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sabato 18 dicembre 2021

Marano senza cuore né luce. Qui la camorra s’è fatta Stato. - Antonello Caporale

 

Più commissari che sindaci: tutto è finito. Nuvoletta e Bardellino clan dopo clan, anno dopo anno, la città è stata dissanguata: l’acqua che manca, i bus fermi, le luci spente, le strade bucate.

Prima è stata chiusa la mensa scolastica, poi ha iniziato a singhiozzare l’acqua potabile. Poi le strade si sono spente, ed è venuto il buio. Infine i bus: finito il gasolio, finite le corse. Marano è una specie di Napoli 2, ma senza le bellezze di Napoli, senza i talenti di Napoli, senza i colori, l’arte, la musica di Napoli.
È come se ne avesse colto, fior da fiore, solo i difetti, e avesse conquistato il cuore dei malandrini fino a divenirne un po’ la capitale.

Marano non è una città, ma un’escrescenza di Napoli. Qui le famiglie in cerca di un alloggio più economico e magari di una vita più quieta si sono dirette – inconsapevoli del trauma – dopo il 1980, l’anno che dà avvio all’età della transumanza seguita al terremoto che devastò la metropoli partenopea.

Appena oltre la collina dei Camaldoli, nella discesa che poi porta alla piana di Giugliano, Marano si è gonfiata fino a divenire una città di sessantamila abitanti. Sembrava un posto tranquillo e nessuno approfondiva i motivi. In effetti qui non si rubava, non si spacciava droga, c’era un ordine nel disordine perché il padrone, cioè la famiglia Nuvoletta, cioè il clan di elevatissimo spessore criminale e perciò l’unico ad essere associato, con benemerenza, nella cupola di Cosa nostra, esigeva silenzio negli affari e pulizia chirurgica nelle vendette e nei repulisti. Cento morti in un trentennio, ma uccisi senza schizzi di sangue sulle vetrine di corso Italia, la strada del centro del centro, intorno a cui tutto ruota, senza bossoli sull’asfalto, senza scooteroni esagerati guidati dalle truppe d’assalto: “Nessuna baraonda per le strade, nessuna stesa. Morivano fra loro, diciamo”, racconta Andrea Caso, deputato 5Stelle che qui è eletto. Un centinaio di ammazzati. E che sarà mai?

Dopo i Nuvoletta sono giunti i Polverino e dopo i Polverino gli Orlando. Clan dopo clan, anno dopo anno, la città è stata piano piano dissanguata ed è infine perita sotto i colpi della criminalità costituita a Stato, riverita e persino rappresentata nel Consiglio comunale. E così non solo i servizi essenziali sono finiti, l’acqua che manca, i bus fermi, le luci quasi spente, le strade bucate, le scuole senza mensa. Non solo tutto questo. Marano infatti appare oggi un unico volume urbano senza cuore né luce, un enorme cubo di cemento, una non città. Pare semplicemente un gonfiore dello stomaco di Napoli.

“Avemmo la fortuna di poter ottenere un collegamento con Napoli su ferro, il microtram, che avrebbe tolto dalle lamiere di auto incolonnate da mattina a sera un sacco di gente. I poteri forti, quelli oscuri e obliqui si opposero”, ricorda Domenico Rosiello, narratore locale delle cronache dei malandrini eterni. “Guarda là, vedi quei palazzi? Furono costruiti nei luoghi in cui doveva sorgere la strada ferrata, edificati in modo che non ci fosse più il corridoio utile, e tutto è finito”, spiega Caso. Addio tram, addio bus. O incolonnati o niente.

Tutto è finito perché la criminalità si è fatta Stato deliberando le sue scelte urbanistiche e qui ha infatti anche corso alle elezioni. Criminalità associata, o solo amica, o parente o cliente. Criminalità, diciamo così, di centrodestra e centrosinistra. Criminalità turbo amministrativa, civica e laica. Marano ha subìto negli anni quattro scioglimenti del Consiglio comunale, l’ultimo a luglio scorso in ragione del fondato sospetto che l’amministrazione guidata da Rodolfo Visconti, eletto anche grazie ai voti del Pd, fosse infiltrata dalla camorra, si fosse piegata alla camorra. E Visconti era stato chiamato al municipio dopo un commissariamento prefettizio che aveva divelto l’amministrazione precedente, questa volta a trazione centrodestra (vice sindaco un’esponente di Fratelli d’Italia).

“Marano è questa qua, schiava del crimine, esposta alle bande, insolentita dalla violenza. Marano è una città con una democrazia indigente, ingracilita dalle percosse che ha subito. La gente si è acclimatata alla legge dei fuorilegge soprattutto per paura che pure è un sentimento umano, comprensibile. E ha lasciato sopraffarsi. Io non mi sono arresa e domani proviamo a scendere in piazza, a far vedere che esiste un profilo civile, una integrità nascosta ma non assente. C’è tanta gente perbene”. È Stefania Fanelli, cassiera all’Ikea a 24 ore settimanali (“guadagno ottocento euro al mese, al di sotto del minimo vitale, ma resisto”) a capeggiare il principio di rivolta civile, a provare, e oggi si vedrà se la piazza sarà riempita, che c’è voglia di conquistare speranza, di chiedere che il diritto non divenga un sempiterno rovescio.

Marano in effetti è il centro di gravità permanente della perdizione. Anche se non sembra, perché è brutta il giusto, cioè né più né meno di tante altre città cresciute nel disordine, e la violenza si sente ma non si vede, è l’obelisco intorno al quale ciascuno ha esibito i suoi trofei. Sciolta l’amministrazione di Marano? Ma sciolta (nel 2018) anche quella di Calvizzano, che gli sta di fronte, e quella di Giugliano (anno 2013) che gli sta di fianco, e quella di Villaricca (1993 e 2021), all’altro lato e quella di Sant’Antimo (nel 1991 e ancora l’anno scorso) e poi quella di Quarto (1991 e 2013).

