mercoledì 10 aprile 2013

Caro PD, fuori tutti i nomi di chi ha preso mutui agevolati da Monte dei Paschi.




Quirinale, gli 11 presidenti – Enrico De Nicola, il monarchico col paltò rivoltato - Marco Travaglio

Quirinale, gli 11 presidenti – Enrico De Nicola, il monarchico col paltò rivoltato


Bizzarro e bizzoso, arriva da Napoli a Roma sull'auto privata e rifiuta l'assegno e l'alloggio al Quirinale. Fra 10 giorni le camere si riuniranno per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, il 12esimo. Finora ne abbiamo avuti 11 in 67 anni. Il Fatto Quotidiano li racconta a puntate.

Il primo presidente della neonata Repubblica Italiana è un monarchico e ha 69 anni: Enrico De Nicola, napoletano, politico liberale, avvocato penalista e insigne giurista, che eccezionalmente detesta la retorica (“è il cloroformio delle Corti d’Assise”), ma bada molto alle forme. Ed è proprio per una questione di forme che, il 28 giugno 1946, viene eletto capo provvisorio dello Stato. All’indomani del referendum istituzionale del 2 giugno, che ha sancito per un soffio e tra mille polemiche di brogli la vittoria della Repubblica sulla Monarchia, le massime cariche dello Stato sono occupate da due settentrionali fieramente repubblicani: il trentino Alcide De Gasperi al governo, il piemontese Giuseppe Saragat alla Costituente. Bisogna dare un contentino al Sud, che ha votato in massa per Casa Savoia e si sente più che mai estraneo alla vita politica, tutta dominata dal “vento del Nord” resistenziale. I candidati alla presidenza sono tutti “revenants” (fantasmi, come li chiamava in dialetto piemontese Vittorio Emanuele III, memore dei loro trascorsi nell’Italietta prefascista): la Dc tifa per Vittorio Emanuele Orlando, i socialisti per Benedetto Croce. Ma tra i papabili c’è pure De Nicola, ex deputato liberale e ministro giolittiano, anche se nessuno è disposto a scommettere su di lui, per via del suo pedigree non proprio antifascista.
RITARDO DI 1 ORA E MEZZA AL GIURAMENTO IL 1° LUGLIO ’46. Qualcuno lo rammenta ancora presidente della Camera nel 1922, quando non fece una piega di fronte ai pesanti insulti del cavalier Mussolini a quell’“aula sorda e grigia”, e anzi zittì bruscamente il socialista Modigliani che tentava di protestare e votò la fiducia al primo governo del Cavalier Benito. Qualcun altro giura che don Enrico rifiuterà la candidatura, essendo noto più per le sue rinunce che per le sue investiture: quattro volte ha rifiutato la presidenza del Consiglio, una la nomina a senatore, una l’elezione a deputato, una la poltrona a sindaco di Napoli. Ma alla fine è proprio il gioco dei veti incrociati a catapultarlo sul Colle più alto. La Dc impallina Croce: troppo “laico”, il filosofo partenopeo, che comunque declina l’invito “per evitare lo scandalo e il chiasso”. Fuori uno. Il Pci boccia pure Orlando: ha sponsorizzato un po’ troppo i Savoia nella recente campagna referendaria. Fuori due. Sulle prime, Togliatti pensa ad Arturo Toscanini, poi ripiega su De Nicola. Gli altri si adeguano. Don Enrico viene eletto il 27 giugno, al primo scrutinio, con il 73,7 per cento dei suffragi: 397 voti su 501. Contrari soltanto i repubblicani, il Partito d’azione e la Concentrazione democratica di Ferruccio Parri, che danno 40 voti a Cipriano Facchinetti (Pri), candidato di bandiera. Anche l’Uomo Qualunque non ci sta e sostiene bizzarramente la baronessa catanese Ottavia Penna da Caltagirone nata Buscemi, antifascista, anticomunista e monarchica, candidata apposta – spiega Guglielmo Giannini – come “condanna di un mondo politico incancrenito”, (32 voti). Orlando non lo votano che in 10. Un monarchico sfegatato scrive sulla scheda “Umberto II di Savoia”.
Ma accetterà l’incarico, don Enrico? È noto che adora farsi pregare. Manlio Lupinacci lo canzona sul Giornale d’Italia: “Onorevole De Nicola, decida di decidere se accetta di accettare”. Lui infatti, alle prime avvisaglie della sua elezione, è subito fuggito da Roma rintanandosi nella sua casa di Torre del Greco. Saragat tenta di avvertirlo che sta cominciando la votazione decisiva, ma trova il telefono staccato. Qualche ora dopo ci riprova De Gasperi, per comunicargli l’esito finale. E finalmente il bizzarro e bizzoso neoeletto risponde: “M’inchino alla volontà popolare”. Neppure un cenno di ringraziamento ai deputati che l’hanno issato alla più alta carica dello Stato. L’Alcide ci rimane male, ma prosegue con una punta di ironia: “Auguri, presidente. Se lei è d’accordo, il 1° luglio alle ore 12 dovrebbe giurare fedeltà alla Repubblica…”. “Presidente provvisorio, prego”, lo tronca scontroso