Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
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martedì 16 gennaio 2018
mercoledì 5 giugno 2013
Camilleri: “La Costituzione? Mandata in vacca. Il Paese è in mano ai ricattatori”. - Silvia Truzzi
Andrea Camilleri: “Dal Colle un'invasione di campo non da repubblica parlamentare. Berlusconi, Marchionne, fino ai Riva: siamo un paese nelle mani di ricattatori”.
La signora Rosetta apre la porta di casa sorridente. Un filo di fumo ci guida da Andrea Camilleri, al lavoro nel suo studio: è appena uscito "Come la penso, autobiografia in forma di saggi e racconti" (Chiarelettere). E da Sellerio il nuovo Montalbano, "Un covo di vipere". Nuovo, ultimo no. “Quando mai! L’ultimo Montalbano l’ho già scritto, quando ho compiuto ottant’anni: posso dire che il commissario non muore. E che non sposa Livia, non è tipo da matrimonio Salvo Montalbano”. Lui no, ma Andrea Camilleri sì: quest’anno fanno 56 anniversari di nozze. “Ci vuole tanta voglia di stare assieme. E tanta pazienza”. “Ma il commissario è diventato un fedifrago cronico”, proviamo a protestare. “È perché i maschi quando sentono arrivare la vecchiezza diventano di una fragilità sentimentale incredibile. Quando l’ho detto a mia moglie, mi ha risposto: Spero che non sia autobiografico, Andrea”.
In "Come la penso" tratteggia una sorta di ritratto “genetico” dell’italiano: impietoso. C’è un modo di pensare, nell’italiano, che è ancora fascista: piace la prevaricazione, la sopraffazione. È un virus mutante, come quello dell’influenza. Si fa il vaccino e già il virus è cambiato. Noi italiani, è sgradevole dirlo, non amiamo i politici che ragionano e agiscono onestamente. Ferruccio Parri, un uomo mite, onesto, era appena stato nominato presidente del Consiglio e già tutta l’Italia lo chiama “Fessuccio”. Non piacciono, all’italiano, le persone dimesse: bello il luccicore delle divise, bella la parola tonante. Berlusconi no, non è un fascista. Ma ha un modo di proporsi, da gerarca, che piace molto perché è speculare a una certa mentalità italiana. I giudici scrivono: “Anche da presidente del Consiglio gestì una colossale evasione fiscale”. In un Paese normale, questo avrebbe annullato Berlusconi; in Italia gli fa guadagnare voti.
Che dice delle ragazze? Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Credo che anche queste storie destino l’ammirazione di tanti maschi italiani, e pure di tante femminelle che vorrebbero essere “olgettinizzate”: mettiamo sul mercato questo verbo. Tu ti porti a casa una ragazza, due, tre. E puoi passare inosservato. Ma lui se ne porta a casa trenta perché non vuole affatto passare inosservato: è scioccamente esibizionista.
Su MicroMega lei ha sostenuto l’ineleggibilità di Berlusconi. I suoi cosiddetti avversari dicono: “Preferiamolo batterlo politicamente”. Solo che non ci sono mai riusciti. E dire questo, batterlo politicamente piuttosto che per vie giudiziarie, è sottilmente pericoloso. I processi se ne vanno per i fatti loro e non si tratta di battere Berlusconi, si tratta di giudicarlo per i reati che ha commesso o non commesso. Dire: preferisco sconfiggerlo politicamente, significa opzionare che la giustizia sia alleata dei politici. L’unica via che hanno è quella di ricorrere a questa legge.
Come fanno a far valere l’ineleggibilità? Il Pdl sta al governo con il Pd…Io non faccio parte del Pd: se la vedano loro, che si sono consegnati mani e piedi a Berlusconi. Secondo me andrebbe rispettata la legge.
Cadrebbe il governo. Non so se a Berlusconi converrebbe far cadere il governo, l’Italia è in una situazione difficilissima. Ma me lo faccia dire: come cittadino sono stanco dei ricatti. L’Italia è diventata un Paese che vive di ricatti. E non riguarda solo Berlusconi. Il ricatto lo fa Marchionne, lo fanno i Riva a Taranto. Ormai siamo condizionati dai ricattatori.
Lei ha la stessa età del presidente Napolitano. Sì, siamo del ‘25 tutti e due: la rielezione non era cosa. Aveva fatto bene quando aveva detto “Me ne vado e buona sera”. Il secondo mandato è stato un errore, sia per chi l’ha proposto sia per chi ha accettato.
Un passaggio strano per i modi, quasi da Repubblica presidenziale. Da quel momento tutto il fatto costituzionale è andato a vacca. C’è stato un allentamento delle briglie costituzionali, tanto valeva – a lume di logica e di naso e di buon senso – fare un governo del Presidente. È stato più grave l’intervento sui partiti del capo dello Stato. Una sorta d’invasione di campo, un fatto non da Repubblica parlamentare. Bisogna rispettare la Costituzione: non devo essere io a dirlo, dovrebbe essere il presidente Napolitano. Il secondo mandato non è proibito, ma non è un caso che non sia mai successo. Di solito, poi, uno non arriva a fare il capo dello Stato a 40 anni: due mandati fanno 14 anni e te ne vai a 54. Qui te ne vai a 95.
Non un bel segno non aver trovato un’alternativa. Appena sentii che i Cinque Stelle proponevano Rodotà, feci un balzo di gioia. Dissi a mia moglie: “Che meraviglia, ora agguantano al volo questa liana sospesa, come Tarzan. Ed è fatta”. Quando mai… e sono riusciti a far fare quella figura a Prodi, Dio mio. L’alternativa c’era, era Rodotà. Cosa ostava a Rodotà?
Loro hanno detto che non ha telefonato…Queste cose io a sei anni le facevo. “Eh no, perché non mi ha dato la caramella”. M’ha telefonato, non m’ha telefonato: non possono essere ragioni valide per la politica. Sono ragioni infantili, piccole scuse. Se ne possono trovare di migliori.
Tre anni fa in un’intervista al Fatto, disse: “Il Pd va verso il suicidio, avrebbe bisogno di una seduta psicanalitica collettiva”. Quasi profetico. Devo ammettere, ahimè, che in queste ultime elezioni ho suggerito di votare Pd. Ho aderito a un invito di Alberto Asor Rosa. Lui temeva che un Pd debole fosse costretto ad allearsi con Monti: si pensava che Monti avrebbe avuto un successo maggiore. E l’idea di Asor Rosa era portare il Pd a un’alleanza con Sel, invece che Monti. Sbagliammo i calcoli, entrambi. Tutto potevamo prevedere, tranne le estrosità di Pier Luigi Bersani.
