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mercoledì 30 settembre 2020

Pusher e vedette, sgominata rete di spaccio a Palermo.


 











Un'organizzazione dedita al traffico di droga è stata sgominata a Palermo dai carabinieri, che hanno arrestato 11 persone (10 in carcere e uno ai domiciliari), ritenute responsabili, tra l'altro, di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del capoluogo siciliano su richiesta della locale Dda. Le indagini, condotte dai militari della Stazione di Palermo Centro nel periodo giugno-novembre 2018 e coordinate dal procuratore aggiunto, Salvatore De Luca, hanno permesso di far luce sul gruppo criminale attivo nello storico quartiere Capo.

Lo spaccio avveniva anche nei pressi delle scuole e l'organizzazione poteva contare su una numerosa schiera di pusher e vedette che operavano con precise turnazioni giornaliere, in sinergia con i responsabili operativi della piazza di spaccio, a cui spettava la custodia del denaro provento dell'attività illecita. Le indagini hanno permesso di scoprire come l'organizzazione avesse a disposizione magazzini e garage, in cui veniva stoccata la droga. Depositi nelle immediate vicinanze della piazza di spaccio che i pusher potevano raggiungere rapidamente una volta ricevuta la richiesta dei clienti.

https://www.adnkronos.com/2020/09/30/pusher-vedette-sgominata-rete-spaccio-palermo_ooPmhMzYPHyKKZUIv8YaQK.html?refresh_ce

martedì 16 aprile 2019

Firenze, inchiesta sul degrado del “Giglio” sfiorito.

Droga: smantellato spaccio a Fortezza Firenze, 26 arresti

Spaccio di droga, risse, degrado in pieno centro. Viaggio in una città in crisi che si prepara alle elezioni comunali.

(panorama.it) – Perfino l’affabile cingalese in piazza della Repubblica, venditore di trottole volanti, sussurra furtivo: «Vuoi una canna?». No, grazie. Firenze, allo sbocciar di primavera, è un dedalo asserragliato. Orde di turisti, bivacchi selvaggi, clandestini piantagrane, ambulanti di tarocchi e spacciatori di tutto. L’apocalisse diventata ordinarietà. «Città dal fascino sottile» scriveva Stendhal. E adesso, ahilui, dalle grossolane brutture. Così, dal palco di un’anonima piazza periferica, Matteo Salvini arringa la folla. Accanto c’è Ubaldo Bocci, sessantenne con barba e capelli bianchi: è sulla sua spalla che s’è poggiato lo spadone leghista. A fine maggio tenterà l’inosabile: sfilare al Pd la Disneyland del Rinascimento. Il leader della Lega già lo chiama «Caro sindaco». Lui si schermisce, ma ci conta. «C’è molto da fare» sprona Salvini. «Non ci servono supereroi e belli da Pitti Uomo, ma serve gente che ami la città: compresi i quartieri dove non si può andare nei giardini perché spacciano».

L’altro Matteo, quel Renzi disarcionato, ribatte ribaldo: «Caro Salvini, prima di parlare dei risultati della mia città, sciacquati la bocca. Perché la mia città si chiama Firenze, e Firenze sa riconoscere da lontano i venditori di fumo. Viva la bellezza, viva Fiorenza». Da mesi, Renzi largheggia: dalle rive dell’Arno partirà la riscossa. L’ex premier, già sindaco della capitale medicea, medita vendetta, tremenda vendetta. Si frega le mani. Le amministrative, spera, saranno l’occasione per dare un buffetto all’arcinemico populista. Che gli ha sottratto potere, voti e popolarità.

Matteo contro Matteo. A Firenze è scoccata la campagna elettorale. Da una parte, Dario Nardella: delfino dell’ex Rottamatore. Dall’altra, Ubaldo Bocci: candidato del centrodestra. Del primo contendente molto si sa: ex diessino, poi renzianissimo, adesso zingarettiano. Anche se, malcelando imbarazzo, notifica: «Il mio partito è Firenze». L’altro è un neofita della politica: manager di Azimut, società di consulenza patrimoniale, e cattolico attivissimo nel volontariato. Dunque, Dario contro Ubaldo: il partitone della prossima tornata. L’inarrestabile Lega tenta di gabbare il declinante Pd. Buttando in campo gli endemici malanni del capoluogo toscano: degrado, criminalità e lassismo.