l’interlocutore. E il 1° luglio, tanto per non smentirsi, si fa attendere non poco. Fa un caldo africano, quel giorno, a Roma. Davanti al palazzo di Montecitorio una folla di parlamentari, giornalisti e semplici curiosi aspetta con ansia il suo arrivo. Rintanati nell’atrio per ripararsi dalla canicola opprimente, Saragat, presidente dell’assemblea, Orlando, decano del Parlamento, e il conte Carlo Sforza, ex-presidente della Consulta (l’assemblea che dalla liberazione di Roma ha svolto funzioni di organo non elettivo dei governi del Cln) si asciugano il sudore e guardano nervosamente l’orologio. Lo stesso fanno il resto dei parlamentari, assiepati nella Sala della Lupa e, nell’attigua Sala Gialla, De Gasperi, con il governo al gran completo.
Davanti al portone, un picchetto d’onore di vigili urbani a cavallo e un duplice schieramento di carabinieri in alta uniforme si sciolgono sotto il sole che picchia. Ma don Enrico non arriva. Qualcuno, in avanscoperta in piazza Colonna, lancia falsi allarmi: “Arriva, è lui… no, non è lui”. “Doveva esser qui a mezzogiorno ed è già la mezza. La Repubblica è già in ritardo”, sghignazzano i monarchici. Ritardo imbarazzante: un’ora e mezza. Solo alle 13.30 il corteo presidenziale sbuca finalmente dall’ultima curva e avanza lentamente verso la piazza. Un corteo piuttosto scarno, formato da una sola automobile nera, quella privata di De Nicola, senza scorta: i sei poliziotti in motocicletta che l’hanno accompagnato da Napoli li ha licenziati lui personalmente alle porte diRoma. Al suo fianco, oltre all’autista, lo accompagna un nipote (il neopresidente è scapolo). Ma la valigia di cuoio, suo unico bagaglio, pretende di portarsela da solo. Quella che segue, più che una cerimonia ufficiale, è una bicchierata fra vecchi amici. Dopo il giuramento, un telegrafico discorso di presa d’atto dell’incarico. Poi tante pacche sulle spalle, abbracci e salutoni da fiera paesana. A un certo punto gli si fa incontro la democristiana Angela Maria Cingolani Guidi, una sorta di Paola Binetti ante litteram. E gli stampa un bacio sulla guancia: “A nome di tutte le donneitaliane”. Lui, imperturbabile, ringrazia. E restituisce uno smack sulla guancia della timorata signora.
I CONTRASTI CON IL DETESTATO DE GASPERI. Quando gli descrivono gli appartamenti presidenziali approntati per lui al Quirinale, non li visita neppure: essendo “provvisorio”, non può risiedere nella dimora dei Re. Dunque si fa condurre a Palazzo Giustiniani, uno dei luoghi più bassi e più bui di Roma (“ogni mattina al primo visitatore devo chiedere se fuori piove o c’è il sole…”). Nei due anni scarsi del suo mandato, farà in tempo ad apporre la sua firma sulla Carta costituzionale. Scostante, umorale e sempre più stizzoso, arriva a dimettersi “per ragioni di salute” nel maggio del 1947, terrorizzato dalle possibili conseguenze della rottura fra De Gasperi e le sinistre dopo lo storico viaggio a Washington. La Costituente, non potendo respingere le sue dimissioni, lo rielegge il giorno dopo. Un’altra volta minaccia di andarsene perché il procuratore generale della Cassazione, inaugurando l’anno giudiziario, non gli ha rivolto un saluto sufficientemente ampolloso. Epici i suoi scontri con De Gasperi, che detesta cordialmente: nel maggio del ’47, pur di non ridargli l’incarico, convoca Francesco Saverio Nitti e financo l’ottantottenne Orlando. Quattro mesi dopo l’Alcide va a fargli firmare il trattato di pace, ma lui non ne vuole sapere: monta su tutte le furie, afferra le carte diplomatiche e le scaraventa sul pavimento, tra lo sgomento di funzionari e ministri presenti. Solo dopo lunghe insistenze riusciranno a strappargli la firma di ratifica.
Per mesi, poi, De Gasperi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giulio Andreotti tenteranno di convincerlo a firmare il decreto che gli attribuisce la “lista civile”, cioè l’appannaggio presidenziale (12,5 milioni di lire). Ma invano. De Nicola è quasi povero (ha perduto tutti i suoi risparmi professionali investendoli in buoni del Tesoro all’inizio della guerra), ma rifiuta l’appannaggio presidenziale. Celeberrimo il suo cappotto rivoltato, sempre lo stesso, con cui partecipa alle cerimonie ufficiali: un giorno, su insistenza degli imbarazzati collaboratori, lo manda al suo sarto di Napoli per la riparazione, ma quello gli fa il lavoro gratis e rifiuta i soldi, allora lui gli leva il saluto. Maniaco delle dimissioni e allergico al denaro e al potere: il più antitaliano dei presidenti. Infatti non sarà riconfermato. Due anni di De Nicola possono bastare.
(1. Continua)
Altri tempi, altri Uomini.

