Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 7 dicembre 2024
I GOLPISTI DEMOCRATICI. - Marco Travaglio
Il bagolaro o caccamo.
Il nome originale è Bagolaro e più che un frutto è una piccola bacca, tanti anni fa costituiva un passatempo per i ragazzi i quali succhiavano la dolce e nera pellicina esterna e lanciavano il seme grosso come un cece attraverso una cannuccia di pari diametro che faceva da cerbottana. Matura in agosto. Era solito vederli vendere in strada la domenica quando si usciva dalla chiesa. Il termine, curioso, con il quale è indicato nella Sicilia orientale, ha una sua origine prettamente greca, derivando da melas-coccos, cioè bacca nera ed ancora da mini-coccos, piccola bacca. Nella Sicilia occidentale invece è più noto col nome caccamo, termine proveniente dal bizantino kakkabos.
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venerdì 6 dicembre 2024
L’OCCIDENTE È IN GUERRA, IL DISSENSO ORA SI UNISCA. - Elena Basile
La metropolitana di Tokyo.
La metropolitana di Tokyo ha introdotto un sistema basato sulla tecnologia piezoelettrica che converte l'energia generata dai passi dei passeggeri in elettricità. Questo innovativo meccanismo sfrutta materiali in grado di produrre cariche elettriche quando sottoposti a pressione, utilizzando il passaggio quotidiano di quasi sei milioni di persone per alimentare luci, schermi e apparecchiature nelle stazioni. Questo sistema non solo favorisce la sostenibilità, ma dimostra anche la versatilità della piezoelettricità, già impiegata in campi come sensori, microfoni e dispositivi antivibrazione. Un esempio concreto dell'impegno di Tokyo per l'innovazione tecnologica e l'efficienza energetica.
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giovedì 5 dicembre 2024
l grande inganno del “nucleare verde” e la premonizione di Robert Jungk. - Daniela Padoan
A partire dal libro Lo Stato atomico di Robert Jungk (Castelvecchi editore 2024) l’intervento di Daniela Padoan al convegno Nucleare e genere: attiviste, scienziate vittime organizzate in associazioni, organizzato da Women’s for International League for Peace & Freedom (WILPF) presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma, con la partecipazione di Bruna Bianchi, Mary Olson e Angie Zelter.
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Era il 1977 quando Robert Jungk scriveva nello Stato atomico, il suo straordinario e preveggente libro sulla trasformazione del nucleare bellico in nucleare civile: «Il futuro totalitario dei tecnocrati è già cominciato». Aveva visto spalancarsi l’abisso della Seconda guerra mondale, la Shoah, la mostruosità della distruzione nucleare di Hiroshima e Nagasaki; ed è nella ferita, nella nudità di quello sguardo che, subito dopo la fine del conflitto, aveva potuto cogliere i segni della trasformazione dell’enorme potere militare e antidemocratico americano; la riconversione dell’apparato nucleare bellico in civile, nella retorica della ricostruzione e del progresso, per la produzione di elettricità in un mondo sempre più energivoro e industrializzato. Quando, nel 1946, il presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman trasferì il controllo dell’energia atomica dalle mani militari a quelle civili, il Congresso assicurò che l’energia atomica sarebbe stata usata, oltre che per la difesa degli USA, per promuovere la pace nel mondo e per migliorare il welfare pubblico, rafforzando la libera competizione delle aziende private.
Già nel 1953, alla Casa Bianca prese forma una grandiosa campagna per la produzione di energia elettrica da fissione nucleare, ispirata – scrive Jungk – da una nuova generazione di «giocatori d’azzardo», non più qualificati scientificamente, non più seduti nei quartier generali delle forze armate, ma insinuati negli uffici di pianificazione dello Stato e dell’industria, nelle vesti di consulenti decisionali.
