mercoledì 30 settembre 2020

“Sta funzionando: ma questa gente sa di cosa parla?” - Carlo Di Foggia

 



Elena Granaglia, docente di Scienza delle Finanze a Roma Tre e membro del Coordinamento del Forum Disuguaglianze. È in corso un assalto al Reddito di cittadinanza, secondo lei è una misura perfettibile?

Sì, ma non va snaturato. La misura ha funzionato, ci sono tre milioni di beneficiari, la povertà si è ridotta. In Italia mancava: esiste in tutti i Paesi d’Europa.

Prima critica: la soglia è troppo alta.

Quella del Reddito di inclusione era 187 euro, non dignitosa. La soglia del Rdc, 780 euro individuali, è quella della povertà relativa indicata da Eurostat, non l’hanno inventata i 5Stelle. Oggi il Rdc penalizza moltissimo le famiglie numerose e non va bene, ma si può risolvere con più risorse o abbassando un po’ la soglia.

Seconda critica: va anche agli evasori.

Può essere, ma il problema è il Rdc o l’evasione? Come diceva il sociologo Albert Hirschman, quando vari una misura, devi decidere da che parte sbagliare. Basta migliorare i controlli. O aboliamo il Servizio sanitario perché lo usano pure gli evasori?

Mezzo arco politico ritiene che sia troppo assistenziale e che non aiuti a trovare il lavoro.

Fioccano articoli che dicono che è un flop perché non attiva abbastanza persone al lavoro, che al Nord le imprese non trovano ingegneri qualificati… Ma hanno idea di chi sono i percettori del Rdc? Se il lavoro è decoroso, difficile che vi rinuncino. Ma forse dobbiamo intenderci su cosa sia decoroso…

Cito il governatore emiliano Stefano Bonaccini: “Serve dare un assegno per poco e poi farli alzare dal divano e farli andare a lavorare”.

È una narrazione che si basa sull’aneddotica, non ha nulla a che fare con i dati. Quelli europei dicono che i poveri vogliono lavorare e comunque è sbagliato valutare il successo di queste misure solo dal lato del lavoro.

Perché?

In tutta Europa il successo di queste misure dal lato delle politiche attive è molto basso rispetto al contrasto alla povertà. Anche in Germania se le dovessimo valutare sotto questo profilo sono degli insuccessi. L’obiettivo è prima di tutto il sostegno al reddito, a questo servono le misure anti-povertà. Che, peraltro, sono solo l’ultimo passo. Non si può contrastare la povertà solo con trasferimenti monetari, ma nel processo economico che la genera. Dobbiamo pensare a come produciamo e distribuiamo il valore aggiunto e creiamo occupazione di qualità. Oggi questa manca, non è un problema del Rdc.

Perché c’è tanta ostilità verso questa misura?

È una conseguenza della cultura lavorista, l’idea che solo il lavoro ti definisca. E anche dell’impoverimento del Paese, meno disposto a misure anti-povertà. La politica è ostile al Rdc, siamo stati gli ultimi in Europa ad averlo introdotto.

Il Rdc ha troppe condizionalità?

In parte sì. Vanno ridotte quelle patrimoniali: abbiamo 10 milioni di persone che hanno risparmi per un mese. Anche quella di fare lavori socialmente utili la trovo ingiusta: se non c’è lavoro, perché obbligarti a quello gratuito solo perché la collettività ti aiuta? La collettività siamo noi: se ci va bene finanziamo con imposte programmi anti povertà e se ci va male ne godremo. È così che funziona il welfare.

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