciato l’ipotesi di una legge sulle relazioni sindacali e una “applicazione erga omnes dei contratti collettivi”.

Cos’è il salario minimo.
Con il concetto di salario minimo si fa riferimento alla più bassa retribuzione o paga oraria, giornaliera o mensile, che un datore di lavoro deve corrispondere ai propri dipendenti.

L’ex Ministro del Lavoro Di Maio qualche mese fa aveva proposto di fissare la quota parte minima in busta paga a 9 euro, e nel testo si parlava di “una definizione certa, uguale per tutti i rapporti di lavoro subordinato, e cogente del trattamento economico che integra la previsione costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso l’obbligo che non sia inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali più rappresentative”.

I paradossi del salario minimo.
Quindi in sostanza sarebbe un provvedimento che andrebbe a riguardare coloro che sono vincolati da contratto nazionale di lavoro, solo che già oggi – come ricordava qualche tempo fa la Cgia di Mestre – “Nei principali contratti nazionali di lavoro dell’artigianato, che presentano i livelli retributivi tra i più bassi fra tutti i settori economici presenti nel Paese, le soglie minime orarie lorde complessive sono comunque superiori alla proposta di legge del Movimento 5 Stelle”.

Inoltre alla paga base ogni impresa aggiunge le indennità – il cosiddetto salario differito – e cioè le festività, gli straordinari, la maternità e tutto il resto. Introdurre per legge il cosiddetto salario minimo costerebbe alle pmi imprese almeno 1,5 miliardi l’anno e a subire maggiormente l’aggravio sarebbero proprio le imprese piccole e piccolissime, il settore dell’artigianato e le partite Iva, ovvero quelle aree del mercato del lavoro dove oggi come oggi è ancora possibile trovare impiego.

Un disastro per le imprese.
Se quindi imprese che ora fanno i salti mortali per mantenere i dipendenti dovessero vedersi imposta per legge la paga base oraria questo potrebbe determinare un aumento del numero di licenziamenti e una proporzionale crescita del lavoro in nero.

Questo perché se i 9 euro sono la paga più bassa nei settori più umili in maniera proporzionale dovrebbe crescere il salario minimo anche ai livelli più alti e se così non fosse si assisterebbe al paradosso di lavoratori di livello inferiore pagati di più di colleghi più anziani o con mansioni di maggiore responsabilità.

A livello internazionale, inoltre, la filosofia stessa alla base del salario minimo è stata bocciata da autorevoli organi quali l’Ocse, Confartigianato e Confindustria che ne sottolineano limiti e paradossi.

Coloro cui la paga oraria minima non arriva a 9 euro sono circa 4 milioni di lavoratori ovvero il 21,1% del totale e in tutto per le imprese l’aggravio sui conti si aggirerebbe intorno ai 6,7 miliardi di euro, una bella zappa sui piedi per quelle aziende che vorrebbero creare lavoro.

https://infosannio.wordpress.com/2019/09/10/salario-minimo-cose-come-funziona-e-perche-fa-paura-alle-imprese/
Mi piacerebbe chiedere a chi ha scritto l'articolo se gradirebbe che i suoi articoli le venissero pagati senza un riferimento a documenti che indichino quale dovrebbe essere la giusta remunerazione del suo lavoro. Questa eterna differenziazione di trattamento tra lavoro manuale e lavoro intellettuale è inaccettabile.c.

La maschera di pietra. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 10 Settembre.

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Il volto pietrificato di Luigi Di Maio, accanto a Giuseppe Conte, la dice lunga su quello che Padellaro chiama il Governo dei Malavoglia. Non ce la fa proprio a sorridere, il capo 5Stelle, nemmeno dopo gli inviti di Grillo. Parliamo di un giovane di 33 anni che ha bruciato tutte le tappe: deputato e vicepresidente della Camera a 27 anni, leader del primo partito a 31, vicepremier e bi-ministro del Lavoro e Sviluppo a 32, ora ministro degli Esteri. Costretto a imparare in fretta mestieri diversi e delicati, deriso come “bibitaro” mai laureato dagli stessi che ora s’indignano (giustamente) per gli attacchi alla Bellanova, ex bracciante con la terza media. Al suo posto, molti sorriderebbero a 32 denti: nessun ragazzo del Sud con quei trascorsi ha mai fatto tanta strada. Perché non sorride? Un anno fa poteva essere premier con una stretta di mano o una telefonata a B.. Invece rifiutò. E Salvini, per conto terzi, gli impose un premier terzo. Così Giggino e Grillo scelsero Conte: un bel jolly, col senno di poi. Un mese fa, dopo l’harakiri salviniano, Di Maio s’è visto offrire Palazzo Chigi sia dal Pd sia da Salvini: il Pd preferiva un leader azzoppato dalle Europee e dal naufragio giallo-verde al più popolare e ingombrante Conte; e il Cazzaro, sfumato il voto, era pronto a tutto pur di liberarsi di Conte e restare al potere.

