Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 27 febbraio 2023
Avete dei figli? - Massimo Erbetti
mercoledì 31 marzo 2021
Ora si scopre che giuseppe va assolto. - Antonio Padellaro
In una famosa vignetta del New Yorker si vede Dio seduto sulle nuvole che rassicura un’anima penitente convinta di finire all’inferno: “Ma no, neppure questo è peccato, chissà come sei stato in ansia”. Ci viene in mente ogni volta che per effetto dell’indulgenza plenaria concessa urbi et orbi onde celebrare l’avvento dei Migliori, Giuseppe Conte apprende che le colpe per cui era stato cacciato, con somma ignominia, nel limbo degli ex premier, non erano poi così gravi. E ci piace immaginare che ad assolverlo ci sia un Padre Eterno con le fattezze di un misericordioso Mario Draghi. Il clamoroso fallimento giallorosa della campagna di vaccinazione? Ma no, tranquillo, sono gli stessi problemi che sta incontrando il generalissimo Figliuolo, con in più i casini di AstraZeneca. Le Regioni litigiose che andavano in ordine sparso ma tutte contro il governo? Ma no, è tutto uguale a prima con in più i presidenti mitomani che pensano di contrattare lo Sputnik direttamente con Vladimir Putin. Matteo Salvini che malgrado i 400 morti al giorno guidava l’assalto a Palazzo Chigi di ristoratori e albergatori contro le chiusure? Ma no, lui è lì che ripete sempre le stesse cose, però adesso sta dentro Palazzo Chigi. La mancata approvazione del Mes che avrebbe affossato la sanità italiana? Ma no, lo sapevano tutti che non sarebbe servito a niente. Il disastro del Recovery Plan scritto male e con intollerabile ritardo? Ma no, “in Italia ci stiamo ancora domandando se riusciremo a presentare una sufficiente quantità di progetti capaci di superare l’esame, e se una volta ottenuto tutto quel denaro le nostre scassate amministrazioni saranno in grado di spenderlo” (La Stampa).
A questo punto, vedo l’Onnipotente che dice sorridendo al suo contrito predecessore di non preoccuparsi: Giuseppe, come vedi, se non sono peccati i miei, non potevano esserlo neppure i tuoi, chissà come sei stato in ansia. Finalmente mondato dalla colpa, Conte si accinge a ritornare in Italia quando l’occhio gli cade sul titolo di Repubblica: “Quegli strani silenzi di Conte”. Un grido e lo vediamo fare velocemente dietrofront: noooo meglio le fiamme eterne.
IlFattoQuotidiano
sabato 13 marzo 2021
Conte dimettiti! Conte vergogna! Ah no, c’è Mario. - Antonio Padellaro
Basta con la vergognosa dittatura sanitaria. Basta con la galera del lockdown che ha trasformato la democrazia in un gulag. Basta con i Dpcm illegali, anticostituzionali, e forse anche fascisti. Basta con la buffonata delle regioni rosse, arancioni e gialle. Basta con lo stato di polizia. Basta con la didattica a distanza che sottrae l’avvenire ai nostri giovani. Basta con le lezioni online quando gran parte delle famiglie italiane non possiede un computer. Basta con le umilianti autocertificazioni da esibire anche per andare a prendere il latte. Basta con i bar e i ristoranti chiusi. Basta con l’asporto. Basta con i giri del palazzo con la scusa che il cane deve pisciare. Basta con le palestre chiuse e i parrucchieri pure. Basta con il grido di dolore degli albergatori con gli hotel sprangati. Basta con i ristori che ritardano sempre e che non bastano neppure per un caffè, anche perché i bar sono chiusi. Basta con i vaccini insufficienti. Basta con gli Arcuri, vogliamo i colonnelli. Basta con il governo degli incompetenti e degli incapaci. Basta con il governo Conte. Basta con Giuseppi. Basta con il favore delle tenebre. (Come il signor Antonio, il compagno del Pci di Avanzi che nel 1993 si risvegliava dopo vent’anni dal coma, pensando che tutto fosse come prima, il nostro signor Antonio, più fortunato, ha ripreso conoscenza dopo averla persa esattamente un mese fa. Ha pure ripreso la contestazione dove l’aveva lasciata. Si cerca quindi di aggiornarlo sugli ultimi accadimenti).
Guardi che il governo Conte non c’è più. Come da lei auspicato Giuseppi è stato mandato a casa. Lo ha sostituito il governo dei migliori guidato da Mario Draghi. Come mai l’opposizione non scende in piazza a protestare? Perché Salvini e Berlusconi sono al governo. Sì, con il Pd e i 5Stelle. Oddio, il signor Antonio ha un altro mancamento, proviamo a rianimarlo con qualche bella notizia. Alla logistica c’è un generale. La campagna di vaccinazione procede come prima ma con grande entusiasmo, e il problemino con AstraZeneca è roba da nulla. La Juve è stata di nuovo eliminata dalla Champions. A Sanremo hanno vinto i Maneskin con Zitti e buoni. No, non è il nuovo inno nazionale. E poi ci sono ancora i Pooh. I Puuuh.
venerdì 5 febbraio 2021
Grazie Giuseppe: stile e onore nel suo saluto. - Antonio Padellaro
Non conoscevo Giuseppe Conte ma quando, nel novembre del 2019, lo vidi nei tg andare incontro agli operai dell’Ilva di Taranto – giustamente agitati per la irrisolta crisi della fabbrica e prostrati dalla paura di perdere il lavoro – ne fui colpito. Poiché è abbastanza raro vedere un presidente del Consiglio che invece di rifugiarsi dentro un’auto blu e dileguarsi decideva di assumersi le proprie responsabilità di governo e di accettare un confronto che nell’occasione fu molto duro.
