Da due mesi e mezzo vediamo cose che noi umani… eccetera. Ma qui si esagera. Ieri, durante l’ennesima puntata della serie tv Funeral Parliament, mi è accaduto qualcosa di impensabile: davo ragione Ignazio La Russa. Mi sono subito misurato la febbre, ma era nella norma. Essendo astemio e allergico alle droghe, ho escluso pure lo stato di ebbrezza e quello allucinogeno. Allora ho riascoltato l’intervento del camerata siculo-milanese per sincerarmi di aver capito bene e ho dovuto concluderne, con mio sommo sgomento, che aveva proprio ragione: a prendere sul serio il discorso (si fa per dire) dell’Innominabile, il governo Conte non ha più la maggioranza. Dunque, in un Paese serio, il premier avrebbe due sole strade: chiedere alle Camere un voto di fiducia per verificare l’esistenza della sua maggioranza, o salire al Quirinale per comunicare l’inesistenza della medesima. Ma siamo in Italia, e soprattutto parliamo dello Statista di Rignano, il più monumentale bugiardo della storia, al cui confronto Pinocchio, Wanna Marchi e B. sono gente sincera e il pagliaccio Bagonghi era una persona seria. Uno che, da quando lo si conosce, non fa che minacciare di lasciare qualcuno o di andarsene da qualcosa, purtroppo senza mai farlo. Uno che, non avendo mai combinato nulla di buono nella vita, si diverte a sfasciare quello che di buono fanno gli altri.
Infatti nessuno, a parte La Russa, se l’è filato di pezza, perché tutti sanno che anche questo ultimatum a Conte non produrrà effetto alcuno, come tutte le precedenti promesse, minacce e annunci (tipo abbandonare la politica in caso di sconfitta al referendum). Per almeno due motivi. Primo: l’intrinseca ridicolaggine delle sue parole. Il gaglioffo ha difeso la Costituzione dalle “violenze” contiane, con grande allarme della Costituzione medesima che si è sentita come Asia Argento se Weinstein le si offrisse come bodyguard. Poi ha accusato il premier di “populismo” perché non dice che va tutto bene e si riapre tutto subito, cioè perché – diversamente da lui – non è populista. Mancava soltanto che saltasse su Gasparri ad accusare Conte di strabismo, o la Bellanova di pinguedine, o Fassino di magrezza. Poi ha ricordato gl’italiani “agli arresti domiciliari” (un pensiero commosso ai suoi genitori), con l’aria di chi pensa che il virus l’abbia importato il premier. Infine ha detto che “non possiamo delegare tutto alla comunità scientifica”, perché già “troppe volte la politica ha abdicato in passato: nel 1992-93 abdicò alla magistratura” (anziché impedirle di processare ladri e mafiosi).
E poi “ai tecnici” (il governo Monti che lui applaudiva inneggiando da Palazzo Vecchio alle letterine della Bce e al massacro sociale conseguente). Ergo ora “non possiamo abdicare ai virologi”, tipo il compare Burioni che ai tempi del suo governo voleva vaccinarci pure contro i brufoli e le ragadi. Del resto, assicura, “la gente di Bergamo e Brescia che non c’è più, se potesse parlare, ci direbbe di riaprire”: deve averlo saputo in una seduta spiritica della fondazione Open alla Leopolda, o forse sente direttamente le voci come Giovanna d’Arco. Ora si attende una class action dei parenti delle vittime per vilipendio di cadaveri. Il secondo motivo del flop dell’ennesimo penultimatum è lo stato larvale in cui versa la nanoparticella denominata umoristicamente Italia Viva, che doveva “svuotare il Pd” e invece ha riempito tutti gli altri partiti della maggioranza e precipita nei sondaggi a rotta di collo verso lo zero assoluto, mentre Pd, 5Stelle e Sinistra crescono. L’insuccesso, si sa, dà alla testa. Ma a lui dà alla pancia: più voti perde, più chili guadagna; più cala nei sondaggi, più sale sulla bilancia; più l’elettorato si restringe, più il girovita si dilata; ogni mezzo punto in meno, un doppio mento in più. E il colesterolo acceca più dell’onanismo. Ma gli altri parlamentari italovivi, famigli a parte, ci vedono benissimo. Sanno che questo è l’ultimo giro di giostra ed è bene tenersi stretto il governo, cioè il cadreghino. Ove mai l’Innominabile se ne andasse, non dietro agli elettori che non ha, ma alle lobby che ha, molti resterebbero dove sono, lasciandolo solo. Anche perché, se del governo Conte sono la ruota di scorta, di un’ammucchiata Draghi (o chi per lui) sarebbero il pelo superfluo.
Quindi, almeno per ora, nulla cambia. A meno che l’intervento del senatore Pd Dario Stefàno non rifletta la posizione del Pd, che a sentire Orlando alla Camera pareva opposta. Noto voltagabbana salentino, passato da Confindustria alla Margherita a Sel, con fuitina presso l’Udc prima di planare nel Pd, lo Stefàno ha chiesto a Conte di “abbandonare la prudenza” per riaprire tutto subito, associandosi agli altri Bolsonaro de noantri che ciarlavano come se il virus fosse scomparso dal suolo patrio e i 205.463 contagiati e i 27.967 morti non fossero mai esistiti (l’unica a ricordarli è stata la M5S Maiorino). E autorizzavano il sospetto di essere tutti pagati da Conte per esaltarne il solitario buonsenso. Geniale anche l’idea di Stefàno di riaprire subito per battere sul tempo le “fughe in avanti di alcune regioni”. Cioè: visto che la Santelli fa cazzate in Calabria, facciamole prima noi in tutta Italia, così la freghiamo. Furbo, lui.
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