Il professore - “I Dpcm discendono da due decreti legge, uno dei quali votato dal Parlamento. Il governo non ha usurpato poteri non concessi”.
In questi giorni alcuni leader politici stanno scoprendo la Costituzione (Salvini), mentre altri la riscoprono dopo tentativi di sfregio (Renzi). Gustavo Zagrebelsky ha scritto su Repubblica: “Mi chiedo quanto ci sia di esagerato e di strumentale in questi ‘al lupo, al lupo’ e quanta incomprensione della natura del problema che abbiamo di fronte”. Proviamo a rispondere.
Professore, volano parole grosse sia da parte di esponenti politici che di suoi colleghi: “Scandalo costituzionale”, “Costituzione violata”, “democrazia sospesa”, un premier “che scavalcando il Quirinale compie un mezzo golpe”.
Quando scendono in campo i giuristi, vuol dire che non siamo molto ben messi. Ci si rivolge ai giuristi per avere una parola chiara e normalmente se ne ottengono molte e oscure, spesso contraddittorie. Una delle più frequenti prestazioni dei giuristi, nel loro insieme, è di rendere meravigliosamente oscure (Rabelais) persino le questioni chiare.
Si mette in discussione la legittimità dei provvedimenti del governo. Lei che pensa?
Stiamo ai testi. Abbiamo due decreti-legge, il primo convertito in legge e il secondo, a quanto mi risulta, non ancora esaminato dal Parlamento, ma in vigore. E poi 11 decreti del presidente del Consiglio, gli ormai celeberrimi dpcm. I decreti legge sono equivalenti alle leggi, che servono, secondo Costituzione, a fronteggiare i “casi straordinari di necessità e urgenza”. Credo che nessuno dubiti che si sia in uno di questi casi. Il decreto legge numero 6 di febbraio stabilisce che le autorità competenti sono “tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”. Successivamente indica le materie in cui tali misure possono intervenire: circolazione, trasporti, scuola, manifestazioni pubbliche, ecc. In breve: le misure attuative (i dpcm) sono autorizzate dalla legge e il governo ha fatto uso dell’autorizzazione in quanto “autorità competente”. Il governo non ha usurpato poteri che non gli fossero stati concessi dal Parlamento. Undici decreti sono tanti, ma l’autorizzazione data al governo prevede precisamente che l’attuazione sia, per così dire, mobile, seguendo ragionevolmente l’andamento dell’epidemia.
Quindi tutto bene?
Sto parlando degli aspetti formali. Le restrizioni dei diritti costituzionali in situazioni come quella che stiamo vivendo e nei limiti ch’essa richiede devono avvenire in base alla legge, ed è ciò che è avvenuto. “In base alla legge” e non necessariamente dalla legge approvata dal Parlamento: ci immaginiamo che cosa sarebbe una discussione parlamentare articolo per articolo? Nella sostanza, le misure oggetto della decretazione possono essere valutate come si vuole, ma questa è un’altra questione. L’opinione di chi sostiene che i diritti costituzionali siano stati limitati per arroganza del governo è errata.
C’è chi dice che il governo e il suo capo si siano dati i famigerati pieni poteri.
Appunto: c’è chi lo dice, ma non è detto che sappia quel che dice. Questi cosiddetti pieni poteri in realtà sono stati attribuiti dal Parlamento e dunque non se li sono “presi”. In secondo luogo, si tratta di poteri tutt’altro che pieni, essendo limitati dallo scopo: il contenimento della diffusione del virus. Fuori da questa finalità sarebbero illegittimi.
Non le sembra che il Parlamento sia emarginato?
In un certo senso sì, perché una grande questione nazionale come è questa meriterebbe dibattiti e deliberazioni d’alto livello, appelli alla solidarietà nazionale, dimostrazioni di consapevolezza della gravità del momento, insomma ciò che ci si aspetterebbe dai nostri “eletti”. La sede naturale è il Parlamento. Se il Parlamento (o meglio alcune forze politiche) lamenta l’emarginazione, la imputi a se stesso che ha votato l’autorizzazione con una sua legge. In ogni caso, il Parlamento dispone in qualunque momento di strumenti per aprire dibattiti e confronti, per modificare ed, eventualmente, anche per togliere al governo ogni potere e riprenderselo. Se vuole e può, lo faccia. Ma mi pare piuttosto che si preferisca litigare per mostrare di esistere e fare propaganda.
