sabato 23 gennaio 2021

Lombardia, il premio ai medici è l’ingiunzione: “Restituiteci 14,7 milioni di euro d’indennità”. Pasticcio sui servizi di continuità assistenziale. - Thomas Mackinson

 

Nel pieno della seconda ondata la Regione ha preso a bussare alle ex guardie mediche per recuperare l'obolo di un euro che aveva stabilito per le visite a pazienti fuori dall'ambito in cui risiedono. Lo sconcerto dei camici di Bergamo: "La messa in mora pochi mesi dopo che i medici di famiglia sono stati mandati allo sbaraglio". La Federazione dei medici (Fimmg) fa muro e invita gli iscritti a non pagare.

Dal governatore Attilio Fontana in giù son tutti dalla parte dei medici, a parole. Regione Lombardia, che resta in stato di massima allerta, ha pensato bene di premiarli con ingiunzioni a restituire entro 30 giorni cifre che variano da poche centinaia a diverse migliaia di euro a testa, per totali 14,7 milioni. Tutto per un euro di troppo, e per un pasticcio che riporta proprio al Pirellone, per altro sul fronte della “continuità assistenziale” che si è rivelato fragilissimo alla prova del virus. Il pasticcio riguarda la remunerazione delle cure ai pazienti “fuori ambito”. Dal 2005, a livello nazionale, un cittadino che si trova al di fuori della propria zona di residenza e si rivolge alla guardia medica paga 15 euro per una visita in ambulatorio e 25 a domicilio come onorario extra per il medico. Il paziente, fattura alla mano, chiede il rimborso alla propria azienda sanitaria.

Ma in Lombardia no, si fa diversamente. Nel 2007 la Regione e i sindacati dei medici stabiliscono di cancellare il pagamento cash per i non residenti. La Regione dice “pago tutto io”, elimina i compensi extra di 15-25 euro e aumenta di un euro all’ora (da 22 a 23 euro) la tariffa riconosciuta ai medici di continuità assistenziale. Così per 13 anni, finché nel 2018 l’aumento forfettario finisce sotto la lente della Finanza di Varese, che svolge indagini e trasmette i risultati alla Procura della Corte dei conti. Perché? Perché il contratto collettivo del 2005 prevedeva per i medici una “indennità onnicomprensiva”: quindi l’aumento di un euro deciso a livello lombardo era ingiustificato. Il danno economico calcolato dalla Corte dei Conti per la regione è di minimo 14.7 milioni. A risponderne ad aprile saranno 11 dirigenti regionali lombardi.

Nel frattempo il Pirellone sospende l’accordo a maggio 2019 e inizia a lavorare per il recupero delle somme in via cautelare. Si mette in moto la macchina delle ingiunzioni via Pec che ingrana la quarta nell’autunno 2020, con le otto Ats lombarde che inviano ai medici le lettere con la messa in mora dei soldi “in più” ricevuti tra il 2007 e il 2019 per visitare pazienti di notte, nei festivi, giorno di Natale e Capodanno. Peccato che a distanza di tanti anni quelle guardie siano diventate per lo più medici di base, proprio quelli ai cui studi hanno bussato orde di pazienti covid. Non avevano il tempo di respirare, ma dovevano trovare quello per chiamare un avvocato e i sindacati per capire come fosse possibile.

“Quando ho ricevuto l’avviso mi sono cadute le braccia”, racconta Mirko Tassinari, medico di base a Bergamo, la città dove sfilavano i camion con le bare. E’ uno dei tanti camici che si è speso per fermare il Covid rischiando la vita, uno dei primi ad ammalarsi a marzo 2020. Anche lui ha avuto un passato da guardia medica tra dal 2009 al 2014. “La paga di una guardia è molto bassa, quell’euro in più la alzava di circa 1000-1500 euro l’anno”. Il calcolo è presto fatto. In virtù del “pasticcio” dovrà restituire qualcosa come 6-8mila euro. “Quello che mi fa più rabbia è che la messa in mora sia scattata pochi mesi dopo che i medici di famiglia sono stati mandati allo sbaraglio senza protezioni, senza medicinali, in quelle province dove ci sono stati il 25% dei medici ammalati per il covid. Nella mia sei sono morti”.

