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venerdì 4 febbraio 2022

Per i non udenti. - Marco Travaglio

 

Traduzione simultanea, con sottotitoli, dei passi principali del discorso di reinsediamento di re Sergio Bis.

“È per me una nuova chiamata – inattesa – alla responsabilità, alla quale tuttavia non posso e non ho inteso sottrarmi”. In realtà potevo benissimo rimandarvi in Parlamento a fare il vostro dovere. Ma, siccome non ne volevate sapere di eleggere Draghi, la Restaurazione avviata un anno fa rischiava di fallire, con una presidente appena sessantenne e pure donna. E ho dovuto tornare io.

“Vi ringrazio per la fiducia”. Che poi, per la precisione, si chiama “stipendio e vitalizio”.

“Alla Costituzione… ho cercato di attenermi in ogni momento per sette anni”. Salvo quando rimandai indietro il premier indicato dalla maggioranza perchè mi sta antipatico Savona e incaricai tal Cottarelli, noto frequentatore di se stesso; e quando mandai a casa il governo appena fiduciato dal Parlamento senza rinviarlo alle Camere e incaricai un ex banchiere mai indicato da nessuno.

“Uno stato di profonda incertezza politica e di tensioni, le cui conseguenze avrebbero potuto mettere a rischio…”. Non so cosa sia saltato in mente a Draghi di tentare la fuga al Quirinale e di confondere la maggioranza del suo governo con quella del nuovo capo dello Stato, ma che volete che vi dica: so’ creature.

“La lotta contro il virus non è conclusa”. Vero, Mario?

“La ripresa di ogni attività è legata alla diffusione dei vaccini che aiutano a proteggere noi stessi e gli altri”. Che proteggano gli altri è una balla sesquipedale, ma mi hanno detto di dire così.

“I regimi autoritari o autocratici rischiano ingannevolmente di apparire, a occhi superficiali, più efficienti di quelli democratici, le cui decisioni… sono ben più solide”. Noi comunque, per non saper né leggere né scrivere, abbiamo optato per l’autocrazia.

“È cruciale il ruolo del Parlamento… La forzata compressione dei tempi parlamentari è un rischio”. Per chi non lo sapesse, il Parlamento è quell’aula sorda e grigia che i decreti non fa più neppure in tempo a timbrarli.

“Un profondo processo riformatore deve interessare la giustizia”. Questa l’ho copiata dal mio precedente discorso di insediamento e da quelli dei miei predecessori, da De Nicola in poi.

“I cittadini non devono avvertire timore per decisioni arbitrarie o imprevedibili in contrasto con la certezza del diritto”. Càpita ancora che qualche potente venga disturbato da indagini e condanne senza prescrizione e che qualche poveraccio venga assolto, ma la Cartabia ci sta lavorando.

“Poteri economici sovranazionali tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico”. E qui mi fermo, sennò poi Draghi s’incazza.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/02/04/per-i-non-udenti/6480721/

domenica 2 gennaio 2022

Mattarella, un addio esplicito e solare. - Antonio Padellaro

 

“Eravamo così poveri che a Natale il mio vecchio usciva di casa, sparava un colpo di pistola in aria, poi rientrava in casa e diceva: spiacente ma Babbo Natale si è suicidato”.

Jake LaMotta

In una notte di San Silvestro, se possibile più mesta del Natale descritto da Jake LaMotta, abbiamo provato viva solidarietà e un pizzico di sincera compassione per i colleghi costretti a chiosare il messaggio presidenziale che da quando viene celebrato riserva le stesse sconvolgenti sorprese della cerimonia del Ventaglio, con la differenza che in quel periodo dell’anno fuori fa caldo.

Infatti, venerdì sera, la diretta dal Quirinale non ha fatto che confermare la mirabile sintesi “testo breve, bandiere e sobrietà” con cui i giornali avevano titolato alla vigilia, sbadigliando. La colpa non è naturalmente di Sergio Mattarella (o dei suoi predecessori) ma di un’attesa assolutamente fuori luogo poiché nel redigere l’augusto testo gli amanuensi addetti alla bisogna avranno cura di espungere qualsiasi riferimento al mondo delle cose reali, fosse pure una virgola malandrina. Onde evitare, il giorno successivo, quelle puntute precisazioni con cui l’ufficio stampa del Colle è impegnato a scoraggiare qualunque goffo tentativo di trovare il classico peluzzo nell’uovo.

Faremo dunque preventiva ammenda per esserci scossi dal benefico sopore dopo quell’invito di Mattarella all’unità nazionale, alla solidarietà, e al patriottismo che avevamo incautamente inteso come un possibile viatico per l’elezione di Mario Draghi. Un plebiscito, insomma, che unisse i buonisti di Fratoianni ai patrioti della Meloni, un po’ come la grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa. Niente da fare perché prima ancora che potessimo articolare una supposizione il tuono rimbombò di schianto e tra capo e collo ci giunse la preventiva smentita degli uffici.

Dunque per dare un senso a questo scritto formuleremo un apprezzamento e un auspicio. Bene, perché giunto al termine del settennato, il commiato di Sergio Mattarella non poteva essere più chiaro, evidente, esplicito, solare. Il più fermo e cortese “giù le mani” rivolto a coloro che insistono a tirarlo per la giacca (pensiamo che ne abbia diritto, al posto della giacchetta corta di maniche che gli mettono addosso) affinché si faccia rieleggere. L’auspicio riguarda invece il tradizionale pistolotto rivolto ai “giovani”. E qui rivolgiamo un accorato appello al prossimo presidente affinché l’anno prossimo ci risparmi il piagnisteo su ciò che si doveva fare e non si è fatto nei secoli dei secoli per questa categoria quanto mai indistinta e scalognata. Anche perché temo che i “giovani”, la sera del 31, non siano all’ascolto (mentre può darsi che stiano sparando a Babbo Natale).

https://ilfat.to/3JyG5Dc

venerdì 2 aprile 2021

“Rigenerare i 5S”: Conte riparte da verde e legalità. -Luca De Carolis

 

Il discorso - L’ex premier presenta agli eletti e a Grillo il piano di “rifondazione”: società civile e struttura per un M5S a sinistra ed europeista “senza correnti”.

