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domenica 16 luglio 2023

LE COLONNE DI ROCCIA A CROWLEY LAKE.

 

Oggi andiamo in California, negli USA, sulle rive del lago Crowley, una riserva d’acqua sul fiume Owens in California. Le origini del fenomeno sono ancora avvolte da un velo di mistero e oggetto di studio da parte degli esperti.
Il lago fu creato nel 1941 con la costruzione della diga di Valle Lunga da parte del dipartimento di acqua e di elettricità di Los Angeles e quando il livello del lago si è drasticamente ridotto queste colonne di rocciose sono emerse.
Più di 5 mila colonne di roccia porosa, alte 20 metri e con una struttura che varia per forma, colore e dimensione: alcune sono grigiastre e dritte, altre sono piegate e di colore rosa.
I recenti studi di un gruppo di geologi dell’Università della California, che ha analizzato alcune porzioni delle formazioni attraverso l’uso di raggi X e microscopi elettronici, hanno portato alla scoperta di piccolissimi spazi interni, creati da una composizione minerale resistente all’erosione.
Sempre gli stessi studi ipotizzano che le colonne siano il risultato tra l’acqua gelida e la cenere causata da una violentissima esplosione vulcanica avvenuta ben 700 mila anni fa.
Si stima anche che, oltre alle colonne già scoperte e sparse in un’area di tre miglia quadrate, molte di esse siano ancora sepolte.

giovedì 27 agosto 2020

Ambiente, profondo rosso: tra 24 ore la Terra è in debito. -

Ambiente, profondo rosso: tra 24 ore la Terra è in debito
Overshoot Day
Il 22 agosto è il giorno del sovrasfruttamento delle risorse terrestri da parte dell’Umanità (Overshoot Day). Non è una data fissa, celebrativa, come la giornata mondiale dell’ambiente o della gioventù, ma è come una spia rossa che si accende sul cruscotto dell’auto e ti dice che sei in riserva perché hai premuto troppo sull’acceleratore. Nel 1970, con una Terra popolata da 3,7 miliardi di umani – meno della metà di quanti siamo oggi – quella data cadeva il 29 dicembre: era una buona cosa, dovevamo viaggiare in riserva solo per un paio di giorni, poi con il primo gennaio dell’anno nuovo, come con gli interessi di un conto in banca sano, si poteva fare rifornimento di risorse naturali che il capitale terrestre era in grado di rigenerare. Ma anno dopo anno, cresciuta la popolazione, cresciuti i consumi e cresciuto l’inquinamento, la data della riserva ha cominciato ad anticipare sempre più, nel 2000 era arrivata al 23 settembre e nel 2019 al 29 luglio, la più precoce di sempre.
“In riserva” carbone&C.: mangiare la biodiversità.
Nel caso del nostro pianeta viaggiare in riserva vuol dire che ti mangi il capitale cioè impoverisci la biodiversità, estingui specie pescando troppo pesce negli oceani, deforestando l’Amazzonia, scavando miniere, cementificando il suolo, bruciando petrolio e carbone, cambiando il clima, spargendo plastica e altri rifiuti, accrescendo la popolazione di circa 80 milioni di persone all’anno. Giocando a spendere più di quanto ci sia sul conto per cinque mesi su dodici, contraiamo un debito molto più importante di quello monetario: il debito ecologico, detenuto non da banche o governi, ma dalle inesorabili leggi fisiche che governano l’universo.
Un debito che non si potrà estinguere con decreti o recovery funds, perché è misurato in tonnellate di CO2, in concentrazioni di mercurio nelle acque, in microplastiche nel cibo, in mancanza di suolo fertile, in minore produttività agraria, in riduzione dell’acqua dolce e così via. Cioè basato sulle grandezze fisico-chimiche e biologiche che fanno funzionare la nostra vita e che non si comprano con la carta di credito. Quest’anno però è successo qualcosa di inatteso: invece di anticipare, la data del sovrasfruttamento ha riguadagnato 24 giorni, riportandosi ai livelli del 2005.
Non è l’effetto di un’improvvisa politica ambientalista planetaria, non è il frutto dell’Accordo di Parigi sul clima, ma semplicemente la riduzione dei consumi e dei trasporti dovuta al confinamento sanitario da coronavirus. Per qualche mese vari paesi del mondo hanno chiuso in casa la popolazione, la gente non ha più utilizzato aerei e automobili, ha sostituito i viaggi con le teleconferenze, ha ridotto lo shopping all’indispensabile, e magicamente le emissioni di CO2 sono diminuite e in parte anche l’uso di alcune materie prime non indispensabili. Ma con il rientro a una vita normale dopo l’emergenza, tutto sta tornando come prima o peggio di prima. Il terrore del collasso economico, che purtroppo è sempre, e a torto, maggiore di quello del collasso ecologico, spinge verso una ripresa dei consumi. La svolta verde è ancora lontana e carbone, petrolio, deforestazione e rifiuti continuano a essere il motore della crescita economica. Il rinculo della data del sovrasfruttamento 2020 potrebbe dunque essere un fenomeno del tutto transitorio, annullato nei prossimi mesi dal ripristino del modello dissipativo business-as-usual. Ma potrebbe anche rappresentare un eccellente esperimento positivo, la prova che se si vuole, si può ridurre in tempi brevissimi il nostro impatto sulle risorse planetarie.
Non invocando un nuovo lockdown, ma agendo sulle abitudini quotidiane, riducendo i viaggi inutili, soprattutto quelli aerei e il pendolarismo automobilistico facilmente sostituibile dal telelavoro, limitando i consumi di oggetti inutili, rallentando la frenetica attività produttiva voluta dalla competitività e dalla finanza. Ovvio che per rendere strutturali queste modifiche bisognerebbe cambiare il modello economico: da un capitalismo estrattivo basato sul dogma – fisicamente irrealizzabile – della crescita infinita in un mondo finito, a una società demograficamente ed economicamente stazionaria che possa essere più sobria nei consumi, rispettando i limiti planetari e sfruttando al meglio la tecnologia per ridurre gli sprechi, non per indurne di nuovi!
Domani o cambiamo o nessuno ci farà credito.
Se ciò verrà fatto, potremmo sperare di riportare la data della riserva verso dicembre, consegnando alle generazioni future un bilancio ecologico relativamente sano, un pacchetto di risorse naturali ancora passabile, un clima non troppo sregolato, un accumulo di rifiuti bonificabile. Se non lo faremo, la data, quando il problema Covid sarà risolto, tornerà ad anticipare, approfondendo sempre più il debito ecologico globale fino all’invivibilità di buona parte del pianeta. Come dire che a un certo punto la vera banca da cui dipendiamo tutti noi, quella ambientale, chiuderà il nostro conto in rosso e ci pignorerà ogni avere, saremo una specie sfrattata dal pianeta e nessuno ci farà credito. Sarà quello il giorno della bancarotta ecologica.
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martedì 17 marzo 2015

