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giovedì 27 agosto 2020

Ambiente, profondo rosso: tra 24 ore la Terra è in debito. -

Ambiente, profondo rosso: tra 24 ore la Terra è in debito
Overshoot Day
Il 22 agosto è il giorno del sovrasfruttamento delle risorse terrestri da parte dell’Umanità (Overshoot Day). Non è una data fissa, celebrativa, come la giornata mondiale dell’ambiente o della gioventù, ma è come una spia rossa che si accende sul cruscotto dell’auto e ti dice che sei in riserva perché hai premuto troppo sull’acceleratore. Nel 1970, con una Terra popolata da 3,7 miliardi di umani – meno della metà di quanti siamo oggi – quella data cadeva il 29 dicembre: era una buona cosa, dovevamo viaggiare in riserva solo per un paio di giorni, poi con il primo gennaio dell’anno nuovo, come con gli interessi di un conto in banca sano, si poteva fare rifornimento di risorse naturali che il capitale terrestre era in grado di rigenerare. Ma anno dopo anno, cresciuta la popolazione, cresciuti i consumi e cresciuto l’inquinamento, la data della riserva ha cominciato ad anticipare sempre più, nel 2000 era arrivata al 23 settembre e nel 2019 al 29 luglio, la più precoce di sempre.
“In riserva” carbone&C.: mangiare la biodiversità.
Nel caso del nostro pianeta viaggiare in riserva vuol dire che ti mangi il capitale cioè impoverisci la biodiversità, estingui specie pescando troppo pesce negli oceani, deforestando l’Amazzonia, scavando miniere, cementificando il suolo, bruciando petrolio e carbone, cambiando il clima, spargendo plastica e altri rifiuti, accrescendo la popolazione di circa 80 milioni di persone all’anno. Giocando a spendere più di quanto ci sia sul conto per cinque mesi su dodici, contraiamo un debito molto più importante di quello monetario: il debito ecologico, detenuto non da banche o governi, ma dalle inesorabili leggi fisiche che governano l’universo.
Un debito che non si potrà estinguere con decreti o recovery funds, perché è misurato in tonnellate di CO2, in concentrazioni di mercurio nelle acque, in microplastiche nel cibo, in mancanza di suolo fertile, in minore produttività agraria, in riduzione dell’acqua dolce e così via. Cioè basato sulle grandezze fisico-chimiche e biologiche che fanno funzionare la nostra vita e che non si comprano con la carta di credito. Quest’anno però è successo qualcosa di inatteso: invece di anticipare, la data del sovrasfruttamento ha riguadagnato 24 giorni, riportandosi ai livelli del 2005.
Non è l’effetto di un’improvvisa politica ambientalista planetaria, non è il frutto dell’Accordo di Parigi sul clima, ma semplicemente la riduzione dei consumi e dei trasporti dovuta al confinamento sanitario da coronavirus. Per qualche mese vari paesi del mondo hanno chiuso in casa la popolazione, la gente non ha più utilizzato aerei e automobili, ha sostituito i viaggi con le teleconferenze, ha ridotto lo shopping all’indispensabile, e magicamente le emissioni di CO2 sono diminuite e in parte anche l’uso di alcune materie prime non indispensabili. Ma con il rientro a una vita normale dopo l’emergenza, tutto sta tornando come prima o peggio di prima. Il terrore del collasso economico, che purtroppo è sempre, e a torto, maggiore di quello del collasso ecologico, spinge verso una ripresa dei consumi. La svolta verde è ancora lontana e carbone, petrolio, deforestazione e rifiuti continuano a essere il motore della crescita economica. Il rinculo della data del sovrasfruttamento 2020 potrebbe dunque essere un fenomeno del tutto transitorio, annullato nei prossimi mesi dal ripristino del modello dissipativo business-as-usual. Ma potrebbe anche rappresentare un eccellente esperimento positivo, la prova che se si vuole, si può ridurre in tempi brevissimi il nostro impatto sulle risorse planetarie.
Non invocando un nuovo lockdown, ma agendo sulle abitudini quotidiane, riducendo i viaggi inutili, soprattutto quelli aerei e il pendolarismo automobilistico facilmente sostituibile dal telelavoro, limitando i consumi di oggetti inutili, rallentando la frenetica attività produttiva voluta dalla competitività e dalla finanza. Ovvio che per rendere strutturali queste modifiche bisognerebbe cambiare il modello economico: da un capitalismo estrattivo basato sul dogma – fisicamente irrealizzabile – della crescita infinita in un mondo finito, a una società demograficamente ed economicamente stazionaria che possa essere più sobria nei consumi, rispettando i limiti planetari e sfruttando al meglio la tecnologia per ridurre gli sprechi, non per indurne di nuovi!
Domani o cambiamo o nessuno ci farà credito.
Se ciò verrà fatto, potremmo sperare di riportare la data della riserva verso dicembre, consegnando alle generazioni future un bilancio ecologico relativamente sano, un pacchetto di risorse naturali ancora passabile, un clima non troppo sregolato, un accumulo di rifiuti bonificabile. Se non lo faremo, la data, quando il problema Covid sarà risolto, tornerà ad anticipare, approfondendo sempre più il debito ecologico globale fino all’invivibilità di buona parte del pianeta. Come dire che a un certo punto la vera banca da cui dipendiamo tutti noi, quella ambientale, chiuderà il nostro conto in rosso e ci pignorerà ogni avere, saremo una specie sfrattata dal pianeta e nessuno ci farà credito. Sarà quello il giorno della bancarotta ecologica.
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domenica 23 agosto 2020