La categoria alza ovviamente un muro. Il segretario generale della Federazione Italiana dei Medici di Medicina generale Paola Pedrini ha affidato ai legali dell’associazione la tutela degli iscritti invitandoli a non pagare: “I nostri legali danno supporto a tutti i medici che si ritrovano l’ingiunzione tra le mani e la Federazione invita gli iscritti a non pagare”. Avete proposto impugnative e ricorsi? “In realtà no, il parere degli avvocati è che la pretesa sia tanto infondata che non è neppure necessario agire in questo senso”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/22/lombardia-il-premio-ai-medici-e-lingiunzione-restituiteci-147-milioni-di-euro-dindennita-pasticcio-sui-servizi-di-continuita-assistenziale/6066659/

Cesa una volta. - Marco Travaglio

 

Deliziosa, come sempre, la lettura dei giornali dominati da uno sconfinato stupore perché un giglio di campo come Lorenzo Cesa è finito indagato. Chi l’avrebbe mai detto che l’ex portamazzette di Prandini (per gli amici Prendini), arrestato nel ’93 dopo breve latitanza, reo confesso in un verbale che si apriva con un “Ho deciso di svuotare il sacco” degno di Pietro Gambadilegno, finisse nei guai giudiziari? Oltre al comprensibile sbigottimento, la libera stampa distilla le più varie interpretazioni politiche del blitz “a orologeria” di Gratteri nel pieno della caccia ai voltagabbana responsabili o costruttori. Il Cesa infatti era fino all’altroieri il segretario dell’Udc, già Unione dei carcerati, in cui non si sa come si sono ultimamente infiltrati alcuni incensurati, tipo la senatrice Binetti, interessati a sostenere il governo. Cesa non era della partita: sia perché non è più parlamentare, sia perché è fedelissimo del centrodestra e allergico a Conte e ai 5Stelle (non rubano). Poche ore prima della visita dei carabinieri, confidava a Minzolingua: “Non capiscono che noi non ci muoviamo. Io ho bloccato pure WhatsApp”. Ora sappiamo il perché.

L’idea che 58 arresti, più decine di avvisi di garanzia, sequestri e perquisizioni in tutta Italia si improvvisino last minute per interferire nella crisi di governo può venire solo a un malato di mente: infatti occhieggia su tutti i giornali. Le richieste di Gratteri (5.200 pagine) sono del 29 aprile e l’ordinanza del gip (422 pagine) è del 13 gennaio. Ma il Riformatorio non ha dubbi: “Cesa non ha votato per Conte? A lui ci pensa Gratteri” (Cesa non poteva votare una mazza, non essendo parlamentare, ma fa niente). Quindi Gratteri dà un aiutino a Conte. Anzi no, per Domani gli fa un dispetto: “Per i pm il ‘responsabile’ Cesa aiutava anche gli amici dei clan”. Da notare quell’“anche” (aiutava Conte e pure i clan, infatti è così “responsabile” che a destra era e a destra è rimasto). Sempre per l’angolo del buonumore, ecco il Giornale: “In campo anche le toghe” (ma non si precisa in quale campo). E La Verità: “Ciclone ’ndrangheta su Conte e Arcuri” (mai citati nelle 5.200 e 422 pagine, ma tutto fa brodo), “L’indagine sulle cosche spiazza Giuseppi”. Anche per il Corriere è “Un colpo alla trattativa per allargare l’alleanza”. E per Rep: “Addio Udc, si complica l’operazione Responsabili”. E per il Foglio: “Bomba Cesa sul governo: i centristi dicono bye bye. L’inchiesta rompe le trattative”. E per Libero: “I giudici indagano Cesa e mettono nei guai Conte” (non la destra, di cui Cesa fa parte: Conte). Quindi è ufficiale: anche l’inchiesta Cesa è giustizia a orologeria. Anzi, a orologerie: diversamente dai Soliti Ignoti, la banda del buco s’è scordata di sincronizzare gli orologi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/23/cesa-una-volta/6075683/

Governo: Tensione sui responsabili, 'Non rimpasto, ma nuovo esecutivo'.

 

Bruno Tabacci.

