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mercoledì 17 aprile 2019

È ARRIVATO IL CONTO - Marco Travaglio

Risultati immagini per imbroglioni

Spiace per Nicola Zingaretti, che è appena arrivato alla segreteria del Pd e non ne ha certo selezionato la classe dirigente. Ma quello che sta accadendo con lo scandalo della (in)sanità in Umbria, il rinvio a giudizio della deputata Micaela Campana per falsa testimonianza su Mafia Capitale e la fine delle indagini sul governatore calabrese Oliverio & his friends è la resa dei conti finale di un equivoco durato troppo a lungo, dai tempi di Tangentopoli: quello della “diversità morale” del partito della sinistra. 
Una diversità che aveva una ragion d’essere ai tempi del vecchio Pci, più per l’onestà personale (indiscutibile) di Enrico Berlinguer che per la correttezza (molto opinabile) delle sue classi dirigenti. 
Mani Pulite dimostrò che il Pci-Pds era pienamente integrato nel sistema della corruzione. E fu solo per la tenuta stagna dei cassieri-faccendieri alla Primo Greganti se lo scandalo coinvolse solo dirigenti locali, quasi tutti dalla corrente filocraxiana che si faceva chiamare “migliorista” (e tutti chiamavano “pigliorista”). 
Infatti Greganti, in cambio del suo preziosissimo silenzio sugli anelli superiori della catena, fu sempre protetto dal partito, tant’è che ancora cinque anni fa faceva il bello e il cattivo tempo nel sistema degli appalti per l’Expo di Milano. Ma, nell’immaginario collettivo, anche se decine di ex Pci furono arrestati e condannati per tangenti, la sinistra riuscì a perpetuare la leggenda della sua diversità: un po’ perché i suoi rubavano perlopiù per il partito, senza lo scandalo supplementare degli arricchimenti personali; un po’ perché l’altro fronte era dominato prima dal Caf e poi dal campione mondiale dell’illegalità, Silvio B. che non temeva confronti.
Il centrosinistra s’impegnava allo spasimo per stargli appresso e tenere i suoi ritmi, ma non ce la faceva: e così, per 25 anni, è riuscito a gabellare da “mele marce” (in un cestino sano) e da “compagni che sbagliano” la miriade di amministratori locali e nazionali presi con le mani nel sacco. A ogni elezione l’appello al fronte comune anti-Caimano funzionava, almeno fra chi non fuggiva nell’astensione: il giorno del voto milioni di persone, imprecando e giurando che era l’ultima volta, accettavano di subire il ricatto e si turavano il naso sugli scandali del centrosinistra per non ritrovarsi nella Cloaca Maxima. Il bipolarismo penale fra berlusconiani e menopeggisti è durato fino al 2013, quando il sistema è diventato tripolare con l’avvento dei 5Stelle. Che proprio della questione morale facevano una delle loro bandiere. Infatti i due vecchi poli si misero insieme al seguito di Letta, Renzi e Gentiloni.
Prima direttamente con B., poi coi suoi cascami (alfanidi e verdiniani). Per la prima volta in 25 anni il centrosinistra che aveva sempre finto di opporsi a B., salvo poi chiedere i voti contro di lui e sopravvivere a se stesso grazie a lui, dimostrò quanto era simile a lui. Al punto da governare per cinque anni (e riformare la Costituzione e la legge elettorale) con lui o chi per lui. Così, alle elezioni del 2018, il ricatto “votateci o vince B.” smise di funzionare. Infatti il Pd si ritrovò a tifare espressamente per lui, in vista di nuove “larghe intese” contro il nuovo spaventapasseri creato ad arte per gabbare gli elettori più gonzi e trascinarli un’altra volta alle urne con gli occhi tappati e il naso turato: i “populisti”. Contro di loro si invocava un nuovo fronte comune senza andare troppo per il sottile, un’Union Sacrée per stomaci forti dal Pd a FI. Lo spauracchio funzionò all’incontrario: Pd e FI ai minimi storici, M5S e Lega ai massimi.
Finalmente liberi da tutti i ricatti (prima “votate Dc sennò vince il Pci”, poi “votate B. se no vincono i comunisti”, infine “votate Pd se no vince B.”), gli elettori hanno ritrovato la vista e l’olfatto, e si sono divisi secondo le proprie inclinazioni: uno strano e confuso movimento post-ideologico di centro, che però assorbe molte battaglie disertate dalla sinistra, cioè i 5Stelle; e una destra estrema, popolare, demagogica e xenofoba che si identifica fideisticamente in un capo rude e parolaio, ma empatico e abile a spacciare la vecchia Lega per una novità. Ed ecco questo governo Frankenstein che ha senso solo come espiazione di tutti i precedenti. Convinti di aver visto tutto il peggio possibile, gli elettori rifiutano i tentativi dei partiti sconfitti di ricondurli all’ovile con nuovi ricatti: tipo “votateci sennò torna il fascismo”, “votateci perché siamo competenti”, “votateci perché siamo cambiati”. Il fascismo era una cosa seria (purtroppo), la Lega è una mezza farsa. Di competenza se ne vedeva poca anche prima, altrimenti non saremmo da 30 anni sull’orlo della bancarotta. Quanto al cambiamento, be’, un pregiudicato mezzo rintronato di 82 anni che si ricandida in Europa parla da sé. E Zingaretti, col poco tempo che ha avuto dal congresso alle Europee, ha cambiato poco o nulla. E lo scandalo dell’Umbria, come se non bastassero quelli in Campania, in Basilicata, in Calabria ecc., sembra fatto apposta per fotografare un partito sopravvissuto a ogni “rottamazione” e rimasto fermo a Tangentopoli. Ma ormai nudo, senza più il trio Craxi-Forlani-Andreotti e la Banda B. a fare da schermo e da alibi. Le carte dell’inchiesta sui concorsi truccati nella sede del Pd umbro, sui disabili costretti a farsi raccomandare dal partito per non essere scavalcati da quelli con tessera e padrino, sui direttori generali di stretta osservanza che “se mi intercettano mi scoprono cinque reati all’ora”, richiederebbero ben altro che le giaculatorie di padre Zinga sulla “fiducia nei magistrati” e sul “senso di responsabilità della governatrice Marini” (che finalmente se n’è andata). Sennò la gente scuote il capo e, casomai si fosse riavvicinata al Pd, scappa a gambe levate.