Più commissari che sindaci, nella grande piazza del crimine che è questo esubero di Napoli, uno sfogo della città verso la piana che qui ha trovato sabbia buona e calcestruzzo, il business elettivo della dimensione industriale criminale. “Con i Nuvoletta a Marano non si poteva distribuire droga, non si spacciava. Il capo clan voleva che la sua città fosse vergine da questo punto di vista”, ricorda il deputato grillino.

Lo spaccio è stato assente per qualche anno, però purtroppo anche le fogne, che a differenza della cocaina e dell’eroina, non si sono mai più viste. Dice Domenico: “Un buon sessanta per cento del territorio sversa nei pozzi, e non è difficile immaginare in quali condizioni sia il sottosuolo tra discariche abusive e autorizzate, fogne bianche e fogne nere”.

Marano di sopra e di sotto. Solenne, triste e dimenticata testimonianza del crimine al governo.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/12/18/marano-senza-cuore-ne-luce-qui-la-camorra-se-fatta-stato/6430426/

giovedì 10 settembre 2020

Conte e la memoria corta degli italiani. - Roberta Labonia

 

E ci risiamo. Vi ricordate la caccia ai furbetti del reddito di cittadinanza (peraltro prontamente sgamati dall’INPS), che, fino a che la peste Covid-19 non ci ha colpito, era diventato lo sport nazionale del giornalismo italiano? Fiancheggiatore com’è noto, da sempre, dei poteri forti, il giornalista medio di sistema ha vissuto l’ introduzione di questa legge di civiltà, come l’assicurare un reddito minimo ai cittadini in povertà, come un sopruso, tutta ciccia sottratta a Confindustria e alle rapaci mani dei suoi padroni. Non imprenditori ma, bensì, “prenditori” di Stato.Ebbene, ora la stessa tecnica, guidati dalle sapienti mani dei soliti “padroni del vapore” (B., Agnelli/Elkan, Cairo, Caltagirone, De Benedetti, Benetton etc, etc.), nonché dall’ “onorevole” politica politicante in Parlamento e nei tanti corpi intermedi in cui si affastella il nostro apparato statale (a proposito, ma a quando una bella sforbiciata magari, che so, partendo dalle Regioni?), la stanno applicando alla scuola. Fra i giornalecchini in queste ore si è ingaggiato un nuovo gioco: è tutto un affannarsi alla ricerca di Istituti scolastici talmente lasciati negli anni al degrado, da non essere nelle condizioni, nonostante le risorse eccezionali messe a disposizione dall’attuale Governo, di poter aprire in sicurezza, in vigenza di pandemia, ai loro alunni. Rare eccezioni, ma che purtroppo ci sono, è inutile negarlo, tanto è il loro stato d’abbandono incancrenitosi negli anni. Con la solita tecnica sfascista che mira a sminuire agli occhi degli elettori azioni di governo esemplari, come quella memorabile di aver immesso (finalmente!) nuove risorse nella scuola per 7 miliardi, l’immagine che si sta contrabbandando in queste ore a reti e testate unificate (salvo rare eccezioni per i pochi informati), è quella di un Governo inefficiente e di una ministra incapace (e certo, un insegnante come Lucia Azzolina messa a fare il ministro della Scuola in Italia è vista con sospetto, vuoi mettere una sindacalista come la Fedeli che si fregiava di una terza media… forse? E si arriva all’assurdo di vedere all’opera il galoppino di redazione di turno che, affiancato dall’operatore scafato, mostra al pubblico ludibrio un plesso scolastico fatiscente il cui accesso è ostruito dalle erbacce. La povera preside, intervistata, ammette l’inevitabile: la prossima settimana non sarà in grado di riaprire la scuola in sicurezza. Il risultato del fallimento di una intera classe politica dell’ultimo trentennio spacciato mediaticamente come l’emblema della gestione fallimentare dell’attuale Governo. Il risultato di decenni di politiche predatorie perpetrate dai governi precedenti è, con tecnica mistificatoria e truffaldina, scaricato dai media su Giuseppe Conte e i suoi ministri che non ne hanno la responsabilità ma che, anzi, stanno raccogliendo in tempi record i cocci di una costola dello Stato da tempo immemore fratturata, per ricostruirla.Cosa che, onestà intellettuale impone di dire, non si fa nell’arco di un anno ne’ di due ne’, tanto meno, nell’arco di una manciata di mesi in costanza di un emergenza sanitaria, per giunta. Gli Istituti scolastici statali, in Italia, tralasciando l’altro cancro tutto italiano della strutturale carenza di personale docente, sono circa 45mila, la stragrande maggioranza dei quali costruiti negli anni 60/70, molti dei quali tutt’ora non rispettano i criteri minimi antisismici (quante ne vogliamo di tragedie compiute o sfiorate per lo sfondamento di tetti scolastici negli ultimi decenni?). A chi ancora oggi si riempie la bocca di Tav, Mose e Stretti di Messina, sono questi i dati che gli si dovrebbe sbattere in faccia. Questa è la più grande delle opere da realizzare nel nostro Paese dopo la riqualificazione e la messa in sicurezza del nostro martoriato territorio! L’importante, a cui dovrebbe guardare un cittadino elettore avveduto, per giudicare l’attuale e qualsiasi altro governo, è se siano state poste le basi affinché queste reali, improcrastinabili, vere grandi opere, questa ricostruzione, possa avvenire e vigilare affinché avvenga. Tanti, troppi, abboccano all’amo di politici che usano il diversivo di accusare il loro avversario dei loro stessi fallimenti.Troppi, ingiustificatamente, irrazionalmente troppi (al netto di quelli che ci mangiano, che almeno una scusa ce l’hanno), che ancora credono a chi oggi promette l’impossibile ma che, quando gliene è stata data l’opportunità, non ha saputo o voluto realizzare neanche il possibile, cioè l’ordinata gestione di un Paese. Non è la cattiva politica il male peggiore dell’Italia, è la memoria corta degli italiani.

https://infosannio.com/2020/09/10/conte-e-la-memoria-corta-degli-italiani/

giovedì 30 gennaio 2020

Siamo senza speranza.