Nardella, reduce da un lustro al comando, mette le mani avanti: «Firenze non è una città più insicura di altre. Non abbiamo un’emergenza sicurezza». Le cronache degli ultimi mesi lasciano qualche perplessità. Una sequela di violenze: e non nelle lande periferiche, ma tra i palazzi rinascimentali del centro. Come la recente megarissa in piazza dei Ciompi: una spedizione punitiva, sul far della sera, con un gruppetto di nordafricani che aggredisce un tunisino con una mazza. O la singolar tenzone, due settimane fa, al mercato di san Lorenzo: cinque extracomunitari finiti all’ospedale. Oppure la furibonda lite, un mese orsono, in via dei Servi, a pochi passi dal Duomo. Una zona che, ogni weekend, diventa un ring urbano: cazzotti, spranghe, bottiglie, furti, spaccio. Residenti e commercianti, esasperati, fanno colletta per pagare un servizio di vigilanza. Per fortuna, arriva Nardella: «Non lasceremo che in via dei Servi viga la legge del più forte!».

Campa cavallo, gli rispondono i fiorentini. Già scossi dalla morte, il 10 giugno 2018, di Duccio Dini, 29 anni. In sella al suo scooter, una domenica mattina, è centrato da due auto che si inseguono: un regolamento di conti da poliziottesco americano. Sette rom vengono arrestati. Segue sommossa popolare, al grido di: chiudete i campi nomadi. A partire dal più problematico: il Poderaccio. «Lo smantelleremo» promette Nardella. La contingenza richiede determinazione e tempismo? «Ci vorranno diciotto mesi» indugia il sindaco. Nell’attesa, il campo rom rimane lì: intonso. Tra le usanze locali c’è il rogo di cataste di rifiuti e masserizie. Solo nelle ultime settimane, i vigili del fuoco sono intervenuti tre volte.

Nell’attesa di smobilitare, la scorsa estate è stata sgomberata l’attigua baraccopoli. Il 2 luglio 2018, mentre osserva ammirato la più salviniana delle ruspe in azione, Nardella annuncia: «Un altro intervento concreto su legalità e cura della città. Andiamo avanti con il nostro piano contro le occupazioni abusive». Già. Eppure, come documenta solerte il deputato di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, due mesi dopo i rumeni s’erano riaccampati: poche decine di metri più in là.

Tutto tace invece in un altro insediamento dei dintorni. È in una fabbrica dismessa: la Gover. Anche qui: cumuli di lerciume, carcasse d’auto, escrementi umani. A pochi metri, in via del Pesciolino, c’è una distesa di palazzoni e un parco giochi. L’olezzo arriva fino agli scivoli. Niente paura, però. Rinascita imminente. Già il 18 aprile del 2012 il predecessore di Nardella, l’indimenticato Renzi, deflagra: «Così non può andare avanti! Bisogna mettere a posto». Agli inferociti residenti spiega che il tempo dei cincischiamenti è finito: o intervengono i proprietari dell’area, altrimenti ci pensa il Comune. Ruspa! Com’è finita, non smette di ricordarlo il solito Donzelli, con periodiche e urticanti incursioni. L’ultima è di qualche settimana fa. Solita solfa: «Insicurezza, sporcizia, degrado» cataloga il deputato. «Ormai gli abitanti della zona sono in balia degli abusivi». 

Altra cavalcata trionfale è quella degli immobili occupati. Un anno fa, in risposta a un’interrogazione di Arianna Xekalos, allora capogruppo dei Cinque stelle in consiglio e adesso alla guida della civica «Firenze in movimento», l’assessore al ramo ne conteggia ben 26. Diciassette sono di privati. Come l’ex hotel Concorde, dove lo scorso dicembre l’ennesimo incendio ha mandato sette persone all’ospedale. Quattro edifici, poi, sono pubblici. A partire dall’ex scuola Don Facibeni, sede del centro sociale Cpa occupata dal 2001. Tra le iniziative più acclamate del collettivo si segnala, un anno fa, l’incontro con l’ex brigatista Barbara Balzerani, in occasione del quarantennale del rapimento di Aldo Moro. L’opposizione, in testa il battagliero capogruppo di Fratelli d’Italia, Francesco Torselli, chiede l’immediato sgombero. Ma Nardella frena: «È un’operazione complessa». E aggiunge: «Se fosse stato facile, l’avrebbero sgomberato da vent’anni…». Inappuntabile.