Di Maio ha respinto entrambe le sirene e si è giocato l’ultima occasione del salto più alto: per non perdere Conte; per ricompattare il M5S, passato dal lutto del 26 maggio al nuovo entusiasmo del Grillo ritrovato; e per non diventare il parafulmine delle tensioni fra e nei partiti della nuova maggioranza. Ma l’anno scorso aveva costruito il Contratto con la Lega sul rapporto personale con Salvini, dopo 7 anni di comune opposizione ai governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni (tutti col Pd dentro e la Lega fuori). Perciò è rimasto bruciato dal tradimento dell’8 agosto. Ora un’analoga sintonia con qualcuno del Pd è impossibile: capi e capetti parlano lingue giurassiche; non si sa bene chi comandi; e il programma giallo-rosa è nato troppo vago e frettoloso, tant’è che andrebbe precisato meglio dopo il giro di boa della legge di Bilancio. Non è detto che la partenza fredda e guardinga sia di malaugurio per il Conte-2, visto l’esito degli entusiasmi che accompagnarono il Conte-1. Ma la maschera di Di Maio riassume il vero enigma del nuovo governo: riusciranno i nostri eroi a mescolare e contaminare le proprie diversità, assorbendo le poche virtù dei rispettivi alleati per migliorarsi? Ci accontenteremmo che non si facessero contagiare dai vizi altrui. Fra due litiganti, c’è sempre un terzo che gode. E sappiamo chi è.

Ok del Senato alla fiducia.

Ok del Senato alla fiducia
Foto Adnkronos



Il governo Conte bis ha ottenuto la fiducia. I voti favorevoli sono stati 169, contrari 133 e astenuti 5. Presenti 308, votanti 307.

Tesoro nascosto sulla Luna: scienziati ipotizzano vasti depositi di metalli preziosi in profondità. - Andrea Centini

Credit: Andrea Centini
in foto: Credit: Andrea Centini

Un team di ricerca internazionale composto da scienziati canadesi e americani ha ipotizzato la presenza di vasti depositi di metalli preziosi nel cuore della Luna. Secondo gli studiosi non ci sarebbero evidenze di questo “tesoro” nelle rocce lunari poiché i metalli sarebbero rimasti legati al solfuro di ferro nelle profondità del satellite.

Sotto la superficie della Luna potrebbe celarsi un ricchissimo deposito di metalli preziosi, un vero e proprio tesoro dal quale potremmo attingere nelle future missioni sul suolo lunare. A ipotizzare la presenza dei metalli preziosi è stato un team di ricerca internazionale guidato da uno scienziato dell'Università di Dalhousie, Canada, che ha collaborato con i colleghi del Laboratorio geofisico presso la Carnegie Institution for Science di Washington (Stati Uniti) e del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università Carleton.

Gli scienziati, coordinati dal professor James M. Brenan, docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra e dell'Ambiente presso l'ateneo di Halifax, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto alcuni esperimenti che hanno messo a confronto i depositi minerali lunari con quelli terrestri. La ricerca è risultata utile anche per suffragare la teoria più accreditata sulla formazione della Luna, ovvero il cosiddetto “impatto gigante” tra la Terra primordiale e un corpo celeste estraneo, grande circa come Marte e chiamato Theia. Dallo scontro tra i due oggetti, avvenuto 4,5 miliardi di anni fa, sarebbe originata la Luna, motivo per cui la composizione geologica del satellite della Terra risulta molto simile a quella del pianeta. Nonostante ciò, studi del 2006 condotti sulle rocce vulcaniche lunari hanno evidenziato concentrazioni bassissime di metalli preziosi, un dato in contrasto con quello delle rocce terrestri. Che cosa potrebbe essere successo?

Per spiegare questa anomalia, Brenan e colleghi hanno condotto esperimenti per confrontare depositi minerali terrestri e lunari, facendo emergere una elevata concentrazione di solfuro di ferro nel “cuore” della Luna. Secondo gli studiosi i metalli preziosi come il palladio e il platino sarebbero sì presenti sulla Luna, ma legati proprio al solfuro di ferro nelle profondità del satellite. È a causa di questo presunto legame che i metalli preziosi non sarebbero stati portati in superficie dal magma, motivo per cui le rocce vulcaniche lunari presenterebbero solo tracce di tali elementi. Brenan spiega che per avere una conferma sarà necessario analizzare rocce lunari provenienti dagli strati profondi. Poiché gli astronauti presto rimetteranno piede sulla Luna, Brenan ha indicato un luogo dove tali rocce potrebbero essere trovate, ovvero nel bacino del Polo Sud-Aitken, dove si trovano i grandi crateri Schrödinger e Zeeman. Gli impatti degli asteroidi che li hanno creati, infatti, avrebbero portato in superficie rocce provenienti dal cuore della Luna, quelle contententi le prove dei vasti depositi di metalli preziosi ipotizzati dagli scienziati. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata Nature Geoscience.

https://scienze.fanpage.it/tesoro-nascosto-sulla-luna-scienziati-ipotizzano-vasti-depositi-di-metalli-preziosi-in-profondita/

Spread in picchiata, già risparmiati interessi per 40 miliardi sul debito pubblico italiano. - Giuseppe Timpone

I rendimenti dei titoli di stato italiani in agosto frutterebbero a regime risparmi per circa 40 miliardi di euro all'anno sugli interessi relativi al debito pubblico. E con lo spread in picchiata di questi giorni, il conto per i contribuenti sarebbe ancora più leggero.