Risultato immagini per torre di babele"

Fatta una buona legge, dopo due giorni viene cancellata. Non abbiamo più speranze, siamo in mano a delinquenti che pur di non mollare il potere, si affidano anche alle organizzazioni mafiose per restare a galla e continuare a depredare il paese (lo constatiamo giornalmente leggendo i giornali e ascoltando le notizie).
Disgustoso vedere come stiano lottando per mantenere i propri privilegi invece di provvedere a legiferare per tirarci fuori dal baratro in cui ci hanno fatto cadere. Hanno avuto la sfacciataggine di ripristinarsi i vitalizi mentre a noi tolgono tutto!
A chi serve la prescrizione? A chi ha soldi e buoni avvocati per ottenerla, non certo a noi miserabili cittadini ai quali già è tanto se viene garantito un lavoro, peraltro, malpagato.
A chi serve che si mantenga la concessione autostradale ai Benetton? Solo a chi riceve oboli per mantenersi in politica, e che poi usa come ben sappiamo....
E chi vota questi miserevoli e pietosi esseri che non rinunciano a nulla?
Chi ha interesse ad avere ricambiato il favore, naturalmente; "do ut des" è la formula che va per la maggiora al momento.
Come l'apparire più che l'essere, come non usare le buone maniere per non passare da fessi, come non rispettare le regole per lo stesso motivo...
Non sappiamo neanche educare i nostri figli che, privi di freni e abbandonati a se stessi, emulano i peggiori delinquenti.
Stiamo decadendo sotto tutti i punti di vista, siamo un paese da terzo mondo per libertà di opinione, per cultura, per informazione, per mala sanità, e chi più ne ha più ne metta.
Peccato, eravamo conquistatori del mondo, esportavamo cultura, ...
Ora siamo l'ombra di noi stessi e senza alcuna speranza di cambiamento. C.

martedì 16 aprile 2019

Firenze, inchiesta sul degrado del “Giglio” sfiorito.

Droga: smantellato spaccio a Fortezza Firenze, 26 arresti

Spaccio di droga, risse, degrado in pieno centro. Viaggio in una città in crisi che si prepara alle elezioni comunali.

(panorama.it) – Perfino l’affabile cingalese in piazza della Repubblica, venditore di trottole volanti, sussurra furtivo: «Vuoi una canna?». No, grazie. Firenze, allo sbocciar di primavera, è un dedalo asserragliato. Orde di turisti, bivacchi selvaggi, clandestini piantagrane, ambulanti di tarocchi e spacciatori di tutto. L’apocalisse diventata ordinarietà. «Città dal fascino sottile» scriveva Stendhal. E adesso, ahilui, dalle grossolane brutture. Così, dal palco di un’anonima piazza periferica, Matteo Salvini arringa la folla. Accanto c’è Ubaldo Bocci, sessantenne con barba e capelli bianchi: è sulla sua spalla che s’è poggiato lo spadone leghista. A fine maggio tenterà l’inosabile: sfilare al Pd la Disneyland del Rinascimento. Il leader della Lega già lo chiama «Caro sindaco». Lui si schermisce, ma ci conta. «C’è molto da fare» sprona Salvini. «Non ci servono supereroi e belli da Pitti Uomo, ma serve gente che ami la città: compresi i quartieri dove non si può andare nei giardini perché spacciano».

L’altro Matteo, quel Renzi disarcionato, ribatte ribaldo: «Caro Salvini, prima di parlare dei risultati della mia città, sciacquati la bocca. Perché la mia città si chiama Firenze, e Firenze sa riconoscere da lontano i venditori di fumo. Viva la bellezza, viva Fiorenza». Da mesi, Renzi largheggia: dalle rive dell’Arno partirà la riscossa. L’ex premier, già sindaco della capitale medicea, medita vendetta, tremenda vendetta. Si frega le mani. Le amministrative, spera, saranno l’occasione per dare un buffetto all’arcinemico populista. Che gli ha sottratto potere, voti e popolarità.

Matteo contro Matteo. A Firenze è scoccata la campagna elettorale. Da una parte, Dario Nardella: delfino dell’ex Rottamatore. Dall’altra, Ubaldo Bocci: candidato del centrodestra. Del primo contendente molto si sa: ex diessino, poi renzianissimo, adesso zingarettiano. Anche se, malcelando imbarazzo, notifica: «Il mio partito è Firenze». L’altro è un neofita della politica: manager di Azimut, società di consulenza patrimoniale, e cattolico attivissimo nel volontariato. Dunque, Dario contro Ubaldo: il partitone della prossima tornata. L’inarrestabile Lega tenta di gabbare il declinante Pd. Buttando in campo gli endemici malanni del capoluogo toscano: degrado, criminalità e lassismo.

Nardella, reduce da un lustro al comando, mette le mani avanti: «Firenze non è una città più insicura di altre. Non abbiamo un’emergenza sicurezza». Le cronache degli ultimi mesi lasciano qualche perplessità. Una sequela di violenze: e non nelle lande periferiche, ma tra i palazzi rinascimentali del centro. Come la recente megarissa in piazza dei Ciompi: una spedizione punitiva, sul far della sera, con un gruppetto di nordafricani che aggredisce un tunisino con una mazza. O la singolar tenzone, due settimane fa, al mercato di san Lorenzo: cinque extracomunitari finiti all’ospedale. Oppure la furibonda lite, un mese orsono, in via dei Servi, a pochi passi dal Duomo. Una zona che, ogni weekend, diventa un ring urbano: cazzotti, spranghe, bottiglie, furti, spaccio. Residenti e commercianti, esasperati, fanno colletta per pagare un servizio di vigilanza. Per fortuna, arriva Nardella: «Non lasceremo che in via dei Servi viga la legge del più forte!».