Estrosità? Eh, chiamiamola così. Dissi quel fatto della psicanalisi per via delle due anime del Pd: una cattolica e una ex comunista. Invece la cosa è risultata ancora più complessa: la lunga convivenza tra queste due anime ha fatto sì che invece di essere una bianca e una nera, diventassero tutte e due grigie. Creando situazioni psicanalitiche ancora più oscure. Ora, onestamente, siamo più da psichiatria che da psicanalisi.
Che fine farà il Pd? Sparisce. O si raccoglie attorno agli oppositori interni, come Civati.
Epifani? Una toppa.
In questi giorni arrivano dalla sua Sicilia notizie del processo sulla trattativa Stato-mafia. Che idea si è fatto di questa storia? Dunque: uomini dello Stato e mafiosi sono accusati di avere trattato insieme. Tu puoi ipotizzare che le prime trattative si svolsero con Totò Riina. Puoi pensare che un capomafia come lui vede sedersi davanti a sé un colonnello dei Carabinieri e non gli chiede le commendatizie?
Cosa sono? Chi c’è dietro, chi ti manda. Da questa parte abbiamo un capomafia di grande potere e grande forza, dall’altra un semplice colonnello dei Carabinieri. È chiaro che mai lo avrebbe ricevuto se questo colonnello dei Carabinieri non gli avesse portato le credenziali. Cioè a dire: dietro di me, c’è questo e quest’altro ministro. E te ne do anche la prova. Oggi due ministri sono accusati di falsa testimonianza: è cosa da poco, uno scherzetto. Il generale Mori non ha mai detto chi lo mandò, ma è chiaro che non andò da solo. Nemmeno l’avrebbero fatto entrare. Nella seconda fase della trattativa intervenne Provenzano, con l’eliminazione di Riina: era indispensabile levarlo di mezzo, per poter trattare seriamente perché le pretese di Riina erano eccessive. Dopodiché un ex ministro viene a dire: “Ho allentato il 41 bis di mia spontanea volontà, decidendo da solo”. E va bene, allora. Questo processo ci viene a raccontare solo la mezza messa, come si usa dire dalle mie parti. La vera messa forse era nell’agenda di Borsellino.
Non sapremo mai la verità? Ma quando mai abbiamo saputo la verità sulle cose italiane! Pensiamo alle stragi: Bologna, piazza Fontana, l’Italicus. In Italia esistono solo i servizi deviati, quelli non deviati no. Tutto il casino, tra il Colle e la Procura di Palermo, sta a dimostrare, così a fiuto, che la cosa è talmente grossa che hanno paura di uno sconvolgimento istituzionale, se la verità venisse a galla.
Possibile che non abbiamo anticorpi verso tutto questo? Prendiamo l’informazione. I giornali degli anni Cinquanta parlavano chiaro: c’erano polemiche anche forti, ma l’informazione era esaustiva, non parziale come ora. A quei tempi noi ci esercitavamo nella libertà, non l’avevamo avuta per tanto tempo. Le tribune politiche si svolgevano di fronte a 30 giornalisti, liberissimi di fare tutte le domande che volevano al politico di turno. Le domande non erano concordate prima, le domande erano a levare la pelle. Oggi è tutto concordato e i giornalisti scelti a seconda della convenienza. Ho sentito un giorno un cronista chiedere a Tony Blair: “Lo sa che lei ha le mani sporche di sangue?” E lui, dopo un momento di esitazione, si è messo a rispondere. Provate a rivolgere una domanda di questa violenza a un politico italiano. Non è più possibile, negli anni Cinquanta era possibile.
Vale anche per la produzione culturale? Il fervore di quei primi anni del Dopoguerra era dovuto al fatto che il mondo si apriva davanti a noi. E tutto quello che ci era stato negato – i grandi scrittori americani, i musicisti, i pittori, i francesi, gli inglesi – provocava un desiderio di linfa culturale e vitale. Tu ne eri così pieno che avevi la voglia di restituirla. Poi c’è stata una sorta di saturazione. E quando arrivò la Democrazia cristiana con la censura, fu in un certo senso stimolante: ti ribellavi alla censura.
Ogni censura trova il suo antidoto, si dice. Ma certo. Mi ricordo quando Andreotti proibì L’Arialda con la regia di Luchino Visconti e successero macelli. Questo ci teneva svegli. Ora c’è un assopimento, un andazzo, senza più un vero scontro culturale.
Non è che abbiamo meno strumenti intellettuali? Le persone si sono disabituate. Ormai tutti sono dei seguaci delle fabbriche del credere. La fabbrica del credere numero uno è la televisione: quello che dice la televisione è Vangelo.
Internet è una contromisura?
Assolutamente. Se ci fossero state solo le tv senza Internet non avremmo avuto le primavere arabe, non sarebbero state possibili senza comunicazione diretta, non mediata. La comunicazione mediata è velenosa, è contraffatta.
Di mezzo ci sono i media, appunto. E le proprietà: un giornale come il Fatto, se dovesse dipendere da un proprietario, sarebbe così libero di scrivere quello che scrive? Non credo. Quando c’era un solo canale in televisione, il colonnello Bernacca leggeva le previsioni del tempo. E diceva: “Domenica potete fare tutti una bellissima gita, perché splenderà il sole”. E la domenica veniva una pioggia fottuta. O viceversa. Io avevo un compare, Peppe Fiorentino, il quale sentiva le previsioni di Bernacca e diceva: ”OI po si o po no ‘u paracqua m’u porto”. E allora dico: quando guardate la televisione, portatevi appresso il paracqua. Cioè a dire: apritelo, in modo che il cervello non vi si bagni e voi possiate ragionare di testa vostra; altrimenti la tv v’inonda. Ma è un esercizio difficile, anche perché si dice che la Rai offre la possibilità di avere tre canali, di cui il terzo è quello più di sinistra. Ma dove? Come segnale stradale? A momenti ho sentito più elogi di Berlusconi sul Tg3 che sul Tg1. Dov’è tutta questa differenza? Ai miei tempi c’era.
Questo dipende dal fatto che anche i partiti si sono omologati? Mi rifiuto di chiamare quello che vedo e sento in questi ultimi tempi “Politica”. Politica oggi è sinonimo di corruzione. Vogliamo dissentire? Dopo Mani pulite sembrava chissà che cosa, invece siamo ridotti peggio di prima. Ed è del tutto trasversale. Una volta almeno Berlinguer poteva permettersi di teorizzare la diversità, ora il signor Penati mi pare che appartenga al Pd. Come il presidente della Provincia di Taranto. L’Italia dei Valori te la raccomando. Alla gente comune, che dice “sono tutti ladri” non gli puoi dare torto. Perfino i consiglieri regionali e comunali rubano. Allora perché io lo devo chiamare “uomo politico”? Lo chiamo ladro, perché i ladri sono quelli che rubano.