Lo aspettavano Giuseppe Conte, da un po’. Ed eccolo, ecco il suo ritorno al futuro. Nella sera in cui diventa ufficialmente un 5Stelle, l’avvocato pronuncia in diretta su Facebook il suo discorso all’assemblea del Movimento sui principi e contorni del nuovo M5S, “da rifondare”, anzi “da rigenerare”, a cui non può bastare un “restyling, un rinnovo superficiale”. Come se fosse ciò che non è, ovvero un grillino della prima ora, un po’ prima delle 22 di un giovedì pre-pasquale il rifondatore Conte rispolvera lo streaming, sepolto nella preistoria del M5S. Ad ascoltarlo ci sono innanzitutto gli eletti dei 5Stelle, dai parlamentari ai sindaci, e il Garante, Beppe Grillo, tutti collegati via Zoom. “Saluto tutti” esordisce l’avvocato, in giacca e con cravatta rossa. Sullo sfondo una libreria stipata. “Dovete essere fieri” inizia, elencando le battaglie del M5S diventate leggi, dal reddito di cittadinanza all’eco-bonus. Ma presto racconta il Movimento che vorrebbe, con “una razionalità organizzativa” e una “chiara identità politica”, racchiusa in una Carta dei principi e dei valori che sarà uno specchio dove riconoscersi. Lo dice in chiaro, che lavora a un Movimento con un cuore che batte a sinistra, europeista. E infatti ricorda subito: “Grazie ai vostri voti determinanti in Europa è stata insediata la commissione Von der Leyen”.

La direzione di marcia per il M5S, e non a caso prima del discorso il segretario dem Enrico Letta benedice da Porta a porta: “Scommetto sull’evoluzione del Movimento, io voglio una coalizione”. La vuole, eccome, anche Conte. Ma innanzitutto vuole un M5S ambientalista oggi ancora più che ieri, nel nome della famosa “transizione ecologica”, e che promuova la “giustizia sociale” e la legalità. Spalancato alla società civile, con dei Forum, “piazze delle idee”, a fare da raccordo tra il Movimento con tutto quanto sta lì fuori. “Dobbiamo essere accoglienti, inclusivi verso l’esterno, ma anche intransigenti sui nostri valori” riassume Conte, come un equilibrista delle parole. Ma il nuovo M5S dovrà anche irrobustirsi, con una struttura fatta di “articolazioni interne” e perfino “dipartimenti”, che però non devono renderlo come gli altri, “come i partiti tradizionali”. Non pronuncia mai la parola segreteria, Conte, ma che non vuole le correnti lo dice dritto. “Ci saranno regole per impedirle” avverte, ed è il monito ai parlamentari che ne stanno creando a grappoli. Certo, provano a chiamarle associazioni. Ma l’avvocato si è proprio arrabbiato, e infatti sul finale insiste e precisa: “Non abbiamo bisogno di associazioni”. Come chiarisce che ci vorrà “più cura per le parole”. Soprattutto, ammette che l’uno vale uno “è la base della democrazia”. Ma quando bisogna scegliere persone per “funzioni di responsabilità” o “rappresentanti del popolo in posizioni di rilievo” allora servono quelli “competenti e capaci”. E forse è in quelle sillabe che si annida la soluzione al nodo che non fa dormire molti parlamentari, ossia il vincolo dei due mandati. Quando parla di scegliere per competenze potrebbe alludere all’ipotesi a cui sta lavorando, ossia che sia lui, da capo politico, a scegliere in base al merito chi verrà messo nelle liste. Non vuole e forse non può essere più chiaro di così. D’altronde non dice nulla di definitivo neanche sul rapporto ormai degenerato in guerra con la piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio. Però mette paletti quando assicura che certo, “le nostre decisioni fondamentali passeranno ancora attraverso il voto su una piattaforma digitale”. Ma “una piattaforma” non è necessariamente Rousseau. Soprattutto, “la democrazia digitale viene da una tecnologia che non è neutra”. Ovvero, “chi possiede e gestisce i dati” svolge operazioni “sensibili e delicate”.

Traduzione, a decidere sarà sempre e solo il M5S. Quello a cui Conte promette un confronto, sul piano e sulla rotta. “Dopo la pausa di Pasqua avvierò incontri per raccogliere i vostri suggerimenti”. Ma l’ultima parola sarà la sua, quella del rifondatore.

IlFattoQuotidiano

giovedì 18 febbraio 2021

Dire e non dire. - Marco Travaglio


Ieri Draghi ha parlato 53 minuti, 13 in più di Conte per la fiducia giallorosa e 18 in meno di Conte per la fiducia gialloverde. Ma questi sono dettagli trascurabili, almeno per noi che badiamo al sodo, diversamente dai turiferari che annunciavano da giorni un discorso di mezz’ora al massimo per inaugurare la “rivoluzione del linguaggio” e la “svolta della brevità”. Anzi, gli avremmo concesso volentieri qualche minuto in più per uscire dalla vaghezza o dall’afasia su alcuni temi che meriterebbero una parola chiara. Il discorso è stato ottimo sull’ambiente (poi vedremo se si tradurrà in pratica) e sull’euro (vero, Salvini?). Doveroso nel grazie a Conte e al suo governo (9 ministri ora stanno con Draghi). Buono su pandemia e Recovery Plan (sostanziale continuità col governo uscente: altro che fallimento e disastro). Interessante sulla governance accentrata dal Tesoro per controllare e non sprecare i 209 miliardi (ma Conte, che ne proponeva una presso Tesoro, Mise e Affari Ue, non era un dittatore-accentratore?). Generico sulle eventuali modifiche al piano Ue e sulla riforma della Pa. Opportuno, ma un po’ “coda di paglia”, nello smentire il fallimento della politica. Vago sul Reddito e il blocco dei licenziamenti. Ragionevole sul fatto che, a lungo andare, i sussidi dovranno aiutare chi regge il mercato e abbandonare chi non sa riconvertirsi (ma quando la grillina Castelli disse cose analoghe fu lapidata). Saggio sulla progressività del fisco (altro che Flat tax). Propagandistico sulla scuola in presenza e non in Dad (con le varianti Covid, vedremo se Bianchi farà meglio dell’Azzolina, appena promossa dall’Unesco). Perdonabile per le gaffe “da emozione” sui numeri delle terapie intensive e della cassa integrazione (ma, se fosse stato il predecessore, l’avrebbero massacrato).