Campa cavallo, gli rispondono i fiorentini. Già scossi dalla morte, il 10 giugno 2018, di Duccio Dini, 29 anni. In sella al suo scooter, una domenica mattina, è centrato da due auto che si inseguono: un regolamento di conti da poliziottesco americano. Sette rom vengono arrestati. Segue sommossa popolare, al grido di: chiudete i campi nomadi. A partire dal più problematico: il Poderaccio. «Lo smantelleremo» promette Nardella. La contingenza richiede determinazione e tempismo? «Ci vorranno diciotto mesi» indugia il sindaco. Nell’attesa, il campo rom rimane lì: intonso. Tra le usanze locali c’è il rogo di cataste di rifiuti e masserizie. Solo nelle ultime settimane, i vigili del fuoco sono intervenuti tre volte.

Nell’attesa di smobilitare, la scorsa estate è stata sgomberata l’attigua baraccopoli. Il 2 luglio 2018, mentre osserva ammirato la più salviniana delle ruspe in azione, Nardella annuncia: «Un altro intervento concreto su legalità e cura della città. Andiamo avanti con il nostro piano contro le occupazioni abusive». Già. Eppure, come documenta solerte il deputato di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, due mesi dopo i rumeni s’erano riaccampati: poche decine di metri più in là.

Tutto tace invece in un altro insediamento dei dintorni. È in una fabbrica dismessa: la Gover. Anche qui: cumuli di lerciume, carcasse d’auto, escrementi umani. A pochi metri, in via del Pesciolino, c’è una distesa di palazzoni e un parco giochi. L’olezzo arriva fino agli scivoli. Niente paura, però. Rinascita imminente. Già il 18 aprile del 2012 il predecessore di Nardella, l’indimenticato Renzi, deflagra: «Così non può andare avanti! Bisogna mettere a posto». Agli inferociti residenti spiega che il tempo dei cincischiamenti è finito: o intervengono i proprietari dell’area, altrimenti ci pensa il Comune. Ruspa! Com’è finita, non smette di ricordarlo il solito Donzelli, con periodiche e urticanti incursioni. L’ultima è di qualche settimana fa. Solita solfa: «Insicurezza, sporcizia, degrado» cataloga il deputato. «Ormai gli abitanti della zona sono in balia degli abusivi». 

Altra cavalcata trionfale è quella degli immobili occupati. Un anno fa, in risposta a un’interrogazione di Arianna Xekalos, allora capogruppo dei Cinque stelle in consiglio e adesso alla guida della civica «Firenze in movimento», l’assessore al ramo ne conteggia ben 26. Diciassette sono di privati. Come l’ex hotel Concorde, dove lo scorso dicembre l’ennesimo incendio ha mandato sette persone all’ospedale. Quattro edifici, poi, sono pubblici. A partire dall’ex scuola Don Facibeni, sede del centro sociale Cpa occupata dal 2001. Tra le iniziative più acclamate del collettivo si segnala, un anno fa, l’incontro con l’ex brigatista Barbara Balzerani, in occasione del quarantennale del rapimento di Aldo Moro. L’opposizione, in testa il battagliero capogruppo di Fratelli d’Italia, Francesco Torselli, chiede l’immediato sgombero. Ma Nardella frena: «È un’operazione complessa». E aggiunge: «Se fosse stato facile, l’avrebbero sgomberato da vent’anni…». Inappuntabile.

Niente paura, però. L’arma segreta contro le occupazioni abusive c’è. E ha persino un nome: cabina di regia. Orpello di memoria craxiana e d’indimenticabile inutilità. Stavolta invece si fa sul serio. Regione, Comune, demanio, diocesi. Tutti uniti, meglio degli Avengers. Gli irregolari hanno le ore contate. Lo stesso dicasi per i turisti sudicioni e maleducati. Quelli sì, messi in riga come soldatini. Rieducati, uno dopo l’altro, a suon d’illuminate ordinanze. «Cos’è il genio?» ragionava il fiorentinissimo Perozzi di Amici miei. «È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione». Qualità sfoderate dal sindaco nella lotta ai bivacchi. I gitanti si sbracano indecorosamente? Lui fa bagnare con gli idranti gli scalini del Duomo e le altre zone di assembramenti. «Una misura gentile, che evita la multa» chiarisce Nardella. Talmente gentile da aver accolto il plauso dei turisti. Pronti a riaccomodarsi sui limpi gradini, dopo rapida evaporazione acquea. O a bagnarsi i calzoni in cerca di refrigerio.

Ben congegnata anche la soluzione per le code in via de’ Neri, dove c’è un’affollatissima rivendita di cibarie. Qui vige un’inflessibile ordinanza anti-panini. Impone consumazione dinamica, evitando ogni staticità. Insomma: bisogna mangiare in piedi, o meglio camminando. Passi lunghi e ben distesi. «Una risposta concreta e di buonsenso» esulta Nardella.

Magari il problema fossero solo i turisti maleducati… Ci sono quelli che scambiano i monumenti per latrine. Gli studenti ubriachi che vagano molesti nella notte. Le risse a colpi di bottigliate. E uno spaccio ormai capillare. Qualsiasi droga in qualsiasi angolo del centro. Ogni giorno: dalle 8 e 30 del mattino fino all’alba successiva. Malavita di strada che s’è ormai regolamentata. Del resto, nell’ultimo indice di criminalità pubblicato da Il Sole 24 ore, Firenze è la quarta provincia italiana per denunce di reati. «È diventata la città delle illegalità» bombarda Marco Stella, coordinatore fiorentino di Forza Italia. 