WikiLeaks: le trame d'Italia. - Stefania Maurizi





Le manovre di Kissinger. L'appoggio Usa a Formigoni e Cl. Il visto negato da Washington a Napolitano. Lo strano incidente di Berlinguer in Bulgaria. Una nuova ondata di cablo sugli eventi degli anni '70.

E' stato uno dei più grandi protagonisti della politica estera americana del ventesimo secolo. Un uomo che ha deciso i destini del mondo. Da Washington a Roma, dall'Argentina al Vietnam, le sue decisioni e ossessioni hanno condizionato governi, spianato la strada a colpi di stato e dittature atroci, combattuto la guerra Fredda negli anni più caldi del comunismo. Henry Kissinger, potente segretario di Stato americano ai tempi di Richard Nixon e Gerald Ford è al centro delle nuove rivelazioni di WikiLeaks, a cui "l'Espresso", in collaborazione con "Repubblica", ha avuto accesso esclusivo per l'Italia, insieme a un team di diciotto media internazionali: dal quotidiano argentino "Pagina12" all'agenzia "Associated Press", dal giornale "The Hindu" a quello australiano "The Age". 

Un database di 1.707.499 cablo della diplomazia americana che vanno dal 1973 al 1976: "i Kissinger Cables'. Comunicazioni tra Henry Kissinger e le ambasciate di tutto il mondo, che rivelano una miniera di informazioni su tutte le nazioni della Terra, tra colpi di stato e scandali che hanno caratterizzato quegli anni in cui il mondo era diviso in due superpotenze: l'America e l'Urss. 

Dai file sull'Italia emergono le trame e i personaggi che hanno fatto la storia del Paese negli anni più bui, ma che ancora oggi sono al centro della scena politica o, comunque, della memoria collettiva. Dal celebre visto per l'America, negato a Giorgio Napolitano nel 1975, alle rivelazioni su Formigoni e Comunione e Liberazione. Dalle responsabilità del Vaticano nella collaborazione con i peggiori regimi dittatoriali che hanno insanguinato l'America Latina all'incidente stradale di Berlinguer in Bulgaria: un banale scontro di automezzi o il tentativo di assassinare un leader di indiscusso carisma che, però, non piaceva a troppi? 