Niente paura, però. L’arma segreta contro le occupazioni abusive c’è. E ha persino un nome: cabina di regia. Orpello di memoria craxiana e d’indimenticabile inutilità. Stavolta invece si fa sul serio. Regione, Comune, demanio, diocesi. Tutti uniti, meglio degli Avengers. Gli irregolari hanno le ore contate. Lo stesso dicasi per i turisti sudicioni e maleducati. Quelli sì, messi in riga come soldatini. Rieducati, uno dopo l’altro, a suon d’illuminate ordinanze. «Cos’è il genio?» ragionava il fiorentinissimo Perozzi di Amici miei. «È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione». Qualità sfoderate dal sindaco nella lotta ai bivacchi. I gitanti si sbracano indecorosamente? Lui fa bagnare con gli idranti gli scalini del Duomo e le altre zone di assembramenti. «Una misura gentile, che evita la multa» chiarisce Nardella. Talmente gentile da aver accolto il plauso dei turisti. Pronti a riaccomodarsi sui limpi gradini, dopo rapida evaporazione acquea. O a bagnarsi i calzoni in cerca di refrigerio.

Ben congegnata anche la soluzione per le code in via de’ Neri, dove c’è un’affollatissima rivendita di cibarie. Qui vige un’inflessibile ordinanza anti-panini. Impone consumazione dinamica, evitando ogni staticità. Insomma: bisogna mangiare in piedi, o meglio camminando. Passi lunghi e ben distesi. «Una risposta concreta e di buonsenso» esulta Nardella.

Magari il problema fossero solo i turisti maleducati… Ci sono quelli che scambiano i monumenti per latrine. Gli studenti ubriachi che vagano molesti nella notte. Le risse a colpi di bottigliate. E uno spaccio ormai capillare. Qualsiasi droga in qualsiasi angolo del centro. Ogni giorno: dalle 8 e 30 del mattino fino all’alba successiva. Malavita di strada che s’è ormai regolamentata. Del resto, nell’ultimo indice di criminalità pubblicato da Il Sole 24 ore, Firenze è la quarta provincia italiana per denunce di reati. «È diventata la città delle illegalità» bombarda Marco Stella, coordinatore fiorentino di Forza Italia. 

In ossequio al conterraneo Dante Alighieri, Nardella però «guarda e passa». Anzi: rilancia. «In questi cinque anni» gongola «abbiamo realizzato il 95 per cento dei punti del programma!». Urca! Nemmeno Renzi avrebbe osato tanto. L’allievo straccia il maestro. La dura realtà costretta a inchinarsi davanti a palmari evidenze numeriche: un nuovo Rinascimento è già cominciato. I colpevoli fiorentini, distratti dal logorio della vita moderna, se ne facciano una ragione. 

https://infosannio.wordpress.com/2019/04/15/firenze-inchiesta-sul-degrado-del-giglio-sfiorito/

lunedì 15 aprile 2019

Casamonica, a Roma arrestati 23 membri del clan. Pm: “Continua sfida allo Stato” Vittima: “Non è possibile uscirne vivi”. - Vincenzo Bisbiglia

Casamonica, a Roma arrestati 23 membri del clan. Pm: “Continua sfida allo Stato” Vittima: “Non è possibile uscirne vivi”

Blitz all'alba dei carabinieri del comando provinciale di Roma: tra destinatari delle misure 7 donne e membri delle famiglie Spada e Di Silvio. Sono accusati a vario titolo di diversi reati, in buona parte commessi con l’aggravante del metodo mafioso.

“Una continua sfida allo Stato”, secondo il capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, Michele Prestipino. “Impossibile uscirne vivi”, dice Christian, una delle vittime delle estorsioni del clan. Ci sono 18 appartenenti alla famiglia Casamonica, due Spada, un Di Silvio e uno Spinelli fra le 23 persone arrestate  nella nuova operazione, denominata Gramigna bis, che ha portato questa mattina i carabinieri del comando provinciale di Roma a portare un nuovo colpo al noto clan sinti della Capitale. Nel complesso l’inchiesta del procuratore aggiunto Michele Prestipino e del pm Giovanni Musarò vede indagate 32 persone, fra cui un notaio di Roma.

GLI ARRESTATI – La custodia cautelare in carcere è stata disposta per Celeste Casamonica, Consiglio Casamonica, Cosimo Casamonica, Christian Casamonica, Giuseppe Casamonica detto Bitalo, Giuseppe Casamonica detto Monca, Lauretta Casamonica, Liliana Casamonica detta Stefania, Luciano Casamonica (noto alle cronache romane per essersi fatto fotografare nel 2010 con Gianni Alemanno durante di una cena al Baobab alla quale era presente anche Salvatore Buzzi), Massimiliano Casamonica detto Ciufalo, Pasquale Casamonica detto Rocky, Rocco Casamonica, Rosaria Casamonica, Salvatore Casamonica, Gelsomina Di Silvio, Emanuele Proietto, Alizzio Spada e Ottavio Spada detto ‘Cicciollo’, Vincenzo Spinelli. Nel corso delle perquisizioni odierne, inoltre, sono stati rinvenuti e sequestrati denaro contante, gioielli e 14 orologi di lusso per un valore stimato di oltre 150.000 euro.