Ma più di quelle che ha detto contano le cose che Draghi non ha detto. Niente Mes (benissimo: avevano ragione Conte, M5S, Gualtieri, i sovranisti e torto il Pd, FI, Iv, Calenda, Bonino e tutti i giornaloni). Niente Costituzione e mafia solo in replica (malissimo). Zero conflitto d’interessi (male per noi, bene per certi ministri “tecnici”, FI e Iv). Un cenno di circostanza alla corruzione (male). Non una sillaba sulla blocca-prescrizione di Bonafede (chiesta dalla Ue), che finora tutti tranne i 5S volevano cancellare, provocando le dimissioni del Conte-2. Scelta comprensibile per chi vuol governare un mese e vincere facile. Ma chi vuol governare due anni (o uno?) deve sciogliere anche i nodi divisivi: prima o poi la politica, anche se è commissariata, presenta il conto.

Ps. Eccellente il richiamo a Russia e Cina sul rispetto dei diritti umani. Noi, parlando con pardòn, ci avremmo aggiunto pure l’Arabia Saudita.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/18/dire-e-non-dire/6105175/ 

lunedì 18 gennaio 2021

Uno stralcio del discorso del presidente Conte al Parlamento. - Lorenzo Tosa

 

A un certo punto del suo discorso alla Camera, dopo aver rivendicato le scelte fatte, le vittorie ottenute, gli sforzi e i sacrifici di tutti, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo ha detto:

“Confesso un certo disagio. Sono qui per provare a spiegare una crisi di cui i cittadini - e io stesso - non ravvisano alcun plausibile fondamento. Le nostre energie dovrebbero essere sempre orientate al Paese, invece appaiono dissipate in contrappunti sterili, incomprensibili. C’era davvero bisogno di aprire una crisi politica in questa fase? No. Abbiamo compiuto ogni sforzo per evitare che questa crisi potesse esplodere, nonostante sempre maggiori pretese, continui rilanci, concentrati non a caso su tutti i temi più divisivi tra le forze di maggioranza. Questa crisi ha aperto una ferita profonda nel Paese. Arrivati a questo punto, si volta pagina.”

Poche parole, che lasciano pochi spazi a dubbi o interpretazioni:
“Questa crisi non ha alcun fondamento”

Il senso delle istituzioni.
Il richiamo alla Costituzione.
Il primato della politica.
Sembra poco. Di questi tempi è un miracolo.

Qualunque altra strada, qualunque avventura, qualunque regalo a questa destra - anche oggi ululante e schiumante in aula - sarà ricordato come uno degli errori politici più gravi della Storia repubblicana.

A prescindere da qualunque ideologia o schieramento, chi sta con il Paese oggi sta con Conte. 

https://www.facebook.com/lorenzotosa.antigone/photos/a.476251642907003/1001130400419122/

mercoledì 6 gennaio 2021

Quo usque tandem.

 

L’8 novembre del 63 a.C., anno cruciale per la storia di Roma, il Console Cicerone pronunciò in senato un severo discorso contro Lucio Sergio Catilina. Ne ripropongo qui un estratto lasciando a voi l’ispirazione per la sua adattabilità nell’affrontare la realtà.
“Quo usque tandem (fino a che punto) approfitterai della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora la tua pazzia si farà beffe di noi? A che limiti si spingerà la tua temerarietà che ha rotto i freni? Non ti hanno turbato l’espressione e il volto dei presenti? Non ti accorgi che il tuo piano è stato scoperto? Non vedi che tutti sono a conoscenza della tua congiura, o ti illudi che qualcuno di noi la ignori?

Noi dovremo continuare a sopportarti, smanioso di potere e di distruggere il mondo intero?

Allo Stato non mancano né l’intelligenza né la fermezza dell’ordine.

Nulla di quanto fai, ordisci, mediti, sfugge alle mie orecchie e ai miei occhi, tanto meno alla mia mente e capirai subito che sono più risoluto io nel vegliare sulla sicurezza dello Stato che tu sulla sua rovina.

Senatori, sono qui in mezzo a noi, in questa assemblea che è la più sacra, la più autorevole del paese, individui che meditano contro di noi e mi rivolgo al loro capo.

Hai diviso l’Italia tra i tuoi; hai stabilito la destinazione di ciascuno; hai scelto chi lasciare al Governo e chi condurre con te.

Le porte sono aperte. Vattene! Porta via anche tutti i tuoi. Purifica la città! Mi sentirò più libero quando ci sarà un muro tra me e te. Non puoi più stare in mezzo a noi! Non intendo sopportarti, tollerarti.

Tutte le volte che hai sferrato un colpo contro di me, l’ho parato con le mie forze: ma ormai attacchi apertamente tutto lo Stato; vuoi portare alla totale distruzione il Governo e la vita di tutti i cittadini, dell’Italia intera.

Se tu, come ti esorto da tempo, te ne andrai, la città si libererà dei tuoi numerosi e infami complici, fogna dello Stato che aderiscono alla tua congiura.

Non oso parlare della tua condotta privata, delle tue operazioni finanziarie, che sentirai pesarti addosso alla prossima scadenza dei debiti. Vengo piuttosto a fatti che riguardano gli interessi superiori dello Stato.

Non concludi nulla, non ottieni nulla, eppure non desisti dal tentare e dal volere la rovina delle istituzioni.

Dimmi: che vita è adesso la tua? Ti parlo non mosso dall’odio, eppure dovrei, ma da una compassione di cui non sei affatto degno. Sei venuto in Senato, ma tra tanti amici e conoscenti, chi ti ha salutato? Se, a memoria d’uomo, nessuno è stato mai trattato così, ti aspetti forse parole di ingiuria quando già sei schiacciato dal durissimo giudizio del silenzio? Che dire di più? Al tuo arrivo questi seggi si sono svuotati. Non appena hai preso posto, gli altri hanno lasciato vuoto, deserto questo settore dei banchi. Insomma, con che animo pensi di sopportalo?

Se mi accorgessi di essere, anche a torto, gravemente sospettato e disprezzato dai miei concittadini, preferirei sottrarmi alla loro vista piuttosto che essere oggetto di sguardi di disapprovazione. Tu, invece, che sei consapevole dei tuoi maneggi e riconosci che l’odio di tutti è giusto e meritato da tempo, esiti a sottrarti alla loro vista, alla presenza di chi ferisci nella mente e nel cuore.