Italia Viva, 'Stallo istituzionale serve una soluzione politica'. Di Battista: 'Allontanare il renzismo dalla politica'.

Non si scioglie il nodo della crisi. In vista del voto di mercoledì sulla giustizia e il ministro Bonafede, la maggioranza è a caccia dei numeri al Senato.

Tra i responsabili, anche chi ha votato la fiducia martedì, come la senatrice Lonardo, ora chiede 'garanzia' prima di dire sì al Guardasigilli.

Tabacci, che lavora a nuovi gruppi centristi, va da Di Maio a Palazzo Chigi e chiede un Conte-ter: 'Rafforzare la maggioranza si può, ma serve un governo nuovo, non basta un piccolo rimpasto. Conte è l'unico punto di equilibrio di questa legislatura', dice. Intanto, Italia Viva apre, ma chiede 'una soluzione politica di respiro'

I deputati e i senatori di Italia Viva osservano "con preoccupazione lo stallo istituzionale di questi giorni, la difficile situazione sanitaria e i drammatici dati economici del nostro Paese" e "ribadiscono con forza la necessità, già espressa nel dibattito parlamentare, di una soluzione politica che abbia il respiro della legislatura e offra una visione dell'Italia per i prossimi anni". E' quanto si legge in un documento di Iv, che l'ANSA ha visionato, che conferma che "si muoveranno tutti insieme in modo compatto e coerente in un confronto privo di veti e pregiudizi, da effettuarsi sui contenuti nelle sedi preposte". Nel documento, approvato al termine della lunga assemblea notturna dei gruppi Iv e che porta la firma di tutti i deputati e i senatori, si ringrazia "Teresa Bellanova, Elena Bonetti, Ivan Scalfarotto per la straordinaria dimostrazione di coraggio, libertà e spirito di squadra che hanno dato e stanno dando in questi giorni lottando per le idee e gli ideali non solo di Italia Viva". 

"Leggiamo dichiarazioni e interviste di esponenti politici ancora convinti che ci sia spazio per ricucire con Renzi. Questo nonostante le mie e le nostre affermazioni nei giorni precedenti siano state chiarissime in tal senso. Allora lo ribadisco, a scanso di ogni equivoco: per il Movimento non ci sono margini per ricucire con Renzi, la porta è definitivamente chiusa". Lo sottolinea, interpellato al telefono dall'ANSA, il capo politico M5S Vito Crimi. "Non torneremo con chi è inaffidabile fino a questo punto: con chi si è reso responsabile di una crisi in un momento tanto drammatico per il Paese", aggiunge.

"Ho sempre ritenuto che la mancata revoca" di Autostrade "durante il Conte I fosse imputabile alla pavidità di Salvini. Al contrario ritenevo che il Conte II avrebbe trovato le stesse identiche difficoltà per la contiguità di taluni esponenti del pd con determinati gruppi industriali italiani. E mi riferivo, soprattutto, alla compagine renziana, trombettieri del peggior establishment del Paese. Oggi che allontanare definitivamente il renzismo dalla scena politica italiana non è affatto impossibile, credo sia un dovere morale andare fino in fondo". Così Alessandro Di Battista in un editoriale su Tpi.it rilanciato su Fb. "Non dimentico le parole che l'Ing. De Benedetti disse al suo broker il 16 gennaio 2015: "Faranno un provvedimento. Il governo farà un provvedimento sulle popolari". E ancora: "Passa, ho parlato con Renzi ieri, passa". Poco dopo il governo Renzi fece il provvedimento e l'Ingegnere incassò centinaia di migliaia di euro di plusvalenze. Non dimentico il #Ciaone lanciato dal renziano Carbone per irridere milioni di italiani che si stavano recando alle urne per votare al referendum sulle trivelle. Non dimentico lo strisciante liberismo che si nascondeva dietro le leggi renziane sul lavoro", ricorda l'ex deputato M5S. "Non dimentico le offensive da borghesucci che si sentono élite contro il reddito di cittadinanza, oltretutto avanzate da chi, nel 2019, ha dichiarato un reddito di oltre un milione di euro. Non dimentico, sebbene la stragrande maggioranza dei media sembra averlo fatto, le indagini che coinvolgono i principali esponenti del giglio magico: Renzi, Boschi, Carrai, l'avvocato Bianchi. Tutti indagati nell'ambito dell'inchiesta che riguarda la Fondazione Open. L'indagine che coinvolge Bonifazi riguarda un'altra fondazione, la Eyu. Sono tutti, ovviamente, innocenti per queste inchieste ma sono colpevoli le loro politiche. 

