Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 27 febbraio 2023
Avete dei figli? - Massimo Erbetti
venerdì 12 marzo 2021
Fine della favola. - Marco Travaglio
Da qualche giorno leggiamo con raccapriccio le cronache delle indagini di varie Procure siciliane su alcune Ong specializzate nei “soccorsi” di migranti nel Mediterraneo. E notiamo con stupore il silenzio dei politici e dei commentatori di solito così prodighi di commenti, esternazioni, interviste, petizioni, appelli e contrappelli. Parlano solo Salvini e i giornali di destra, facendo di tutta l’erba un fascio fra le Ong che davvero salvano vite dal naufragio e quelle che fanno altro. Tacciono invece quelli che da anni fanno di tutta l’erba un fascio in senso opposto: difendendo a prescindere tutte le Ong, attaccando a scatola, occhi e orecchi chiusi qualunque pm si azzardi a indagare, qualunque osservatore si permetta di sollevare dubbi, qualunque politico non certo razzista e fascista (come Minniti, Di Maio e Lamorgese) osi chiedere qualche regola nel Mar West, fino a negare financo filmati, foto, satelliti e intercettazioni che provano i rapporti fra volontari e scafisti.
Quando il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, chiamato nel 2017 in Parlamento a riferire, spiegò che l’Italia era disarmata contro i trafficanti di esseri umani perché le navi di alcune Ong prelevavano i migranti in acque libiche o limitrofe dai barconi degli scafisti con consegne concordate, transponder spenti e nessun controllo dello Stato, azzerando il rischio giudiziario e “imprenditoriale” di quei criminali, fu accusato di sporcare la favola bella degli angeli del mare. Idem per Minniti, che quell’estate propose un codice di autodisciplina per le Ong (transponder accesi, bilanci trasparenti, agenti a bordo). E riuscì ad abbattere il traffico e il numero dei morti, cosa di cui si prese il merito Salvini senza far nulla in più di utile, ma molto in più di inutile, xenofobo e propagandistico. Intanto le anime belle ripetevano il mantra “nessuna prova, solo calunnie, è crimine umanitario”. Negazionismo puro, anche dopo che l’inchiesta di Trapani sulla nave Iuventa dell’Ong Jugend Rettet, mostrò foto e filmati delle consegne concordate dagli scafisti ai volontari, che poi non li denunciavano e non ne affondavano i loro barchini, ma li restituivano. Noi tentammo di sollecitare un dibattito serio, che distinguesse tra chi salva vite e chi fa da nastro trasportatore o da tassista agli scafisti: distinzione che gioverebbe alla verità, alla giustizia, ma soprattutto alle Ong pulite. Non ci fu verso: fummo insultati dai Manconi, Zoro, Mannocchi & C. Ora si attendono i loro commenti sull’inchiesta chiusa a Trapani su 21 membri degli equipaggi di Iuventa, Vost Hestia, Vost Prudence, navi legate alle Ong Jugend Rettet, Save The Children e Medici senza Frontiere.
Vengono fuori le foto – scattate nel 2016 da un agente Sco sotto copertura – di uno scafista che picchia i migranti con una cintura e un tubo di ferro sotto gli occhi dei volontari. Poi sale a bordo della nave Vos Hestia noleggiata da Save The Children che, pur sapendo chi è e cosa ha fatto, lo traghetta al porto di Reggio Calabria senza denunciarlo. Si vede la Vos Hestia che, informata in tempo reale delle partenze degli scafisti dalle coste libiche, li raggiunge “in un preciso tratto di mare senza dare alcuna comunicazione alle autorità”. L’indomani rileva 548 migranti e nei giorni successivi altri 1300. I volontari di STC fanno levare ai poveretti i giubbotti di salvataggio e indossare quelli col logo della Ong, restituendo i vecchi agli scafisti. Tre di questi vengono fotografati mentre si avvicinano alla nave, smontano il motore dal gommone e ripartono. Altri vengono fatti salire a bordo, mescolati tra i profughi, e condotti in Italia come naufraghi appena salvati. Il comandante si vanta di non denunciare gli scafisti: “Ho altri ruoli e non quello di fare la spia o l’investigatore”. E prepara rappresaglie per un volontario che li ha segnalati alla polizia: “Appena torna lo scemo vedo cosa vuole fare, altrimenti lo mando a fare in culo dicendogli: ‘Vedi dove te ne devi andare, ti vuoi stare zitto o te ne vai’…”. Una settimana dopo tre scafisti abbordano la Vos Hestia e annunciano un altro carico: uno è Suleiman Dabbashi, di una famiglia che gestisce centri di prigionia a Sabrata. Nessuna denuncia neppure per lui.