In ossequio al conterraneo Dante Alighieri, Nardella però «guarda e passa». Anzi: rilancia. «In questi cinque anni» gongola «abbiamo realizzato il 95 per cento dei punti del programma!». Urca! Nemmeno Renzi avrebbe osato tanto. L’allievo straccia il maestro. La dura realtà costretta a inchinarsi davanti a palmari evidenze numeriche: un nuovo Rinascimento è già cominciato. I colpevoli fiorentini, distratti dal logorio della vita moderna, se ne facciano una ragione. 

https://infosannio.wordpress.com/2019/04/15/firenze-inchiesta-sul-degrado-del-giglio-sfiorito/

lunedì 21 agosto 2017

Turisti cafoni e monnezza: anche gli alieni ci schifano. Andrea Scanzi



E’ un peccato che gli alieni non si decidano a invaderci: ci aiuterebbero oltremodo. Certo, vanno capiti. Non siamo granché appetibili ed è difficile immaginare una razza venuta peggio di quella umana. Bastano piccole cose per capirlo, anche solo farsi un giro in treno o su Twitter, tra gente che urla al telefonino coi piedi sul sedile, sgrufolatori di panini immondi che ti masticano davanti – in un abisso parossistico di orrore – e intellettuali di riferimento che scrivono cinguettii da prima elementare convinti d’esser fighi. 

Il massimo della pochezza risiede però, e probabilmente, nella cafoneria che sa raggiungere l’essere umano. Soprattutto, ma non solo, d’estate. Tralasciando per carità di patria – e di ormoni – quelli che per sentirsi vivi fanno sesso in pubblico, e a vederli hai subito voglia di astinenza orgasmica eterna, le cronache di questi giorni sono un florilegio di fenomeni allo stato brado. Una rumenta variegata e spensierata, lanciata a bomba contro la truzzeria infinita. Poveri noi: condoglianze alla decenza minima. 

Nella spiaggia rosa di Budelli, gioiello dell’Arcipelago di La Maddalena, un manipolo di furboni si è intrufolato di notte per rubare un po’ di chicchi rosa. Senz’altro, tornando a casa, quel manipolo si è sentito pure figo. Andrebbe premiato con qualche anno di galera, ma il cafone – di qualsiasi nazionalità – è così coccolato da essere quasi sempre protetto da una sostanziale impunità. 

E sono a milioni, i cafoni. A Caprera, ricordava giorni fa Nicola Pinna su La Stampa, “i vandali hanno abbattuto l’ormeggio in pietra della batteria militare di Candeo, fortezza della Seconda guerra mondiale. A colpi di mazza, cancellando un pezzo della storia militare di La Maddalena”. 
Dieci anni di prigione ascoltando Povia in filodiffusione, no? 
C’è poi chi ha svuotato un bidone intero di olio per motori all’interno della Fontana dei Tritoni di Roma, un gesto che anche solo a pensarlo andresti internato ad honorem. 

A Caserta una donna ha poi fatto il bagno seminuda nella Reggia, e dunque nella vasca di Diana e Atteone: appartiene senz’altro anche lei a quella galassia di diversamente esteti che passeggia nei centri storici vestita ancora da spiaggia. 
Costume, infradito e altri demoni. Giunti al tramonto – anzi alla putrefazione – di quel che resta dell’Occidente, non ci risulta granché dolce naufragare in questo mare di vandalismo & monnezza: è come se, in ogni suo gesto, una consistente parte di umanità dovesse ricordare a se stessa e al mondo quanto è brutta. 

E ci riesce, eh: ci riesce benissimo. Ci riesce alla grande. Ci riesce il “turista” che fa il bagno nella fontana di Trevi, e quando lo guardano è convinto che lo facciano per gli addominali (che non ha) e non per la demenza (che ha in disavanzo). E ci riescono i novelli Phelps che, con plasticità non pervenuta, si tuffano a Venezia dal ponte di Calatrava. A ogni loro respiro, siffatti eroi contemporanei intendono dar torto alle teorie evoluzionistiche di Darwin, pur non sapendo minimamente – va da sé – chi sia mai stato ‘sto Darwin. 
Solidarietà poi a Villamare nel Cilento, così bella e certo non meritevole della condanna biblica di quei “turisti” entrati in Chiesa in costume e infradito. Meritorio pure chi, ogni anno, fa puntualmente la foto di rito in Piazza del Popolo a Roma a cavallo dei leoni. Risulta poi epica e meritevole di solenne encomio la scienziata che, a Porto Pino in Sardegna, ha sciacquato la scatoletta di tonno in mare. E nel farlo si è sentita normale. Crede davvero che una cosa così sia normale. Ed è tutto lì il dramma. Ed è proprio per questo che, a invaderci, gli alieni non ci pensano proprio. (Il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2017)

http://www.andreascanzi.it/?p=5079

domenica 3 aprile 2016

Palermo maltrattata.


E' mortificante vedere Palermo, una città splendida, nel degrado totale. La sporcizia dilaga; da tempo immemorabile cartacce, sterpaglia alta due metri, vetri di bottiglie, sacchetti di plastica sono sparsi ovunque, nelle aiuole, sui marciapiedi e a coprire tombini con il conseguente intasamento ed allagamento in caso di pioggia.
E non si può attribuire la colpa solo ai palermitani ineducati, perchè questa sporcizia è lì da sempre, non viene mai raccolta, e quando, sporadicamente, il comune di degna di mandare gli "operatori ecologici", che di ecologico hanno poco o nulla, questa spazzatura viene ammonticchiata e lasciata sul posto per tanto tempo, con il risultato che la prima folata di vento la sparpaglia nuovamente ovunque capiti!
Io le tasse le pago, tutte e tante, gradirei averne un riscontro!