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/01/22/italia-viva-e-stallo-serve-soluzione-politica-di-respiro-_cf427a6e-be1a-4328-a1de-7f2c1ef28170.html

Il Sistema Solare si è formato in due tappe.

 

Il Sistema Solare si è formato in due tappe: è l'ipotesi suggerita da nuovi dati e una simulazione, capace di spiegare la diversità fra i pianeti rocciosi più interni, Mercurio, Venere, Terra, Marte e quelli gassosi, come Giove. Il risultato, pubblicato sulla rivista Science, si deve ai ricercatori coordinati da Tim Lichtenberg, dell'università britannica di Oxford.

"Il Sistema Solare interno, che si è formato prima ed è più asciutto, e il Sistema Solare esterno, che si è formato più tardi ed è più umido, sono diversi a causa di due diversi percorsi evolutivi" ha rilevato Lichtenberg. Questo, ha aggiunto, "apre nuove strade per comprendere le origini delle atmosfere di pianeti simili alla Terra".

Recenti osservazioni sui dischi di polveri e gas che si formano intorno alle stelle appena nate hanno mostrato che nella regione del disco dove nascono i pianeti possono esserci livelli di turbolenza tali che le interazioni tra i grani di polvere nel disco e l'acqua possono innescare due differenti esplosioni di formazione di mattoni di pianeti.

La prima avviene nelle regioni più interne del sistema planetario e la seconda avviene successivamente in una regione più lontana. I due distinti episodi di formazione determinano differenti modalità geofisiche di evoluzione: nella regione interna e più vicina alla stella i mattoni dei pianeti subiscono una rapida disidratazione, mentre nella regione più esterna si mantengono più umidi.

Per provarlo, i ricercatori hanno messo a punto una simulazione sulla formazione del Sistema Solare, mostrando che effettivamente la differenza fra i pianeti rocciosi interni e quelli gassosi esterni si può spiegare se questi pianeti sono nati in due fasi diverse. "I giovani pianeti del Sistema Solare Interno - ha osservato Lichtenberg - divennero molto caldi, svilupparono oceani di magma interni, formarono rapidamente nuclei di ferro e il loro iniziale contenuto di elementi volatili evaporò, portandoli a diventare dei pianeti asciutti".

(foto: Rappresentazione artistica della formazione del Sistema Solare in due fasi (fonte: Mark A Garlick / markgarlick.com)

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2021/01/22/il-sistema-solare-si-e-formato-in-due-tappe_f8575961-8a57-4e35-b9e3-28b5975b7c8b.html

venerdì 22 gennaio 2021

Cesa, la pasionaria cattolica Binetti e il Recovery fund. - Peter Gomez

 

Dopo le perquisizioni in casa di Lorenzo Cesa per associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso, la senatrice Udc Paola Binetti dice di sentirsi “come una persona ferita che vuole stare accanto al suo segretario”. La vicinanza umana e spirituale con chi è in difficoltà non può essere criticata. In genere in politica, a meno che non ti chiami Berlusconi, Dell’Utri o Verdini, appena traballi tutti scompaiono. Ma Paola Binetti non è di quella pasta. Ex parlamentare di centrosinistra, poi eletta a Palazzo Madama con Forza Italia e ora forse in procinto di sostenere il governo Conte, la pasionaria cattolica è anzi sicura dell’innocenza di Cesa (“escludo categoricamente il suo coinvolgimento”); ha fiducia, come si dice sempre in questi casi, nella magistratura, anche se, da politica navigata qual è, sa bene come “Lorenzo in qualità di segretario sia esposto a incontrare gente di ogni tipo”.

Anche noi come Binetti siamo garantisti. Cesa come ogni altro indagato o imputato è innocente sino a prova contraria. E il fatto che non sia stato arrestato, a differenza del potente assessore regionale calabrese Francesco Talarico, amico del segretario, fa anzi capire come, secondo i magistrati, contro di lui, per il momento, vi siano solo indizi.