Se i tuoi genitori provassero paura di te e ti odiassero, se tu non potessi in alcun modo riconciliarti con loro, scompariresti dalla loro vista, immagino. Ora a odiarti e ad aver paura di te è la patria, madre comune di tutti noi, che già da tempo ritiene che tu non mediti altro che la sua morte.

La patria ti presenta il conto senza bisogno di parole.

Hai mentito per anni rinnegando, come uno spergiuro, il giorno dopo quello che avevi detto o fatto il giorno prima.

Sono cose del passato, è vero e benché non fossero tollerabili, tuttavia le ho sopportate, come ho potuto. Ora, però, non intendo sopportare oltre! Perciò vattene e libera lo Stato dal timore! Non ti accorgi del silenzio dei presenti? Perché attendi la conferma della parola, quando ti è chiaro il significato del loro silenzio?

Ma a che servono le mie parole? A piegarti, in qualche modo? A farti ricredere? Non mi illudo. Non è il caso di chiederti di provare rimorso per la tua smania sfrenata e assurda, per le tue azioni nonostante le difficoltà in cui versa lo Stato. Non sei infatti il tipo da astenerti dall’infamia per pudore, dal pericolo per paura, dalla follia per ragionevolezza.

Il popolo ti ha tolto il potere: puoi attaccare il Governo, ma non puoi sovvertirlo con tentativi scellerati da bandito.

Eppure ci sono anche alcuni, qui in Senato, che non percepiscono per ingenuità cosa stia per abbattersi su di noi o che fingono di non vedere quel che hanno sotto gli occhi; sono quei pochi che hanno alimentato con la condiscendenza le tue aspettative e rafforzato con l’incredulità il formarsi di una congiura!

Allora dico se ne vadano i colpevoli! Si separino dagli onesti!”

Marcus Tullius Cicero
In L. Catilinam orationes
Oratio in Catilinam Prima in Senatu Habita

https://www.beppegrillo.it/quo-usque-tandem/

venerdì 10 aprile 2020

Il discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei. - Tomaso Montanari



“Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. Con queste celebri parole, pronunciate più di sessant’anni fa, Piero Calamandrei costruiva per la Resistenza una proiezione ideale e invitava a pensare la Resistenza del futuro come il cittadino a cui importa del bene comune, al punto di metterlo prima dell’interesse particolare. Parole oggi più che mai da riscoprire.

Il Discorso sulla Costituzione ai giovani di Milano di Piero Calamandrei ha avuto una fortuna davvero singolare. Esso nacque da un invito «dal basso» all’ormai venerato padre costituente: «Il 26 gennaio 1955 ad iniziativa di un gruppo di studenti universitari e medi fu organizzato a Milano nel Salone degli Affreschi della Società Umanitaria un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana, invitando insigni cultori del diritto a illustrare in modo accessibile a tutti i princìpi morali e giuridici che stanno a fondamento della nostra vita associata. Il corso è stato inaugurato e concluso da Piero Calamandrei» (così Riccardo Bauer, allora presidente dell’Umanitaria).

Ben al di là di questa contingenza, il discorso ha goduto di un favore crescente, fino a imporsi negli ultimi anni come uno dei pochissimi classici «repubblicani» italiani, riconoscibile anche nell’indistinto piano di internet. La ragione di questo successo è probabilmente la stessa che portò prima l’autore e poi i più autorevoli curatori della sua opera a non includerlo nelle antologie ufficiali: e cioè il suo taglio dichiaratamente divulgativo, il suo carattere antiaccademico e in un certo modo informale. Calamandrei non lo scelse per Uomini e città della Resistenza (uscito da Laterza in quello stesso 1955), Norberto Bobbio non lo mise negli Scritti e discorsi politici (1966) del suo «maestro e compagno», né Alessandro Galante Garrone lo ha recuperato nella raccolta del 1996 Costituzione e leggi di Antigone. Significativamente, esso è invece presente nel fortunatissimo Lo Stato siamo noi, l’instant book di Chiarelettere del 2011 introdotto da una bella prefazione di Giovanni De Luna.

Ma c’è un’altra ragione di questa popolarità, ed è che il Discorso uscì non in un libro, ma in un disco della Fonit Cetra (1959) commentato, sulla copertina, da Enzo Enriques Agnoletti, oggi rarissimo, ma ascoltabile integralmente sul web.

Si tratta di un testo breve: sei cartelle in tutto, cinque inclusi nel disco («la parte sostanziale», scrive Bauer) più un’altra introduttiva.
Ascoltando oggi la voce – fiorentinissima – di Calamandrei, è difficile dar torto alle commosse considerazioni di Bauer: «La parola del maestro indimenticabile suona oggi ancora come un altissimo richiamo all’impegno scientifico e morale di tutti i giovani che si apprestano a una sempre rinnovata battaglia di civiltà, di progresso e di libertà». A ragione Agnoletti sosteneva: «Pensiamo che se fosse stato concesso a Piero Calamandrei di scegliere in quale volto, della sua pur così varia, ricca e armoniosa umanità avrebbe voluto venire ricordato ritratto, nessuna immagine gli sarebbe stata più cara di quella che lo avesse raffigurato in atto di spiegare ai giovani che cosa è, che cosa può, e deve essere, la Costituzione italiana. […] Forse nessuno in Italia ha sentito il valore della Costituzione così intensamente come Calamandrei. Forse nessuno ha tanto operato perché venisse completata e attuata, e perché la sua originalità venisse veramente conosciuta, e perché, soprattutto, venissero accettati i doveri che essa ci impone: quel programma di libertà e giustizia che essa contiene e proclama, e che molti, purtroppo, hanno considerato come un puro esercizio retorico. Non così Calamandrei».

È esattamente questa la ragione per cui questa pagina merita di figurare nella «biblioteca ideale di chi sta dalla parte dell’uguaglianza, della libertà, della giustizia, della laicità», per citare le parole usate da Paolo Flores d’Arcais per introdurre questo volume speciale di MicroMega.