Quando, il 9 marzo 2020, nella notte più lunga della Repubblica, Giuseppe Conte annunciò il lockdown a un Paese smarrito e angosciato dall’aggressione del Covid-19 lo immaginai con l’animo in subbuglio mentre era costretto a prendere una decisione che non aveva precedenti. Con la propria firma in calce a un decreto che, come gravità, equivaleva alla dichiarazione di una guerra. Quando, nell’estate dello stesso anno, ottenne da Bruxelles i famosi 209 miliardi per l’Italia, il salvagente a cui aggrapparsi per evitare il naufragio definitivo di una nazione, mi domandai come avesse fatto a vincere la resistenza dei cosiddetti Paesi frugali che ci vedono come degli scrocconi perennemente col cappello in mano. Però c’era riuscito. Ieri, infine, quando è uscito dal portone di palazzo Chigi per congedarsi e augurare buon lavoro a Mario Draghi ho provato gratitudine per un signore che nel paesaggio di macerie frutto dell’opera del noto sfasciacarrozze (e dei sabotatori associati) si preoccupava di assicurare un sereno passaggio di consegne, nel pieno rispetto dei cittadini e delle istituzioni. Ciò non significa, ovviamente, che nella esperienza di premier Giuseppe Conte non abbia commesso errori. L’estate del liberi tutti che ha creato le condizioni per la catastrofica seconda ondata della pandemia avrebbe dovuto essere gestita certamente con maggiore prudenza. E se avessi potuto lo avrei messo in guardia dal reclutare i famosi responsabili o volenterosi, non perché non fosse legittimo allargare il consenso parlamentare al governo quanto per l’inclinazione diciamo così mercantile di certi personaggi di cui si era fidato. Adesso però, per quel che conta, desidero ringraziarlo per come si è comportato nell’esercizio delle sue funzioni, e in momenti particolarmente difficili per noi tutti. Da uomo. Con disciplina e onore.
venerdì 22 gennaio 2021
Cesa, la pasionaria cattolica Binetti e il Recovery fund. - Peter Gomez
Dopo le perquisizioni in casa di Lorenzo Cesa per associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso, la senatrice Udc Paola Binetti dice di sentirsi “come una persona ferita che vuole stare accanto al suo segretario”. La vicinanza umana e spirituale con chi è in difficoltà non può essere criticata. In genere in politica, a meno che non ti chiami Berlusconi, Dell’Utri o Verdini, appena traballi tutti scompaiono. Ma Paola Binetti non è di quella pasta. Ex parlamentare di centrosinistra, poi eletta a Palazzo Madama con Forza Italia e ora forse in procinto di sostenere il governo Conte, la pasionaria cattolica è anzi sicura dell’innocenza di Cesa (“escludo categoricamente il suo coinvolgimento”); ha fiducia, come si dice sempre in questi casi, nella magistratura, anche se, da politica navigata qual è, sa bene come “Lorenzo in qualità di segretario sia esposto a incontrare gente di ogni tipo”.
Anche noi come Binetti siamo garantisti. Cesa come ogni altro indagato o imputato è innocente sino a prova contraria. E il fatto che non sia stato arrestato, a differenza del potente assessore regionale calabrese Francesco Talarico, amico del segretario, fa anzi capire come, secondo i magistrati, contro di lui, per il momento, vi siano solo indizi.
La vicenda però dovrebbe spingere politici, giornalisti e opinionisti a una franca riflessione sulle nostre classi dirigenti. Una riflessione non più rimandabile visto che, se il governo riuscirà a reggere, il nostro Paese sarà presto inondato da centinaia di miliardi targati Ue.