Quanto il suo sguardo fosse profetico, lo possiamo vedere oggi, davanti al predominio delle lobby economiche sulla politica, con la trasformazione dell’ossimoro del “nucleare per la pace” nell’ossimoro green del “nucleare per il clima”. Un nucleare rimpicciolito, di terza, di quarta generazione, capace di provocare non più una grande apocalisse, ma tante apocalissi miniaturizzate. E lo vediamo nella conversione di “Big Tech” all’atomo, nella fretta dei giganti dell’Intelligenza Artificiale di imporre ai governi scelte politiche a favore del ritorno su vasta scala dell’energia nucleare.
Diventato attivista per la pace e figura di riferimento del pensiero ecologista e antinuclearista dei primi anni Settanta, Jungk militò nel movimento Pugwash fondato da Albert Einstein e Bertrand Russell, partecipò a marce, sit-in, manifestazioni e azioni non violente davanti a siti nucleari in tutta Europa, prese parte a presidi di protesta contro gli euromissili nucleari Cruise davanti alle basi americane di Mutlangen in Germania, Common in Inghilterra e Comiso, in Sicilia. La sua narrazione, in cui si fondono giornalismo d’inchiesta, passione politica, riflessione filosofica, assunzione di responsabilità verso le future generazioni, è un prisma per comprendere il mondo degli irresponsabili e voraci «apprendisti stregoni» fautori del futuro verso il quale ci siamo addentrati alla cieca, che non può che interrogare ogni politica e ogni morale.
Jungk fu tra i primi a guardare in faccia il mostro nucleare, prima che ci convincessimo di averlo addomesticato; tra i primi a interrogare la costruzione del deserto linguistico e concettuale che nell’arco di mezzo secolo si sarebbe fatto senso comune; tra i primi a denunciare la nostra prometeica propensione alla distruzione, amplificata dalle crescenti e sovrastanti conoscenze tecnologiche, cogliendo il nesso tra Hiroshima e le «catastrofi industriali» che oggi possono assumere proporzioni non inferiori alle catastrofi che chiamiamo naturali – siccità, inondazioni, epidemie – e che hanno come concausa l’attività umana.
Leggere "Lo stato atomico" è andare all’origine di una patologia, alla descrizione iniziale dei suoi sintomi, prima che il corpo ne sia stato consumato e la malattia stessa si sia fatta abitudine, cronicità apparentemente impossibile ad affrontarsi. È illusorio, sosteneva Jungk, credere in una rigida distinzione tra una tecnica atomica destinata a scopi pacifici e un’altra con obiettivi bellici. Il potere nucleare è, sempre, l’antitesi della democrazia e della pace: è un potere esclusivo, politico e militare, chiuso, segreto, che, senza alcun controllo, esercita un arbitrio di vita o di morte sulle comunità umane e sull’ecosistema che le ospita.
Non solo l’“atomo per la pace” non si distingue dall’“atomo per la guerra”, ma l’intenzione di servirsene solo a scopi costruttivi non cambia nulla del suo carattere ostile alla vita: non se ne distinguono le scorie, la radioattività resta indelebile nei secoli, il rischio di incidenti causati da difetti tecnici o fallibilità umana è sempre in agguato.
L’apparato di sorveglianza richiesto a protezione di impianti potenzialmente soggetti a manomissioni, sabotaggi, colpi di stato, attentati terroristici o addirittura trasformazione in obiettivi bellici prefigurato da Jungk è risultato evidente nella crisi della centrale di Zaporizhzhia, tenuta in ostaggio come una bomba innescata nella guerra tra Russia e Ucraina, non diversamente dalla presa in consegna del sarcofago del reattore 4 di Černobyl’ da parte di forze speciali dell’esercito russo, nella cosiddetta area di esclusione di trenta chilometri intorno all’impianto.