Clima, allarme Nasa: “Rischio siccità”. E la California estrae acqua di 20mila anni fa. - Davide Patitucci

Clima, allarme Nasa: “Rischio siccità”. E la California estrae acqua di 20mila anni fa

In uno studio condotto dal Goddard institute for space studies, in collaborazione con la Cornell University e la Columbia University, e pubblicato su “Science Advances" si parla di “rischio siccità senza precedenti nel 21 secolo nelle pianure centrali e nelle regioni sud-occidentali americane”.

Le guerre del futuro potrebbero scoppiare a causa dell’oro blu. L’acqua potrebbe diventare sempre più rara e, di conseguenza, sempre più preziosa. Gli allarmi sul clima degli scienziati ormai non si contano più. L’ultimo, contenuto in uno studio Usa condotto dal Goddard institute for space studies della Nasa, in collaborazione con la Cornell University e la Columbia University, e pubblicato nei giorni scorsi su “Science Advances”, parla di “rischio siccità senza precedenti nel 21 secolo nelle pianure centrali e nelle regioni sud-occidentali americane”. Tutta colpa del surriscaldamento globale – stimato, secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, il panel dell’Onu per lo studio dei mutamenti climatici, tra gli 0,3 e i 4,8 gradi entro la fine del secolo -, che potrebbe provocare solo negli Usa “35 anni di siccità, a partire dal 2050”, a causa di minori precipitazioni e un aumento dell’evaporazione.
Ne sanno qualcosa gli abitanti della California, che sta vivendo uno dei peggiori periodi di siccità della sua storia, e dove il 2014 è stato l’anno più caldo da quando si effettuano misure delle temperature. Come se non bastasse, le autorità locali hanno deciso di mettere in campo iniziative che potrebbero peggiorare la situazione. Stanno, infatti, pompando dal sottosuolo acqua più antica delle Piramidi, piovuta sulla Terra all’epoca in cui i nostri antenati attraversarono per la prima volta lo Stretto di Bering, passando dall’Asia al continente americano, tra i 15 e i 20mila anni fa. Acqua preistorica, quindi. “Quello che vedo è un futuro disastroso – commenta Vance Kennedy, idrologo 91enne che ha studiato tutta una vita le falde acquifere californiane -. Stiamo rimuovendo acqua che è stata nel sottosuolo molto a lungo, e che non potrà essere facilmente rimpiazzata”.
Tutta quest’acqua sarà in larga parte impiegata in agricoltura. “Se continuiamo ad irrigare a un tasso crescente come stiamo facendo negli Usa, non andremo avanti a lungo”, commenta Leonard Konikow, idrogeologo dell’U.S. Geological Survey. Il rischio, paventano i geologi Usa, è che parte del terreno possa lentamente affondare, un fenomeno definito dagli esperti “subsidenza”. Per spiegarlo, gli studiosi ricorrono al paragone con le spugne. “All’inizio hanno un bell’aspetto, ma dopo un mese di utilizzo quotidiano – spiega Bryant Jurgens, idrologo presso lo U.S. Geological Survey – perdono efficacia. Una cosa analoga accade alle falde acquifere”.
Il World economic forum (Wef), intanto, nel suo recente “Rapporto sui rischi globali per il 2015” evidenzia che nel 2030 la domanda di acqua rischia di essere superiore del 40% rispetto alle risorse disponibili. “Tutte le maggiori aree agricole del Pianeta, dalla Central Valley californiana al nord della Cina e dell’India – si legge nel rapporto -, stanno estraendo troppa acqua dalle falde”. Con pericolose ripercussioni sui centri abitati. “Centri urbani come Dhaka, Houston, Jakarta e Città del Messico stanno letteralmente collassando – spiegano gli esperti del Wef -. Jakarta, ad esempio, è già sprofondata di 4 metri nel corso di una generazione”. E la soluzione non sembra dietro l’angolo. “La perdita di acqua di faglia e l’aumento delle temperature – sottolinea lo studio della Nasa – probabilmente non faranno che aumentare l’impatto futuro della siccità nelle regioni più esposte, rendendo più complicato un adattamento”. “Abbiamo realmente bisogno – conclude Toby Ault, della Cornell University, uno degli autori della ricerca – d’iniziare a pensare a orizzonti più a lungo termine”.