Cetta.

martedì 8 luglio 2014

Buonanotte Palermo Cronache di una città allo sbando. - Roberto Puglisi



   







Niente risveglia Palermo dal coma profondo in cui è piombata. Dalle catacombe non arrivano notizie confortanti. Nel frattempo, la vita è sempre più complicata.


L'unica paradossale e fantastica notizia del risveglio a Palermo, città sonnambula, si specchia nello sguardo di una bambina quasi centenaria che, dopo un lungo periodo di immobilità, ha aperto le sue pupille pietrificate nel buio di una cripta, secondo gossip e credulità popolare. Rosalia Lombardo, celebre mummia, vanto dell'ossario dei Cappuccini, è finita suo malgrado sui giornali, nella diceria dell'oltretomba, per uno scatto che la ritrae con gli occhi socchiusi, in posa da viva e, appunto, da sveglia. Fenomeno surreale, impregnato di mistero solo letterario, essendo Rosalia morta e conservata sugli scaffali del tempo, da quando il destino la rapì che era piccola e suo padre col cuore spezzato la affidò alle cure di un noto imbalsamatore, affinché la morte somigliasse alla vita.
Povera Rosalia, passata nell'istante di un respiro alla giovinezza immutabile, all'eternità di ciò che non può crescere più.

Poveri noi che abbiamo provato un sussulto, una scossa elettrica, mediati da coriaceo stupore difensivo, nell'apprendere che la bambina dei Cappuccini si era risvegliata. Un segno del cielo pareva. Un modo per dire: alzati, Palermo, non dormire più.
La storia si è spenta come una fiammella. E' rimasta soffocata nei fondali dell'anima irrazionale. Era, ovviamente, un'illusione ottica. Una metafora inutilizzabile. Siamo ripiombati nel sonnambulismo, nel vizio che scambiamo per virtù, nel nostro consueto dormire a occhi spalancati, nel sonno dinamico che ci consente di scavalcare macerie e corpi, mettendo a tacere i conati dell'indignazione. E' la sopravvivenza al minimo sindacale garantita ai palermitani: dormire, per non vedere. Non guardare, per non soffrire. Procedere con gli occhi serrati, per non immaginare di meglio. Non hanno luce i nostri occhi, né la cercano. Sono puntini neri dipinti sulla corteccia di burattini che siamo diventati, noi, imbalsamati, disperati e soddisfatti. Palermitani, morti e contenti. In piena (in)coscienza. E non c'è contraddizione.

La morte civile della città sonnambula non è un modo di dire, è uno stato di catatonia individuale e generale. Chiunque, in qualunque parte del mondo segnata a dito sulla cartina geografica, aprirebbe gli occhi per cominciare un percorso di rinnovamento, per demolire il brutto, sottraendosi all'alibi della lamentazione, proprio perché il brutto non ci dà più scampo, invade le case, dai marciapiedi. Né è più sufficiente lo scudo dell'insigne intellettuale che proclamò: "Io non sto a Palermo. Io sto a casa mia". Non siamo fatti per la fatica, per i mattoni sollevati a spalla, per la luminosità di una cittadinanza rinascimentale. Ci vuole un condottiero-capro espiatorio a cui affidarsi, sapendo che per fortuna fallirà, uno che regali perline colorate, mentre si prepara il gran finale in cui sta scritto che siamo immutabili. A sipario chiuso, si leverà un ronf ronf di sollievo, dalla platea di dormienti. Conviviamo con l'orrore e con la felicità del disastro. Il sonnambulismo è una disgrazia, ma è pure l'antidoto contro pericolosi sintomi di  una vivacità che ci obblighi a fare i conti nel modo giusto. Hai visto mai che si cambi rotta sul serio, che secoli di autocannibalismo siano sostituiti dalla misura di una buona amministrazione, in grado di pensare rivoluzioni sensate, non rivolte senza capo né coda?

La politica cittadina è funzionale alla proclamazione del naufragio, a confermare Palermo come luogo della decadenza: è questa la sicurezza che pretendiamo, nello spazio del cuore nascosto, sotto il cuore di superficie che mente a se stesso, lì, nel posto della vergogna. Dove non c'è una città, non ci sono cittadini, né doveri, né obblighi. Non ci sono neanche i diritti. Ci sono i furbi che si giustificano con lo stato di necessità. E' una categoria generosa, quella dei furbi. Si accettano le iscrizioni di tutti, soprattutto degli ex duri e puri.

Da condottiero a condottiero, da fante a fante, da sottogoverno a sottogoverno, Palermo non cambia. Si compiace della sua sporcizia, del suo caos, della sua degradazione. Possono cambiare parole, promesse e trucchi. Può cambiare l'abilità del prestigiatore pro tempore sulla scena. Ma Palermo non cambia. E' una catacomba gigantesca, senza un filo d'aria. I morti viventi che la abitano non hanno l'istinto di socchiudere mezza palpebra. I cammini si confondono nelle ripetizioni, nell'eco di altri cammini egualmente destinati alla sconfitta e alla sua rassegnata accettazione. La reiterazione obbligata della speranza ha il pallore di un trapasso. Il suono di sottofondo che invita alla lotta, alla battaglia per la legalità, alla sacra crociata, appartiene alla ruggine di un registratore rotto. Non è soltanto la politica, l'inutile e retorica politica, la mano che stringe il cappio.
La favola di una palingenesi impossibile si celebra perché garantita dall'indifferenza delle orecchie che ascoltano la musica, noncuranti del senso. La puntura di spillo della coscienza dura un attimo. Prestiamo fede alle bugie, ai santissimi salvatori, ai ciarlatani, ai miracoli subito smentiti, alla piccola Rosalia, alla suora che - altro gossip dell'oltretomba - appare al Capo, non si sa se per impartire benedizioni o anatemi dall'alto di un campanile. Perfino  la Grande Rosalia, nel senso della Santuzza, ha abdicato e non ci protegge più dalla peste.

