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giovedì 7 giugno 2018

Bilderberg torna dopo 14 anni in Italia, meeting a Torino.

Bilderberg a Torino: accessi chiusi al Lingotto e 8Gallery © ANSA
Bilderberg a Torino: accessi chiusi al Lingotto e 8Gallery

Obbligo silenzio tra partecipanti. Portavoce, ma nessun complotto.


S'incontrano ogni anno, in un Paese sempre diverso, per scambiarsi conoscenze e opinioni sui più importanti temi d'attualità. La politica, l'industria e l'economia, ma anche l'innovazione e la tecnologia, dall'intelligenza artificiale al computer quantistico. I 'potenti della Terra' si ritrovano a Torino, da domani a domenica, per il tradizionale meeting del Bilderberg, l'esclusivo club fondato da Rockfeller nel 1954. Per i fautori della cospirazione è qui che si mettono a punto le trame del nuovo ordine mondiale; a parlare con chi da anni segue i suoi lavori, invece, dietro la riservatezza c'è soltanto l'intenzione di consentire ai partecipanti di "esprimersi liberamente per meglio comprendere questioni complesse".

"E' come un'intervista 'off-the-record', quelle in cui i commenti tendono ad essere più chiari e, quindi, più preziosi che in una conferenza stampa ufficiale", spiega all'ANSA un portavoce del Bilderberg Meeting, che torna dopo 14 anni in Italia. Vi partecipano oltre 120 personalità provenienti da più di venti Paesi. Europa, Stati Uniti e Canada, perché scopo del club è quello di promuovere il dialogo tra queste aree del mondo.

"Il Bilderberg si occupa di acquisire conoscenze, promuovere la comprensione e facilitare lo scambio di opinioni sui problemi principali che affliggono il mondo. Una discussione aperta su questioni di reciproco interesse, un forum per discussioni informali e pronte per l'uso", spiega un portavoce nelle stesse ore in cui i partecipanti al summit stanno arrivando a Torino, dove stasera è in programma la cena inaugurale del 66esimo meeting. 

Tra gli italiani John Elkann, il presidente di Fca e di Exor che da torinese fa gli onori di casa; con lui il direttore generale di Banca d'Italia Salvatore Rossi, il segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, la giornalista de La7 Lilli Gruber, il direttore di Limes Lucio Caracciolo, il ceo di Vodafone Vittorio Colao e gli accademici Alberto Alesina (Harvard), Elena Cattaneo (Università di Milano) e Marina Mazzuccato (Londra).

I preparativi fervono da giorni, con imponenti misure di sicurezza per scongiurare eventuali contestazioni. Con l'elenco dei partecipanti è noto anche l'ordine del giorno. Dodici punti a cominciare dal populismo in Europa, tema evidentemente caro al Bilderberg anche alla luce del risultato delle recenti elezioni in Italia, agli Stati Uniti prima delle elezioni di medio termine; dalla Russia, all'Arabia Saudita e all'Iran. "Le riunioni si svolgono secondo la regola di Chatam House: i partecipanti sono liberi di utilizzare le informazioni ricevute, ma l'identità del relatore non può essere rivelata. Creiamo la situazione giusta per parlare apertamente", spiega un portavoce.

Con buona pace dei complottisti.


http://www.ansa.it/piemonte/notizie/2018/06/06/bilderberg-torna-dopo-14-anni-in-italia-meeting-a-torino_696a2842-29ab-4569-83a2-4123fef4ffc7.html

venerdì 14 settembre 2012

“Il nostro progetto? Irrealizzabile”. Fiat, nuova marcia indietro su ‘Fabbrica Italia’. - Gaia Scacciavillani


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Comunicato del Lingotto: "Le cose sono profondamente cambiate da quando, nel 2010, presentammo il piano". Ma già lo scorso anno Marchionne prendeva le distanze dal documento che annunciava la produzione di 300mila veicoli entro il 2014: "E' solo una dichiarazione di intenti". La Fiom: "Stracciato l'ultimo velo di ipocrisia".