Una politica che cambia casacca nel giro di ventiquattro ore è politica? In Sicilia si dice: u porco pa’ coda e l’omo pe’ a parora. Il porco si riconosce perché ha la coda a tortiglione. E l’uomo si riconosce per la parola data. Dicono: “Non faremo mai il governo con Berlusconi”, allora i cittadini li votano. Dopo un giorno, fanno il governo con Berlusconi. Tu non sei un uomo politico, sei un truffatore. Perché dovremmo avere fiducia in una corporazione che non fa altro che difendersi?
A cosa pensa? Do un esempio, incontrovertibile. La Camera nega l’autorizzazione a procedere per Cosentino. Appena lui decade, se ne va in galera. Allora, io ho fiducia nella politica. Non ho fiducia in questa cosa oscena che ci spacciano per politica.
I partiti sono la vera antipolitica? Non c’è dubbio. Sono la negazione della politica. Dicono che in politica tutto è possibile. Non è vero. In politica sono possibili più cose, ma non “tutto”. Altrimenti è un bordello, non politica. La politica è un patto che va continuamente rispettato tra gli elettori e coloro che vengono votati per rappresentare i cittadini. Ma è tradito dal fatto che questa legge elettorale fa sì che l’uomo politico non rappresenti un cazzo, perché è stato nominato dalle segreterie dei partiti e non votato. L’uomo politico, se lo possiamo chiamare così, è sempre più negato ai suoi doveri. Non solo: proprio questo porta a non rispettare le regole interne, vedi i 101 che votano contro Prodi.
Che pensa di Grillo? Non so che pensarne. Una volta dissi: probabilmente i suoi grillini sono migliori di lui, più concreti. Lui è un capopopolo, un trascina folle. Poi quando si arriva al concreto della politica probabilmente lì in mezzo c’è qualcuno che è capace di fare la buona politica: hanno voglia di fare l’interesse dell’Italia. Non sono ridotti come la stragrande maggioranza dei politici italiani a fare il proprio interesse, o quello del partito.
Oltre i Cinque Stelle? La Boldrini è una donna che si è occupata di profughi e rifugiati. Ebbene, ha accettato la candidatura di Sel e alla Camera ha tenuto un discorso estremamente politico, anzi di bella politica. Finalmente.
C’è un’ondata di rivalutazioni della Prima Repubblica. Lei ne ha nostalgia? Ma per carità! La Prima Repubblica è stata una prova generale andata male. La Seconda non è andata meglio, la Terza sta andando peggio. Però non mi va di essere pessimista: gli elementi buoni a un certo punto si stancheranno di starsene tranquilli. Mi ricordo una frase bellissima di Alberto Savinio. Dicevano: “Dio riconoscerà i suoi”. E Alberto Savinio chiosava: “A fiuto”, perché una volta i cattolici non si lavavano per non commettere peccato mortale toccandosi le parti intime. Ecco, quelli giusti si riconosceranno a fiuto, indipendentemente dal partito cui appartengono.
Una rivoluzione? Fino a oggi il popolo italiano ha dimostrato una pazienza e una resistenza psicologica notevoli. Basta pensare alla disoccupazione dilagante, alla difficoltà delle famiglie. Grillo ha ragione quando dice di aver incanalato un malcontento che avrebbe potuto anche essere violento.
La politica, compreso il governo tecnico, ha dimostrato un sostanziale disinteresse verso il disagio sociale. Questi qui vivono in un ventre di balena! Non hanno nessun contatto con la gente, perché non sono stati più eletti. Il Papa tedesco è stato allevato sempre dentro la Chiesa, questo nuovo ci fa un’enorme impressione perché la sua origine è in mezzo ai poveri. Anche se pure lui… Va benissimo ricordare don Puglisi, ma si è ben guardato da ricordare Don Gallo. Quello sì che rompeva veramente i cabasisi… E così il Pd ha cominciato a morire quando ha perso il contatto con la base, con i lavoratori. Ma perché il Pd dovrebbe occuparsi dei lavoratori?
Forse perché è un partito di sinistra? S’illude, cara. Di lavoro si occupa Sel, se ne occupa Landini. Che infatti ormai sembra un marziano.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/camilleri-%E2%80%9Cla-costituzione-mandata-in-vacca-il-paese-e-in-mano-ai-ricattatori%E2%80%9D/#.UazenEJ-WA0.facebook
martedì 19 marzo 2013
Auto, vendite a picco in Ue. In Fiat cresce solo il salario di Marchionne.
Mentre l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, fa i conti con l’incasso sul 2012, lievitato del 50% a oltre 7 milioni di euro, arriva un nuovo record negativo per il mercato europeo dell’auto, con il Lingotto che va sempre più a fondo. A febbraio le vendite delle quattro ruote nel Vecchio Continente sono scese del 10,2% rispetto ad un anno fa. Secondo i dati diffusi dall’Acea, l’associazione dei costruttori europei, le immatricolazioni nei 27 Paesi Ue più quelli Efta il mese scorso hanno segnato il livello più basso mai raggiunto, con appena 829.359 unità vendute. Se si considera la sola Ue, il dato scende a quota 795.482 nuove auto, con un calo del 10,5% rispetto a febbraio 2012.
Nei primi due mesi del 2013, invece la flessione è stata del 9,5%, con un numero complessivo di immatricolazioni di 1.681.073 auto. Nel mese di febbraio, solo il Regno Unito ha registrato un aumento delle vendite che sono risultate in crescita del 7,9 per cento. Tutti gli altri mercati risultano in affanno per la recessione e hanno totalizzato un calo, che va dal -9,8% della Spagna al -10,5% della Germania, fino al -12,1% della Francia al -17,4% dell’Italia. Stesso trend per i primi due mesi dell’anno: la Germania segna un -9,6% e Spagna a -9,7 per cento. Per Francia e Italia flessione a due cifre del -13,5% per i cugini d’oltralpe e -17,3% per il Bel Paese. Domanda sostenuta invece nel Regno Unito che ha messo a segno un +10,3 per cento.
In questo contesto Fiat Group Automobiles il mese scorso ha immatricolato nell’Ue a 27 più i Paesi Efta 55.985 nuove autovetture, in calo del 15,7% rispetto alle 66.448 unità di febbraio 2012. Il marchio Fiat ha contenuto le perdite al -6,7% segnando 46.838 unità. Peggio è andata a Lancia/Chrysler che ha ceduto il 38,5% a 5.477 unità, Alfa Romeo il 41,8% a 4.718 unità e Jeep il 16,3% a 1.905 unità. Nei primi due mesi dell’anno il marchio Fiat ha perso il 5,3% a 90.649 immatricolazioni, Lancia/Chrysler il 35% a 11.675 unità, Alfa Romeo il 39,2% a 10.359 unità e Jeep il 15% a 3.905 immatricolazioni. Nel primo bimestre, poi, il Lingotto ha ceduto il 14% a 117.067 unità. E la quota di mercato della casa di Torino è così scesa al 6,8% dal 7,2% di un anno prima, ma è leggermente salita rispetto al 6,6% di gennaio.
Festeggia, intanto, l’amministratore delegato del gruppo torinese che secondo la relazione sulla remunerazione depositata in questi giorni dal gruppo, nel 2012 ha incassato da Fiat e Fiat Industrial complessivamente 7,4 milioni di euro, quasi il 50% in più dei 5 milioni del 2012. Non è andata tanto male neanche al presidente della Ferrari, Luca di Montezemolo, il cui stipendio si è attestato sui 5,534 milioni, mentre a John Elkann sono andati 1,463 milioni.
venerdì 21 dicembre 2012
MONTI BIS, TER E QUATER. - Eugenio Orso
Melfi, o cara! Il patto di sangue fra Marchionne e Monti è stato stretto, presenti e plaudenti Bonanni, Angeletti e molte altre comparse. Monti è entrato di prepotenza in campagna elettorale nonostante avesse giurato, in passato, di non voler prestarsi alla politica. Ma ci può essere un governo più politico del suo, per quanto vincolato nelle linee programmatiche dalle lettere bce e dai “consigli” fmi? Talmente politico-strategico, per le trasformazioni in peggio operate in Italia in un solo anno, che Monti non poteva non “sporcarsi le mani” scendendo nell’arena elettorale.
Le “riforme” fatte si devono mantenere a ogni costo, e solo Monti può garantire le élite finanziarie che ne beneficiano. Il modello di relazioni industriali Marchionne, che prevede la riduzione dei lavoratori italiani a bestiame nei recinti della fabbrica e piena libertà di chiudere stabilimenti e di investire altrove nel mondo, si sposa con la cosiddetta agenda politica professoral-montiana approvata e benedetta dai poteri forti. Persino la chiesa vuole Monti e ne approva le “riforme strutturali”, dimentica che il messaggio di Cristo va nella direzione esattamente opposta a quella sulla quale ci spinge il professore. Ai cancelli dello stabilimento lucano teatro della kermesse, respinti oltre la linea rossa, i lavoratori esclusi dal rito ed espulsi da questa splendida democrazia, purtroppo organizzati, trattenuti e manovrati dalla tremebonda fiom-cgil di “giù la testa!”, che continua a organizzare a scioperini democratici.
Se l’Italia tredici mesi fa aveva febbre alta e non poteva essere curata con una semplice aspirina, come ha sostenuto Monti a Melfi per giustificare le sue sanguinose controriforme davanti ai buoni di cuore, oggi rischia di finire sotto la tenda di rianimazione. Sul versante fiat, basta la produzione di un paio di nuovi modelli di suv e qualche investimento tardivo, forse un miliardo di euro, per risollevare le sorti dell’industria automobilistica in Italia? Certamente no, e questo lo sanno tutti coloro che erano presenti a Melfi, nella placida Lucania, ma lo scopo di Marchionne non è quello di mantenere ed espandere la produzione di auto in Italia, come lo scopo del suo alleato Monti non è di risollevare le produzioni nazionali, i redditi e l’occupazione. Monti avrà al suo seguito un esercito di burocrati politici, di alti prelati, di patrimonializzati, di grandi manager o supposti tali, e tutto il circo mediatico globalista in occidente a favore. L’operazione “cuori forti”, lanciata dai due compari a Melfi, annuncia che soltanto i più forti sopravvivranno alla cura ultraliberista e agl’altri faranno scoppiare il cuore.
Non contento di aver ridotto i consumi di petrolio nel paese ai livelli degli anni sessanta, Monti, idealmente federato con Marchionne, vorrebbe far scoppiare il cuore a tutti i deboli e indifesi, per liberarsene. Attenzione pensionati al minimo, disoccupati, cassaintegrati a zero ore, precari, piccoli imprenditori con l’acqua alla gola e equitalia alle calcagna, operai sottopagati, lavoratori pubblici nel mirino e ceti medi declassati! Siete voi i cuori deboli che non avranno cittadinanza nel sistema che Monti e Marchionne stanno plasmando per conto delle élite finanziarie globali. Eppure la chiesa è schierata con Monti, come se fosse una qualsiasi comunione e liberazione che applaude Marchionne al meeting di Rimini. I malevoli pensano che il consenso papalino è una contropartita per il trattamento di favore ricevuto fiscalmente, in particolare con l’imu. Gli ancor più malevoli, come lo scrivente, pensano che la chiesa di Roma appoggia pedissequa il massacro neoliberista in corso in Italia, dopo aver subito, in passato, pesanti avvertimenti “di stampo mafioso”, attraverso la stampa e le televisioni di mezzo mondo che hanno approfittato dello scandalo dei preti pedofili. Il motivo dell’attacco era la “dottrina sociale della chiesa” non conforme ai precetti e ai dogmi neoliberisti. Quindi, attenzione a come ti muovi, papa, non criticare con la tua dottrina sociale ispirata dai precetti cristiani i dogmi mercatisti, la santa finanza di rapina e le leggi del mercato sovrano, o noi distruggiamo in un sol colpo, con una campagna giudiziario-mediatica in occidente, la tua credibilità e quella di sancte romane ecclesie. Ed ecco che la chiesa appoggia Monti più per necessità, paura, viltà e opportunismo che per convinzione. Del resto, Monti si vende come il campione non dell’ultraliberismo selvaggio e della finanza spietata, quale in effetti è, ma del fantomatico “capitalismo sociale di mercato” alla tedesca, che dovrebbe garantire un futuro e miracoloso sviluppo nella competitività. Peccato che il sostegno alla produzione e ai redditi e la stessa crescita si rimandano continuamente, a data da destinarsi, mentre ciò che resta è un distruttivo rigorismo. Per Monti il rigore è già la crescita, e quindi si deve continuare su questa strada, con un Monti bis, ter e quater, battendo tutti i record in termini di aumento del debito pubblico (+ imposte e tasse e – pil), di calo dei consumi petroliferi, di crollo dei consumi in generale, di disoccupazione e sottoccupazione.
La cosa più sconvolgente che certi giornali asserviti al regime scrivono questa mattina è che gli operai, a Melfi, hanno applaudito Monti (e di riflesso anche il caro Marchionne). Si arriva al punto di spacciare quattro venduti che hanno tradito i loro compagni, il loro stesso paese e i loro figli – che con Monti e Marchionne non avranno futuro – come gli operai, intendendo tutti, ma proprio tutti gli operai. E così, gli operai applaudono pubblicamente i loro torturatori-carcerieri. Altro che Sindrome di Stoccolma, qui siamo oltre! Una stampa vigliacca, serva e senza alcun pudore – che se ne frega della corretta informazione – può scrivere questo e altro. L’importante è che un popolo prostrato, rimbecillito e impaurito ci caschi un’altra volta. L’importante è che il denaro pubblico continui a fluire tenendo in vita testate e redazioni. L’importante è che lo Spettacolo sostituisca la realtà e abbia successo. Persino il Debord della Società dello Spettacolo e dei Commentari, se non fosse scomparso nel 1994, ne sarebbe impressionato.
Monti non riuscirà a ottenere la maggioranza relativa dei consensi alle prossime elezioni, sia si presenti a capo di un solo listone sia si presenti come icona di una federazione di liste elettorali. Se non vi riuscirà, sicuramente “farà la pace” con Bersani, il vincitore predestinato, e mal che vada, complice lo spread in impennata, gli interessi sui btp alle stelle e gli attacchi speculativi, potrà diventare superministro economico nel futuro governo e vicepresidente del consiglio. Si tratterebbe comunque di un Monti bis, con Bersani uomo di paglia alla presidenza del consiglio e un programma in assoluta continuità con il precedente direttorio euromontiano. Quindi non ci sarà scampo e non ci sarà alcun cambiamento, a meno di eventi eccezionali come il ritorno di Silvio. In ogni caso, qualunque sarà la posizione di Monti nei prossimi governi (e anche se un giorno salirà al Colle), la sequenza sarà Monti bis, ter e quater. Il Monti quinquies ve lo risparmio, tanto a quel punto, nel lungo periodo, saremo già tutti morti …
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11244
giovedì 20 settembre 2012
Il secondo tragico Marchionne. - Marco Travaglio
C’è un che di irresistibile nel dialogo (si fa per dire) a distanza fra il duro Sergio Marchionne e gli omuncoli gelatinosi del governo, dei partiti e dei sindacati moderati (Cisl e Uil). Lui, il duro che non deve chiedere mai perché viene ubbidito prim’ancora che dia gli ordini, annuncia che dei 20 miliardi di investimenti promessi, col contorno di 1 milione e 400 mila auto e altre supercazzole che potevano essere credute solo in Italia, non se ne fa più nulla. Perché? Perché no. E gli impavidi ministri, sindacalisti e politici che fanno? Gli chiedono di “chiarire”. I più temerari aggiungono “subito”, ma sottovoce, vedimai che s’incazzi e li prenda a sberle. Ora, tutto si può rimproverare a questo finanziere scambiato per un genio dell’automobile, tranne la carenza di chiarezza: è dal 2004 che dice ai quattro venti che dell’Italia non ne vuole sapere, molto meglio i paesi dell’Est, dove la gente lavora per un tozzo di pane e non chiede diritti sindacali perché non sa cosa siano, e gli Usa dove Obama paga e Fiat-Chrysler incassa.
Ma quelli niente, fingono di non capire, chiedono chiarimenti, approfondimenti, spiegazioni, aprono tavoli, propongono patti, invocano negoziati, lanciano penultimatum, attendono il messia dei “nuovi modelli” naturalmente mai pervenuti. Ma in quale lingua glielo deve spiegare, Marchionne, che dell’Italia e dell’auto con bandierina tricolore non gliene frega niente? In sanscrito? Sentite Passera: “Voglio capire meglio le implicazioni delle sue dichiarazioni”. Un disegno di Altan potrebbe bastare. Sentite la Fornero, quella col codice a barre in fronte: “Non ho il potere di convocare l’amministratore delegato di una grande azienda” (solo quello di entrare con la scorta armata ai gran premi di F1), però vorrebbe “approfondire con Marchionne cosa ha in mente per i suoi piani di investimento per l’occupazione”. Ma benedetta donna: niente ha in mente, te l’ha già detto in musica, che altro deve fare per cacciartelo in testa? Infilare l’ombrello nel coso di Cipputi? Sentite Fassino: “L’ho sentito, mi ha dato rassicurazioni”. Ci parla lui. Sentite Bonanni, quello con la faccia da Bonanni che firmò tremante gli accordi-capestro a Pomigliano e Mirafiori: “Marchionne ci convochi subito e chiarisca se il Piano Fabbrica Italia lo mantiene e lo utilizza quando riprende il mercato o no”. Ma certo: i 20 miliardi li tiene lì sotto il materasso in attesa che la gente si compri tre Cinquecento e quattro Duna a testa, poi oplà, li sgancia sull’unghia per la bella faccia di Bonanni.
Ma che deve fare quel sant’uomo per far capire che i 20 miliardi non esistono e ha preso tutti per i fondelli? Fargli una pernacchia sarebbe un’idea, ma poi quelli replicherebbero: “Vorremmo capire meglio il significato profondo del gesto, Marchionne apra al più presto un tavolo per fornirci le necessarie e ineludibili delucidazioni atte a chiarire il senso recondito, anche tra le righe, della pernacchia”. Se non ci fossero di mezzo decine di migliaia di famiglie, ci sarebbe da scompisciarsi per queste scenette da commediola anni 80, dove il marito trova la moglie a letto con un altro e la interroga tutto compunto: “Cara, esigo un chiarimento sulla scena cui ho testè assistito”. O da film di Fantozzi. La sua Bianchina, con a bordo la signorina Silvani, viene affiancata dall’auto di tre energumeni che afferrano un orecchio del ragioniere. La Silvani li insulta. Quelli estraggono dall’auto Fantozzi a forza e lo massacrano di botte, mentre lui li apostrofa con fierezza: “Badi come parla!”. Pugno in faccia. “Vorrei un momento parlamentare con voi”. Setto nasale. “Lo ridichi, se ha il coraggio”. Spiaccicato sul tettuccio. “Badi che se osa ancora alzare la voce con me…”. Giacca squarciata. “Bene, mi sembra che abbiamo chiarito tutto, allora io andrei…”. Lo finiscono a calci e lo lanciano come ariete nel parabrezza. Ora Fantozzi fa il ministro tecnico e il sindacalista moderato. Tanto le botte le prendono i lavoratori.
Altre notizie da Tiscali
venerdì 14 settembre 2012
Fiat, addio "Fabbrica Italia": «C'è crisi» Della Valle: «Colpa di Marchionne Lui e i vertici furbetti e inadeguati».
Il nuovo piano su modelli e stabilimenti verrà il 30 ottobre. La Fiom: è grave, Marchionne vuole mani libere
ROMA - La Fiat archivia il piano "Fabbrica Italia" con cui due anni fa aveva promesso 20 miliardi di investimenti in cinque anni nellaPenisola e l'ad Sergio Marchionne, insieme al presidente John Elkann, finisce sotto attacco del patron di Tod's Diego della Valle: «Il vero problema della Fiat non sono i lavoratori, l'Italia o la crisi (che sicuramente esiste): il vero problema sono i suoi azionisti di riferimento e il suo amministratore delegato. Sono loro che stanno facendo le scelte sbagliate».
L'attacco. In una nota il patron Della Tod's interviene sulla vicenda Fabbrica Italia, cogliendo l'occasione per togliersi qualche sassolino della scarpa, dopo lo scontro che lo aveva visto contrapposto, la scorsa primavera, al presidente di Fiat, John Elkann, nel rinnovo dei vertici di Rcs, il gruppo che controlla il Corriere della Sera. «Continua questo ridicolo e purtroppo tragico teatrino degli annunci ad effetto da parte della Fiat, del suo inadeguato Amministratore Delegato e in subordine del Presidente. Assistiamo infatti da alcuni anni a frequentissime conferenze stampa nelle quali, da parte di questi Signori, viene detto tutto e poi il contrario di tutto, purché sia garantito l'effetto mediatico, che sembra essere la cosa più importante da ottenere, al di là della qualità e della coerenza delle cose che si dicono», afferma Della Valle.
«Parole pesanti». «Con il comunicato rilasciato ai giornalisti oggi, Marchionne e Company - prosegue - hanno superato ogni aspettativa riuscendo, con alcune righe, a cancellare importanti impegni che avevano preso nelle sedi opportune nei confronti dei loro dipendenti, del Governo e quindi del Paese». «Ma si rendono conto questi supponenti Signori dello stato d'animo che possono avere oggi le migliaia di lavoratori della Fiat e i loro familiari di fronte alle pesanti parole da loro pronunciate e alle prospettive che queste fanno presagire?»
«Furbetti cosmopoliti». Fanno «le scelte più convenienti per loro e i loro obiettivi, senza minimamente curarsi degli interessi e delle necessità del Paese. Paese che alla Fiat ha dato tanto, tantissimo, sicuramente troppo. Pertanto - aggiunge - non cerchino nessun capro espiatorio, perché sarà solo loro la responsabilità di quello che faranno e di tutte le conseguenze che ne deriveranno». «E' bene comunque che questi «furbetti cosmopoliti» sappiano che gli imprenditori italiani seri, che vivono veramente di concorrenza e competitività, che rispettano i propri lavoratori e sono orgogliosi di essere italiani, non vogliono in nessun modo essere accomunati a persone come loro», conclude l'imprenditore marchigiano.
L'attacco. In una nota il patron Della Tod's interviene sulla vicenda Fabbrica Italia, cogliendo l'occasione per togliersi qualche sassolino della scarpa, dopo lo scontro che lo aveva visto contrapposto, la scorsa primavera, al presidente di Fiat, John Elkann, nel rinnovo dei vertici di Rcs, il gruppo che controlla il Corriere della Sera. «Continua questo ridicolo e purtroppo tragico teatrino degli annunci ad effetto da parte della Fiat, del suo inadeguato Amministratore Delegato e in subordine del Presidente. Assistiamo infatti da alcuni anni a frequentissime conferenze stampa nelle quali, da parte di questi Signori, viene detto tutto e poi il contrario di tutto, purché sia garantito l'effetto mediatico, che sembra essere la cosa più importante da ottenere, al di là della qualità e della coerenza delle cose che si dicono», afferma Della Valle.
«Parole pesanti». «Con il comunicato rilasciato ai giornalisti oggi, Marchionne e Company - prosegue - hanno superato ogni aspettativa riuscendo, con alcune righe, a cancellare importanti impegni che avevano preso nelle sedi opportune nei confronti dei loro dipendenti, del Governo e quindi del Paese». «Ma si rendono conto questi supponenti Signori dello stato d'animo che possono avere oggi le migliaia di lavoratori della Fiat e i loro familiari di fronte alle pesanti parole da loro pronunciate e alle prospettive che queste fanno presagire?»
«Furbetti cosmopoliti». Fanno «le scelte più convenienti per loro e i loro obiettivi, senza minimamente curarsi degli interessi e delle necessità del Paese. Paese che alla Fiat ha dato tanto, tantissimo, sicuramente troppo. Pertanto - aggiunge - non cerchino nessun capro espiatorio, perché sarà solo loro la responsabilità di quello che faranno e di tutte le conseguenze che ne deriveranno». «E' bene comunque che questi «furbetti cosmopoliti» sappiano che gli imprenditori italiani seri, che vivono veramente di concorrenza e competitività, che rispettano i propri lavoratori e sono orgogliosi di essere italiani, non vogliono in nessun modo essere accomunati a persone come loro», conclude l'imprenditore marchigiano.
Il comunicato della Fiat. Il Lingotto, si legge in una nota diffusa oggi, ha sottolineato che è impossibile fare riferimento a un progetto nato due anni e mezzo fa». Il gruppo guidato da Sergio Marchionne ha poi aggiunto di aver deciso «di gestire le sue scelte in modo responsabile» e che «continuerà a farlo per non compromettere il proprio futuro, senza dimenticare l'importanza dell'Italia e dell'Europa».
Fiat nella nota diffusa per rispondere ai timori sul futuro di Fabbrica Italia espressi da alcuni esponenti del mondo politico e sindacale ricorda che il 27 ottobre 2011 aveva annunciato in un comunicato che non avrebbe più utilizzato la dizione "Fabbrica Italia" perché «molti l'avevano interpretata come un impegno assoluto dell'azienda mentre invece si trattava di una iniziativa del tutto autonoma che non prevedeva tra l'altro alcun incentivo pubblico». «Da quando Fabbrica Italia è stata annunciata nell'aprile 2010 - spiega il Lingotto nella nota - le cose sono profondamente cambiate. Il mercato dell'auto in Europa è entrato in una grave crisi e quello italiano è crollato ai livelli degli anni settanta. È quindi impossibile fare riferimento ad un progetto nato due anni e mezzo fa. È necessario infatti che il piano prodotti e i relativi investimenti siano oggetto di costante revisione per adeguarli all'andamento dei mercati».
L'azienda ricorda di avere ribadito ai sindacati nell'incontro del primo agosto a Torino che «la delicatezza di questo periodo, di cui è impossibile prevedere l'evoluzione, impone a tutti la massima cautela nella programmazione degli investimenti. Informazioni sul piano prodotti e stabilimenti saranno comunicate in occasione della presentazione dei risultati del terzo trimestre 2012», prevista per il 30 ottobre prossimo.
«Vale la pena di sottolineare - conclude il Lingotto - che la Fiat con la Chrysler è oggi una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva. La Fiat ha scelto di gestire questa libertà in modo responsabile e continuerà a farlo per non compromettere il proprio futuro, senza dimenticare l'importanza dell'Italia e dell'Europa».
La Fiom: problema serio. «Se dalla nota della Fiat emerge che il famoso piano Fabbrica Italia rischia di non esserci più siamo di fronte ad un problema molto serio», ha detto il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. «Non aver fatto gli investimenti - ha aggiunto - ha determinato che la Fiat venda meno di altri perché non ha i modelli e in più c'è il rischio che in Italia un sistema industriale dell'auto, non solo Fiat e componentistica, salti. Quindi - conclude - la discussione nel governo e nella politica di questo Paese dovrebbe essere di come si fa ad evitare che il sistema imploda, salti e si perdano altri posti di lavoro».
«Mi sembra che la Fiat voglia le mani libere in Italia, non vuole vincoli. Con questa dichiarazione si straccia l'ultimo velo di ipocrisia di un piano Fabbrica Italia che non è mai decollato lasciando i lavoratori nella cassa integrazione e nell'incertezza», ha sottolineato Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom. «Anche a Pomigliano - ha proseguito Airaudo - metà dei lavoratori non sono rientrati. Cadono le illusioni di chi pensava che lasciando dieci minuti di pausa o dando disponibilità agli straordinari comandati arrivassero gli investimenti. Dovrebbero riflettere tutti quelli che hanno firmato le intese. Tutto ciò accade con la complicità irresponsabile di una classe dirigente che ha lasciato da soli i lavoratori e in qualche misura la stessa Fiat».
«È davvero triste veder riconosciuta la fondatezza degli allarmi inascoltati degli ultimi anni sull'inaffidabilità del vertice della Fiat nell'assumere gli impegni per le realtà produttive nel nostro Paese. La Fiat ha utilizzato propagandisticamente il mito di Fabbrica Italia mentre concretamente cancellava i diritti dei propri lavoratori, isolava e tentava di annichilire il movimento sindacale», afferma Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà. Forse in queste ore è arrivato il tempo anche per il governo di cominciare a fare qualcosa: ad esempio convochi immediatamente i vertici della Fiat».
«Ieri la Fiat era una realtà imprenditoriale, oggi è una realtà finanziaria. Ieri la Fiat produceva lavoro, occupazione e reddito, oggi fa interventi in borsa, oggi opera in un sistema finanziario lobbistico internazionale. Non so neanche se l'ad va chiamato ancora Marchionne o Marchion, perché ormai di italiano ha solo il nome, non certo gli interessi», ha dichiarato Antonio Di Pietro, leader dell'Idv.
Fiat nella nota diffusa per rispondere ai timori sul futuro di Fabbrica Italia espressi da alcuni esponenti del mondo politico e sindacale ricorda che il 27 ottobre 2011 aveva annunciato in un comunicato che non avrebbe più utilizzato la dizione "Fabbrica Italia" perché «molti l'avevano interpretata come un impegno assoluto dell'azienda mentre invece si trattava di una iniziativa del tutto autonoma che non prevedeva tra l'altro alcun incentivo pubblico». «Da quando Fabbrica Italia è stata annunciata nell'aprile 2010 - spiega il Lingotto nella nota - le cose sono profondamente cambiate. Il mercato dell'auto in Europa è entrato in una grave crisi e quello italiano è crollato ai livelli degli anni settanta. È quindi impossibile fare riferimento ad un progetto nato due anni e mezzo fa. È necessario infatti che il piano prodotti e i relativi investimenti siano oggetto di costante revisione per adeguarli all'andamento dei mercati».
L'azienda ricorda di avere ribadito ai sindacati nell'incontro del primo agosto a Torino che «la delicatezza di questo periodo, di cui è impossibile prevedere l'evoluzione, impone a tutti la massima cautela nella programmazione degli investimenti. Informazioni sul piano prodotti e stabilimenti saranno comunicate in occasione della presentazione dei risultati del terzo trimestre 2012», prevista per il 30 ottobre prossimo.
«Vale la pena di sottolineare - conclude il Lingotto - che la Fiat con la Chrysler è oggi una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva. La Fiat ha scelto di gestire questa libertà in modo responsabile e continuerà a farlo per non compromettere il proprio futuro, senza dimenticare l'importanza dell'Italia e dell'Europa».
La Fiom: problema serio. «Se dalla nota della Fiat emerge che il famoso piano Fabbrica Italia rischia di non esserci più siamo di fronte ad un problema molto serio», ha detto il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. «Non aver fatto gli investimenti - ha aggiunto - ha determinato che la Fiat venda meno di altri perché non ha i modelli e in più c'è il rischio che in Italia un sistema industriale dell'auto, non solo Fiat e componentistica, salti. Quindi - conclude - la discussione nel governo e nella politica di questo Paese dovrebbe essere di come si fa ad evitare che il sistema imploda, salti e si perdano altri posti di lavoro».
«Mi sembra che la Fiat voglia le mani libere in Italia, non vuole vincoli. Con questa dichiarazione si straccia l'ultimo velo di ipocrisia di un piano Fabbrica Italia che non è mai decollato lasciando i lavoratori nella cassa integrazione e nell'incertezza», ha sottolineato Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom. «Anche a Pomigliano - ha proseguito Airaudo - metà dei lavoratori non sono rientrati. Cadono le illusioni di chi pensava che lasciando dieci minuti di pausa o dando disponibilità agli straordinari comandati arrivassero gli investimenti. Dovrebbero riflettere tutti quelli che hanno firmato le intese. Tutto ciò accade con la complicità irresponsabile di una classe dirigente che ha lasciato da soli i lavoratori e in qualche misura la stessa Fiat».
«È davvero triste veder riconosciuta la fondatezza degli allarmi inascoltati degli ultimi anni sull'inaffidabilità del vertice della Fiat nell'assumere gli impegni per le realtà produttive nel nostro Paese. La Fiat ha utilizzato propagandisticamente il mito di Fabbrica Italia mentre concretamente cancellava i diritti dei propri lavoratori, isolava e tentava di annichilire il movimento sindacale», afferma Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà. Forse in queste ore è arrivato il tempo anche per il governo di cominciare a fare qualcosa: ad esempio convochi immediatamente i vertici della Fiat».
«Ieri la Fiat era una realtà imprenditoriale, oggi è una realtà finanziaria. Ieri la Fiat produceva lavoro, occupazione e reddito, oggi fa interventi in borsa, oggi opera in un sistema finanziario lobbistico internazionale. Non so neanche se l'ad va chiamato ancora Marchionne o Marchion, perché ormai di italiano ha solo il nome, non certo gli interessi», ha dichiarato Antonio Di Pietro, leader dell'Idv.
“Il nostro progetto? Irrealizzabile”. Fiat, nuova marcia indietro su ‘Fabbrica Italia’. - Gaia Scacciavillani
Sorpresa: il piano Fabbrica Italia della Fiat torna ad essere un progetto, solo che non è più possibile farvi riferimento perché dal suo lancio nell’aprile 2010 ad oggi ”le cose sono profondamente cambiate”. Lo dichiara la Fiat in una nota a fronte delle richieste di chiarimento dei sindacati dei giorni scorsi relativamente alle intenzioni del Lingotto: due anni fa, infatti, la casa torinese aveva annunciato il progetto che avrebbe dovuto essere accompagnato da investimenti per 20 miliardi di euro.
“Il nostro piano per l’Italia rappresenta anche una grande opportunità per creare posti di lavoro in Italia”, aveva dichiarato il gruppo guidato da Sergio Marchionne il 21 aprile 2010 in occasione della presentazione del piano industriale del gruppo al 2014, precisando che l’obiettivo era “di produrre entro il 2014, in Italia, oltre un milione di veicoli destinati all’esportazione, di cui circa 300.000 destinati al mercato statunitense. La percentuale di esportazioni crescerà quindi dal 44% nel 2009 al 65% nel 2014. Il livello degli investimenti che si vuole destinare all’Italia sul periodo di piano è enorme, pari ai due terzi di quelli di tutti i business del Gruppo Fiat a livello mondiale”.
Un anno e mezzo dopo, però, era stato lo stesso amministratore delegato della Fiat, Marchionne, a smentire tutto categoricamente. “Fabbrica Italia non era altro che una dichiarazione d’intenti, a dimostrazione dell’impegno verso il Paese. Sfortunatamente continua ad essere intenzionalmente mal compresa”, dichiara infatti agli industriali torinesi il 25 ottobre 2011 aggiungendo che è “impossibile precisare gli investimenti sito per sito” e che l’obiettivo è “mantenere, nei limiti del possibile, i posti di lavoro in Italia”.
Cambio di rotta che stupì perfino la Consob. Tanto che nel giro di due giorni il Lingotto venne costretto a dei chiarimenti ufficiali. “Il progetto Fabbrica Italia non è mai stato un piano finanziario, ma l’espressione di un indirizzo strategico che Fiat intende seguire ed ha il significato e lo scopo di esprimere l’impegno di Fiat a risolvere le problematiche che interessano i suoi siti industriali italiani e contribuire allo sviluppo delle potenzialità industriali del Paese”, recita una nota del Lingotto datata 27 ottobre 2011 in risposta a una richiesta della vigilanza dei mercati finanziari, precisando che “condizioni imprescindibili per il raggiungimento di tale risultato, il concorso di tutte le componenti sociali, sindacati ed istituzioni, nell’assicurare la governabilità dei siti produttivi e l’attuazione degli accordi che garantiscono adeguata flessibilità operativa”.
Non senza tradire un certo disappunto, poi, Torino aggiungeva che “alla luce dei possibili fraintendimenti, equivoci ed irrealistiche attese di dettaglio collegate al progetto Fabbrica Italia, Fiat, si asterrà, con effetto immediato, da qualsiasi riferimento a Fabbrica Italia, fermi restando gli impegni già assunti ed il suo generale intento strategico di contribuire alla soluzione dei problemi industriali dell’Italia ed al suo futuro sviluppo”.
Neanche un anno ed ecco che ora si torna allo status di progetto, benché “impossibile”. Anche perché, sottolinea Fiat parafrasando un intervento del premier Mario Monti della scorsa primavera a Cernobbio, “la Fiat con la Chrysler è oggi una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva. La Fiat ha scelto di gestire questa libertà in modo responsabile e continuerà a farlo per non compromettere il proprio futuro, senza dimenticare l’importanza dell’Italia e dell’Europa”. E viene rimandato a ottobre ogni dettaglio sull’entità del ridimensionamento. Con buona pace degli operai del gruppo - non più tardi di ieri è stata annunciata una nuova settimana di cig a Mirafiori - e dei sindacati.
“Con questa dichiarazione si straccia l’ultimo velo di ipocrisia di un piano Fabbrica Italia che non è mai decollato lasciando i lavoratori nella cassa integrazione e nell’incertezza”, commenta Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom. “Anche a Pomigliano metà dei lavoratori non sono rientrati. Cadono le illusioni di chi pensava che lasciando dieci minuti di pausa o dando disponibilità agli straordinari comandati arrivassero gli investimenti. Dovrebbero riflettere tutti quelli che hanno firmato le intese. Tutto ciò accade con la complicità irresponsabile di una classe dirigente che ha lasciato da soli i lavoratori e in qualche misura la stessa Fiat”.
”Se dalla nota della Fiat emerge che il famoso piano Fabbrica Italia rischia di non esserci più siamo di fronte ad un problema molto serio”, aggiunge il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, che partecipa a un dibattito alla festa dei metalmeccanici torinesi della Cgil a proposito del comunicato della Fiat. Ancor più serio se si considera che nel bilancio degli ultimi due anni non c’è solo il mancato decollo del piano Fabbrica Italia. C’è anche il caso di Termini Imerese. L’impianto siciliano della Fiat inattivo da quasi un anno, mentre gli operai sono in cassa integrazione.
Anzi, 450 sono nel limbo tra cassa integrazione ed esodo e avrebbero dovuto essere coperti dal decreto sugli esodati. Lo stop alla conversione del provvedimento, che complessivamente riguarda 55mila lavoratori, impedirebbe però al Lingotto di richiedere un ulteriore anno di cig per i restanti dipendenti dello stabilimento, col conseguente licenziamento collettivo a partire dal primo gennaio di tutti i lavoratori e a catena anche delle tute blu dell’indotto, in totale 2.200 persone.
Il segretario della Fiom palermitana, Roberto Mastrosimone, punta il dito contro il Pdl. “Sebbene in commissione Lavoro alla Camera il via libera alla conversione del decreto avesse ottenuto l’unanimità – dice – al momento di calendarizzare il provvedimento per l’aula il Pdl si è opposto sostenendo che manca il via libera della commissione Bilancio alla copertura finanziaria. Se il decreto non sarà convertito entro il 6 ottobre si blocca tutto, migliaia di lavoratori perderanno tutto”. La Fiom, poi, sollecita il governo ad accelerare i tempi sulla vertenza. “Aspettavamo una convocazione al ministero dello Sviluppo per il 15 settembre, ma al momento tutto tace”.
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