La sequela di eventi letali che negli anni si è cercato di minimizzare o nascondere mostra come la pretesa di governare l’energia atomica nasconda un superomismo che appare tanto più grottesco perché la sua fallibilità – costitutivamente impossibile da accogliere, sempre negata – chiede continue attestazioni di una presunta età adulta, data dalla competenza tecnica guadagnata in qualche manciata di anni, rispetto a una lontana e imbarazzante preistoria. Ogni generazione di scienziati atomici ha guardato alla precedente da una posizione di superiorità, assicurando, se non l’eliminazione, almeno il contenimento del rischio. Oggi è lo stesso.
Un altro inganno linguistico sono i cosiddetti reattori di ultima generazione. Benché gli attuali reattori nucleari in commercio, di terza generazione, si basino sul processo di fissione, e quelli a fusione siano ancora in fase di studio, si parla di nuove generazioni, che in realtà sono state sviluppate tra gli anni Ottanta e i primi anni del Duemila e non sono altro che versioni tecnicamente migliorate dei precedenti, la cui progettazione include la possibilità, in caso di incidenti severi, di evitare contaminazioni esterne e di attivare misure di emergenza indipendenti dall’intervento umano. Quanto ai reattori di quarta generazione, che mirano a produrre energia attraverso processi e materiali meno inquinanti, dovrebbero vedere la luce, se i tempi saranno rispettati, attorno al 2050. Ma l’insidia maggiore, oggi, si nasconde nella volontà di una ripresa del nucleare tradizionale da fissione (uranio e plutonio) sotto la forma apparentemente inoffensiva di piccoli impianti modulari con potenze contenute, sistemi di sicurezza più avanzati, scorie più facili da confinare, ridotte emissioni di CO₂, sistemi di controllo automatici che escluderebbero la possibilità di disastri nucleari e il cui calore non raggiungerebbe temperature capaci di fondere le barre del combustibile nucleare. Si tratta degli Small Modular Reactors (SMR) – non una generazione a se stante, ma trasversali alla terza e quarta generazione – della misura di circa sei metri per sei, facili da trasportare nei siti di installazione e da mettere in funzione. Sono queste le promesse di numerose startup che si occupano dello sviluppo di tecnologia nucleare, tra cui l’italiana Newcleo, costituita nel 2021 e convinta che la produzione degli SMR sarà a regime nel 2026. È lo sviluppo dell’IA, in particolare, a richiedere la proliferazione di reattori di piccola taglia che assicurino una fornitura di elettricità ininterrotta agli innumerevoli server allocati in data center su cloud sempre più articolati, complessi e organizzati. L’accelerata digitalizzazione di tutti i settori economici, l’aumento esponenziale dei volumi di dati, il sempre maggior ricorso a carichi di lavoro ad alta intensità come l’Intelligenza Artificiale e l’ascesa di strumenti come ChatGPT inducono a prevedere che i consumi di elettricità cresceranno del 12% entro il 2040.
Anche i mini reattori, però, presentati come la panacea che potrà permetterci di mantenere inalterato e addirittura incrementare un livello di consumi ad oggi insostenibile per il pianeta, sarebbero responsabili di una diffusione pervasiva di scorie nucleari sul territorio. Uno studio della Stanford University mostra infatti che gli SMR aumenterebbero i volumi equivalenti dei rifiuti nucleari che necessitano gestione e smaltimento anche per decine di migliaia di anni e che, poiché le proprietà del flusso di rifiuti sono influenzate dalla fuoriuscita di neutroni dal nocciolo ridotto, aggraverebbero anche le problematiche legate allo smaltimento degli impianti a fine corsa. I sostenitori del nucleare asseriscono di aver trovato una soluzione per lo smaltimento definitivo dei rifiuti di alto livello: i depositi geologici, tunnel sotterranei a una profondità compresa tra i duecentocinquanta e i mille metri, e assicurano che, con i reattori di quarta generazione, sarà possibile riciclare i rifiuti riducendone il tempo di pericolosità da 100.000 a 300 anni, come per i rifiuti a bassa radioattività. Come dire, una miniaturizzazione dell’Apocalisse, qualcosa a cui guardare con occhi di adulti.