IL BLITZ ALL’ALBA – Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di estorsione, usura, intestazione fittizia di beni, spaccio di stupefacenti. Reati in buona parte commessi con l’aggravante del metodo mafioso. Come detto, le indagini che hanno portato al blitz di questa mattina sono la prosecuzione dell’operazione ‘Gramigna’ che la scorsa estate fece scattare misure nei confronti di altri 37 appartenenti al clan. Le ulteriori 23 misure cautelari sono state emesse dal gip di Roma su richiesta della procura di Roma: il blitz è scattato all’alba e ha coinvolto circa 150 carabinieri con unità cinofile e del personale dell’ottavo reggimento Lazio. Perquisizioni e arresti sono stati effettuati nella Capitale, ma anche in provincia e in altre regioni italiane.
LA “SFIDA ALLO STATO” – “E’ sufficiente leggere gli accertamenti patrimoniali e reddituali” per “rendersi conto che praticamente tutti gli indagati, ad eccezione di Emanuele Proietto, risultano sostanzialmente privi di redditi”. Nell’atto viene menzionata una nota dei carabinieri del 2 gennaio scorso, in cui viene ricostruita la vicenda che ha come responsabile “Asia Sara Casamonica (per la quale il gip ha disposto l’obbligo di dimora a Grottaferrata per violazione della normativa antimafia, ndr) convivente dell’indagato Emanuele Casamonica”. Il giudice specifica che l’abitazione era “da anni oggetto di confisca definitiva e che era stata sgomberata solo il 17 settembre 2018″ e che “un tempo era di proprietà del boss Giuseppe Casamonica e che Asia Sara Casamonica ha occupato, allacciando anche le utenze telefoniche e forzando la serratura, nuovamente al chiaro fine di consentire al nucleo familiare del boss di riappropriarsene, dando anche un segnale all’istituzioni” come “una sfida allo Stato”.

I FATTI DI PIAZZALE CLODIO – E non è tutto. Due esponenti della famiglia Casamonica cercarono di intimidire in Tribunale una parte offesa coinvolta nel processo a carico di Pasquale Casamonica. In particolare, una nota del 23 giugno 2017 del commissariato Viminale comunicava di quanto accaduto una settimana prima quando, in occasione in un incidente probatorio nel processo a carico di Pasquale Casamonica, una parte offesa era stata “avvicinata dagli indagati Consiglio Casamonica, detto Simone, e Liliana Casamonica detta Stefania, rispettivamente cugino e sorella di Pasquale, i quali gli dicevano che avrebbe dovuto ‘far uscire Pasquale’, o meglio, da intendersi tale ordine di ritrattare le dichiarazioni accusatorie precedentemente rese”. Il gip aggiunge che “sappiamo come l’udienza con le forme dell’incidente probatorio non sia pubblica. Appare, quindi, evidente come la presenza dei due Casamonica, nei locali del Tribunale di piazzale Clodio, si spieghi esclusivamente con la finalità di avvicinare e intimidire la persona offesa al fine di indurla a ritrattare le precedenti accuse”. Per giudice questa condotta è “in sostanza una conferma del metodo mafioso”.
IL RACCONTO DI CHRISTIAN: “NON E’ POSSIBILE USCIRNE VIVI” –  “Dei Casamonica e dei loro illeciti comportamenti in forma associata o singola, ma contando sulla forza di intimidazione del gruppo, le persone hanno paura”. Buona parte dell’ordinanza cautelare del gip Gaspare Sturzo nell’ambito della operazione ‘Gramigna bis’ si fonda sui racconti fatti agli inquirenti, e per certi aspetti anche drammatici, da un commerciale di una importante attività a Roma, finito nelle mani del clan. “I Casamonica oggi – ha fatto mettere a verbale la vittima – non fanno più usura con le minacce perché sanno di poter essere intercettati o di essere denunciati. Sono tutti collegati fra loro. Fanno bene i giornali a definirlo un clan. E vi ripeto non sono uno sprovveduto, faccio il commerciante da una vita e di furbetti ne ho trattati tanti ma vi ripeto loro sono degli abili soggiogatori. Vi dico anche cosa fanno per farti avere timore: ti fanno assistere a delle scene di scazzottate tra loro, anche con l’uso di armi, per farti capire che possono essere anche violenti. Una di queste scene l’ho vissuta personalmente ed ho già riferito nel corso delle indagini che vi ho accennato in premessa e mi hanno visto vittima di usura ed estorsione. Questa è la tecnica, credetemi. Non è possibile uscirne vivi. Ultimamente sono arrivato al punto di fare cattivi pensieri relativamente alla mia vita”