Altra indagine, altro scandalo: a Ragusa c’è un bonifico di 125mila euro versati dal cargo commerciale danese Maersk all’Ong Mediterranea Saving che aveva rilevato 27 naufraghi salvati un mese prima. Qui, oltre alle solite accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso, c’è pure il commercio di migranti. Infine c’è la testimonianza della ministra Lamorgese al processo Gregoretti contro Salvini: “Le navi che vanno a fare soccorso in acque Sar libiche, ogni volta che fanno un soccorso, non tornano subito indietro. Tante volte, a soccorsi effettuati, si fermano nelle aree libiche anche 3-4 giorni, in attesa di recuperare più gente possibile”. Quindi “sono navi che hanno la possibilità di star ferme con persone appena recuperate in acqua anche 4-5 giorni”. E, stazionando a lungo dinanzi alla Libia, attirano e incoraggiano il traffico di esseri umani. Ora facciamo pure finta che non ci siano reati. Anzi, tagliamo corto e diamo la grazia a tutti gli angeli delle Ong. Ma poi finiamola con le bugie e le ipocrisie, smettiamo di prenderci in giro e stabiliamo che d’ora in poi queste schifezze non accadano più. Sempreché, s’intende, la lotta al traffico di esseri umani interessi qualcuno.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/12/fine-della-favola/6130723/
lunedì 20 aprile 2015
NAUFRAGHI, IL RACCONTO. - Raffaele Vescera
Nella foto, Le statue dell'artista danese Nikolaj Bendix Skyum Larsen immerse nel mare di Pizzo Calabro (Vibo Valentia) – Ph. Jason deCaires Taylor.
In memoria dei 700 migranti morti oggi nel nostro mare.
Il caicco andava a vela spinto a rinforzo dal diesel di un vecchio tir, sballottava sotto i colpi del mare a libeccio sferzato dagli scossoni delle onde, sembrava andare a rovescio, la terra era lì, in vista, ma irraggiungibile alla folla ammassata. Sui bordi gli uomini, al centro donne e figli. Erano cento su un legno di dodici metri. Piangevano, urlavano, aiutateci, nella lingua pietosa comune agli umani, aiutateci, che qui moriremo tutti, e le donne si rannicchiavano ancora e i bambini cercavano le braccia più forti dei padri che guardavano i figli, le donne, il mare e i marinai impotenti.
Il viaggio era partito sereno, i marinai a prendere il sole, sorridenti, guardavano un branco di delfini acrobatici e sfottenti. Era solo una passeggiata, dicevano, sarebbero arrivati dall’altra parte del mare stretto prima di sera, e tutti avrebbero mangiato i maccaroni, dicevano ridendo, e la folla di imbarcati ammassati come sull’arca di Noé, ridevano con loro sognando il piatto di maccaroni caldi che li avrebbe saziati dopo i giorni passati a mangiare pane secco e formaggio duro tra steppe e montagne per raggiungere il mare della ricchezza, l’acqua che avrebbe purificato le loro esistenze miserabili, portandoli sulla terra dell’abbondanza dove in un giorno di lavoro solo si buscava come in un mese.
Gli uomini parlavano tra loro dei futuri guadagni. Le donne, finalmente sedute, parlavano delle case a venire. I bambini, composti e seri, come fanno i figli dei poveri, non parlavano, se non a bassa voce e per cose importanti.