mercoledì 10 aprile 2013

WikiLeaks: le trame d'Italia. - Stefania Maurizi





Le manovre di Kissinger. L'appoggio Usa a Formigoni e Cl. Il visto negato da Washington a Napolitano. Lo strano incidente di Berlinguer in Bulgaria. Una nuova ondata di cablo sugli eventi degli anni '70.

E' stato uno dei più grandi protagonisti della politica estera americana del ventesimo secolo. Un uomo che ha deciso i destini del mondo. Da Washington a Roma, dall'Argentina al Vietnam, le sue decisioni e ossessioni hanno condizionato governi, spianato la strada a colpi di stato e dittature atroci, combattuto la guerra Fredda negli anni più caldi del comunismo. Henry Kissinger, potente segretario di Stato americano ai tempi di Richard Nixon e Gerald Ford è al centro delle nuove rivelazioni di WikiLeaks, a cui "l'Espresso", in collaborazione con "Repubblica", ha avuto accesso esclusivo per l'Italia, insieme a un team di diciotto media internazionali: dal quotidiano argentino "Pagina12" all'agenzia "Associated Press", dal giornale "The Hindu" a quello australiano "The Age". 

Un database di 1.707.499 cablo della diplomazia americana che vanno dal 1973 al 1976: "i Kissinger Cables'. Comunicazioni tra Henry Kissinger e le ambasciate di tutto il mondo, che rivelano una miniera di informazioni su tutte le nazioni della Terra, tra colpi di stato e scandali che hanno caratterizzato quegli anni in cui il mondo era diviso in due superpotenze: l'America e l'Urss. 

Dai file sull'Italia emergono le trame e i personaggi che hanno fatto la storia del Paese negli anni più bui, ma che ancora oggi sono al centro della scena politica o, comunque, della memoria collettiva. Dal celebre visto per l'America, negato a Giorgio Napolitano nel 1975, alle rivelazioni su Formigoni e Comunione e Liberazione. Dalle responsabilità del Vaticano nella collaborazione con i peggiori regimi dittatoriali che hanno insanguinato l'America Latina all'incidente stradale di Berlinguer in Bulgaria: un banale scontro di automezzi o il tentativo di assassinare un leader di indiscusso carisma che, però, non piaceva a troppi? 