La morte civile, compiuta, di Palermo è narrata dalla cronaca abitudinaria, dalle intercettazioni delle operazioni che conducono in galera file chilometriche di mafiosi, con un'abbondanza da fare invidia al prefetto Mori. Eppure, neanche la decimazione del mafioso antropologico provoca l'ingresso di aria fresca nella cripta. Per uno scarafaggio schiacciato ce ne sono altri dieci, partoriti dal fango e dall'immondizia.

Il sonnambulismo è spiegato benissimo dal contesto omertoso dell'omicidio di Daniele Discrede, il commerciante assassinato davanti alla sua bambina. Sangue ingoiato e digerito. Non un comitato spontaneo, non un cenno di rabbia, non un moto cittadino di protesta e di richiesta di verità. Un corteo con la gente del quartiere, poi basta. La morte violenta, corollario della morte civile, torna a rivestire panni privati. Un affare della famiglia, di quelli presi in mezzo, degli amici e dei conoscenti. Ci pensino loro a percorrere la strada oscura nella cripta verso un filo di spiegazione, nell'intreccio dei perché. Non avranno nessuno accanto, stati di Facebook esclusi. Non ci sarà alcun piede in transito, accanto ai piedi delle vittime ingiustamente offese in viaggio verso l'ignoto.

Ma non c'è bisogno di citare episodi eclatanti. Questa città cade a pezzi, per quanto si volga lo sguardo altrove. E' defunta nella sua quotidianità. Sporca. Priva di servizi elementari. Intasata. Spogliata del più flebile anelito di riscatto. Preda di personaggi che dettano legge nei vicoli, corroborati da protervia e arroganza, senza che alcuno osi frapporsi tra la violenza e il raggiungimento di un risultato abusivo. Gli esempi di scuola abbondano. Provate a gironzolare con la macchina, un martedì a caso, in viale Francia, zona di palazzoni borghesi. Provateci e scoprirete che non si può passare. C'è il mercatino a invadere la carreggiata. I residenti non escono. I forestieri non entrano. E ci sono i vigili. E c'è un assessore. E c'è un sindaco. E c'è la legalità. Viale Francia, nei suoi martedì, subisce un provvedimento di custodia cautelare. Lo stesso accade nei mercoledì di viale Campania, nei giorni qualsiasi di una capitale rubata a se stessa. In ogni paesello italiano scoppierebbe un'insurrezione, per sottrazione di suolo pubblico. Da noi no. Accettiamo il fa(t)to. Chiniamo la testa. Siamo sonnambuli. Dormiamo. Palermo sonnecchia in custodia cautelare, con le manette ai polsi, tra i negozi con le saracinesche calate e un plumbeo annuncio di tracollo.

E che raccontare di nuovo di Mondello, simbolo dei simboli, al culmine della stagione estiva? La cittadella che costeggia il mare sarebbe un forziere di bellezza, dappertutto, non qui. La martoriata Mondello è assediata dall'incuria, dalla munnizza. Il mare si conserva intatto, con una magia che non sappiamo amare abbastanza, fino ai primi giorni di luglio e per tutto settembre. Nel resto della stagione assume una tonalità inquietante, un colorito ambiguo, da sedimentazione delle urine. Vengono convocati esperti al capezzale dell'acqua marcia. Variabilmente sentenziano, ma ciò ha poca importanza. E' invece importante che il palermitano si senta rassicurato nel suo calvario estivo, che ricominci a tuffarsi, senza il disagio di onde stranamente pulite. E' importante che le spiagge, ridotte a campo di sterminio della bellezza, diano il consueto colpo d'occhio desolante. E' importante sapere di essere a casa, a Palermo, la città sporca e invivibile, dove basta dormire o vagare da sonnambuli per adattarsi. Il sonnambulismo è l'arte che si impara per campare, guai a metterla da parte.

Nel frattempo, i condottieri pro tempore sperimentano. Chiudono pezzi di viabilità in odio alle cavie della macchina, millantando l'esistenza di invisibili mezzi comunali a disposizione. Chiudono il parco della Favorita, infliggendo agli automobilisti una pena aggiuntiva, per garantire una corsia pedonale popolata da cani, zecche e radi ciclisti. Tutto viene contrabbandato come una svolta epocale, una gemma di educazione, un diadema di civiltà. E' proprio quello che ci voleva: infedele panormosauro sei, se non lo capisci da te. La neo-lingua della finzione tramite comunicato autorizza ogni paradosso. L'ordalia termina con un gioioso comunicatone finale in cui appunto si comunica che - certo, ma chi l'avrebbe mai pensato - c'è stata qualche criticità. Dunque si rimanda la soluzione del problema, scontentando i ciclomani che avevano fatto la bocca alla Favorita sgombra e i volantomani che non hanno mai capito l'origine di tale, gratuita sofferenza. Era un esperimento, siatene orgogliosi. In calce al comunicato non c'è traccia di un sommesso "scusate". Gli esperimenti costano. E, modestamente, non latitano, a condizione che siano almeno sufficientemente inutili, se non proprio meravigliosamente dannosi.

In calce alla devastazione, nel cuore nascosto della cripta di Palermo, nessuno apre gli occhi. Nessuno ha uno sguardo che non sia sonnambulo. Nessuno si affaccia oltre le grate della prigione per respirare un po'. Dormi tranquilla il sonno dei bambini per sempre. Dormi e non svegliarti, piccola Rosalia.

lunedì 14 ottobre 2013

Palermo, capitale dei diritti an(negati). - Lorenzo Matassa



Palermo, capitale dei diritti an(negati)


PALERMO - Pubblichiamo integralmente la lettera inviata dal magistrato palermitano Lorenzo Matassa al presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, in cui si descrive lo stato di degrado in cui versa la città. 