***
Il Discorso si può dividere in quattro parti. La prima (quella che nel disco fu omessa) è una sorta di introduzione in cui si dichiara il tema («Domandiamoci che cosa è per i giovani la Costituzione. Che cosa si può fare perché i giovani sentano la Costituzione come una cosa loro»), si ricorda che la Costituzione è di tutti («La Costituzione è nata da un compromesso fra diverse ideologie. Vi ha contribuito l’ispirazione mazziniana, vi ha contribuito il marxismo, vi ha contribuito il solidarismo cristiano. Questi vari partiti sono riusciti a mettersi d’accordo su un programma comune che si sono impegnati a realizzare»), e si introduce il nodo centrale del discorso («La parte più viva, più vitale, più piena d’avvenire della Costituzione, non è costituita da quella struttura d’organi costituzionali che ci sono e potrebbero essere anche diversi: la parte vera e vitale della Costituzione è quella che si può chiamare programmatica, quella che pone delle mete che si debbono gradualmente raggiungere e per il raggiungimento delle quali vale anche oggi, e più varrà in avvenire, l’impegno delle nuove generazioni»).

Nella seconda parte, quella per così dire portante, Calamandrei sviluppa la visione programmatica e progettuale della Costituzione, che «è in parte una realtà, ma soltanto in parte: in parte è ancora un programma, un impegno, un lavoro da compiere». Calamandrei esalta il significato antifascista della Carta, ma mette l’accento sulla «parte della Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società. Perché – afferma – quando l’articolo 3 vi dice: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, riconosce con ciò che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto, e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione! Un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani».

Nella terza parte Calamandrei ammonisce i suoi giovani uditori, ricordando che tutto dipende dal loro impegno: «Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno, in questa macchina, rimetterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere quelle promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo».

La prospettiva offerta nella quarta sezione del discorso è dunque quella di una vera e propria religione civile della Costituzione: «La Costituzione, vedete, è l’affermazione, scritta in questi articoli che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune: ché, se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. È la carta della propria libertà, la carta, per ciascuno di noi, della propria dignità d’uomo».

Questa appassionata apertura sul futuro, e questa sorta di pacifica e civilissima chiamata alle armi, si nutriva della consapevolezza di una legittimità della repubblica completamente diversa e altra rispetto a quella del Regno d’Italia dello Statuto albertino: a una lunga storia di civiltà (Calamandrei invoca Mazzini, Garibaldi, Cattaneo, Beccaria) si univa ora una legittimità dal basso che si fondava sulla libera scelta di chi aveva dedicato la propria vita alla liberazione dal nazifascismo. Ed è su questa nota altissima, legata alle vicende più brucianti dei padri e dei fratelli maggiori degli studenti che lo ascoltavano, che il discorso si chiude: «Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione».

In questo, come in altri suoi celebri interventi, Calamandrei è riuscito a costruire per la Resistenza una proiezione ideale, non astratta ma profondamente incarnata nel sangue e nella carne del paese: la Resistenza declinata al futuro è il cittadino a cui importa del bene comune, al punto di metterlo prima dell’interesse particolare. Il suo opposto è la Desistenza, come scrive genialmente Calamandrei, il cittadino a cui non interessa la sorte dello Stato: «Questo è l’indifferentismo alla politica: è così bello, è così comodo, la libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica. Lo so anch’io. Il mondo è bello, vi sono tante belle cose da vedere e godere oltre che occuparsi di politica. E la politica non è una piacevole cosa». La politica per Calamandrei non è quella dei professionisti, che anzi egli indicherà come un serio pericolo, ma quella dei cittadini che si mettono al servizio dello Stato inteso come bene comune.

***
La lacerante attualità di questa visione è determinata dal fatto che gli ultimi trent’anni (dal 1989 in poi) hanno visto i governi della repubblica (sia quelli di destra che quelli di sinistra) dedicarsi indifferentemente e indistinguibilmente al progressivo smontaggio del progetto della Costituzione: potremmo dire che c’è stata una De­sistenza di Stato. La parte più colpita della Carta è proprio quella che Calamandrei riteneva il suo cuore. Il grande giurista assume nel discorso del 1955 una posizione decisamente sostanzialista: perché le affermazioni solenni dei princìpi fondamentali della Carta non siano solo altisonanti ipocrisie, bisogna «dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità d’uomini. Soltanto quando questo sarà raggiunto si potrà veramente affermare che la formula contenuta nell’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messi a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società».

Il Discorso ha conosciuto una rinnovata fortuna in occasione delle campagne referendarie sulle riforme costituzionali di Berlusconi (2006) e Renzi (2016): ciò che forse si è meno compreso è che quei progetti (per fortuna respinti) di stravolgimento formale della Carta erano solo l’esplicitazione di un purtroppo efficacissimo svuotamento del progetto costituzionale, giocato proprio sul tema che Calamandrei riteneva fondamentale, quello dell’eguaglianza.

Anche la negazione dei princìpi fondamentali non solo attuata ma enunciata dal Matteo Salvini ministro dell’Interno (con toni esplicitamente fascistoidi) e la sostanziale indifferenza del Movimento 5 Stelle per il progetto sociale della Costituzione rappresentano in fondo non una novità radicale, ma un’ulteriore involuzione di un lungo processo di tradimento della Costituzione. È in gran parte un problema culturale, di educazione alla cittadinanza, di scolarizzazione democratica.


Non per caso questo meraviglioso discorso è rivolto agli studenti, e si apre con l’enunciazione dell’articolo 34, che dice: «I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». «Eh! E se non hanno mezzi?», commenta Calamandrei. «Allora nella nostra Costituzione», continua, «c’è un articolo [il 3] che è il più impegnativo, impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti».