Sorpresa: il piano Fabbrica Italia della Fiat torna ad essere un progetto, solo che non è più possibile farvi riferimento perché dal suo lancio nell’aprile 2010 ad oggi  ”le cose sono profondamente cambiate”. Lo dichiara la Fiat in una nota a fronte delle richieste di chiarimento dei sindacati dei giorni scorsi relativamente alle intenzioni del Lingotto: due anni fa, infatti, la casa torinese aveva annunciato il progetto che avrebbe dovuto essere accompagnato da investimenti per 20 miliardi di euro. 
“Il nostro piano per l’Italia rappresenta anche una grande opportunità per creare posti di lavoro in Italia”, aveva dichiarato il gruppo guidato da Sergio Marchionne il 21 aprile 2010 in occasione della presentazione del piano industriale del gruppo al 2014, precisando che l’obiettivo era “di produrre entro il 2014, in Italia, oltre un milione di veicoli destinati all’esportazione, di cui circa 300.000 destinati al mercato statunitense. La percentuale di esportazioni crescerà quindi dal 44% nel 2009 al 65% nel 2014. Il livello degli investimenti che si vuole destinare all’Italia sul periodo di piano è enorme, pari ai due terzi di quelli di tutti i business del Gruppo Fiat a livello mondiale”.
Un anno e mezzo dopo, però, era stato lo stesso amministratore delegato della Fiat, Marchionne, a smentire tutto categoricamente. “Fabbrica Italia non era altro che una dichiarazione d’intenti, a dimostrazione dell’impegno verso il Paese. Sfortunatamente continua ad essere intenzionalmente mal compresa”, dichiara infatti agli industriali torinesi il 25 ottobre 2011 aggiungendo che è “impossibile precisare gli investimenti sito per sito” e che l’obiettivo è “mantenere, nei limiti del possibile, i posti di lavoro in Italia”. 
Cambio di rotta che stupì perfino la Consob. Tanto che nel giro di due giorni il Lingotto venne costretto a dei chiarimenti ufficiali. “Il progetto Fabbrica Italia non è mai stato un piano finanziario, ma l’espressione di un indirizzo strategico che Fiat intende seguire ed ha il significato e lo scopo di esprimere l’impegno di Fiat a risolvere le problematiche che interessano i suoi siti industriali italiani e contribuire allo sviluppo delle potenzialità industriali del Paese”, recita una nota del Lingotto datata 27 ottobre 2011 in risposta a una richiesta della vigilanza dei mercati finanziari, precisando che “condizioni imprescindibili per il raggiungimento di tale risultato, il concorso di tutte le componenti sociali, sindacati ed istituzioni, nell’assicurare la governabilità dei siti produttivi e l’attuazione degli accordi che garantiscono adeguata flessibilità operativa”.
Non senza tradire un certo disappunto, poi, Torino aggiungeva che “alla luce dei possibili fraintendimenti, equivoci ed irrealistiche attese di dettaglio collegate al progetto Fabbrica Italia, Fiat, si asterrà, con effetto immediato, da qualsiasi riferimento a Fabbrica Italia, fermi restando gli impegni già assunti ed il suo generale intento strategico di contribuire alla soluzione dei problemi industriali dell’Italia ed al suo futuro sviluppo”.
Neanche un anno ed ecco che ora si torna allo status di progetto, benché “impossibile”. Anche perché, sottolinea Fiat parafrasando un intervento del premier Mario Monti della scorsa primavera a Cernobbio, “la Fiat con la Chrysler è oggi una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva. La Fiat ha scelto di gestire questa libertà in modo responsabile e continuerà a farlo per non compromettere il proprio futuro, senza dimenticare l’importanza dell’Italia e dell’Europa”. E viene rimandato a ottobre ogni dettaglio sull’entità del ridimensionamento. Con buona pace degli operai del gruppo - non più tardi di ieri è stata annunciata una nuova settimana di cig a Mirafiori - e dei sindacati.
“Con questa dichiarazione si straccia l’ultimo velo di ipocrisia di un piano Fabbrica Italia che non è mai decollato lasciando i lavoratori nella cassa integrazione e nell’incertezza”, commenta Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom. “Anche a Pomigliano metà dei lavoratori non sono rientrati. Cadono le illusioni di chi pensava che lasciando dieci minuti di pausa o dando disponibilità agli straordinari comandati arrivassero gli investimenti. Dovrebbero riflettere tutti quelli che hanno firmato le intese. Tutto ciò accade con la complicità irresponsabile di una classe dirigente che ha lasciato da soli i lavoratori e in qualche misura la stessa Fiat”.
”Se dalla nota della Fiat emerge che il famoso piano Fabbrica Italia rischia di non esserci più siamo di fronte ad un problema molto serio”, aggiunge il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, che partecipa a un dibattito alla festa dei metalmeccanici torinesi della Cgil a proposito del comunicato della Fiat. Ancor più serio se si considera che nel bilancio degli ultimi due anni non c’è solo il mancato decollo del piano Fabbrica Italia. C’è anche il caso di Termini Imerese. L’impianto siciliano della Fiat inattivo da quasi un anno, mentre gli operai sono in cassa integrazione.  
Anzi, 450 sono nel limbo tra cassa integrazione ed esodo e avrebbero dovuto essere coperti dal decreto sugli esodati. Lo stop alla conversione del provvedimento, che complessivamente riguarda 55mila lavoratori, impedirebbe però al Lingotto di richiedere un ulteriore anno di cig per i restanti dipendenti dello stabilimento, col conseguente licenziamento collettivo a partire dal primo gennaio di tutti i lavoratori e a catena anche delle tute blu dell’indotto, in totale 2.200 persone. 
Il segretario della Fiom palermitana, Roberto Mastrosimone, punta il dito contro il Pdl. “Sebbene in commissione Lavoro alla Camera il via libera alla conversione del decreto avesse ottenuto l’unanimità – dice – al momento di calendarizzare il provvedimento per l’aula il Pdl si è opposto sostenendo che manca il via libera della commissione Bilancio alla copertura finanziaria. Se il decreto non sarà convertito entro il 6 ottobre si blocca tutto, migliaia di lavoratori perderanno tutto”. La Fiom, poi, sollecita il governo ad accelerare i tempi sulla vertenza. “Aspettavamo una convocazione al ministero dello Sviluppo per il 15 settembre, ma al momento tutto tace”.