Era un’umanità umile, dai sentimenti forti, che si affacciava sulle rive di un’altra umanità, gente che, tempo prima, era stata anch’essa educata ai sentimenti forti e ad esagerati valori etici. Poi la ricchezza aveva cambiato quella gente in poco tempo. I loro bambini avevano imparato a pretendere, a piangere, a fare capricci, gli uomini a divertirsi più che a faticare. Ma nel mondo c’era ancora un mare di uomini disposti a rimpiazzarli nella condizione di ultimi della società. Così, finalmente i penultimi si sarebbero sentiti migliori di qualcun altro.
Il sole splendeva ancora caldo sul basso Mediterraneo ad ottobre. Sin dall’alba, i suoi raggi avevano benedetto la partenza dei profughi, dando loro un’illusione di benevolenza, il mare cheto, appena increspato da un venticello di brezza, la loro aria quieta come il mare in vista della terra promessa. Al massimo tra un’ora, dicevano loro i marinai, tra un’ora ci siamo. Giusto per il tramonto. Così al buio lo sbarco sarà invisibile. A terra, chi vorrà troverà la macchina che lo porterà in città, pagando altri cinquanta dollari, perché mille dollari danno diritto solo al giro sull’acqua. E chi non ha i soldi per la macchina si arrangi e aspetti gli italiani, che quelli sono belli e fessi, e vi daranno un letto, un piatto di spaghetti e pomodoro, ma non vi aspettate la carne buona, che lì fa schifo, è tutta roba chimica.
L’aria calda arrivava a zaffate sempre più forti, più che una sera d’ottobre s’apprestava a diventarne una d’agosto. I marinai si guardavano perplessi, sapevano il gioco dei venti e temevano a ragione il libeccio in arrivo, forte e costante e poi turbinoso spingeva dall’Africa svegliando il mare e i passeggeri di quel guscio che osava sfidarlo. Non c’era bisogno di scomodare il dio col tridente per sballottarlo, spingerlo indietro, spezzare l’albero che si schiantava in un colpo solo a mare volando sulle teste terrorizzate dei naviganti. “Recuperiamo l’albero a bordo”, urlavano i marinai, sapendo che a mare l’albero avrebbe squilibrato il barcone affondandolo. Tira e tira le corde, cento braccia ce la faranno, che fortuna avervi a bordo, passeggeri, altrimenti non ce l’avremmo mai fatta noi quattro mezze seghe di mezzi mozzi, perché i marittimi buoni questi viaggi della morte non li fanno e li lasciano a noi, marinai d’acqua dolce.
Dove sono i salvagente, dove sono? Non bastano per tutti, dateli a chi non sa nuotare, ma qui nessuno sa nuotare, gente del deserto, allora dateli alle donne e ai bambini e state tranquilli che ci resta il motore per andare a riva. Ma il motore picchiava in testa, aveva portato con onore il peso di un tir a rimorchio per un milione di kilometri per le strade del mondo prima di andare al mare su quel barcone, ma lui, povero vecchio diesel, come avrebbe potuto farcela da solo contro le onde del Mediterraneo? Come avrebbe portato in salvo cento persone? Almeno prima, con l’aiuto della vela, faceva la sua figura, ma ora che l’avevano messo a manetta, sbuffava, sudava, spruzzava olio nero, non ce la faceva a vincere la tempesta e così avanti sarebbe morto, prima di tutta quella povera gente affidata alle poche forze di un vecchio diesel.
I marinai, tra mille imprecazioni ai loro santi stranieri, schiaffeggiavano la radio che non voleva saperne di funzionare e di mandare SOS. Una radio d’epoca si direbbe ridendo nel Paese di Bengodi, eppure dovrebbe funzionare, così gli avevano detto, ma non voleva saperne di svegliarsi dal sonno di chissà quanti anni passati.
Allora ci sono i razzi, bisogna spararne per forza qualcuno, sennò sono cazzi. Ma questi razzi sanno dell’altra guerra, e come funzionano? Le istruzioni sono scritte in cinese e allora che fare nella notte in arrivo? La notte arrivò presto con l’aria fredda d’autunno, perché il libeccio africano era stato spodestato dal levante balcanico e siberiano e poveri loro che si stringevano l’uno all’altro rassegnati sul guscio di legno fradicio che sollevato dalle onde si girava sulla pancia ed era lì per rovesciarsi, portandoseli su e giù. Con il mare che sbattendo gli inzuppava i vestiti e la pelle ed entrava dentro le ossa. Guai ai naufraghi. Si salutarono al buio, le mogli e i mariti con l’ultimo bacio, le ultime raccomandazioni in caso di sopravvivenza e le ultime volontà in caso di morte.