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Oltre sessant’anni dopo le parole di Piero Calamandrei sono vive, urgenti, energetiche: sono capaci di farci sentire che l’amore per la Costituzione è amore per la costruzione di un’umanità giusta, è il progetto di un’altra Italia. E che la realizzazione di quel progetto, l’avvento di questa Italia diversa, direi opposta all’attuale, non dipende dallo stellone italico, dalla benevolenza degli dei o dalla qualità del ceto politico ma solo dalla nostra capacità di essere cittadini sovrani fino in fondo. È di vitale importanza che questa voce vivissima continui a dire ai ragazzi di ogni generazione che la Costituzione non è dalla parte dell’ingiusto e bestiale ordine costituito, non è dalla parte dello stato delle cose difeso dal Tina («There is no alternative») liberista, ma che, anzi, la Costituzione è dalla loro parte, e che come loro essa «dà un giudizio, la Costituzione! Un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale». Capire, sentire questo è la condizione essenziale per «metterci dentro il senso civico, la coscienza civica» per «renderci conto che ognuno di noi non è solo, non è solo».


http://temi.repubblica.it/micromega-online/iorestoacasa-e-leggo-un-classico-il-discorso-sulla-costituzione-di-piero-calamandrei-presentato-da-tomaso-montanari/

domenica 22 marzo 2020

Coronavirus, il discorso di Conte alla nazione per annunciare la nuova stretta anti-contagio: “Chiudiamo le attività produttiva non necessarie”.

Coronavirus, il discorso di Conte alla nazione per annunciare la nuova stretta anti-contagio: “Chiudiamo le attività produttiva non necessarie”

Chiuse fino al 3 aprile le attività produttive che non sono indispensabili per garantire beni essenziali. Aperti supermercati, farmacie e parafarmacie. Dopo ore di pressioni e nel giorno in cui l'Italia ha toccato il record negativo di quasi 800 morti, il presidente del Consiglio ha parlato alla nazione in diretta dalla sua pagina Facebook: "E' la crisi più difficile che il Paese sta vivendo dal secondo dopoguerra. La morte di tanti concittadini è un dolore che ogni giorno si rinnova. Non abbiamo alternative. Ma lo Stato c'è".

“Il governo ha deciso di chiudere nell’intero territorio nazionale ogni attività produttiva che non sia strettamente necessaria, cruciale, indispensabile a garantirci beni e servizi essenziali”. Intorno alle 23.15 di uno dei giorni più difficili per l’Italia, quando in sole 24 ore sono stati registrati quasi 800 morti per l’emergenza coronavirus, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha parlato alla nazione e annunciato la chiusura di tutte le aziende la cui attività non è da considerarsi necessaria. “Rimangono invece aperti supermercati, farmacia e parafarmacie”. Ma anche tabaccai e distributori di benzina. E inoltre, “sono assicurati i servizi bancari, postali, assicurativi, finanziari”. Così come il trasporto pubblico. L’annuncio, che soddisfa le richieste delle Regioni del Nord, è arrivato dopo ore di confronti e pressioni, ma soprattutto dopo una lunga videoconferenza pomeridiana con i sindacati e le associazioni delle imprese. “E’ la crisi più difficile che il Paese sta vivendo dal secondo dopoguerra“, ha esordito il premier. E anche per questo, “dobbiamo fare un passo in più”. Quindi “rallentiamo il motore produttivo del Paese, ma non lo fermiamo. Non è una decisione facile, ma si rende necessaria oggi per poter contenere quanto più possibile la diffusione dell’epidemia”. Perché, ha detto appunto, “non abbiamo altra scelta”. Le misure, come confermato da Palazzo Chigi, entreranno in vigore lunedì 23 marzo e saranno da considerare valide fino al 3 aprile.
“Sin dall’inizio”, è stato l’esordio del premier, “ho scelto la linea della trasparenza e della condivisione, ho scelto di non minimizzare, di non nascondere la realtà che ogni giorno è sotto i nostri occhi. Ho scelto di rendere tutti voi partecipi della sfida che siamo chiamati ad affrontare”. Questa, ha continuato, “è la crisi più difficile che il Paese sta vivendo dal secondo dopoguerra”. “In questi giorni durissimi siamo chiamati a misurarci con immagini e notizie che ci feriscono, che ci lasciano un segno che sarà sempre impresso nella nostra memoria anche quando questo ci auguriamo presto sarà finito”. Prima quindi di annunciare la chiusura di tutti le attività, Conte ha voluto parlare delle vittime e dei tanti decessi che gli italiani si trovano a dover affrontare per quella che è una crisi senza precedenti. “La morte di tanti concittadini è un dolore che ogni giorno si rinnova”, ha continuato. “Questi decessi per noi, per i valori con cui siamo cresciuti, per i valori che ancora oggi condividiamo non sono semplici numeri. Quelli che piangiamo sono persone, sono storie di famiglie che perdono gli affetti più cari”.
Conte è poi passato a parlare dei provvedimenti. Quelli già in vigore e quelli che il Paese è costretto ad affrontare a partire da oggi. “Le misure sin qui adottate, l’ho già detto, richiedono tempo prima che possano spiegare i loro effetti”, ha dichiarato. “Dobbiamo continuare a rispettare tutte le regole, con pazienza, con responsabilità, con fiducia. Sono misure severe, ne sono consapevole. Rimanere a casa, rinunciare a radicate abitudini non è affatto facile. Ma non abbiamo alternative. In questo momento dobbiamo resistere. Perché solo in questo modo riusciremo a tutelare noi stessi e a tutelare le persone che amiamo”.
Il premier ha poi ricordato chi in queste ore è impegnato in prima linea: “Il nostro sacrificio di rimanere a casa è peraltro minimo se paragonato al sacrificio che stanno compiendo altri cittadini: negli ospedali e nei luoghi cruciali per la vita del Paese c’è chi rinuncia, chi rischia molto di più. Penso in particolare innanzitutto ai medici, agli infermieri, ma anche alle forze dell’ordine, alle forze armate, agli uomini e alle donne della Protezione civile, ai commessi dei supermercati, ai farmacisti, agli autotrasportatori, ai lavoratori dei servizi pubblici e anche dei servizi dell’informazione. Donne e uomini che non stanno andando semplicemente a lavorare, ma compiono ogni giorno un atto di grande responsabilità verso l’intera nazione. Compiono un atto d’amore nei confronti dell’Italia intera”. Per questo e anche per loro, Conte ha quindi annunciato “il nuovo passo” che il governo ha deciso di compiere.
Da oggi fino almeno al 3 aprile, data in cui secondo il primo decreto si sarebbe dovuti rientrare a scuola (data per la quale è già stata prevista una proroga), le attività produttive non essenziali sono quindi interrotte. E al di fuori di queste, sarà consentito “solo lo svolgimento di lavoro in modalità smart working e consentiremo solo le attività produttive ritenute comunque rilevanti per la produzione nazionale”. Per quanto riguarda i supermercati, ha specificato il presidente del Consiglio, “continueranno a restare aperti tutti i supermercati, tutti i negozi di genere alimentari e di generi di prima necessità. Invito tutti a mantenere la massima calma. Non c’è ragione di fare corse agli acquisti“.
Infine Conte ha voluto chiudere il suo discorso, ribadendo la presenza delle istituzioni nonostante i momenti di grande difficoltà collettiva: “L’emergenza sanitaria, ma lo avevamo previsto, sta tramutando in piena emergenza economica”, ha detto. “Ma a voi tutti dico: lo Stato c’è. Lo Stato è qui. Il governo interverrà con misure straordinarie che ci consentiranno di rialzare la testa. Mai come ora la nostra comunità deve stringersi forte come una catena a protezione del bene più importante, la vita. Se dovesse cedere anche un solo anello, questa catena verrebbe meno e saremmo esposti a pericoli più grandi, per tutti. Quelle rinunce, che oggi ci sembrano un passo indietro, domani ci consentiranno di prendere la rincorsa e di ritornare nelle nostre fabbriche, nei nostri uffici, fra le braccia di parenti e di amici. Stiamo rinunciando alle abitudini più care, lo facciamo perché amiamo l’Italia, ma non rinunciamo al coraggio e alla speranza nel futuro. Uniti ce la faremo“.