Henry KissingerHenry KissingerQuesti documenti che oggi pubblica WikiLeaks e che riguardano gli anni dal '73 al '76 sono stati desecretati dallo stesso governo degli Stati Uniti. Quello che l'organizzazione di Assange ha fatto è stato assemblarli in un potente database costruito dal gruppo e ricercabile per parole chiave, dove è possibile trovare sia 1.707.499 di file dal 1973 al 1976 (che il gruppo ha ribattezzato "The Kissinger Cables"), sia i 251287 cablo segreti che vanno dal 2002 al 2010 ("Cablegate") pubblicati da WikiLeaks per la prima volta nel novembre 2010: una mossa che scatenò la reazione infuriata della Casa Bianca, di Hillary Clinton e del Pentagono, perché quei cablogrammi tanto recenti non erano mai stati desecretati dal governo americano, che di fatto ancora oggi, a fini legali, li considera documenti riservati, nonostante siano in rete e siano finiti sulle pagine dei giornali di tutto il mondo.

Mettendo insieme in un avveniristico database i file di Kissinger e i cablo degli anni 2000, l'organizzazione di Assange ha creato una grande libreria pubblica della diplomazia Usa: "PlusD", ovvero la "WikiLeaks' Public Library of the United States Diplomacy", uno strumento preziosissimo che da oggi in poi permette a chiunque di cercare i documenti che vuole, senza filtri o senza avere abilità particolari.

Questa operazione è ancora più importante se si considera che gli Stati Uniti si riservano comunque la facoltà di poter secretare di nuovo anche i documenti che il loro stesso governo ha desecretato, togliendoli dal dominio pubblico, se ritengono che le informazioni in essi contenute possono danneggiare gli interessi degli Stati Uniti. Come è successo, per esempio, nel 2006, quando l'amministrazione Bush ha deciso improvvisamente di secretare oltre 55mila dossier che, in molti casi, erano stati diffusi ormai da anni, e il cui contenuto era anche finito in libri e articoli di stampa. Un'operazione che può sembrare paradossale, ma come conferma a l'Espresso il guru della segretezza, l'americano Steven Aftergood: «Sotto certe condizioni, i documenti rilasciati pubblicamente possono essere secretati di nuovo».

Con questa libreria di WikiLeaks, i documenti non potranno più essere sottratti al pubblico dominio. E le storie che lasciano affiorare sull'Italia e il Vaticano permettono di riallacciare i fili di un passato di trame, scandali, sotterfugi, influenze che tiene ancora il Paese sotto scacco.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/wikileaks-le-trame-ditalia/2204227

Carburante dall'anidride carbonica? Sì può. Grazie ad un microrganismo.


Carburante dall'anidride carbonica? Sì può. Grazie ad un microrganismo

Pyrococcus furiosus 


Studio dell'Università della Georgia, negli Stati Uniti: i ricercatori hanno modificato geneticamente il Pyrococcus furiosus per imitare il processo della fotosintesi in natura. "Siamo in grado di estrarre CO2 dall'atmosfera per trasformarla in prodotti utili". E il combustibile prodotto è a emissioni zero.

OTTENERE combustibile dall'anidride carbonica dell'atmosfera grazie all'aiuto di un microrganismo geneticamente modificato: è la scommessa stata lanciata dalla University of Georgia, negli Stati Uniti, grazie alle ricerche del professor Michael Adams, ricercatore di biochimica e biologia molecolare presso l'ateneo americano. 

Studiando il modo in cui in natura le foglie convertono il biossido di carbonio, il team di ricercatori guidato da Adams ha messo a punto un modo per selezionare il CO2 presente nell'atmosfera e trasformarlo in prodotti industriali, tra cui il carburante, imitando la fotosintesi attraverso cui le piante utilizzano la luce solare, per trasformare acqua e anidride carbonica in zuccheri, servendosene poi per produrre energia. 

Non è la prima volta che la fantasia dei ricercatori accende le speranze di poter sfruttare uno dei principali gas serra presenti nell'atmosfera per produrre carburante pulito. Questa volta per "copiare" madre natura, i ricercatori hanno modificato il materiale genetico di un microrganismo particolare, il "Pyrococcus furiosus", perfettamente a suo agio ed in grado di crescere a temperature estreme - anche superiori ai 100 gradi - che si nutre di carboidrati nelle acque surriscaldate dell'oceano vicine a sfiati geotermici. La squadra dei ricercatori lo ha modificato in modo da renderlo in grado di alimentarsi a temperature inferiori. Hanno poi usato gas idrogeno per creare una reazione chimica nel microrganismo e integrato il CO2 con l'acido 3-idrossipropionico, una sostanza chimica industriale usata per fare acrilici e altri prodotti.