«Le catastrofi nucleari distruggono non solo il presente ma anche il futuro», scrive Robert Jungk ne Lo stato atomico. «Questa ipoteca sul futuro, la paura per i danni derivanti da un’energia nucleare non più tenuta sotto controllo, diventano per l’umanità la più grave oppressione pensabile: sia sotto forma di traccia tossica che rimane indelebile, sia come ombra di una preoccupazione che non scomparirà mai del tutto».
Oggi chi è contro il nucleare civile viene tacciato di oscurantismo, irrazionalità, codardia.
C’è voluto un lungo, paziente e dispendioso lavoro di lobbying, per giungere a un completo rovesciamento della realtà. Nel 2022, ad esempio, alla Biennale del Cinema di Venezia, il regista statunitense Oliver Stone presentò fuori concorso Nuclear, un documentario apologetico sull’energia nucleare mostrata come sola opzione per sostituire i combustibili fossili e combattere il cambiamento climatico. In quell’occasione diede una dimostrazione della nuova – e vecchissima, tanto che Jungk l’aveva già descritta in ogni aspetto – ideologia nuclearista: accusò di tradimento i movimenti contro il nucleare, finanziati dalle compagnie petrolifere; accusò di ignoranza tutti coloro che temono la fissione nucleare; soprattutto, irrise la democrazia, spiegando che «le leadership politiche sono codarde perché seguono il volere dei cittadini, che spesso non sanno molto in materia».
Il ritorno dell’ideologia nuclearista ha trovato espressione anche nella decisione della Commissione europea del gennaio 2022, che includeva l’energia nucleare (insieme al sequestro del gas fossile) nel regolamento sulla Tassonomia verde (una classificazione delle fonti energetiche che l’Ue considera sostenibili per l’ambiente e dunque da incentivare all’interno del Green Deal europeo), rimuovendo l’evidenza che l’energia nucleare, sebbene rilasci una quantità di gas climalteranti inferiori a carbone e petrolio e pari al gas (se si considera l’intero ciclo di produzione), genera scorie radioattive ad alta attività che alterano il Dna degli esseri viventi e che dunque sono deleterie per la salute e per l’ambiente, e che, ancora oggi, non è stata trovata nessuna soluzione per il loro smaltimento a lungo termine.
L’Italia ha bocciato per ben due volte il ricorso al nucleare con i referendum del 1987 e del 2011, ma il Governo è al lavoro, dopo aver inserito il nucleare nel Piano Integrato Energia e Clima (Pniec) 2023, per creare un’azienda nazionale del nucleare, sfidando così la volontà dei cittadini. La battaglia contro il nucleare si profila come un altro fronte nella difesa del diritto, dell’integrità dei territori, della salute, di una cultura di rispetto dell’ambiente e, non ultimo, della pace.
martedì 3 dicembre 2024
Buchi neri giganti all'alba dell'universo. - Benedetta Bianco
Una crescita super-veloce, talmente rapida da sfidare i limiti della fisica, potrebbe spiegare i buchi neri supermassicci che si sono formati quando l’universo aveva meno di un miliardo di anni: Lo indica lo studio internazionale guidato dall’Italia con l’Istituto Nazionale di Astrofisica, che ha analizzato i dati raccolti in 700 ore di osservazione dai telescopi spaziali Xmm-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea e Chandra della Nasa.
Alla ricerca, pubblicata sulla rivista Astronomy & Astrophysics, hanno contribuito anche Università di Roma Tre, Università di Bologna, Scuola Normale Superiore di Pisa, Università degli Studi dell’Insubria, Agenzia Spaziale Italiana e Università di Roma Tor Vergata.