L’alba arrivò rosea, ma rosso al mattino maltempo è vicino, dicono i naviganti, la notte aveva mangiato la tempesta portando il barcone chissà dove. Non c’era terra in vista, non c’erano isole, navi, aerei, niente, solo un mare sconfinato.
Sul caicco alla deriva la folla tramortita, i meno forti avevano già lasciato il mondo delle speranze fatue e della fatica esagerata per quello senza ambizioni dell’eterno riposo. I sopravvissuti storditi, pochi avevano le forze per alzarsi, fare qualcosa. Molti restavano fermi ancora abbracciati gli uni agli altri. Acqua e cibo non ne avevano più. Il motore aveva smesso di balbettare colto da collasso anticipato. Erano cento, giovani e forti, avevano venduto tutto, case, terre, mobili e tappeti, erano fuggiti da guerre e miserie in cambio di un biglietto per il paradiso. Arrivò la pioggia gelida col vento di tramontana. Pregavano Dio di salvarli, oppure di dare loro una morte veloce, forse il paese della cuccagna l’avrebbero trovato nell’altro mondo. Piovve tutto il giorno fino alla notte, comandata dalla morte che li aspettava in agguato prendendoseli uno alla volta.
Passavano le ore sul mare padrone, chissà quante, pochi respiravano ancora, riparati dalla coltre dei cadaveri, i morti proteggevano i vivi. Nessuno di loro vide la veloce nave militare che li avvicinava, nessuno si accorse che uomini forti e attrezzati salivano a bordo per salvare il salvabile, nessuno capì che l’odissea era finita. Si svegliarono negli ospedali con la flebo, per i maccaroni dovevano aspettare ancora due giorni.
La corvetta della marina avvistò il barcone nel punto segnalato dagli elicotteri. Il relitto fu abbordato e arrembato poiché alle invocazioni dei megafoni non rispondeva nessuno. Lo spettacolo terrificante suscitò vomiti e malori nei bravi ragazzi armati di pietà che, sì, un mese prima erano accorsi a recuperare i cadaveri galleggianti sparsi di un boat affondato vicino alla costa, che sì avevano soccorso i clandestini sopravvissuti aggrappati agli scogli dell’ultima spiaggia, straziati nel corpo come il naufrago partito dall’isola di Calypso. Ma mai avevano visto i morti mischiati ai vivi, gli uni sugli altri poiché sotto quei cadaveri si udivano ancora flebili lamenti umani.
Dal racconto Naufraghi di Raffaelle Vescera, antologia I Fuggiaschi, ed. Stilo Bari.
https://www.facebook.com/1545756872378210/photos/a.1549017065385524.1073741828.1545756872378210/1604217399865490/?type=1&theater
venerdì 4 ottobre 2013
Terribili verità. - Tancredi De Lisi
Fatta nel 2005 a bordo della piattaforma sea explorer quando lavoravo nelle piattaforme.
Gli immigrati si aggrappavano e salivano sulla piattaforma, quando capivano di essere in acque territoriali libiche si buttavano letteralmente dalla piattaforma...
Questa era la nave di supporto alla piattaforma che cacciava le barche di naufraghi per non farli salire.
Lavoravo nel canale di Sicilia, era agosto, passavano 4-5 imbarcazioni l'ora (circa 100 persone l'ora)... E chissà quanti morivano... I sopravvissuti venivano portati in Libia, ed il nostro amico Gheddafi, con il benestare dei nostri governanti e dell'Europa intera, li portava nel deserto e li abbandonava li...senza acqua...oltre che il mare anche il deserto è pieno di queste povere vittime!...
Cari politici siete veramente degli ipocriti...non avete dignità...fate finta di non sapere... Da semplice cittadino conosco questa realtà da circa 10 anni...e voi non ne sapevate niente?
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10202112721408865&set=a.1140431960309.2022211.1512734763&type=1&theater