VIRGINIA RAGGI: “RIPRISTINO LEGALITA’” – Un’operazione “di ripristino della legalità” per la quale un “ringraziamento sentito va agli uomini del comando provinciale dei carabinieri e ai magistrati della Procura di Roma per il loro lavoro importantissimo”. Così la sindaca di Roma Virginia Raggi commenta su Facebook, ribadendo il “grazie a nome di tutta la città” e sottolineando che “la reazione dello Stato c’è“. “Un duro colpo ad uno dei clan mafiosi più pervasivi e più sottovalutati che esistono nella capitale d’Italia. Troppe volte si è sottovalutato il gruppo dei Casamonica, derubricandoli a piccolo fenomeno criminale. Usura, spaccio, intestazione di beni fittizi e violenza sono mafia e va ribadito. Roma sta reagendo e ribadendo che la città vuole essere libera e vivere nella legalità”, sottolinea Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia.

mercoledì 30 gennaio 2019

Mafia, spaccio e violenza sessuale nel Cara di Mineo, 19 fermi - VIDEO



Appartenevano a una cellula denominata "Catacata Mp (Italy Sicily)", operante a Catania e in provincia e con base operativa nel Cara di Mineo. Spacciavano droga e si scontravano con gruppi rivali per avere il predominio tra le comunità straniere del centro d'accoglienza. Stamane la Squadra mobile di Catania, nell'operazione "Norsemen", ha arrestato 16 persone (tre sono irreperibili) accusate di far parte di una banda di spacciatori di cocaina e marijuana che con metodo mafioso operava in varie zone d'Italia ma che aveva una propria cellula operativa, chiamata "Viking" o "Supreme Vikings confraternity", a Catania e nel Cara di Mineo.
Uno degli indagati è stato bloccato nel capoluogo etneo, un'altro a Bergamo. Tutti gli altri sono stati fermati nel Cara di Mineo e rinchiusi nelle carceri di Catania Bicocca, Siracusa, Messina e Bergamo. Alcuni dei fermati avrebbero collaborato con i trafficanti di esseri umani in Libia. Nelle abitazioni di alcuni indagati sono state sequestrate una mannaia e grossi coltelli da cucina, dosi di marijuana e materiale per il confezionamento. Le persone fermate - tra cui tre donne - sono accusate di associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope e violenza sessuale aggravata.
In Nigeria si sarebbe radicato un ampio sodalizio criminale, poi diffuso in diversi stati europei ed extraeuropei. Un nigeriano - ospite del Cara di Mineo - ha denunciato aggressioni e una rapina subita da parte di suoi connazionali ospiti della struttura. Gli investigatori sono riusciti a registrare un rituale di affiliazione e intercettato un episodio di violenza sessuale di gruppo ai danni di una nigeriana ospite del Cara.
Il centro di Mineo era uno snodo per l'approvvigionamento dei pusher nigeriani che spacciavano a Catania, Caltagirone e Caltanissetta. Al vertice della consorteria ci sarebbe stato William Ihugba, 31 anni, tra i fermati; il gruppo operante a Catania e provincia sarebbe stato guidato da Kingrney Ewiarion, 22 anni, anch'egli fermato. Tra gli altri indagati emerge la figura di Anthony Leonard Izedonmi, 28 anni, fermato in provincia di Bergamo, punto di collegamento con le altre cellule della confraternita in Italia.
"Posso dire, come operatore del diritto, che il Cara di Mineo, così come è stato concepito, è stato un grosso errore e questo credo che lo riconoscano tutti", ha affermato il Procuratore a Catania Carmelo Zuccaro rispondendo a una domanda sull'annuncio del ministro dell'Interno Salvini della chiusura del Cara di Mineo entro il 2019.

"Così com'é - ha aggiunto - il Cara non funziona assolutamente, non svolge il suo compito ed anzi diventa snodo per i traffici di sostanze stupefacenti, luogo nel quale entrano ed escono criminali e nel quale si svolgono episodi di una brutalità impressionante". "Il racconto delle violenza sessuali subite da donne dimostra come all'interno della struttura di Mineo purtroppo tutto vi é tranne che legalità. Questo è quello che pensa l'operatore del diritto. Il cittadino ha le sue opinioni", ha concluso.