mercoledì 21 agosto 2019

Crisi di governo, Conte va da Mattarella e si dimette. Mossa disperata della Lega: ritira mozione di sfiducia. Il premier replica: “Se Salvini non ha il coraggio, mi assumo io responsabilità”.

Crisi di governo, Conte va da Mattarella e si dimette. Mossa disperata della Lega: ritira mozione di sfiducia. Il premier replica: “Se Salvini non ha il coraggio, mi assumo io responsabilità”

A Palazzo Madama finisce l'alleanza tra M5s e Lega dopo 445 giorni. Il premier parla per tre quarti d'ora, con i il leader del Carroccio seduto alla sua destra: "La decisione della Lega che ha presentato la mozione di sfiducia e ne ha chiesto l’ìmmediata calendarizzazione oltreché le dichiarazioni e comportamenti, chiari e univoci, mi impongono di interrompere qui questa esperienza di governo". Il ministro dell'Interno: "La via maestra sono le elezioni, così gli italiani giudicheranno. Ma se volete tagliare i parlamentari e andiamo a votare? Ci siamo". Renzi: "Nuovo esecutivo per evitare aumento Iva". Zingaretti: "Premier riconosca suoi errori e si apre nuova fase". In serata il premier sale al Quirinale e si dimette: consultazioni da mercoledì alle 16. 