"La scoperta" ha detto il capo ricercatore Michael Adams "significa che siamo in grado di eliminare le piante come intermediari, e di estrarre l'anidride carbonica direttamente dall'atmosfera per trasformarla in prodotti utili, senza dover passare attraverso elementi ricavati da biomasse altrimenti utili per l'alimentazione, come la coltivazione delle piante e l'estrazione degli zuccheri".

Oltre alla produzione di prodotti industriali, sperimentando altre manipolazioni genetiche si potrebbe consentire al microrganismo di produrre altri prodotti, compresi i combustibili. Tuttavia il ciclo di conversione dipende ancora dai combustibili fossili. Infatti i ricercatori hanno utilizzato l'idrogeno come fonte di energia, la cui sorgente più facilmente disponibile è al momento il gas naturale, che è un combustibile fossile.

Il futuro, però, "vira" al verde: "Nella ricerca a lungo termine ci auguriamo di poter utilizzare idrogeno da fonti rinnovabili biologiche, come ad esempio dalle alghe fotosintetiche o dai rifiuti dei prodotti di fermentazione", spiega ancora Adams. 

Il combustibile prodotto con il Pyrococcus furiosus è però a zero emissioni perché, spiegano i ricercatori, quando brucia rilascia la stessa quantità di CO2 utilizzata per crearlo, il che lo rende più pulito di benzina, petrolio e carbone. I dettagli dello studio, sostenuto dal Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, sono stati pubblicati su Proceedings of National Academies of Sciences.

martedì 9 aprile 2013

LE BRIOCHES DI MARIANTONIETTA. - Giuseppe Germinario



Sono esterrefatto. Ho ascoltato più volte l’intervento di Laura Boldrini, Presidente della Camera, ai funerali dei tre suicidi a Civitanova Marche. Ascoltatelo anche voi e soprattutto interpretatelo (1-http://www.youtube.com, 2 - http://www.youtube.com).

Sono stato funzionario sindacale per diversi anni negli anni ’70 nel settore meccanico ed edilizio. Il nocciolo duro del sindacato di allora era costituito dagli operai professionalizzati e dai tecnici i quali fondavano sulla considerazione del lavoro, sulla consapevolezza professionale la legittimità delle battaglie sindacali, anche le più dure e l’orgoglio della rivendicazione di diritti e condizioni di vita e lavoro decenti. 

Tralascio il resoconto della mia vicenda professionale una volta tornato al lavoro dipendente; vi presterò attenzione una volta giunto alla pensione non per narcisismo, ma per divertimento e per stigmatizzare il rapporto che esiste in tante grandi aziende, spesso e volentieri inversamente proporzionale, tra appartenenza a combriccole e competenza professionale. Il segno, anche se degenerato, che comunque il potere, il conflitto di potere prevale sul cosiddetto merito specie quando si sceglie di sopravvivere negli interstizi del mondo. 

Dalla mia attuale postazione di lavoro osservo con sempre maggior frequenza lo stesso atteggiamento e pudore, così come rivelato, dei tre suicidi di Civitanova, anche se smentito da alcuni loro concittadini: il rifiuto della richiesta di assistenza, vissuta come una umiliazione insopportabile, da parte di chi ritiene di essersi guadagnato il diritto a un reddito e a una pensione decente con il proprio lavoro di una vita. Noto altresì la gran “generosità” con la quale vengono elargiti oboli, assistenzialismo e prebende a persone in transito occasionale in questo nostro paese; non ne faccio colpa ai singoli opportunisti di turno. Sono la conseguenza di un welfare ormai del tutto avulso dalla capacità di un paese di produrre ricchezza e attività e di riconoscere il contributo dei propri cittadini alla prosperità e all’indipendenza della comunità nazionale; sono il riverbero dell’umanitarismo e del dirittocittadinario pelosi dell’Unione Europea così lesta a riconoscere uguali diritti di cittadinanza sociale all’universo mondo, così subdola nel delegare però ai singoli stati nazionali, all’interno dei propri confini e con poche possibilità di verifiche efficaci, sempre che ne abbiano l’intenzione, l’erogazione e il controllo delle elargizioni.

Un discorso che riprenderò con dovizia di argomenti quanto prima e senza alcuna venatura di razzismo. 

