Il parlamentare del Pd sentito dai pm di Palermo: nel 1993 era presidente della commissione antimafia. Quel rapporto ricevuto dall'ex ministro dell'Interno era "Riservato". Tra l'altro rivelava l'obiettivo della stagione stragista di Cosa Nostra: l'allenamento del carcere duro.
Era arrivato abbozzando un sorriso, ma dopo due ore d’interrogatorio davanti ai magistrati palermitani Luciano Violante era scuro in volto e ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione, defilandosi invece in mezzo alla pioggia. Il deputato del Partito Democratico era entrato nell’ala nuova del palazzo di giustizia di Palermo qualche minuto prima delle 16, atteso dal procuratore aggiunto Antonio Ingroiae dai sostituti Lia Sava e Antonino Di Matteo. I pm che indagano sulla trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra hanno voluto richiamare a Palermo l’ex presidente della Camera per capire meglio quanto fosse a conoscenza degli indirizzi tenuti dal Governo alla fine del 1993.
All’epoca Violante era presidente della commissione antimafia, e in questa veste aveva richiesto all’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino (oggi indagato per falsa testimonianza nell’ambito dell’indagine sulla trattativa) la trasmissione della relazione elaborata dagli analisti della Dia il 10 agosto del 1993 sulle stragi di via Palestro a Milano e di San Giovanni a Velabro a Roma. Relazione che Mancino gli trasmise prontamente il 14 settembre, accompagnandola con una nota in cui specificava come si trattasse di materiale “Riservato” su cui vigeva il regime della “vietata divulgazione”.
Quella relazione è una lucidissima analisi, elaborata quasi in presa diretta, sul reale obbiettivo perseguito da Cosa Nostra con le stragi del 1993: l’allentamento del carcere duro, il 41 bis introdotto nel giugno del 1992, che divenne quindi uno degli oggetti principali della trattativa. Gli analisti di Gianni De Gennaro (all’epoca ai vertici della Dia) scrivono infatti che “la perdurante volontà del Governo di mantenere per i boss un regime penitenziario di assoluta durezza ha concorso alla ripresa della stagione degli attentati. Da ciò è derivata per i capi l’esigenza di riaffermare il proprio ruolo e la propria capacità di direzione anche attraverso la progettazione e l’esecuzione di attentati in grado d’indurre le Istituzioni a una tacita trattativa”.
Gli estensori della nota vanno oltre: avvertono infatti che “l’eventuale revoca anche solo parziale dei decreti che dispongono l’applicazione dell’articolo 41 bis, potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe”. Fatto che si verificherà fatidicamente meno di due mesi dopo, nel novembre del ’93, quando l’allora guardasigilli Giovanni Conso lasciò scadere più di trecento provvedimenti di carcere duro per detenuti mafiosi. Conso, che è indagato per false informazioni al pm, ha detto che compì quella scelta in “perfetta solitudine”. Il fatto che sia Violante che Mancino fossero a conoscenza di quella relazione ha però insospettito i pm che adesso vogliono capire quale fosse all’epoca il “clima politico” in relazione alle stragi e alla scelta di Conso di non rinnovare il 41 bis. Chi sapeva cosa?
È per questo che Violante è stato richiamato a Palermo, dopo che in passato era stato sentito soltanto in merito ai suoi contatti con il generale Mario Mori nel 1992. Il parlamentare del Pd, in quei mesi del 1993, appariva molto attento alle attività d’indagine sulle stragi. Un’attenzione particolare testimoniata anche da alcune lucide interviste televisive rilasciate all’epoca dall’ex presidente della Camera, che i pm hanno acquisito recentemente agli atti delle indagini. In seguito, però, Violante non denunciò mai pubblicamente il primo concreto cedimento dello Stato, rappresentato dalla mancata proroga dei 41 bis da parte di Conso. E in effetti fino ad oggi non aveva neanche mai fatto cenno a quella relazione della Dia, che rappresenta sicuramente un pezzo importante dell’intricato puzzle delle stragi.
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