Henry KissingerHenry KissingerQuesti documenti che oggi pubblica WikiLeaks e che riguardano gli anni dal '73 al '76 sono stati desecretati dallo stesso governo degli Stati Uniti. Quello che l'organizzazione di Assange ha fatto è stato assemblarli in un potente database costruito dal gruppo e ricercabile per parole chiave, dove è possibile trovare sia 1.707.499 di file dal 1973 al 1976 (che il gruppo ha ribattezzato "The Kissinger Cables"), sia i 251287 cablo segreti che vanno dal 2002 al 2010 ("Cablegate") pubblicati da WikiLeaks per la prima volta nel novembre 2010: una mossa che scatenò la reazione infuriata della Casa Bianca, di Hillary Clinton e del Pentagono, perché quei cablogrammi tanto recenti non erano mai stati desecretati dal governo americano, che di fatto ancora oggi, a fini legali, li considera documenti riservati, nonostante siano in rete e siano finiti sulle pagine dei giornali di tutto il mondo.

Mettendo insieme in un avveniristico database i file di Kissinger e i cablo degli anni 2000, l'organizzazione di Assange ha creato una grande libreria pubblica della diplomazia Usa: "PlusD", ovvero la "WikiLeaks' Public Library of the United States Diplomacy", uno strumento preziosissimo che da oggi in poi permette a chiunque di cercare i documenti che vuole, senza filtri o senza avere abilità particolari.

Questa operazione è ancora più importante se si considera che gli Stati Uniti si riservano comunque la facoltà di poter secretare di nuovo anche i documenti che il loro stesso governo ha desecretato, togliendoli dal dominio pubblico, se ritengono che le informazioni in essi contenute possono danneggiare gli interessi degli Stati Uniti. Come è successo, per esempio, nel 2006, quando l'amministrazione Bush ha deciso improvvisamente di secretare oltre 55mila dossier che, in molti casi, erano stati diffusi ormai da anni, e il cui contenuto era anche finito in libri e articoli di stampa. Un'operazione che può sembrare paradossale, ma come conferma a l'Espresso il guru della segretezza, l'americano Steven Aftergood: «Sotto certe condizioni, i documenti rilasciati pubblicamente possono essere secretati di nuovo».

Con questa libreria di WikiLeaks, i documenti non potranno più essere sottratti al pubblico dominio. E le storie che lasciano affiorare sull'Italia e il Vaticano permettono di riallacciare i fili di un passato di trame, scandali, sotterfugi, influenze che tiene ancora il Paese sotto scacco.


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/wikileaks-le-trame-ditalia/2204227

mercoledì 3 ottobre 2012

Stanno ritornando i fascisti. O meglio, non erano mai andati via. Come Giuseppe Fava ci aveva ben spiegato nel 1983. - Sergio Di Cori Modigliani