“La crisi in atto compromette l’azione di questo governo, che qui si arresta”. Sono le ore 15 e 44 minuti di martedì 20 agosto 2019 quando Giuseppe Contedecreta la fine del governo gialloverde. Lo farà altre tre volte, con parole diverse e ancora più definitive, durante il suo intervento nell’aula del Senato. La stessa aula che quattordici mesi fa gli ha votato la fiducia per la prima volta. Da quel giorno sono passati 445 giorni esatti: tanto è durata l’avventura del Carroccio e del Movimento 5 stelle al governo del Paese. “La decisione della Lega che ha presentato la mozione di sfiducia e ne ha chiesto l’ìmmediata calendarizzazione oltreché le dichiarazioni e comportamenti, chiari e univoci, mi impongono di interrompere qui questa esperienza di governo”, dice il premier alle ore 15 e 50. Quattro minuti dopo conferma quello che in tanti avevano pronosticato: “Alla fine di questo dibattito mi recherò dal Presidente della Repubblica per dimettermi“. Lo farà effettivamente in serata, con un comunicato del Quirinale che alle 21 e 10 informa: “Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto questa sera al Palazzo del Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri Prof. Avv. Giuseppe Conte, il quale ha rassegnato le dimissioni del Governo da lui presieduto”. È l’annuncio tanto atteso che di fatto chiude il governo gialloverde e apre una nuova fase istituzionale. Visto che nel tardo pomeriggio la Lega prova a ritirare la mano dalla crisi di governo, ritirando la mozione di sfiducia, ecco che le ultime parole pronunciate da Conte nella sua controreplica sono state pesantissime: “Caro Salvini, se ti manca il coraggio sul piano politico di assumersi la responsabilità della crisi non c’è problema, me l’assumo io. Questa è la conclusione, unica, obbligata, trasparente. Vi ringrazio tanto, io vado dal presidente della Repubblica”. “Prendo atto che al leader della Lega Matteo Salvini – ha aggiunto – manca il coraggio di assumersi la responsabilità dei suoi comportamenti”.
Il futuro: nuovo governo o elezioni subito? – Le consultazioni, come previsto, partono subito: già mercoledì 21 maggio alle 16. Ma già dagli interventi in aula di Matteo Salvini, di Matteo Renzi, di Andrea Marcucci, di Pietro Grasso, del comunicato a distanza di Nicola Zingaretti, è evidente che adesso la partita è già diventata un’altra: urne subito o tentativi di varare un nuovo esecutivo? Un nuoco “contratto alla tedesca” tra Pd e 5 stelle per un “governo di legislatura”? O un “governo di scopo” per bloccare l’aumento dell’Iva? A Palazzo Madama ci sono opinioni diverse. “Colleghi di M5s, non so se voteremo lo stesso governo, io non ne farò parte“, è quello che dice Renzi. “Sì a un confronto con i 5 stelle, poi vedremo se ci saranno le condizioni per dare vita a un governo”, ripete il renziano Marcucci. Il segretario del Pd Zingaretti, però, frena a qualsiasi ipotesi di un Conte bis: “Qualsiasi nuova fase politica non può non partire dal riconoscimento dei limiti strutturali di quanto avvenuto in questi mesi”. Mentre Salvini, ovviamente, usa un vocabolario più affilato: “Cari amici dei 5 stelle, buon lavoro col partito di Bibbiano”. Che poi sarebbe il Pd. Ma andiamo con ordine.
Il faccia a faccia sui banchi di governo – L’annuncio della salita al Quirinale di Conte è il penultimo passaggio di un discorso lungo tre quarti d’ora, cominciato subito con un colpo di scena: Matteo Salvini e i ministri della Lega non siedono tra i banchi del Parlamento, ma tra quelli dei ministri, all’inizio completamente occupati da Luigi Di Maio e dai 5 stelle che sono costretti a fare posto agli ex alleati. Una decisione arrivata assolutamente a sorpresa e presa dal leader del Carroccio probabilmente per guadagnagare uno spazio nell’inquadratura di Conte. Come dire: nel giorno in cui tutti gli occhi sono puntati sul premier, l’uomo che vuole prenderne il posto non intende regalargli neanche un secondo di visibilità. Una scelta che probabilmente non ha premiato Salvini, costretto a offrire il volto agli schiaffi verbali del presidente del consiglio. Il leader della Lega tenta di reagire come può: come quando replica a Conte sottovoce (“Su questo sbagli amico mio”). O ancora quando il presidente del consiglio lo accusa di usare i simboli religiosi nel dibattito politico, e lui – dopo averci pensato su un paio di secondi – tira fuori il rosario dalla tasca della giacca, cerca con gli occhi l’obiettivo di una telecamera e poi lo bacia platealmente sotto gli occhi del premier. A un paio di metri c’è Di Maio, quasi sempre impassibile e fermo.
Il discorso di Conte: “Salvini ha compromesso interessi nazionali in cambio dei suoi” – Sono passati dieci minuti dalle 15 quando va in scena la crisi di governo più surreale della storia repubblicana italiana: il presidente del consiglio replica al leader della Lega, che gli ha levato la fiducia. Gli ricorda attacchi, errori e pericoli ai quali espone il Paese. E lo fa mentre lo “sfiduciante” siede alla sua destra, alla destra dello “sfiduciato“, al posto riservato al vicepremier, che non ha ancora mai smesso i panni di ministro dell’Interno. “I comportamenti adottati in questi ultimi giorni dal ministro dell’interno rivelano scarsa responsabilità istituzionale e grave carenza di cultura costituzionale. Mi assumo la responsabilità di quello che dico”. E poi: “Caro ministro dell’Interno, promuovendo questa crisi di governo ti sei assunto una grande responsabilità di fronte al Paese. Ti ho sentito chiedere “pieni poteri” e invocare le piazze a tuo sostegno, questa tua concezione mi preoccupa“. E ancora: “Non abbiamo bisogno di persone e uomini con pieni poteri, ma che abbiano cultura istituzionale e senso di responsabilità. Le crisi di governo, nel nostro ordinamento, non si affrontano e regolano nelle piazze ma nel Parlamento”.
La mano sulla spalla, gli attacchi dei leghisti – A ogni attacco, a ogni passaggio del premier che tirava in ballo Salvini, i banchi della Lega si attivavano per protestare, applaudire in modo ironico, urlare “buuuh!”. Salvini, occhi bassi sui fogli sul tavolo, faceva cenno ai suoi di fermarsi, di fare parlare il premier: poi però non li ha più bloccati, è rimasto fermo, quasi nervoso, ad ascoltare le parole dell’uomo al suo fianco mentre i suoi senatori protestavano. “Se avessi accettato di venire qui al Senato per riferire sulla vicenda russa che oggettivamente merita di essere chiarita anche per i riflessi sul piano internazionale”, ha detto a un certo punto il presidente del consiglio, mentre il suo vice ha sollevato gli occhi al cielo, tirando idealmente una linea nel vuoto con le dita della mano. Come dire: sul cenno al Russiagate non ci sarebbero state più possibilità di riavvicinamento. L’apice dello scontro, diventato via via sempre più psicologico, quasi fisico, è arrivato forse quando a un certo punto il premier ha poggiato la mano destra sulla spalla sinistra del suo ormai ex vicepremier. Una gesto durato una frazione di secondo, prima dell’ultima frecciata diretta di Conte a Salvini: “Caro Matteo, permettimi un’ultima osservazione, ammetto che non te l’ho mai riferita. Chi ha responsabilità di governo dovrebbe evitare di accostare durante i comizi gli slogan politici ai simboli religiosi. Sono episodi di incoscienza religiosa che rischiano di offendere il sentimento dei credenti e oscurare il principio di laicità, tratto fondamentale dello stato moderno”.
La controreplica di Salvini – La controreplica dell’ormai ex titolare del Viminale è arrivata quando da poco erano passate le 16. Mentre tutti i 5 stelle salutavano calorosamente Conte, con Giancarlo Giorgetti unico leghista a stringere la mano al premier, Salvini è stato costretto dall’indicazione della presidente del Senato, Elisabetta Casellati, a smettere i panni del ministro e indossare per la prima volta quelli del leader dell’opposizione. Ha lasciato i banchi del governo e si è andato a sedere tra i suoi parlamentari per dire che avrebbe rifatto “tutto quello che ho fatto”. Al premier dedica i primi cinque dei venti minuti totali del suo intervento: “È una novità di oggi, mi dispiace che il presidente del Consiglio mi abbia dovuto mal sopportare per un anno. Bastava Saviano per raccogliere tutti questi insulti, un Travaglio, un Renzi, non il presidente del Consiglio”. Quindi ha recitato la specialità della casa. Ha recitato gli aggettivi pronunciati da Conte che si era appuntato (“Pericoloso, autoritario, preoccupante, inefficace, incosciente”), ha rispolverato l’accusa al Parlamento di non voler lavorare ad agosto (“La critica più surreale è che non si fanno le crisi d’agosto. I parlamentari lavorano d’agosto come tutti gli altri italiani”), ha replicato alle accuse sull’uso del Rosario (“Gli italiani non votano in base a un rosario, ma con la testa e con il cuore. La protezione del cuore immacolato di Maria per l’Italia la chiedo finchè campo, non me ne vergogno, anzi sono ultimo e umile testimone”). E se il premier aveva citato Federico II di Svevia, il leader della Lega ha optato per Cicerone: “La libertà consiste nel non avere nessun padrone e io non voglio l’Italia schiava di nessuno”. Più volte Salvini ha chiesto di tornare al più presto al voto. Poi alla fine ha ripetuto la sua offerta ai 5 stelle: “La via maestra sono le elezioni, così gli italiani giudicheranno. Ma se volete tagliare i parlamentari e andiamo a votare? Ci siamo”.