La vicenda però dovrebbe spingere politici, giornalisti e opinionisti a una franca riflessione sulle nostre classi dirigenti. Una riflessione non più rimandabile visto che, se il governo riuscirà a reggere, il nostro Paese sarà presto inondato da centinaia di miliardi targati Ue.

Cesa, infatti, come molti sanno, ma in tanti fanno finta di non sapere, non è un normale leader di partito. È invece un tangentista miracolato dal codice di procedura penale. È un tizio salvato da quella giustizia malata, forte con i deboli e debole con i forti, che proprio l’Europa ci chiede da anni di riformare. Breve promemoria per i finti smemorati. Arrestato nel 1993 quando ancora era un semplice consigliere comunale di Roma, Cesa in carcere confessa. Ammette di essere uno dei tramiti tra i vertici della Dc e gli imprenditori che versano tangenti per gli appalti Anas. Il suo primo verbale sembra quello di Pietro Gambadilegno. “Intendo svuotare il sacco” esordisce prima di svelare decine di mazzette. Il suo referente era il ministro Giovanni Prandini, all’epoca soprannominato “Prendini”. Gli imprenditori si rivolgevano a Cesa e lui andava dal ministro. Un esempio tra tanti: “Gli chiesi cosa dovevo riferire e mi sentii rispondere che dovevo chiedere il 5 per cento sull’importo dell’appalto”. Il futuro segretario Udc racconta con dovizia di particolari di “borse di plastica”, “cartellette rigide”, “buste sigillate” tutte contenenti denaro. Risultato: Cesa, dopo la “sua ampia confessione”, viene condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi. Nel 2003, però, la Corte di Appello annulla le condanne per un cavillo procedurale: nel frattempo è uscita una sentenza della Corte costituzionale che ha di fatto stabilito come il Tribunale dei ministri fosse competente non solo per Prandini, ma anche per i coimputati. Il processo deve ricominciare, ma per il giudice gli atti compiuti sono ormai “inutilizzabili”. Nel 2005 il Gip ordina il “non luogo a procedere”. Così, sebbene abbia ammesso tutto, viene più volte candidato e spesso eletto.

E qui arriviamo alla riflessione. Anzi alla domanda: davvero si può pensare che spenderemo bene i soldi del Recovery fund se chi rappresenta i cittadini non è in grado di selezionare i suoi compagni di strada? Si attende, dalla senatrice Binetti e da tutti gli altri, una cortese risposta.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/22/cesa-la-pasionaria-cattolica-binetti-e-il-recovery-fund/6074558/

IL MINUS ROSATO E I 5 STELLE. - Roberta Labonia

 

La crisi di governo l'ho seguita, pressoché tutta, dall'ospedale. E caso ha voluto che proprio ieri l'altro, mentre Conte incassava la seconda fiducia in Senato, venissi dimessa. Un covid messo all'angolo e un Conte ancora saldo al governo, tutto in un giorno: che vuoi di più dalla vita? 😜

Tanto è stato già detto delle 48 ore che hanno segnato questa incomprensibile crisi al cardiopalma, forse già tutto, forse anche troppo. Per questo voglio soffermarmi su un episodio che, pur avvenuto in quelle ore, guarda oltre la crisi di governo. A mio avviso non è stato pienamente colto nella sua gravità né stigmatizzato quanto avrebbe meritato. Per dirla come la grande Liliana Segre, me ne sono sentita profondamente indignata.

Mi riferisco alle parole pronunciate durante il suo intervento alla Camera dall'italomorto Ettore Rosato.
Castronerie se ne sono ascoltate tante ( basta pensare all'abbietto intervento del leghista Borghi), ma la frase che ho sentito pronunciare da questo individuo ha toccato la vetta dell'ignominia e farebbe ridere, se non fosse tragico, constatare che le ha proferire pensando di tributare chissà quale elogio ai 5 Stelle. Rosato ha detto in aula, testuale :

"... Io conosco i colleghi del M5s ormai da 8 anni, tra loro ci sono molte persone che stimo, hanno la capacità di DISCERNERE le cose… LE CAPISCONO COME LE CAPIAMO NOI, non c’è differenza da questo punto di vista”.