Ogni cultura, ogni etnia, ogni paese ha dei suoi specifici simboli, sintagmi, espressioni, che sintetizzano e determinano l’immaginario collettivo di quel popolo. Se andate a Omaha, Nebraska, e mettete su un partito con l’immagine del fascio littorio, forse trovate tre adepti e la vostra trovata elettorale non avrà alcun impatto. A loro, quel simbolo, non evoca nulla. Se le stesse persone, con identica argomentazione, una grafica uguale e gli stessi slogan, fanno la stessa cosa a Sarzana o a Reggio Emilia, inevitabilmente ci sarà una reazione distinta. E così via dicendo. Se mettete su un movimento come “occupy wall street” e basate la vostra argomentazione sul principio noto “1% contro il 99%” in un paese, come gli Usa, in cui pagare le tasse è norma consolidata e lo fanno tutti; dove le banche –per tradizione- da novant’anni finanziano imprese e idee; dove i meccanismi di corruzione vengono perseguiti con vigore, e quando qualcuno viene beccato, non esiste patteggiamento, e se gli va bene perché non finisce in galera, sparisce per sempre dalla vita politica; dove esistono forti precedenti di una gestione politica (vedi Roosevelt e Truman) che ha messo le banche e la borsa sotto severissimo controllo, accade che possa accadere ciò che sta accadendo da diverse settimane nella contea di Manhattan, dove un giudice ha messo sotto accusa il colosso finanziario J.P.Morgan il cui management finirà presto alla sbarra, dove il governo e una folta maggioranza parlamentare sta aprendo un incartamento giudiziario sulla bolla esplosa dei mutui nel 2008, ecc. Ma se mettete su lo stesso identico movimento, con le stesse parole d’ordine e con la stessa spinta volitiva, in un paese come l’Arabia Saudita, dopo un giorno finite arrestati, condannati a morte senza processo e fucilati all’alba. Se lo fate in Danimarca o in Svezia, tutta la casa reale scende in campo, e ogni giorno se ne parla in parlamento finchè il governo è costretto a intervenire con appositi dispositivi, leggi, controlli, decisioni.
In Italia, negli ultimi mesi, e soprattutto nelle ultime settimane, si è manifestata l’ennesima finzione italiota, che da surrealismo bello e buono, diventa dramma civile, sociale e collettivo, perché è praticamente impossibile denunciare che è un falso.
Perché ciò che oggi in Italia esiste è, mi ripeto, la traduzione di mode importate, riadattate e applicate nel tessuto italiano in modo rassicurante, a garanzia che nulla verrà cambiato mai, che non ci sarà nessuna modificazione.
L’Italia è un paese antico ed è vero.
Non siamo come il Qatar che è stato inventato a tavolino dalla Gran Bretagna nel 1970, o come la Giordania dove inglesi, americani, francesi e tedeschi hanno preso uno qualunque e gli hanno detto “da domani tu se il re e questo è il tuo popolo”.
Non siamo neppure come gli Usa, una gigantesca ed efficiente confederazione, vero e proprio laboratorio dinamico umano e fucina di idee e di innovazioni, il cui principale collante storico, per ovvi motivi, è sempre stato il business.
Si può discutere per ore e decenni sulla solita storiella che siamo soltanto una espressione geografica, perché gli italiani non sono stati mai fatti ma questa, è ormai un’argomentazione obsoleta e non corrisponde affatto alla realtà dei fatti sociali, psicologici, legali ed esistenziali.
Gli italiani esistono, eccome se esistono.
Siamo stati unificati, eccome se siamo stati unificati.
Siamo un tutt’uno, eccome se siamo un tutt’uno.
Ogni differenza tra un brianzolo e un catanese, un frusinate e un vicentino, sono davvero quisquilie antropologiche; si tratta delle stesse identiche differenze di lingua locale, usi tradizionali, costumi psicologici che si trovano tra una casalinga puritana di Cape Cod, sulla East Coast statunitense e una sua omologa cattolica sulla spiaggia di San Diego sulla West Coast: diversissime in tutto, se non nella loro omologazione che le rende (per noi che le vediamo dall’esterno e le riconosciamo) squisitamente americane.
L’Italiano ancora non esisteva nel 1968. E’ iniziato a esistere nel febbraio del 1970, grazie all’irruzione della televisione, della ideologia faziosa e dell’ignoranza, usate come furibonde armi di distrazione di massa. Fu la prima grande mutazione antropologica che andò a costruire la prima fase dell’omologazione come nazione, quella che Pasolini denunciò allora come una tragedia epocale (per lui lo era). Avvenne, allora, con un atto politico-economico che unificò il paese (a sua insaputa) genialmente orchestrato dai due leader che condussero l’operazione e che poi, grazie a questo successo, presero il controllo operativo dei loro due grandi partiti: Giulio Andreotti ed Enrico Berlinguer. Gli italiani ancora non esistevano, e il paese era attraversato da una autentica sollevazione sociale di stampo generazionale che correva il rischio di unificare il paese verso forme evolute davvero molto pericolose per i gestori e garanti dello status quo. E lì avvenne un episodio, anzi due, che unirono il paese, perché si verificarono uno a Torino e l’altro a Reggio Calabria, unendo quindi in un sottilissimo filo di complicità l’austera classe dirigente efficiente piemontese e quella meridionalista calabrese. C’erano, allora, due pericolosi (per il potere) focolai: a Torino la Fiat era in grave crisi. Ben ingerita e digerita la trionfante stagione del modello 500, si era trovata in un momento di riassestamento del capitalismo europeo, ma la famiglia Agnelli (come ha sempre fatto) invece