C’è una forte tensione anche tra Stato e Regioni.
La tensione è politica. Giuridicamente, la questione è risolta dal principio costituzionale di sussidiarietà: la competenza segue la dimensione del problema. È come un cursore che si arresta e conferisce la competenza nel punto (alto o basso che sia) adeguato alle funzioni da gestire: funzioni piccole, in basso; funzioni grandi, in alto. Il cursore va dai Comuni fino allo Stato, passando per le dimensioni intermedie. Questa è una pandemia: il minimo è che se ne occupi lo Stato.
Se le responsabilità sono statali, si possono ammettere deroghe locali come in Calabria?
Date le dimensioni dell’emergenza, la responsabilità è del governo. Le Regioni possono essere autorizzate a prendere misure più o meno restrittive, a seconda delle condizioni in cui si trovano. Ma non possono agire di propria iniziativa. Ci possono essere trattative, però è il governo che apre o chiude i rubinetti perché del governo è la responsabilità generale.
Si è parlato di scaglionare la popolazione in base all’età: è costituzionalmente ammissibile?
La “questione anziani” è emersa nella prima fase dell’emergenza in maniera drammatica, quando le strutture sanitarie disponevano di poche risorse rispetto alle necessità. Si poneva un dilemma tremendo. Non potendo assistere tutti, a chi dare la precedenza? Oggi per fortuna non siamo più in queste condizioni, perché la pressione sulle strutture di terapia intensiva è diminuita. Tuttavia, è emerso allora un pensiero, un retropensiero che, come un virus, è, per ora silenziosamente, tra noi. I vecchi hanno già vissuto la loro vita, che cosa pretendono rispetto a chi la sua vita deve ancora viverla? Questione terribile, che dobbiamo essere preparati ad affrontare perché ritornerà, tanto più in quanto gli anziani saranno percepiti come soggetti improduttivi, pesi e costi per la società tutta intera che, in nome del proprio sviluppo, non può permettersi di sostenere. Il darwinismo sociale busserà alle nostre porte finché il valore essenziale proposto alle nostre vite sarà il successo. Ogni mattina, quando mi alzo dal letto, mi assale l’idea che la mia vita vale, agli occhi degli altri, un po’ meno del giorno prima, fino al momento in cui arriverà finalmente la rottamazione. Poi si è proposto di prolungare l’isolamento solo per gli anziani perché più vulnerabili. Le limitazioni dei diritti si possono mettere in atto solo se, come dice la Costituzione, si mettono in pericolo i diritti altrui, non i propri. Alla propria salute ognuno pensa per sé. L’essere anziano non è sinonimo di particolare pericolosità.
È arrivato il momento in cui la competenza mostra la sua importanza?
Ci sono questioni che non possono essere affrontate e risolte in base soltanto alle proprie preferenze, o ai propri capricci, come vorrebbero i bambini. Detto questo, l’appello che si fa alla comunità scientifica, non sempre, anzi quasi mai, è risolutivo. All’interno della comunità scientifica esistono divergenze di opinione. Aggiungo che, contro le apparenze, non è un male per la democrazia: se la scienza si pronunciasse all’unanimità in nome di una verità assoluta e indiscutibile, non ci sarebbe nulla da fare se non ubbidire. Buona cosa è che la scienza prospetti argomenti, ma poi la scelta è responsabilità della politica. In una situazione d’incertezza come è questa nostra, la politica gioca necessariamente d’azzardo. Le decisioni che le si richiedono, non possiamo dire con certezza quali effetti potranno avere. Gli uomini politici responsabili, che studiano e agiscono con prudenza ascoltando chi ne sa più di loro meritano comprensione e rispetto, pur nella totale libertà di tutti di manifestare il proprio dissenso. Ma, anch’esso è basato sull’azzardo senza, però, la corrispondente assunzione di responsabilità. Facile criticare, più difficile decidere.
A proposito: si parla di un governo tecnico per gestire la ripresa.
Il governo tecnico si dice tale perché composto da persone competenti che non debbono agire per ottenere un consenso elettorale. Ma la tecnica non è mai neutra. La versione più ovvia è quella conservatrice. Tra non molto ci troveremo davanti alla domanda della “ripartenza”: così “come eravamo”, o secondo visioni nuove della salute, dell’ambiente, del lavoro, dell’abitazione, della produzione e del consumo, eccetera? La risposta innovatrice non la darà la tecnica.