Uno svarione da andarsi a sotterrare dalla vergogna se solo avesse avuto quel minimo quoziente intellettivo da fargliene percepire tutta la portata offensiva. Ma troppo tardi: il "minus" Rosato si è accorto che qualche cosa non girava solo grazie alla fragorosa risata con cui i pentastellati hanno accolto le sue parole.

Potremmo archiviare l'incidente come uno dei tanti teatrini a cui ci ha abituato certa politica di bassa cucina non fosse che, suo malgrado, le parole di Ettore Rosato hanno scoperchiato il comune sentire di buona parte dei personaggi del partitone unico che da decenni "okkupano" le nostre Istituzioni.

Lui le ha pronunciate come fosse lo scemo del villaggio ma è ciò che nell'intimo pensano, ma si guardano dal dirlo pubblicamente, i suoi colleghi parlamentari di lungo corso.

Gente che il Parlamento lo ritiene cosa propria, gente ben lontana da quello spirito di servizio verso la collettività che dovrebbe guidarla.

Questa genia, a distanza di quasi 10 anni, vive ancora come un oltraggio, è evidente, l'invasione pentastellata: comuni cittadini, dei parvenu', degli "scappati di casa", che nel 2018, per una strana congiunzione astrale, hanno osato sedere nei banchi del Governo con idee rivoluzionarie: servire la collettività e NON, servirsi della collettività.

Mi tocca rispolverare il termine "casta" per esprimere ciò che percepisco dietro le parole di Rosato (vi ricordo: porta il suo nome la legge elettorale con cui il Parlamento tutto, nell'ottobre 2017, cercò di sbarrare la strada al Movimento). Quello che ha detto questo misero figuro, non a caso succube inconsapevole delle smanie di grandeur che pervadono il suo sfigatissimo capo bastone, tradisce l'intimo pensiero di questi mestieranti del far politica: gente collusa, scafata, ricattabile, che si nutre delle rendite di posizione acquisite negli anni col mestiere, con la furbizia, quasi mai con intelligenza.

Di compromesso in compromesso gran parte di loro sono stati nominati, non eletti e si sentono depositari di un diritto acquisito che fa carne di porco di quel ruolo nobile di rappresentanza popolare che dovrebbero incarnare. Genia che si sente unica depositaria di cultura (e pensare che sono del MoVimento il maggior numero di laureati oggi in Parlamento!).
Una "intellighenzia" autoreferenziale, spocchiosa, portatrice di malcelato disprezzo verso chiunque non riconosca del suo mondo.

Non mi aspetto che un Ettore Rosato qualsiasi comprenda la portata, la gravità delle parole pronunciate ma, da irriducibile ottimista quale sono, mi aspetto che le donne e gli uomini di buona volontà di questo Paese sappiano cogliere il senso di quelle parole per rendersi conto che l'entrata del MoVimento 5 Stelle nelle Istituzioni, fra i tanti meriti, ne ha avuto uno non banale: ha scoperchiato la vergogna di un Parlamento che di legislatura in legislatura, aveva smarrito se stesso.

Blog di Stelle e dintorni.

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Mafia Capitale, i giudici d'appello confermano la condanna a sei anni per Alemanno: "Fu corruzione". - Maria Elena Vincenzi

 

Le motivazioni della sentenza di secondo grado: "I finanziamenti alla Fondazione Nuova Italia erano richiesti dall'ex sindaco ed erano parte integrante degli accordi". La vicenda è un filone dell'inchiesta sul Mondo di Mezzo in cui si ipotizza che l'allora primo cittadino abbia "piegato la sua funzione" agli interessi di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, ottenendo in cambio, secondo l'accusa, oltre 220mila euro.

Non ha dubbi la Corte d'Appello: Gianni Alemanno è "evidentemente colpevole" di corruzione. Lo mettono nero su bianco i giudici della Terza sezione penale nelle motivazioni della sentenza pronunciata lo scorso 23 ottobre che aveva condannato l'ex sindaco di Roma a sei anni per uno stralcio di Mafia Capitale. Si è trattato di una conferma in realtà: la stessa pena era stata comminata in primo grado.

