venerdì 5 febbraio 2021

Grazie Giuseppe: stile e onore nel suo saluto. - Antonio Padellaro

 

Non conoscevo Giuseppe Conte ma quando, nel novembre del 2019, lo vidi nei tg andare incontro agli operai dell’Ilva di Taranto – giustamente agitati per la irrisolta crisi della fabbrica e prostrati dalla paura di perdere il lavoro – ne fui colpito. Poiché è abbastanza raro vedere un presidente del Consiglio che invece di rifugiarsi dentro un’auto blu e dileguarsi decideva di assumersi le proprie responsabilità di governo e di accettare un confronto che nell’occasione fu molto duro.

Quando, il 9 marzo 2020, nella notte più lunga della Repubblica, Giuseppe Conte annunciò il lockdown a un Paese smarrito e angosciato dall’aggressione del Covid-19 lo immaginai con l’animo in subbuglio mentre era costretto a prendere una decisione che non aveva precedenti. Con la propria firma in calce a un decreto che, come gravità, equivaleva alla dichiarazione di una guerra. Quando, nell’estate dello stesso anno, ottenne da Bruxelles i famosi 209 miliardi per l’Italia, il salvagente a cui aggrapparsi per evitare il naufragio definitivo di una nazione, mi domandai come avesse fatto a vincere la resistenza dei cosiddetti Paesi frugali che ci vedono come degli scrocconi perennemente col cappello in mano. Però c’era riuscito. Ieri, infine, quando è uscito dal portone di palazzo Chigi per congedarsi e augurare buon lavoro a Mario Draghi ho provato gratitudine per un signore che nel paesaggio di macerie frutto dell’opera del noto sfasciacarrozze (e dei sabotatori associati) si preoccupava di assicurare un sereno passaggio di consegne, nel pieno rispetto dei cittadini e delle istituzioni. Ciò non significa, ovviamente, che nella esperienza di premier Giuseppe Conte non abbia commesso errori. L’estate del liberi tutti che ha creato le condizioni per la catastrofica seconda ondata della pandemia avrebbe dovuto essere gestita certamente con maggiore prudenza. E se avessi potuto lo avrei messo in guardia dal reclutare i famosi responsabili o volenterosi, non perché non fosse legittimo allargare il consenso parlamentare al governo quanto per l’inclinazione diciamo così mercantile di certi personaggi di cui si era fidato. Adesso però, per quel che conta, desidero ringraziarlo per come si è comportato nell’esercizio delle sue funzioni, e in momenti particolarmente difficili per noi tutti. Da uomo. Con disciplina e onore.

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