I rendimenti dei titoli di stato italiani in agosto frutterebbero a regime risparmi per circa 40 miliardi di euro all'anno sugli interessi relativi al debito pubblico. E con lo spread in picchiata di questi giorni, il conto per i contribuenti sarebbe ancora più leggero.


Il Rendistato di agosto si è chiuso ai livelli più bassi da tre anni a questa parte, vale a dire esitando un rendimento medio ponderato dei titoli di stato sul mercato secondario all’1,003%. Sembrano lontani i dati dell’ottobre scorso, quando il livello medio dei rendimenti italiani viaggiava al 2,84%. Erano le settimane di massima tensione tra governo giallo-verde e Commissione europea sul deficit.
Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata e, soprattutto, proprio sul finire del mese di agosto si è materializzato il bis di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi con l’apertura della crisi di governo da parte della Lega, ma stavolta con il Movimento 5 Stelle ad allearsi con il PD, uno scenario assai gradito dai mercati finanziari.
Ebbene, rendimenti medi all’1% implicherebbero a regime grossi risparmi per gli interessi sul debito pubblico. Lo scorso anno, l’Italia ha speso 63,9 miliardi di euro per servire il debito, pari al 3,6% del pil e al 2,75% dello stock. In altre parole, ai livelli di agosto il costo risulterebbe di 2,75 volte inferiore a quello del 2018. Poiché la vita residua media del nostro debito risulta di poco meno dei 7 anni, servirebbe attendere fino al tardo 2026 per rinnovare l’intero stock e ottenere il massimo dei risparmi.

Risparmi fino a 50 miliardi di euro

Supponiamo che i rendimenti si mantenessero fino ad allora sempre mediamente all’1% e, per facilità di calcolo, che il debito pubblico rimanga costante in valore assoluto a poco meno di 2.400 miliardi, cioè che l’Italia da qui in avanti chiuda i bilanci in pareggio. Man mano che i BTp in scadenza vengono rimborsati con emissioni di nuovi titoli ai più bassi costi, gli interessi medi tenderanno proprio all’1%. In definitiva, spenderemmo all’anno qualcosa come 24 miliardi, anziché i 64 del 2018, circa 40 miliardi in meno, pari al 2,2% del pil attuale. In altre parole, se solo i rendimenti dei bond si mantenessero ai livelli di agosto per un numero di anni sufficienti per rinnovare tutto il debito, l’Italia raggiungerebbe il pareggio di bilancio senza dover compiere altri sacrifici, ovvero senza dovere alzare le imposte e/o tagliare la spesa pubblica.
Appare abbastanza improbabile che i rendimenti restino così bassi. Si consideri che il minimo storico lo toccarono nell’agosto del 2016, quando si attestarono mediamente allo 0,66%. Da lì, iniziarono a risalire, man mano che il mercato percepì l’avvio di una fase monetaria meno accomodante da parte della BCE. Sappiamo come le cose stiano andando nella direzione opposta proprio in questi mesi, ragione per cui i rendimenti obbligazionari sono precipitati in tutta l’Eurozona, a parziale eccezione dell’Italia e della Grecia, le due economie più temute nell’area sul piano dei conti pubblici.
Per contro, la curva dei tassi italiana oggi risulta molto più bassa di quella di agosto, se pensate che il BTp a 10 anni rende meno dello 0,90% e che mediamente i nostri bond non offrono oltre il mezzo punto percentuale, di fatto battendo un nuovo record minimo. Cristallizzando i dati, i risparmi arriverebbero a regime a una cinquantina di miliardi, uno scenario che per il Tesoro sarebbe da sogno. E dire che i nostri competitor europei registrano già costi medi negativi, per cui di questo passo con gli anni avrebbero solo da guadagnare dalle emissioni di debito. La Germania vanta una curva delle scadenze interamente negativa da inizio agosto e la Spagna offre qualcosa agli investitori solo a partire dal nono anno. Chissà che, normalizzandosi ulteriormente, anche l’Italia non continui a vedere sgonfiata la propria curva, incrementando i risparmi potenziali dei contribuenti e riducendo in prospettiva i sacrifici a cui sarebbero chiamati per risanare i conti pubblici.