I ricercatori guidati da Alessia Tortosa hanno studiato 21 quasar: galassie attive alimentate da buchi neri supermassicci che emettono enormi quantità di energia. In particolare, i quasar scelti sono tra gli oggetti più distanti mai osservati e risalgono al primo miliardo di anni di vita del cosmo. L'analisi delle emissioni nei raggi X di tali oggetti ha rivelato un legame che collega la velocità dei venti lanciati dai quasar, che può raggiungere migliaia di chilometri al secondo, alla temperatura dei gas nella corona, la zona più prossima al buco nero: gas più freddi risultano associati a venti più veloci, che a loro volta indicano una fase di crescita estremamente rapida.
“Il nostro lavoro suggerisce che i buchi neri supermassicci al centro dei primi quasar che si sono formati nel primo miliardo di anni di vita dell’universo possano effettivamente aver aumentato la loro massa molto velocemente, sfidando i limiti della fisica”, afferma Tortosa. “La scoperta di questo legame tra emissione X e venti è cruciale per comprendere come buchi neri così grandi si siano formati in così poco tempo – aggiunge la ricercatrice Inaf – offrendo in tal modo un’indicazione concreta per risolvere uno dei più grandi misteri dell’astrofisica moderna”.
C’è un grande problema che riguarda la gravità: ecco di che si tratta.
Modello di telo spaziotemporale che rappresenta la curvatura dello spazio causata da una grande massa centrale e l’orbita di una massa più piccola, illustrando il concetto di gravità secondo la teoria della relatività generale di Einstein.
Un gruppo di ricercatori ha scoperto un potenziale “problema tecnico cosmico” nella gravità dell’universo, spiegando il suo strano comportamento su scala cosmica.
Negli ultimi 100 anni i fisici si sono affidati alla teoria della “relatività generale” di Albert Einstein per spiegare come funziona la gravità nell’universo. La relatività generale, dimostrata da innumerevoli test e osservazioni, suggerisce che la gravità influisce non solo sulle tre dimensioni fisiche, ma anche su una quarta dimensione: il tempo. “Questo modello è stato determinante, dalla teorizzazione del Big Bang alla fotografia dei buchi neri”, ha affermato Robin Wen, l’autore principale dello studio. “Ma quando proviamo a comprendere la gravità su scala cosmica, incontriamo apparenti incongruenze con le previsioni della relatività. È come se la gravità stessa smettesse di corrispondere perfettamente alla teoria di Einstein. Chiamiamo questa incoerenza un “problema tecnico cosmico”: la gravità diventa circa l’1% più debole quando si tratta di distanze nell’ordine di miliardi di anni luce”.
Cosa succede alla gravità su larga scala.
Per più di vent’anni fisici e astronomi hanno cercato di creare un modello matematico che spiegasse le apparenti incongruenze della teoria della relatività generale. “Quasi un secolo fa, gli astronomi hanno scoperto che il nostro universo si sta espandendo“, ha detto Niayesh Afshordi, professore di astrofisica all’Università di Waterloo. “Più le galassie si allontanano, più velocemente si muovono, al punto che sembrano muoversi quasi alla velocità della luce. La nostra scoperta suggerisce che, su larga scala, la teoria di Einstein potrebbe non essere sufficiente”.
Cosa dice il nuovo modello proposto dagli scienziati.
Il nuovo modello estende le formule matematiche di Einstein in un modo da risolvere l’incoerenza di alcune misurazioni cosmologiche, senza influenzare gli usi esistenti e riusciti della relatività generale. “Pensatela come una nota a piè di pagina della teoria di Einstein”, ha detto Wen. “Una volta raggiunta una scala cosmica, si applicano termini e condizioni.” “Questo nuovo modello potrebbe essere solo il primo indizio di un puzzle cosmico che stiamo iniziando a risolvere nello spazio e nel tempo”, ha detto Afshordi. Lo studio, “Un problema tecnico cosmico nella gravità”, è stato pubblicato sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics.