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venerdì 4 giugno 2021

CAPITALISMO E DEMOCRAZIA: TASSARE LE RICCHEZZE PER USCIRE DAL NUOVO FEUDALESIMO. - Nadia Urbinati


 
Ci abbiamo mai fatto caso che il discorso sulla crisi ha in questi anni marciato su due binari paralleli? Crisi della democrazia e crisi del capitalismo. Sulla prima si è accumulato materiale che potrebbe riempire alcuni scaffali. Sulla seconda, la produzione è meno abbondante ma non se si include la trattatistica sulla disuguaglianza.

Realismo critico.

Recentemente Carlo Trigilia ha curato un volume per il Mulino, Capitalismi e democrazie, che offre un’analisi comparativa di come le democrazie elettorali hanno risposto alla crisi economica; il bilancio non è necessariamente negativo: i percorsi dei Paesi europei mostrano come la “macchina complessa” della democrazia possa rispondere alla sfida “durissima” che viene dalle relazioni tra lo stato e il mercato.

Proviamo a fare un esperimento mentale: che cosa succede se invece di tener distinti i due termini – capitalismo e democrazia, mercato e stato – li trattiamo come parti di un sistema integrato? È questo che si propone di fare nel suo ambizioso e, dice Claus Offe, potenzialmente sovversivo, Capitalism on Edge: How Fighting Precarity Can Achieve Radical Change Without Crisis of Utopia (Columbia University Press, 2020).

L’autrice, docente nell’università del Kent, con una biografia di attivista e dissidente negli anni della caduta del regime comunista in Bulgaria, ha studiato alla New School e ad Harvard e ha una formazione francofortese. Il quadro teorico e concettuale nel quale situa la sua ricerca socio-politica è quello del realismo critico, che potremmo sintetizzare con le parole di Paul Valery: «Il modo migliore per far sì che i sogni diventino realtà è svegliarsi».

Realismo critico significa, in questo caso, evitare di guardare il capitalismo da un punto di vista morale o desiderativo. Per questo, parlare di crisi ha poco senso, perché presume che vi sia una condizione stabile o di buona salute (ma buona per chi?) alla quale riportare il capitalismo. Secondo Azmanova non di crisi si dovrebbe parlare ma di cicli di mutamento delle condizioni di generazione del profitto.

Il capitalismo che molti dipingono in agonia o propongono di rendere “buono” sta benissimo come motore di prosperità selettiva. Ed è l’attenzione al problema “sistemico” che consente di vedere i segni delle trasformazioni epocali: nel nostro tempo, il populismo xenofobo o le rivolte dei disperati segnalano una “pena crescente” di molte persone che la retorica del benessere generalizzato e della crescita aveva per qualche decennio alleviato.

Conservatori e progressisti trattano il capitalismo come un fenomeno morale che può essere piegato alle ragioni della giustizia che stanno prima e sopra di esso. Secondo Azmanova questa lettura non aiuta a capire il nostro tempo e neppure la logica di sistema. I discorsi sulla crisi derivano da una teoria della giustizia che si propone di lenire le grandi sofferenze con i mezzi che il capitalismo offre, muovendo cioè le leve o della liberalizzazione o dell’intervento statale.

Dall’uguaglianza all’oligarchia. 

È possibile uscire da questo circolo chiuso? Secondo Azmanova è possibile se si resta marxianamente all’interno del processo immanente del capitalismo, che non è istigato da menti o volontà perverse o esterne ad esso. Si tratta di una pratica di pensiero radicale. Primo passo: trattare le nostre società come ordini istituzionali che combinano la democrazia come sistema politico al capitalismo come sistema sociale.

La democrazia capitalistica comprende due ordini, economico e politico, che si sostengono a vicenda perché azionati dalla stessa logica, come diceva Schumpeter: generazione competitiva del profitto e generazione competitiva della classe politica. Alcuni anni fa, Francesco Galgano tracciò la storia del principio di maggioranza a partire dalla Compagnia delle Indie, della quale John Locke era un azionista.

L’evoluzione delle democrazie come del capitale azionario è, da allora, andata da soluzioni di uguaglianza orizzontale a soluzioni miste di oligarchia e democrazia. O l’elettore è un uguale in senso aritmetico (una testa/un voto) o invece la sua uguaglianza è proporzionale all’interesse o al potere da rappresentare (peso del voto secondo le quote di capitale).

Democrazia e capitalismo hanno seguito un andamento dall’uguaglianza all’oligarchia, pur restando l’uguaglianza degli individui il principio che giustifica la competizione. Azmanova propone una lettura simile: la democrazia elettorale attuale, dice, è generatrice di oligarchia proprio per le pratiche competitive che la muovono. E offre valvole di sfogo, lasciando aperti spazi di contestazione della disuguaglianza, come con Occupy Wall Street o gli Indignados.

Secondo Azmanova queste sono reazioni innocue, anche perché traducono le afflizioni e le condizioni di assoluta precarietà, in una denuncia fuori tiro, sbagliata – la disuguaglianza – senza mai andare alla radice dell’ordine che la genera. Quindi il capitalismo continua a prosperare a dispetto della insoddisfazione pubblica che genera.

Allenarsi a resistere.

Del resto, nonostante le dichiarazioni di crisi del capitalismo c’è generale consenso sulle strategie di intervento (alternanza di deregolamentazione e liberalizzazione e di cicli di intervento pubblico in momenti di instabilità). Fino a ora, tutti i governi democratici, di destra o di sinistra, hanno perseguito l’obiettivo di salvare il capitale finanziario e il “big business” implementando programmi di austerità, con il risultato di generare più povertà e più precarietà.

E le rivolte, a tratti anche violente, come quella dei gilets jaunes francesi o le reazione populiste, non cambiano questa situazione: sono allenamenti alla resistenza al peggio, cioè resilienza. Incanalare la frustrazione contro i poveri non nostri e contro i super-ricchi del mondo: xenofobia e invidia sociale. Due strade che non portano a nulla se non a restare dove si è.

Ha scritto Harry Frankfurt in Inequality (2015) che siamo fuori tiro quando lamentiamo la disuguaglianza. Dovremmo in effetti preoccuparci della povertà: il povero soffre perché non ha abbastanza di che vivere. Dargli di che vivere è l’obiettivo materiale, anche a costo di togliere a chi ha di più. L’obbligo morale sarebbe quindi non quello di conquistare più uguaglianza, ma di eliminare la povertà.

L’oscena accumulazione della ricchezza è offensiva non rispetto all’uguaglianza (di che cosa? In relazione a che cosa? Tra chi?) ma alla povertà, al fatto empirico ed evidente della miseria che non consente sofismi. Eppure tutti parlano della disuguaglianza, dai presidenti delle banche e degli organismi economici internazionali ai riformatori liberal.

Perché la disuguaglianza, che è una caratteristica delle società di mercato da sempre, all’improvviso è tanto discussa da tutti? Perché siamo disturbati più da chi è ricco che da chi è povero? Se insistessimo sulla povertà saremmo meno inconcludenti e daremmo più spazio ai discorsi materiali; se cessassimo di parlare di crisi del capitalismo vedremmo meglio che questo sistema è basato sulla produzione di povertà, di ingiustizie e di dominio.

Nella Favola delle api (1723) di Bernard de Mandeville, si legge che la ricchezza nasce dalla povertà, la prosperità dal lavoro salariato; il benessere delle nazioni è misurato dalla massa dei poveri laboriosi che faticano senza aspirare ad investire in bellezza e cultura, merci di lusso non a buon mercato.

La religione della sopportazione e il mito della condizione umana sempre uguale a sé stessa sono serviti per secoli a lenire il senso disperante di non aver altro che la propria miseria. Nel nostro tempo che sembra aver eternizzato il capitalismo, quale risposta si può dare a Mandeville per il quale la storia è storia di sfruttamento e di ricchezza che si ripete sempre uguale perché l’antropologia non cambia?

Si può in effetti rispondere che questa storia non si ripete mai sempre uguale perché gli esseri umani, dopo tutto, non sanno rinunciare, diceva Jean-Jacques Rousseau, a perfezionarsi e, così facendo, scompaginano la loro stessa antropologia e il corso delle cose, creano senza premeditazione crepe nel sistema. Cambiare le gerarchie Non c’è nessuna regia della storia, sono gli umani a non poter essere addomesticati.

Pertanto, pur senza un disegno che determina il corso delle cose, vale il detto che il diavolo si annida nei dettagli. E la libertà è il dettaglio sovversivo. Qualche scintilla qui è là, manifestazioni di scontento sempre meno sporadiche valgono a mettere in circolo l’idea che si può interrompere la legge ferrea della povertà e della perversa ideologia della precarietà come condizione che meritiamo.

Il movimento del Sessantotto fu un assaggio della possibilità sempre aperta di scompaginare l’ordine della gerarchia. Oggi l’insoddisfazione per la massiccia ed espansa precarietà può aprire una nuova possibilità. Segni ne sono anche le reazioni xenofobe e protezionistiche, risposte alla precarietà e alla povertà inadeguate e capaci di mettere la democrazia a rischio.

Tassare le ricchezze è invece il punto da cui partire, scrive Azmanova, non per invidia di chi ha molto o per rendere tutti ugualmente ricchi, ma perché esse sono disfunzionali in quanto rappresentano un feudalesimo di ritorno e un’oligarchia auto-protetta, condizioni che stridono con le premesse competitive del sistema capitalismo e della democrazia.

Libertàgiustizia

giovedì 27 agosto 2020

Ambiente, profondo rosso: tra 24 ore la Terra è in debito. -

Ambiente, profondo rosso: tra 24 ore la Terra è in debito
Overshoot Day
Il 22 agosto è il giorno del sovrasfruttamento delle risorse terrestri da parte dell’Umanità (Overshoot Day). Non è una data fissa, celebrativa, come la giornata mondiale dell’ambiente o della gioventù, ma è come una spia rossa che si accende sul cruscotto dell’auto e ti dice che sei in riserva perché hai premuto troppo sull’acceleratore. Nel 1970, con una Terra popolata da 3,7 miliardi di umani – meno della metà di quanti siamo oggi – quella data cadeva il 29 dicembre: era una buona cosa, dovevamo viaggiare in riserva solo per un paio di giorni, poi con il primo gennaio dell’anno nuovo, come con gli interessi di un conto in banca sano, si poteva fare rifornimento di risorse naturali che il capitale terrestre era in grado di rigenerare. Ma anno dopo anno, cresciuta la popolazione, cresciuti i consumi e cresciuto l’inquinamento, la data della riserva ha cominciato ad anticipare sempre più, nel 2000 era arrivata al 23 settembre e nel 2019 al 29 luglio, la più precoce di sempre.
“In riserva” carbone&C.: mangiare la biodiversità.
Nel caso del nostro pianeta viaggiare in riserva vuol dire che ti mangi il capitale cioè impoverisci la biodiversità, estingui specie pescando troppo pesce negli oceani, deforestando l’Amazzonia, scavando miniere, cementificando il suolo, bruciando petrolio e carbone, cambiando il clima, spargendo plastica e altri rifiuti, accrescendo la popolazione di circa 80 milioni di persone all’anno. Giocando a spendere più di quanto ci sia sul conto per cinque mesi su dodici, contraiamo un debito molto più importante di quello monetario: il debito ecologico, detenuto non da banche o governi, ma dalle inesorabili leggi fisiche che governano l’universo.
Un debito che non si potrà estinguere con decreti o recovery funds, perché è misurato in tonnellate di CO2, in concentrazioni di mercurio nelle acque, in microplastiche nel cibo, in mancanza di suolo fertile, in minore produttività agraria, in riduzione dell’acqua dolce e così via. Cioè basato sulle grandezze fisico-chimiche e biologiche che fanno funzionare la nostra vita e che non si comprano con la carta di credito. Quest’anno però è successo qualcosa di inatteso: invece di anticipare, la data del sovrasfruttamento ha riguadagnato 24 giorni, riportandosi ai livelli del 2005.
Non è l’effetto di un’improvvisa politica ambientalista planetaria, non è il frutto dell’Accordo di Parigi sul clima, ma semplicemente la riduzione dei consumi e dei trasporti dovuta al confinamento sanitario da coronavirus. Per qualche mese vari paesi del mondo hanno chiuso in casa la popolazione, la gente non ha più utilizzato aerei e automobili, ha sostituito i viaggi con le teleconferenze, ha ridotto lo shopping all’indispensabile, e magicamente le emissioni di CO2 sono diminuite e in parte anche l’uso di alcune materie prime non indispensabili. Ma con il rientro a una vita normale dopo l’emergenza, tutto sta tornando come prima o peggio di prima. Il terrore del collasso economico, che purtroppo è sempre, e a torto, maggiore di quello del collasso ecologico, spinge verso una ripresa dei consumi. La svolta verde è ancora lontana e carbone, petrolio, deforestazione e rifiuti continuano a essere il motore della crescita economica. Il rinculo della data del sovrasfruttamento 2020 potrebbe dunque essere un fenomeno del tutto transitorio, annullato nei prossimi mesi dal ripristino del modello dissipativo business-as-usual. Ma potrebbe anche rappresentare un eccellente esperimento positivo, la prova che se si vuole, si può ridurre in tempi brevissimi il nostro impatto sulle risorse planetarie.
Non invocando un nuovo lockdown, ma agendo sulle abitudini quotidiane, riducendo i viaggi inutili, soprattutto quelli aerei e il pendolarismo automobilistico facilmente sostituibile dal telelavoro, limitando i consumi di oggetti inutili, rallentando la frenetica attività produttiva voluta dalla competitività e dalla finanza. Ovvio che per rendere strutturali queste modifiche bisognerebbe cambiare il modello economico: da un capitalismo estrattivo basato sul dogma – fisicamente irrealizzabile – della crescita infinita in un mondo finito, a una società demograficamente ed economicamente stazionaria che possa essere più sobria nei consumi, rispettando i limiti planetari e sfruttando al meglio la tecnologia per ridurre gli sprechi, non per indurne di nuovi!
Domani o cambiamo o nessuno ci farà credito.
Se ciò verrà fatto, potremmo sperare di riportare la data della riserva verso dicembre, consegnando alle generazioni future un bilancio ecologico relativamente sano, un pacchetto di risorse naturali ancora passabile, un clima non troppo sregolato, un accumulo di rifiuti bonificabile. Se non lo faremo, la data, quando il problema Covid sarà risolto, tornerà ad anticipare, approfondendo sempre più il debito ecologico globale fino all’invivibilità di buona parte del pianeta. Come dire che a un certo punto la vera banca da cui dipendiamo tutti noi, quella ambientale, chiuderà il nostro conto in rosso e ci pignorerà ogni avere, saremo una specie sfrattata dal pianeta e nessuno ci farà credito. Sarà quello il giorno della bancarotta ecologica.
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giovedì 6 febbraio 2020

Vi toglieranno tutto. Anche l’anima. - Giuseppe Palma



Il capitalismo non è più borghese, col quale ciascuno poteva trattare. Fino agli Anni Novanta lo guardavi in faccia, sapevi con chi avevi a che fare. Era un capitalismo umano e tutti potevano ambire, attraverso il lavoro, a detenere le leve del capitale urbano (il cosiddetto ceto-medio).
Oggi il capitale è cosmopolita, senza volto. Non è più possibile trattare con chi lo detiene soprattutto per due motivi: 1) viaggia troppo velocemente ed è sovranazionale, quindi dei tuoi diritti non gliene frega nulla perché sono di ostacolo al contenimento dei prezzi, quindi alla competitività del servizio o del prodotto all’interno di un sistema globalizzato; 2) la deindustrializzazione (avvenuta per fare gli interessi stranieri) ha reso l’Italia un Paese di servizi, cioè con preminenza del settore terziario su quello industriale e agricolo. La maggior parte dei servizi sono ormai nelle mani di grosse multinazionali (capitalismo apolide e transnazionale) con le quali il capitalismo borghese – ammesso che esista ancora – non può più competere, quindi è evidente che i tuoi diritti fondamentali cedano il passo alle ambizioni di profitto senza freni.
A coadiuvare questo sistema le folli regole di bilancio della Ue (che costringono gli Stati a consegnare al capitale apolide i servizi che loro non possono più garantire a causa dei vincoli di bilancio) e il regime dei cambi fissi (l’euro), che scarica il peso della competitività su lavoro, salari e diritti. In tutto questo, la politica avrebbe dovuto fare da diga contro il dilagare degli indicibili scopi del capitale sovranazionale, soprattutto per tutelare i diritti fondamentali come lavoro, salari e salute. E invece ha abdicato, rendendosi la migliore alleata del capitale e il peggior nemico del popolo.
Ovviamente di tutto ciò non avete capito nulla, o peggio ancora vi rifiutate di capire, e continuate a strillare contro l’inesistente e aleatorio pericolo fascista oppure contro gli inconsistenti fantasmi del razzismo, puntando il dito – e la rabbia – verso questioni superflue o problemi del tutto secondari.
Mentre perdete il vostro tempo ad abbaiare contro il sovranismo (che del resto è una dottrina politica di pace per il ripristino della preminenza degli Stati nazionali sulle antidemocratiche strutture sovranazionali), il capitale transnazionale vi divorerà la dignità.
Vi toglieranno tutto. Anche l’anima.

martedì 9 gennaio 2018

Non esiste il Capitalismo Buono - Cecilia Zamudio




Gli immigrati, opera di Rodolfo Campodónico

Ogni giorno la povertà aumenta in tutto il mondo, mentre le grandi fortune crescono esponenzialmente: i capitalisti degradano sempre più il pianeta e riducono in schiavitù e reificano altri esseri viventi. Escludono milioni di esseri umani da una vita sana e dignitosa. Sterminano specie ed ecosistemi.
Milioni di esseri umani, impoveriti dal saccheggio perpetrato dalle multinazionali che capitalizzano sulla distruzione di montagne e fiumi, finiscono per affollarsi nelle cinte delle grandi città.

L'esodo degli esseri umani si intensifica, dai paesi più brutalmente saccheggiati, alla metropoli del capitalismo. Ma i paesi arricchiti a spese dell'impoverimento degli altri, vogliono cinicamente le ricchezze, ma non le persone. Muri e recinti di filo metallico crescono man mano che l'analisi e l'empatia diminuiscono. La sabbia delle spiagge è sbiancata dalle ossa di migliaia di naufraghi nel loro tentativo di fuggire dal calderone capitalista in cui gli uomini forti hanno convertito i loro paesi, a furia di saccheggiare e di guerre imperialiste.

I padroni dei paesi della metropoli capitalista, che intensifica anche lo sfruttamento contro gli operai della metropoli, e che precarizza le loro condizioni di vita, ha bisogno di un "Capro Espiatorio" per incolparla di ciò di cui non vuole farsi carico: usa i suoi media per alienare le maggioranze, sostenendo che la precarizzazione delle loro condizioni di vita è dovuta agli: "immigrati". La promozione del razzismo e del fascismo si intensifica nei mezzi dell'alienazione di massa, aumentando così la divisione della classe operaia e moltiplicando i livelli di violenza razzista.

Anche la violenza contro le donne è intensamente promossa per mezzo dell'alienazione di massa, dato che il maschilismo è una parte fondamentale della sovrastruttura capitalista: galoppano i profitti di pochi sulla mostruosità di femminicidio.

La reificazione dell'essere umano è promossa a sazietà. E tutto il valore della "solidarietà" è sostituito dai valori del consumatore. La nozione di "giustizia sociale" cerca di essere cancellata, e soppiantata dalla perversa "Carità", quando non lo è dall' "edonismo Zen", o direttamente dall' "Edonismo VIP ", ancora più egocentrico e triste.

Mentre i mezzi dell'alienazione capitalista addomesticano le persone con il loro promosso "non cambiare il mondo, cambia te stesso" (come se non si potesse provare a fare entrambe le cose allo stesso tempo), i capitalisti continuano a depredare. Implementano con maggiore intensità l'Obsolescenza programmata (invecchiamento precoce e programmato delle cose), trasformando questo pianeta in una discarica, avvelenando la terra e il cibo in modo cancerogeno, uccidono un bambino per fame ogni 5 secondi, in un mondo in cui l'agricoltura attuale riuscirebbe nutrire 12 miliardi di persone ...

I capitalisti approfittano della precarietà delle condizioni di vita (che loro stessi precarizzano) per espandere il loro bacino di schiavi: schiavitù moderna, prostituzione, traffico di bambini.
È urgente abbandonare questo sistema in cui una manciata di pochi capitalizza sul sangue, il sudore e le lacrime della maggioranza.

Data l'inevitabilità della constatazione (da parte di una parte importante della popolazione mondiale) dell'aumento dello sfruttamento, della miseria e del saccheggio della natura, i grandi capitalisti attaccano con i loro carri armati di pensiero: si tratta di colonizzare le nostre menti e di gestire la percezione della realtà.

Questi carri armati di pensiero cercano di porre il problema sotto luci deformanti, e per "guadagnare tempo" hanno inventato questa falsa dicotomia tra "capitalismo selvaggio" contro un presunto "capitalismo dal volto umano".

Il capitalismo è selvaggio per natura, poiché si basa sullo sfruttamento: non esiste un "capitalismo meno selvaggio" poiché la violenza e l'accelerazione di essa sono intrinseche all'accelerazione dell'accumulazione capitalista.

Crescono le grandi fortune sui cadaveri.
Nella fase attuale del capitalismo, i vecchi "Stati del benessere" in Europa vengono smantellati, perché dopo la caduta dell'URSS, i capitalisti non hanno bisogno di preoccuparsi di mascherare parte dei loro crimini, facendo finta che il capitalismo preservi il "benessere" , almeno per quelli del "primo mondo" autoproclamato.

Ricordiamo che il primo paese ad avere una sicurezza sociale fu l'Unione Sovietica, perché i lavoratori sovietici lo stabilirono poco dopo aver preso il potere (il primo paese ad avere un'assistenza sanitaria universale e gratuita, un'istruzione universale e gratuita, il diritto di voto alle donne, abitazioni come diritto concreto e tangibile, ecc.). Esistendo questi diritti nella vicina URSS, i capitalisti europei hanno capito che era necessario, per arginare il malcontento sociale nei paesi capitalisti, concedere un minimo in termini di sicurezza sociale. Così, la lotta degli operai, unita all'esistenza dell'URSS, ha permesso di ottenere alcuni diritti ... Gli stessi che stanno scomparendo oggi.

Oggi gli accumulatori di capitali e divoratori delle nostre ore di vita, festeggiano lo sfruttamento; non devono più mantenere alcuna "compostezza": sono già riusciti a finire l'URSS, hanno speso gli anni necessari per privatizzare tutto e a volgarizzare la sazietà, e i loro mezzi di alienazione di massa hanno iniettato un tenace odio contro il comunismo. Gli sfruttati possono già divorarsi a vicenda, immersi nel razzismo, nel maschilismo e nell'odio contro i rivoluzionari: gli sfruttatori hanno lavorato ai parametri della sottomissione al millimetro.

Ma siamo ancora vivi, e solo la lotta ci renderà liberi.
Ogni giorno l'accumulazione capitalista accelera, e con essa l'esclusione, lo sfruttamento, il saccheggio, la repressione, il terrorismo di stato, le guerre imperialiste, il fascismo, il razzismo, il maschilismo e tutte le forme di violenza.

Perciò è urgente combattere contro il capitalismo, e non credere che, forse, sarebbe possibile "un capitalismo meno cattivo". Sarebbe come fingere di dover lottare per un presunto "maschilismo meno cattivo" ... Quando ciò che esiste è un sistema di sfruttamento e le "variazioni" sintomatiche che percepiamo sono solo una funzione dello stadio di questo cancro sociale.

Traduzione per TLAXCALA di Alba Canelli

venerdì 21 agosto 2015

GRECIA: UN ESPERIMENTO DI CAPITALISMO ESTREMO. - NICK DEARDEN

athens

La Grecia sta per essere completamente dismessa a favore delle società avide di profitto. L’ultimo piano di salvataggio non ha nulla a che fare con il debito, ma è un esperimento di capitalismo così estremo che nessun altro Stato UE avrebbe avuto il coraggio di provare. 

La Grecia si sta dirigendo verso il suo terzo “salvataggio”, questa volta sono sul tavolo 86Mld di Euro, che verranno confezionati dai prestatori internazionali con una serie di misure di austerità, solo per poi tornare nuovamente a quegli stessi istituti di credito nel prossimo futuro. Sappiamo tutti che la spirale del debito non può essere e non sarà rimborsata. Sappiamo tutti che l’austerità a cui è legata farà peggiorare la depressione della Grecia. Eppure si continua così.

Se guardiamo più a fondo, però, scopriamo che l’Europa non è guidata da terminali confusi. Prendendo quei leader in parola, non comprendiamo quello che sta realmente accadendo in Europa. In poche parole, la Grecia è in vendita, e i suoi lavoratori, gli agricoltori e le piccole imprese dovranno essere tolti di mezzo.

Nell’ambito del programma di vastissima privatizzazione, si prevede che la Grecia consegni 50Mld di euro dei suoi “beni pubblici di valore” ad un organismo indipendente sotto il controllo delle istituzioni europee, che procederà a venderli. Aeroporti, porti, società pubbliche dell’energia, terreni e proprietà – tutto deve andare ai privati. Vendi i tuoi beni, così funziona la loro tesi artificiosa, e sarete in grado di ripagare il debito.

Ma anche nei termini ristretti del dibattito, svendendo attività redditizie o potenzialmente redditizie si lascia un paese meno capace di ripagare i propri debiti. Non sorprende che le attività più redditizie sono sotto il martello già da ora. La lotteria nazionale del paese è già stato comprata. Aeroporti che servono le isole delle vacanze in Grecia hanno la prospettiva di essere venduti in leasing a lungo termine ad una società aeroportuale tedesca.

Il porto del Pireo sembra destinato a essere venduto a una compagnia di navigazione cinese. 

Nel frattempo, 490.000 metri quadrati di fronte alla spiaggia di Corfù sono state prese di mira dai un fondo di private equity statunitense. Con un contratto di locazione di 99 anni per il prezzo speciale di € 23 Milioni. Secondo i giornalisti, il fondo di privatizzazione sta esaminando altri 40 isole disabitate, nonché un imponente progetto di Rodi, che comprende un campo da golf obbligatorio.

Affiancato alla privatizzazione c’è poi un ampio programma di deregolamentazione, che dichiara guerra ai lavoratori, gli agricoltori e le piccole imprese. 
Molte leggi della Grecia che proteggono le piccole imprese come le farmacie, panifici, e librerie dalla concorrenza con i supermercati e le grandi imprese devono essere spazzati via. 
Queste riforme sono così specifiche che l’UE sta scrivendo leggi in materia di misure del pane e le date di scadenza del latte. Incredibilmente, ai negozi greci è anche stato imposta un’apertura nei festivi più liberale che in Germania.
E’ stato autenticamente messo in atto un esperimento estremo di libero mercato.

Sul lavoro, le pensioni dovranno subire tagli rapidi, i salari minimi devono essere ridotti e la contrattazione collettiva deve essere drasticamente ridotta, mentre deve diventare più facile licenziare personale. 
Tutto questo è molto più estremo di quello che in molti dei paesi “creditori” della Grecia è stato attuato. Modifiche alle imposte includono un aumento enorme di natura regressiva nei casi quali l’IVA, su una vasta gamma di prodotti.

Certo, le riforme in alcuni settori dell’economia della Grecia potrebbe essere una buona idea, e in effetti Syriza è salito al potere promettendo di fare riforme serie, ad esempio, sulla tassazione e le pensioni. 
Ma ciò che viene imposto dagli istituti di credito non è una serie di “riforme” sensibili, ma la creazione e la microgestione di un’economia di ‘libero mercato’.
Il ricco giacimento delle privatizzazioni e delle deregolamentazioni apre nuovi e vasti strati della società greca alle aree in cui le grandi imprese non erano mai state in grado di mettere piede prima. 
La speranza è che questo genererà grandi profitti per mantenere grande business in crescita, oltre a fornire un modello estremo di quello che potrebbe essere possibile in tutta l’Europa. Anche se ciò che è ancora più sgradevole dell’ipocrisia dei leader europei costringendo politiche sulla Grecia che essi stessi non hanno avuto il coraggio di argomentare nei loro paesi, è il cinismo di quegli stessi leader che impongono le politiche di cui beneficeranno le aziende del proprio paese.
L’intensità del programma di ristrutturazione attualmente in fase di concordato per la Grecia dovrebbe dissipare ogni nozione persistente che si tratti di un tentativo di buone intenzioni, ma errato, per affrontare una crisi del debito. Si tratta di un cinico tentativo di creare un paradiso per le grandi aziende nel Mediterraneo, e a questo si deve resistere a tutti i costi.

Vesione originale:
Fonte: www.independent.co.uk
Link: http://www.independent.co.uk/voices/comment/greece-is-about-to-be-completely-dismantled-and-fed-to-profithungry-corporations-10452068.html
12.08.2015
Versione italiana: 
Fonte: https://esseresinistra.wordpress.com
Link: https://esseresinistra.wordpress.com/2015/08/17/la-grecia-sta-per-essere-completamente-dismessa-a-favore-delle-societa-private-avide-di-profitto/#more-5147
18.08.2015

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15451

venerdì 21 dicembre 2012

MONTI BIS, TER E QUATER. - Eugenio Orso



Melfi, o cara! Il patto di sangue fra Marchionne e Monti è stato stretto, presenti e plaudenti Bonanni, Angeletti e molte altre comparse. Monti è entrato di prepotenza in campagna elettorale nonostante avesse giurato, in passato, di non voler prestarsi alla politica. Ma ci può essere un governo più politico del suo, per quanto vincolato nelle linee programmatiche dalle lettere bce e dai “consigli” fmi? Talmente politico-strategico, per le trasformazioni in peggio operate in Italia in un solo anno, che Monti non poteva non “sporcarsi le mani” scendendo nell’arena elettorale.

Le “riforme” fatte si devono mantenere a ogni costo, e solo Monti può garantire le élite finanziarie che ne beneficiano. Il modello di relazioni industriali Marchionne, che prevede la riduzione dei lavoratori italiani a bestiame nei recinti della fabbrica e piena libertà di chiudere stabilimenti e di investire altrove nel mondo, si sposa con la cosiddetta agenda politica professoral-montiana approvata e benedetta dai poteri forti. Persino la chiesa vuole Monti e ne approva le “riforme strutturali”, dimentica che il messaggio di Cristo va nella direzione esattamente opposta a quella sulla quale ci spinge il professore. Ai cancelli dello stabilimento lucano teatro della kermesse, respinti oltre la linea rossa, i lavoratori esclusi dal rito ed espulsi da questa splendida democrazia, purtroppo organizzati, trattenuti e manovrati dalla tremebonda fiom-cgil di “giù la testa!”, che continua a organizzare a scioperini democratici.

Se l’Italia tredici mesi fa aveva febbre alta e non poteva essere curata con una semplice aspirina, come ha sostenuto Monti a Melfi per giustificare le sue sanguinose controriforme davanti ai buoni di cuore, oggi rischia di finire sotto la tenda di rianimazione. Sul versante fiat, basta la produzione di un paio di nuovi modelli di suv e qualche investimento tardivo, forse un miliardo di euro, per risollevare le sorti dell’industria automobilistica in Italia? Certamente no, e questo lo sanno tutti coloro che erano presenti a Melfi, nella placida Lucania, ma lo scopo di Marchionne non è quello di mantenere ed espandere la produzione di auto in Italia, come lo scopo del suo alleato Monti non è di risollevare le produzioni nazionali, i redditi e l’occupazione. Monti avrà al suo seguito un esercito di burocrati politici, di alti prelati, di patrimonializzati, di grandi manager o supposti tali, e tutto il circo mediatico globalista in occidente a favore. L’operazione “cuori forti”, lanciata dai due compari a Melfi, annuncia che soltanto i più forti sopravvivranno alla cura ultraliberista e agl’altri faranno scoppiare il cuore. 

Non contento di aver ridotto i consumi di petrolio nel paese ai livelli degli anni sessanta, Monti, idealmente federato con Marchionne, vorrebbe far scoppiare il cuore a tutti i deboli e indifesi, per liberarsene. Attenzione pensionati al minimo, disoccupati, cassaintegrati a zero ore, precari, piccoli imprenditori con l’acqua alla gola e equitalia alle calcagna, operai sottopagati, lavoratori pubblici nel mirino e ceti medi declassati! Siete voi i cuori deboli che non avranno cittadinanza nel sistema che Monti e Marchionne stanno plasmando per conto delle élite finanziarie globali. Eppure la chiesa è schierata con Monti, come se fosse una qualsiasi comunione e liberazione che applaude Marchionne al meeting di Rimini. I malevoli pensano che il consenso papalino è una contropartita per il trattamento di favore ricevuto fiscalmente, in particolare con l’imu. Gli ancor più malevoli, come lo scrivente, pensano che la chiesa di Roma appoggia pedissequa il massacro neoliberista in corso in Italia, dopo aver subito, in passato, pesanti avvertimenti “di stampo mafioso”, attraverso la stampa e le televisioni di mezzo mondo che hanno approfittato dello scandalo dei preti pedofili. Il motivo dell’attacco era la “dottrina sociale della chiesa” non conforme ai precetti e ai dogmi neoliberisti. Quindi, attenzione a come ti muovi, papa, non criticare con la tua dottrina sociale ispirata dai precetti cristiani i dogmi mercatisti, la santa finanza di rapina e le leggi del mercato sovrano, o noi distruggiamo in un sol colpo, con una campagna giudiziario-mediatica in occidente, la tua credibilità e quella di sancte romane ecclesie. Ed ecco che la chiesa appoggia Monti più per necessità, paura, viltà e opportunismo che per convinzione. Del resto, Monti si vende come il campione non dell’ultraliberismo selvaggio e della finanza spietata, quale in effetti è, ma del fantomatico “capitalismo sociale di mercato” alla tedesca, che dovrebbe garantire un futuro e miracoloso sviluppo nella competitività. Peccato che il sostegno alla produzione e ai redditi e la stessa crescita si rimandano continuamente, a data da destinarsi, mentre ciò che resta è un distruttivo rigorismo. Per Monti il rigore è già la crescita, e quindi si deve continuare su questa strada, con un Monti bis, ter e quater, battendo tutti i record in termini di aumento del debito pubblico (+ imposte e tasse e – pil), di calo dei consumi petroliferi, di crollo dei consumi in generale, di disoccupazione e sottoccupazione. 

La cosa più sconvolgente che certi giornali asserviti al regime scrivono questa mattina è che gli operai, a Melfi, hanno applaudito Monti (e di riflesso anche il caro Marchionne). Si arriva al punto di spacciare quattro venduti che hanno tradito i loro compagni, il loro stesso paese e i loro figli – che con Monti e Marchionne non avranno futuro – come gli operai, intendendo tutti, ma proprio tutti gli operai. E così, gli operai applaudono pubblicamente i loro torturatori-carcerieri. Altro che Sindrome di Stoccolma, qui siamo oltre! Una stampa vigliacca, serva e senza alcun pudore – che se ne frega della corretta informazione – può scrivere questo e altro. L’importante è che un popolo prostrato, rimbecillito e impaurito ci caschi un’altra volta. L’importante è che il denaro pubblico continui a fluire tenendo in vita testate e redazioni. L’importante è che lo Spettacolo sostituisca la realtà e abbia successo. Persino il Debord della Società dello Spettacolo e dei Commentari, se non fosse scomparso nel 1994, ne sarebbe impressionato. 

Monti non riuscirà a ottenere la maggioranza relativa dei consensi alle prossime elezioni, sia si presenti a capo di un solo listone sia si presenti come icona di una federazione di liste elettorali. Se non vi riuscirà, sicuramente “farà la pace” con Bersani, il vincitore predestinato, e mal che vada, complice lo spread in impennata, gli interessi sui btp alle stelle e gli attacchi speculativi, potrà diventare superministro economico nel futuro governo e vicepresidente del consiglio. Si tratterebbe comunque di un Monti bis, con Bersani uomo di paglia alla presidenza del consiglio e un programma in assoluta continuità con il precedente direttorio euromontiano. Quindi non ci sarà scampo e non ci sarà alcun cambiamento, a meno di eventi eccezionali come il ritorno di Silvio. In ogni caso, qualunque sarà la posizione di Monti nei prossimi governi (e anche se un giorno salirà al Colle), la sequenza sarà Monti bis, ter e quater. Il Monti quinquies ve lo risparmio, tanto a quel punto, nel lungo periodo, saremo già tutti morti … 


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