Cesa, infatti, come molti sanno, ma in tanti fanno finta di non sapere, non è un normale leader di partito. È invece un tangentista miracolato dal codice di procedura penale. È un tizio salvato da quella giustizia malata, forte con i deboli e debole con i forti, che proprio l’Europa ci chiede da anni di riformare. Breve promemoria per i finti smemorati. Arrestato nel 1993 quando ancora era un semplice consigliere comunale di Roma, Cesa in carcere confessa. Ammette di essere uno dei tramiti tra i vertici della Dc e gli imprenditori che versano tangenti per gli appalti Anas. Il suo primo verbale sembra quello di Pietro Gambadilegno. “Intendo svuotare il sacco” esordisce prima di svelare decine di mazzette. Il suo referente era il ministro Giovanni Prandini, all’epoca soprannominato “Prendini”. Gli imprenditori si rivolgevano a Cesa e lui andava dal ministro. Un esempio tra tanti: “Gli chiesi cosa dovevo riferire e mi sentii rispondere che dovevo chiedere il 5 per cento sull’importo dell’appalto”. Il futuro segretario Udc racconta con dovizia di particolari di “borse di plastica”, “cartellette rigide”, “buste sigillate” tutte contenenti denaro. Risultato: Cesa, dopo la “sua ampia confessione”, viene condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi. Nel 2003, però, la Corte di Appello annulla le condanne per un cavillo procedurale: nel frattempo è uscita una sentenza della Corte costituzionale che ha di fatto stabilito come il Tribunale dei ministri fosse competente non solo per Prandini, ma anche per i coimputati. Il processo deve ricominciare, ma per il giudice gli atti compiuti sono ormai “inutilizzabili”. Nel 2005 il Gip ordina il “non luogo a procedere”. Così, sebbene abbia ammesso tutto, viene più volte candidato e spesso eletto.
E qui arriviamo alla riflessione. Anzi alla domanda: davvero si può pensare che spenderemo bene i soldi del Recovery fund se chi rappresenta i cittadini non è in grado di selezionare i suoi compagni di strada? Si attende, dalla senatrice Binetti e da tutti gli altri, una cortese risposta.
La “Pesciarola” Giorgia, donna alfa a destra. - Antonio Padellaro
Ha buon gioco, la Giorgia Meloni che si mostra sui social con una cassetta di gamberi e orate (“pesce fresco, avvicinatevi, ottimi prezzi”), orgogliosa per essere stata chiamata “pesciarola” dopo l’intervento parlamentare assai gridato contro il premier Giuseppe Conte. Un assist fornitogli da coloro che disprezza come radical-chic (“schifano la gente comune”) subito sfruttato per la gioia dell’elettorato in impetuosa crescita (tendenza 17%, dal 4% in un triennio), che per lei “donna del popolo” stravede. Se i suoi critici girassero per i mercati rionali, o salissero sui mezzi pubblici di Giorge Meloni incazzate ne troverebbero a frotte. Difatti la leader di FdI, cresciuta alla Garbatella, sa identificarsi con quelle persone “del popolo” di cui non fa fatica ad assumere atteggiamenti e linguaggio. Strilla contro il governo esattamente come strillerebbe il ristoratore con la serranda abbassata o la precaria del call center che non vive più neppure di precariato. E accende l’indignazione della “gente comune” agitando lo schifosissimo termine “poltrona” in tutte le sue varianti, fino alla declinazione più oltraggiosa da scagliare sulla faccia della svergognata maggioranza: “Pensano solo alle poltrone”.
Siamo sicuramente nel solco dell’invettiva comiziante (di cui era maestro il suo maestro Giorgio Almirante), ma trovate voi un’altra parola che sappia arrivare come un cazzotto nella pancia (vuota) degli italiani devastati dalla pandemia. Sintesi contundente di quel qualunquismo dell’antipolitica figliato dall’archetipo: è tutto un magna magna. È un blocco di consensi motivato e compatto quello della Meloni che tuttavia necessiterebbe di essere investito quanto prima sul tavolo elettorale, considerata l’estrema volatilità del voto, la stessa che un anno e mezzo fa ridimensionò Matteo Salvini e i suoi “pieni poteri”. Per una donna alfa come Giorgia, il problema sono proprio i due maschi beta con i quali è costretta ad accompagnarsi. Infatti, mentre lei non schioda dal grido “elezioni elezioni”, il capo leghista appare indeciso a tutto, ondeggiante “fra momentanee aperture al dialogo con il governo ‘per il bene del Paese’ e fantomatiche possibilità di varare un esecutivo di centrodestra” (Marco Tarchi). Quanto al povero Silvio, piuttosto affaticato dai problemi di salute oltre che dai forzisti in fuga verso Conte, non sembra motivatissimo a farsi asfaltare nelle urne. Visto che poi il complottino fiorentino contro il detestato presidente del Consiglio non ha dato l’esito sperato, la “pescivendola” rischia di dover tenere a lungo i voti nel frigorifero della storia sperando che non si ammoscino. Come i gamberi di cui sopra.
martedì 6 ottobre 2020
Rispondendo a Morra
Come la penso io.
Non so nulla del post di Casaleggio, quindi non posso commentarlo, ma posso commentare le parole di Morra quando afferma:
“Se diventiamo partito, me ne vado anch’io”.
Non capisco, e mi rivolgo al Morra filosofo, questo voler dare ad un nome comune di cosa, e cioè alla parola "partito" un significato inesistente.
domenica 6 settembre 2020
Dall’uveite al virus “morto”: vita da medico personale. - Gianni Barbacetto
giovedì 22 agosto 2019
5 punti di sutura. - di Marco Travaglio
Ora si attende la lista dei “discontinui” del Pd, noto vivaio di teneri virgulti: Gentiloni? Franceschini? Prodi? Veltroni? Napolitano? Letta? Lotti? Martina? Pinotti? Fedeli? Madia? Lorenzin? Padoan? Troppo continui.