Ad una rivendicazione estrema e disperata di dignità negata, la nostra Maria Antonietta offre simbolicamente la propria brioche: “la misura della dignità di una persona va associata ai valori di cui è portatrice, non alla ricchezza materiale di cui dispone” è la sintesi del suo predicozzo.

Annamaria, Romeo e Giuseppe avranno finalmente compreso, da lassù, di essere vittime delle apparenze della società consumistica e del proprio inganno; si saranno già pentiti della loro scelta irreversibile. 

La nostra benefattrice non fa che riproporre al proprio piccolo paese, all’Italietta bisognosa e questuante, il proprio ruolo planetario di assistente e prefica di profughi, spesso al seguito diretto degli artefici del degrado e della distruzione che li producono.

Gli espropriati, i depredati, gli annullati diventano “poveri”; gli interventi auspicati diventano pura e semplice assistenza. Nessuna parola su un patrimonio professionale, imprenditoriale, di competenze costruito in decenni che si sta vaporizzando in pochi mesi; un paese con sempre meno identità, coerenza e amor proprio e uno stato spappolato che si vorrebbe ridotto a una ONG o ad una succursale dell’UNICEF e dell’ONU dei quali si sente, evidentemente, ancora dipendente a pieno titolo.

Una mutazione antropologica mostruosa che rispecchia fedelmente l’evoluzione della sedicente sinistra superstite degli ultimi decenni. 

Questi signori e, nella fattispecie, la Signora vivono ormai in una sfera di cristallo; non si accorge nemmeno, quest’ultima, degli insulti compassionevoli che dispensa sin dal suo insediamento alle vittime compassionate; rischia di irretire prematuramente oltre ogni misura i “poveri” e fustigati che ancora plebe non sono. 

A fine ‘700, in Francia, non riuscirono a tacitare la sua antenata e sopraggiunsero sei anni terribili.

È probabile che l’attuale rediviva sarà messa a tacere dai suoi stessi mentori prima che contribuisca a determinare con entusiasmo plasticoso definitivamente l’irreparabile.

Ma la Storia, come la gatta frettolosa, fa spesso i figli ciechi, specie quelli più supponenti.


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11697

Senato, Grasso cede sulle commissioni: “Domani la conferenza dei capigruppo”.


Pietro Grasso


Il presidente di Palazzo Madama: "Non ho intenzione di ritardare né di ostacolare i lavori del Parlamento". L'ex procuratore nazionale antimafia spiega di aver riscontrato sia ostacoli politici che giuridici anche connessi alla formazione del governo". Ma una settimana diceva che non era possibile.

Il presidente del Senato Piero Grasso ha convocato per domani la conferenza dei capigruppo per velocizzare la procedura che deve portare alla composizione delle commissioni parlamentari. Una decisione che arriva dopo le polemiche dei giorni scorsi con il Movimento Cinque Stelle che ha minacciato di occupare le Camere (con tanto di hashtag su Twitter ad hoc), alcune forze politiche che hanno sostenuto la necessità di far partire comunque i lavori del Parlamento anche senza un governo e altri partiti che hanno opposto motivi di regolamento. Grasso in un primo momento aveva spiegato che la formazione delle commissioni non era possibile senza un esecutivo. Ora sembra aver ammorbidito la propria linea: “Non ho alcuna intenzione né di ritardare né di ostacolare i lavori del Parlamento – spiega il presidente dell’Aula di Palazzo Madama - Il regolamento non assegna al presidente poteri sostitutivi e pertanto, finché le designazioni non saranno completate, non sarà possibile procedere alla convocazione delle commissioni”. Rispondendo alle polemiche sui lavori parlamentari, Grasso ricorda di aver “chiesto ai capigruppo di avere le designazioni dei Senatori per le commissioni entro giovedì scorso, e tranne due eccezioni sono già sul mio tavolo. Il regolamento non assegna al Presidente poteri sostitutivi e pertanto, finché le designazioni non saranno completate, non sarà possibile procedere alla convocazione delle Commissioni”.
Grasso racconta di aver ”riscontrato sia ostacoli politici che giuridici, anche connessi alla formazione del governo. Per chiarire le posizioni dei gruppi sul tema – spiega – ho anticipato a domattina alle 10 la Conferenza dei Capigruppo, in modo da delineare senza ambiguità i diversi orientamenti. Se al termine della Conferenza sarà necessario convocherò la Giunta per il regolamento, per definire gli aspetti interpretativi delle norme in materia. E’ del tutto evidente che nel frattempo la Commissione speciale potrà discutere tutte le questioni ritenute urgenti, e non escludo che su tematiche particolarmente complesse si possano istituire altre commissioni speciali”.

lunedì 8 aprile 2013

Ilva, la Cassazione sulla conferma degli arresti "Il disastro ambientale è riconducibile ai Riva".