di aver scelto (anni prima) di investire i loro profitti in ricerca avanzata tecnologica, innovazione, aumento della produttività, accettando l’esistenza della concorrenza di altre marche italiane, aveva optato per gettarsi nel campo della finanza speculativa trasformando la Fiat in una semplice cassaforte da usare per fare soldi con gli strumenti finanziari più evoluti allora in voga, senza praticare nessuna politica industriale. In seguito alle lotte sindacali e all’aumento della concorrenza di Renault, Citroen, Opel e Volkswagen, era finita in crisi. Per “fingere” che la propria crisi era tragica, con grandiosa abilità dirottarono nel 1968 il corrispondente di oggi di circa 50 miliardi di euro verso insospettabili “casseforti” all’estero, il tutto intestato a società di comodo. Nel pieno delle lotte sindacali si presentano allo Stato centrale e paventando la bancarotta (con i conti alla mano truccati) sostengono che dovranno licenziare circa 25.000 persone subito. Inizia una trattativa, gestita soprattutto da Riccardo Lombardi (PSI) Luciano Lama (CGIL) e Berlinguer (PCI) scelti con abilità da Amintore Fanfani come i migliori mediatori del momento. Gli unici che con Lotta Continua ci potevano parlare. Contemporaneamente, però, in Calabria erano insorti i meridionali, manifestandosi con rivolte di popolo contro lo strapotere delle banche, contro lo strozzinaggio delle banche, contro le politiche di austerità del settentrione, gestite da un leader locale che si chiamava Ciccio Franco, pilotate dal MSI al grido di “Boia chi molla”, con scontri nelle strade, incendi, devastazioni, morti. Mentre a Torino ci si scontrava contro la polizia al grido di “polizia fascista”, a Reggio Calabria ci si scontrava contro la polizia al grido di “polizia serva dei comunisti”. Risolsero il problema. Magicamente arrivò da Mosca una proposta commerciale alla Fiat per dare inizio alla prima automatizzazione di massa del popolo sovietico; vennero accettate dalla Fiat tutte le richieste sindacali, l’azienda garantì il lavoro, decise di espandersi assumendo altri 8.000 operai nel settentrione. In cambio, ottenne dal governo il corrispondente di oggi di circa 50 miliardi di euro come “prestito d’incentivazione”. E il giorno dopo il fratello di Giovanni Agnelli annunciava la propria candidatura nelle file della DC per le elezioni seguenti, in modo tale da garantire alla sua famiglia che quei soldi non sarebbero mai stati restituiti. Una settimana dopo, in un celebre discorso alla Camera dei deputati, l’allora ministro dell’economia, Emilio Colombo –che in quel momento lanciò nell’arena Giulio Andreotti- annunciava la risoluzione definitiva della questione meridionale. Minacciò i meridionali sostenendo che se non la smettevano subito avrebbe inviato l’esercito e li avrebbe fatti prendere a cannonate. In compenso, garantiva a nome del governo che al massimo entro 72 ore, sarebbe diventato esecutivo il più grande piano mai realizzato di investimenti nel meridione per lanciare il sud verso la modernità. Per far ciò –e poterlo fare in fretta- data la situazione di “grave emergenza che ci obbliga a intervenire subito e data la responsabilità che abbiamo anche come membri fondatori del mercato economico europeo, chiedo un atto di responsabilità civile agli onorevoli colleghi dell’opposizione per appoggiare con favore un decreto legge d’urgenza che consenta la risoluzione immediata del disagio delle popolazioni meridionali”. E lo ottenne. Fu la prima volta che il PCI votò compatto all’unanimità un decreto del governo democristiano. E così, mentre al settentrione la Fiat, attraverso la mediazione di CGIL e PCI rubava “letteralmente” i soldi dalle tasse degli italiani, nel meridione, in 24 ore, a nome del governo, Giulio Andreotti istituisce nella sola Calabria 1.789 enti inutili nati dal nulla che consentono di annunciare in aula, due giorni dopo, che la settimana entrante sarebbero state assunte, nella sola Calabria, 26.860 persone. Come avvenne. Finirono tutti assunti a far poco o nulla in entità fittizie il cui compito consisteva nel non produrre nulla, se non la pace sociale necessaria per garantire lo status quo.  L’unica cosa chiesta in cambio era che il management di province, enti, assessorati, ecc, fosse messo nelle amorevoli mani di burocrati democristiani. Accettarono tutti. E così il meridione, pur di mangiare, accettò di entrare nella mentalità della clientela sussidiaria parassitaria al soldo e agli ordini della Democrazia Cristiana (e in Calabria in connivenza con il PSI) mentre in Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, la grande industria entrava alla grande nel meccanismo del sussidio nazionale mediato dall’opposizione. Tutte le agitazioni di piazza scomparvero nel nulla. Per far fronte a questa situazione, la Banca d’Italia fu costretta a battere una quantità strabordante di danaro. Dieci mesi dopo, l’inflazione era salita del 320% e lentamente ci si avviava verso la grande crisi economica del 1972.
Lì nacquero gli italiani.
Uniti come popolo e nazione, al di là della loro faziosità, al di là dello schieramento ideologico, al di là delle loro differenze, al di là della loro posizione geografica, incorporarono dentro di sé la mala pianta nevropatica dell’odio/amore verso lo Stato, considerato come nemico ma allo stesso tempo amorevole mamma accudente dei propri bisogni primari.
La seconda fase, fondamentale nella nascita degli italiani è stata quella perpetrata e organizzata alla grande da Silvio Berlusconi e i suoi compari.