Da oggi esaurite le risorse del pianeta, guadagnato un mese per effetto del lockdown. - Elena Comelli

earth-overshoot-day

Quest’anno la scadenza calcolata dal Global Footprint Network arriva un mese dopo, ma solo grazie al blocco globale del lockdown.

La buona notizia è che quest'anno le risorse del pianeta si sono esaurite più tardi rispetto all'anno scorso. L'Overshoot Day, cioè il giorno dell'anno nel quale entriamo ufficialmente in debito con gli ecosistemi naturali per le risorse che consumiamo, quest'anno cade il 22 agosto, quasi un mese dopo rispetto all'anno scorso, quando era caduto il 19 luglio.
Sono stati i lockdown causati dalla pandemia di Covid-19 che ci hanno bloccati a casa, mandando a picco i consumi in tutto il mondo. Era da 15 anni che l'Overshoot Day non si registrava così tardi: nel 2005 cadde il 25 agosto.
La cattiva notizia è che questa riduzione non può essere considerata un successo, perché non si tratta di un cambiamento strutturale, ma solo di una ricaduta temporanea data dall'impatto della pandemia e delle misure adottate dai governi. In pratica, il mese guadagnato non è merito nostro, ma solo un effetto del coronavirus che potrebbe essere vanificato già il prossimo anno, se non interveniamo sul nostro modo di produrre, distribuire e consumare.
A calcolare il giorno del “sovrasfruttamento” del pianeta è il Global Footprint Network, un centro di ricerca internazionale fondato nel 2003 dall'ambientalista svizzero Mathis Wackernagel, che tiene la contabilità dello sfruttamento delle risorse naturali da parte dell'umanità, cioè della nostra impronta ecologica.
Il giorno in cui il pianeta non riesce più a “star dietro” alle nostre richieste e a rigenerare le risorse che chiediamo per vivere, mangiare, produrre energia, assorbire i nostri gas inquinanti, segna l'inizio del debito, l'Overshoot Day: da quel momento e fino alla fine dell'anno vivremo consumando risorse che la Terra non è in grado di rigenerare in quell'anno, di fatto sottraendole al futuro.
Allo stato attuale delle cose, la Terra impiega un anno e otto mesi per rigenerare le risorse che consumiamo in un anno. L'umanità, infatti, utilizza attualmente il 60% in più di quanto si possa rinnovare all'interno dello stesso anno. In pratica, è come se si consumassero le risorse di 1,6 pianeti Terra.
Oltre metà dell'impronta ecologica dell'umanità è costituita dall'impronta di carbonio. Immettiamo in atmosfera molti più gas serra di quanti la Terra, attraverso foreste e oceani, riesca ad assorbire, e gli effetti sono sotto i nostri occhi. È la voce di “spesa” che cresce più rapidamente in questo disastroso bilancio: dal 1970 ad oggi la nostra impronta di carbonio globale, misurata in ettari, è più che raddoppiata.
L'emergenza climatica è, insieme alla perdita di biodiversità, il triste risultato di questa esosa richiesta al pianeta. Decarbonizzare la nostra economia non solo inciderebbe sulla crisi del clima, ma porterebbe un migliore equilibrio sulla bilancia che vede da una parte l'impronta ecologica e dall'altra la biocapacità terrestre. Dimezzando l'impronta di carbonio arriveremmo a consumare le risorse di “appena” 1,1 Terre e sposteremmo in là la data dell'Overshoot Day di 93 giorni.
Quest'anno il coronavirus ha chiuso gli uffici e i negozi, azzerato gli spostamenti e il turismo, mettendo in ginocchio l'economia, riducendo del 9,3%, rispetto all'anno scorso, l'impronta ecologica dell'umanità. Gli studi del team di Wackernagel indicano che nel 2020 le emissioni di carbonio sono scese del 14,5%, grazie alla flessione dei consumi energetici e di prodotti forestali (-8,4%). Questo scarto da un anno all'altro è il più netto dall'inizio degli anni Settanta, da quando si calcola l'Overshoot Day.
Nel corso dei decenni ci sono stati fattori in grado di spostare in avanti la data, come la crisi economica del 2008, ma mai con un salto così marcato. Si tratta però di una riduzione che non è destinata a durare molto: per l'anno prossimo è già previsto un rimbalzo dei consumi, che sposterà di nuovo indietro il giorno dello sovrasfruttamento del pianeta.