La vicenda è un filone dell'inchiesta sul Mondo di Mezzo in cui si ipotizza che Alemanno abbia "piegato la sua funzione di sindaco" agli interessi dei "corruttori" Salvatore Buzzi, l'ex "ras" delle cooperative, e dell'ex Nar Massimo Carminati, ottenendo in cambio, secondo l'accusa, circa 223.500 euro, considerato il prezzo del reato di corruzione, che sarebbe avvenuta tra il 2012 e il 2014. Un'impostazione confermata dalla Corte d'Appello che in un provvedimento di 118 pagine ripercorre tutta la storia e le testimonianze. Non ha dubbi la Corte che i finanziamenti da parte di Buzzi alla Fondazione Nuova Italia fossero stati richiesti espressamente dall'allora sindaco, denaro che era "parte integrante dei patti corruttivi relativi agli interventi volta per volta posti in essere da Alemanno in favore delle Cooperative". Quei soldi, si legge, destinati proprio a lui per agire sull'amministrazione e sulle aziende a questa legate, in particolare Ama ed Eur Spa.

"Alemanno - si legge - risponde di corruzione perché è pubblico ufficiale e, quale corrispettivo dell'aggiudicazione della gara di cui al bando 18/011 e degli interventi diretti per lo sblocco dei crediti delle cooperative nei confronti di Ama Spa ed Eur Spa, ha ricevuto utilità diverse ed ulteriori rispetto alle tangenti ricevute da Panzironi, ossia le rilevanti somme di denaro versate dalle cooperative alla Fondazione Nuova Italia specie in occasione delle cene elettorali, nonchè gli altri favori (claque ai comizi e agli eventi, assunzione di persone gradite al sindaco)".

Non è tutto. "Il presente giudizio - scrive ancora il collegio presieduto da Aurora Cantillo - insegna e conferma che purtroppo nella pratica le competenze di direzione amministrativa dipendono dalla direzione politica, e ciò può portare al degrado e alla distorsione dell'attività della p.a. che emergono a piene mani dagli atti del processo". I giudici sottolineano "straordinaria gravità delle condotte criminose che in quegli anni hanno letteralmente funestato il rapporto tra imprenditori, cooperative e politica, inquinando in modo sistemico i gangli della vita amministrativa della città di Roma".

Riferendosi alla decisione della Cassazione che ha fatto cadere l'accusa di associazione mafiosa nel processo principale, la Corte non usa mezzi termini nel definire Mafia Capitale: "L'attenzione generale è stata focalizzata sull'esclusione del reato di cui all'articolo 416 bis e della corrispondente aggravante 'mafiosa' contestata, esclusione che è stata diffusamente spacciata come il più rilevante risultato dell'accertamento giudiziale. E' invece rimasta in secondo piano l'esistenza di due associazioni a delinquere, almeno una delle quali (quella che faceva capo a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati) impegnata nel più rilevante sistema corruttivo mai accertato nel territorio del Comune di Roma, con lo stabile e ben remunerato asservimento di pubblici ufficiali a tutti i livelli - meri dipendenti, dirigenti di servizi, consiglieri comunali ed assessori, dirigenti di aziende a capitale pubblico - agli interessi di Buzzi e delle sue cooperative".

E ancora: "Il dato oggettivo da sottolineare a questo punto è che la quasi totalità delle condotte criminose in questione furono poste in essere nel quinquennio (2008-2013) in cui fu sindaco l'odierno imputato". Gli avvocati di Alemanno già annunciano il ricorso in Cassazione: "Anche le motivazioni - dicono Filippo Dinacci e Cesare Placanica - confermano una sentenza appiattita su una ricostruzione fallace, in fatto e diritto, punitiva finanche oltre le richieste della pubblica accusa e in qualche modo gia'  posta in discussione nella sentenza definitiva del procedimento principale. Abbiamo molti argomento da proporre al giudice di Cassazione che sapra' sottrarsi alle suggestioni che hanno condizionato, in tutta questa vicenda, i giudizi del merito".

https://roma.repubblica.it/cronaca/2021/01/20/news/mafia_capitale_i_giudici_d_appello_quella_di_alemanno_fu_corruzione_-283516598/