Gentile Presidente della Camera dei Deputati, l'ho udita affermare che "Palermo è la Capitale dei Diritti". A lungo ho meditato su questa Sua frase, non comprendendo se fosse un reale convincimento o, piuttosto, un paradosso concettuale in forma di ossimoro (insomma una specie di "ghiaccio bollente" della idealità sociale).

Ma il modo in cui quella affermazione è stata poi ripresa e chiarita dai giornali non lascia spazio ad alcun dubbio. Lei è davvero convinta che la mia città sia il modello e l'esempio di integrazione sociale nel rispetto delle regole. Probabilmente questo convincimento nasce dal fatto che Lei qui non ha mai vissuto. E, sicuramente, qualcuno l'ha convinta che l'inverosimile fosse Verità. D'altronde la terra che calpestiamo è la stessa di cui scriveva Pirandello. È facile lasciarLe questo convincimento. Basta stare silenti, magari con un bel sorrisetto da protocollo cerimoniale stampato in volto...

Però - ne converrà con me - a volte, il silenzio degli interlocutori è il più complice degli atti. Ne sappiamo qualcosa noi siciliani che, nel silenzio e nell'indifferenza, abbiamo fatto crescere ed affermare l'orribile mostro mafioso fino a quando non ci ha divorati. Allora, Le consegnerò poche (ma assai sentite parole) che - sono certo - Le serviranno a comprendere quanto la Sua frase sia lontana dalla realtà di Palermo.

La Verità è che interi quartieri, abitati da migliaia di cittadini, sono abbandonati al degrado. Guardi questa foto ritratta nel giorno in cui Lei si trovava in città. È il quartiere adiacente al Tribunale. Il luogo in cui, anticamente, due fiumi (il Kemonia ed il Papireto) confluivano. Ecco cosa è oggi...

L'immagine della città annegata nei rifiuti è anche la drammatica metafora dei diritti (an)negati. In quel vivere, sommersa dai suoi stessi reflui, c'è il senso della sua vita quotidiana. Un immenso e maleodorante caos in cui corruzione e cleptocrazia sono la regola. Non Le chiederò di chiarirmi chi comanda quelle zone degradate...

Tutto questo non sparisce, per incanto, al passaggio carnevalesco di carri in maschera dove l'orgoglio di una identità si confonde con un travestito delirio parossistico. E - sono certo - che Thomas Mann Le avrebbe detto che l'amore per una persona dello stesso sesso non ha bisogno di travestirsi ed immiserirsi per essere raccontato. Se non mi crede, provi a rileggere "La morte a Venezia" e mi capirà...


http://livesicilia.it/2013/10/13/palermo-capitale-dei-diritti-annegati_385378/


venerdì 26 luglio 2013

Commercianti e posteggiatori distruggono l'isola pedonale di piazza San Domenico. - Sara Scarafia e Vassily Sortino

In pezzi l'isola pedonale di piazza San Domenico


Panchine divelte, vasi rotti: stamattina una cinquantina di persone hanno paralizzato il traffico in via Roma. Il sindaco Leoluca Orlando all'attacco: "Denunceremo chi ha fatto danni".

Tutto distrutto: panchine divelte, vasi rotti e rovesciati per strada e cuscini strappati: negozianti e posteggiatori abusivi distruggono l'isola pedonale di piazza San Domenico. Da stamattina una cinquantina di persone bloccano il traffico in via Roma accusando il Comune di aver fatto crollarte i loro affari con la decisione di mantenere fino a ottobre l'isola pedonale in piazza San Domenico.

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Durissimo il sindaco Leoluca Orlando: "Chi fa scelte e tiene comportamenti violenti non avrà mai alcun dialogo con l'amministrazione comunale. I commercianti scelgano se stare dalla parte della legge o lasciarsi sobillare da chi vuole gestire il racket del parcheggio abusivo.Chi oggi ha fatto danni sarà  denunciato e il Comune si costituirà parte civile". 
I commercianti hanno deciso di vandalizzare l'intera piazza distruggendo gli arredi che ormai dal 4 luglio accolgono i palermitani. Salvatore Tabita, negoziante della Vucciria parla per tutti i colleghi del mercato:  "Nessuno ci ha mai detto che la piazza sarebbe stata chiusa e in ogni caso sapevamo che entro il 15 luglio sarebbe stata smantellata: così la Vucciria è definitivamente morta".
 
LEGGI: SI' DEL COMUNE ALLE PIAZZE SALOTTO  

Intono alle 10,30 i negozianti hanno eliminato il blocco stradale, consentendo nuovamente il passaggio delle auto su via Roma. Chiedono un incontro con l'assessore al Centro storico Agata Bazzi. Ma l'amministrazione non sembra intenzionata a incontrarli.   

In pezzi l'isola pedonale di piazza San Domenico

mercoledì 10 luglio 2013

Come siamo caduti in basso.



Palermo, fulcro di cultura nei tempi passati, divenuta un immondezzaio nauseabondo impraticabile.
Strade dissestate rese ancor più impraticabili da dissuasori rovina-auto e buche mai riparate; 

ovunque sterpaglia secca che ha preso il posto di quelle che dovrebbero essere aiuole fiorite, brulicanti di spazzatura mai raccolta; 
antichi palazzi, vanto della nobiltà di un tempo, in stato di abbandono e degrado; speculazione edilizia ai massimi livelli.
E, a condire il tutto, altra giornata persa in cerca di un banco posta funzionante con dispendio di tempo e benzina (ben 5 in centro).
Non credo che in Burundi stiano peggio di noi.