Ilva, la Cassazione sulla conferma degli arresti "Il disastro ambientale è riconducibile ai Riva"

La Suprema Corte ha reso note le motivazioni con cui ha convalidato il 16 gennaio scorso i domiciliari a Emilio e Nicola Riva e all'ex direttore dello stabilimento di Taranto Capogrosso: conoscevano i rischi ma hanno perseverato.

Il disastro ambientale nella vicenda dell'Ilva di Taranto è riconducibile al gruppo Riva: lo evidenzia la prima sezione penale della Cassazione nello spiegare il perché, lo scorso 16 gennaio, ha convalidato i domiciliari nei confronti del patron dell'Ilva Emilio Riva, del figlio Nicola come pure nei confronti dell'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso.

Con "argomenti logici e immuni da interne contraddizioni" il Tribunale della libertà di Taranto ha evidenziato che "il disastro ambientale" nella vicenda dell'Ilva di Taranto "era certamente riconducibile anche alla gestione successiva al 1995, quando è subentrato il gruppo Riva nella proprietà e nella gestione dello stabilimento siderurgico e che gli accertamenti effettuati hanno chiarito che l'inquinamento è attuale". 

In particolare, la Suprema Corte nelle motivazioni contenute nella sentenza 15667, sottolinea come il Riesame di Taranto, il 7 agosto 2012, abbia evidenziato, "la pervicacia e la spregiudicatezza dimostrata da Emilio Riva e dal Capogrosso, ma anche da Nicola Riva, succeduto alla presidenza del Consiglio di amministrazione in continuità con il padre, che hanno dato prova, nei rispettivi ruoli, di perseverare nelle condotte delittuose, nonostante la consapevolezza della gravissima offensività per la comunità e per i lavoratori delle condotte stesse e delle loro conseguenze penali e ad onta del susseguirsi di pronunce amministrative e giudiziarie che avevano già evidenziato il grave problema ambientale creato dalle immissioni dell'industria". 

Quanto al pericolo di reiterazione del reato, la Cassazione segnala che il parere positivo espresso dal Tribunale è "coerente e non è contraddetto nè dalla circostanza che gli impianti sono stati sottoposti a sequestro preventivo, nè dal venir meno delle cariche degli indagati nell'azienda". Del resto, fa notare ancora Piazza Cavour, "i Riva, pur non avendo più cariche, hanno tuttora la proprietà dell'azienda con quel che ne consegue in termini di interesse in ordine alle sorti dello stabilimento; inoltre, sono titolari del gruppo Riva".

Stesso discorso vale per l'ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso "tuttora dipendente dell'Ilva e del quale il Tribunale ha compiutamente evidenziato la gravità e la reiterazione delle condotte e la piena condivisione delle scelte aziendali consolidate negli anni". Sul pericolo di inquinamento probatorio, poi, la Cassazione ricorda che non ha alcun peso "la circostanza che le indagini preliminari si siano concluse".

Nelle motivazioni, la Suprema Corte per dimostrare la legittimità della decisione del Riesame di Taranto evidenzia ancora che "è risultato che le concrete modalità di gestione dello stabilimento siderurgico dell'Ilva hanno determinato la contaminazione di terreni ed acque e di animali destinati all'alimentazione in un'area vastissima che comprende l'abitato di Taranto e di paesi vicini nonché un'ampia zona rurale tra i territori di Taranto e Statte tali da integrare i contestati reati di disastro doloso, omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, avvelenamento di acque, posti in essere con condotta sia commissiva che omissiva, con coscienza e volontà per deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida dell'Ilva i quali hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza con effetti destinati ad aggravarsi negli anni".
Da qui il rigetto dei tre ricorsi.


http://bari.repubblica.it/cronaca/2013/04/04/news/ilva-55930251/?ref=HREC1-9