Gaetano Azzariti, costituzionalista della Sapienza, ha sottoscritto la petizione per una legge elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di scegliere i loro rappresentanti. “Oltre alla legge elettorale”, spiega, “anche altre questioni al centro del dibattito vanno affrontate con la dovuta radicalità se si vuole realmente concorrere a superare la crisi in cui versa da tempo il Parlamento. Ad esempio la questione dei regolamenti parlamentari: mi sembra ci si voglia accontentare di una riforma minimale”.
Andranno corretti, o no?
Certo, ma non ci si può limitare a dire che il numero delle commissioni parlamentari va ridotto: questa è un’ovvietà. Ci sono altre questioni che impediscono il funzionamento del parlamento: i maxi emendamenti, l’abuso della fiducia, i tempi contingentati. Il Parlamento non deve solo provare a sopravvivere, deve riaffermare il proprio ruolo autonomo. Poi si dovrebbero affrontare anche problemi strutturali: il ruolo dei partiti e la questione del bicameralismo. Oggi nessun partito – dai 5Stelle alla Lega passando per il Pd – riesce a più a svolgere adeguatamente la funzione di reale rappresentanza politica che la costituzione assegna loro.
E sul ruolo delle Camere?
Vedo molta confusione sotto il cielo. Abbiamo due leggi costituzionali in discussione che tendono ad annullare le differenze tra le due Camere, tramite l’equiparazione a 18 anni dell’età per l’elettorato attivo nei due rami del Parlamento e l’abbandono della base regionale per l’elezione in Senato. Poi, però, il Pd presenta un disegno di legge che punta a differenziare il bicameralismo.
Veniamo alla questione più urgente: la legge elettorale. Proporzionale o maggioritario?
Proporzionale senz’altro: votai contro il maggioritario nel referendum del ’93. In vent’anni di maggioritario il sistema si è dimostrato fallimentare rispetto agli obiettivi che si proponeva: la grande promessa della governabilità è stata tradita. Dovremmo finalmente prenderne atto.
Chiediamo l’abolizione delle liste bloccate, ma l’altro sistema possibile, quello delle preferenze, è anch’esso criticato perché favorisce le clientele.
L’attuale disegno di legge in discussione, il Brescellum, mi lascia perplesso perché estende il sistema delle liste bloccate. Si corre il rischio di non rispondere a una chiara indicazione della Corte che ha affermato sia necessario lasciare un margine di scelta all’elettore.
Quindi preferenze?
Non necessariamente. Esse possono innescare una impropria competizione tra le fazioni di una stessa lista. Aumenterebbero inoltre i costi delle campagne elettorali per i singoli candidati: con collegi ampi poi! Prevedibile l’aumento del pericolo della “compravendita” dei voti di preferenza. Sarebbe preferibile seguire una terza via: il collegio uninominale con il sistema proporzionale. In passato ha dato buoni risultati: è questo il modello della legge 29 del 1948, quello che ha permesso le elezioni dei senatori fino al ’93. Normalmente l’uninominale si associa al maggioritario. Qui si parla di un sistema proporzionale con piccoli collegi (tanti quanti sono i rappresentanti da eleggere). Il vantaggio è che responsabilizza i partiti, che sceglieranno quale candidato presentare; si rafforza poi il rapporto tra elettori e territorio, nonché indirettamente quello tra partito e territorio.
Qual è il difetto di questo sistema?
Il limite è che essendo un sistema proporzionale, i seggi sono distribuiti in proporzione ai voti riportati dai partiti e assegnati in base alla cifra individuale (cioè i voti ottenuti in rapporto al numero degli elettori del collegio). È possibile pertanto che chi vince nel singolo collegio poi non venga eletto.
Sbarramento al 5: è troppo alto?
Sì. Andava bene con una Camera di 650 deputati, ma ora, con la riduzione dei parlamentari, si è già alzata la soglia implicita per accedere ai seggi. Aggiungo che in alcune regioni che eleggono pochi senatori, la selezione naturale porta a escludere tutte le forze minori, senza bisogno di alcuna soglia. Se proprio si deve, la soglia accettabile è al 3 per cento.
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