Ancora nel 1989, la criminalità organizzata –pur sempre mostruosamente forte- aveva come roccaforti la gestione, amministrazione ed esercizio del potere locale regionale, suddivisa in mafia siciliana, ‘ndrangheta calabrese, camorra napoletana, sacra corona unita pugliese, che trovavano soprattutto nella destra fascista e democristiana la copertura necessaria per svolgere il loro malaffare.
Con Berlusconi tutto ciò cambia e la criminalità organizzata, da meridionale, diventa nazionale. Vent’anni dopo, tutte le più importanti organizzazioni criminali meridionali mantengono nel meridione una posizione territoriale più che altro psico-politica. Come ben spiegato dal magistrato Caselli e dal procuratore Grasso, nel 2010 “il 70% delle attività finanziarie delle mafie si svolge e si realizza nelle quattro grandi regioni settentrionali”.
In questo ventennio, le mafie –come persone, come concetto, come antropologia, come modalità d’affari, come cultura- entrano nel sistema industriale, finanziario e bancario del settentrione e se ne impossessano.
L’Italia realizza finalmente la propria unità nazionale.
Il mafioso siciliano non esiste più oggi. Se non nella sua obsoleta (seppur ancora viva) manifestazione di bullismo criminale locale legato a tradizioni familiari micro-delinquenziali. L’Italia diventa mafiosa e criminale nella sua perdurante attività quotidiana. ED E’ QUESTO CIO’ CHE INCEPPA IL SISTEMA E INGESSA IL MERCATO non le banche. E’ questa mentalità che esalta e piace ai colossi finanziari internazionali che vedono in questa furiosa debolezza e fragilità etica la ghiotta occasione per espoliare la nazione appropriandosi delle nostre ricchezze. Non è certo un caso che tutti questi siti, pagine di facebook, quotidiani on-line dove ogni giorno si legge il consueto piattume demagogico contro le banche (vera e propria arma di distrazione di massa di facilissimo appeal emotivo perché manipola l’autentico disagio collettivo) neanche una volta parlano di mafie, se non per raccontarci irrilevanti notizie.
Siamo diventati unità nazionale.
L’Italia è Fiorito, per i maschi. Ed è Nicole Minetti per le femmine.
Che ci piaccia o non ci piaccia, questo è il paese: sono entrambi invidiati.
E’ soltanto attraverso una rivoluzione esistenziale interiore che si può arrivare a compiere quella necessaria mutazione del nostro dna culturale per cambiare per davvero la nostra realtà. E ciascuno sa in che cosa consiste il suo “personale e individuale modo di essere rivoluzionari oggi in Italia”, non lo sfogo contro le banche, bensì il disprezzo per i Fiorito e per le Minetti (qui assurti a simbolo rappresentativo) di un intero sistema che è, prima di ogni altra cosa in assoluto, un fatto mentale. Un fatto interiore.
Non spetta alla magistratura il compito di pulire il bianco, il rosso, il verde. L’hanno già fatto nel 1992: non è servito a nulla.
Per ogni Fiorito che va in carcere oggi, per ogni Minetti che si pavoneggia per la sua furbizia, c’è un altro Fiorito ad Alessandria, Siracusa, Ancona, Grosseto, pronto a sostituirlo.
Va cambiato la mentalità d’approccio.
Invece di sentirsi particolarmente intelligenti o puliti perché su facebook si vomitano insulti contro Berlusconi, Monti o Goldman Sachs, è bene che ciascuno cominci a interrogarsi sulla propria istintiva tendenza alla clientela, al piagnisteo che chiede sussistenza, alla querula lamentela di chi finge di voler essere imprenditore quando l’unico vero obiettivo consiste nel metter su (se va bene) un baracchino che poi verrà sovvenzionato dallo Stato in un qualche modo.
L’Italia non sta in crisi perché non può battere moneta. E’ FALSO.
Il “sistema Italia è andato in crisi perché l’Europa non consente più all’Italia di mantenere un gigantesco esercito di burocrati inutili, assunti per malleveria partitica o vaticanista, che producono soltanto rendite passive e non merci competitive”.
E la Germania, va da sé, gongola e approfitta di questa situazione. Lo fa anche la Francia, e adesso il Qatar, e i colossi finanziari all’arrembaggio.
Siamo esposti e a rischio.
Siamo esposti all’unità nazionale che, in totale consociativismo, hanno costruito per noi, sapendo che così sarebbero stati votati.
Non a caso (e l’unico a darne la notizia è Il Fatto Quotidiano, colpito proprio da un “sintagma della memoria storica”) Casa Pound e Forza Nuova annunciano sfracelli a Rimini e in Emilia Romagna mobilitando la piazza “contro il mercatismo e contro il signoraggio” e con parole d’ordine che vanno da “fermiamo le banche” a “eliminiamo le banche” ma dove, guarda caso, da ieri è ritornato a primeggiare il mai sopito “Boia chi molla”. E Il Fatto Quotidiano annuncia l’evento facendolo squillare come un campanello.
Il nemico vero è dentro di noi. Spetta a noi strapparselo dalla carne viva, anche a morsi se è necessario. Ciascuno a modo proprio.
Qui di seguito, vi ripropongo un estratto di una grande vittima innocente della nostra Bella Italia che non esiste più. E’ un brano tratto da un testo dello scrittore italiano Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia perché divulgava  Cultura. Il libro si chiama “I siciliani” ed è stato pubblicato nel lontano 1983. L’aspetto più agghiacciante –da cui la necessità di questo post- consiste nel fatto che 29 anni dopo non ha perso neppure un grammo della sua cronachistica attualità psico-esistenziale dell’etnia italiana. Eccolo per voi.
Meditateci su, vale la pena.


Il brano è inserito in un capitolo il cui titolo è: “Paura, Vergogna, Stupidità”.
Perché questi sono, purtroppo, i veri tre colori della nostra bandiera nazionale, oggi. Fiorito docet.

Eccolo:
“Non ti lamentare perciò se […] a Napoli la camorra ha sostituito lo Stato nella pubblica amministrazione, nella distribuzione degli appalti, nella amministrazione privata della giustizia e perfino nella coscienza della gente, e in Sicilia e dovunque la mafia è padrona di ciò che ha comunque valore economico e politico, assassina chiunque sgarra o gli da soltanto fastidio, […] Non ti lagnare amico mio se tutto questo accade, non ne hai il diritto. Il primo lazzarone sei tu e la storia ti paga per quello che merita la tua maniera di concepire la politica e quindi la tua stessa dignità!
Solo che ora non hai più molto tempo. Lo vedi tu stesso quello che ci circonda e assedia: amministratori che divorano, terroristi che avanzano menando strage, l'inflazione che ogni giorno ti rende sempre più miserabile, finanzieri che portano il denaro all'estero ed ogni giorno rendono questa tua miseria più infame, logge segrete come immense piovre in tutti i vertici dello Stato, mafiosi praticamente padroni anche della tua sedia di lavoro!
La necessità di una rivolta morale è diventata una necessità per sopravvivere.
Io allora non ti dico per quale partito votare, perché penso che tu abbia avuto almeno la lucidità per fare una tua scelta ideale. Ti chiedo solo che, all'interno di questo partito al quale affidi la tua coscienza di cittadino, di scegliere uomini intelligenti, soprattutto uomini onesti.
E se hai coraggio e passione, allora stai tu dentro quel partito a lottare per la tua parte.
So quanto sia difficile, poiché manigoldi e ruffiani sono riusciti finora ad emarginare o eliminare gli intelligenti e gli onesti.
Ma bisogna tentare, disperatamente, quotidianamente lottare e sperare. Altrimenti ignoranti, ladri e imbecilli ti affonderanno definitivamente!”.
Ci hanno affondato, infatti.
Spetta a noi riemergere