martedì 15 marzo 2022

Avete giocato con l'abisso, ora ce l'avete davanti. - Raoul Kirchmayr



A "Otto e mezzo" di stasera c'è stato un momento - durato una decina di minuti circa - in cui si è capito che un atterrito Massimo Giannini (La Stampa) ha capito.
Ha capito che qualcosa non torna più, nel racconto - meglio: nella narrazione - della guerra in Ucraina. Da questa parte dello schermo lo abbiamo capito dallo sguardo sbarrato e dalle labbra serrate in una sorta di smorfia angosciata. Perfino Lilli Gruber è parsa vacillare, non sapendo più da dove e come riprendere il filo del discorso.
Poi, con molto mestiere e bravura ha rimediato. L'unico che è parso non sorpreso è stato Caracciolo, il direttore di Limes, che evidentemente non si era fatto soverchie illusioni.
E purtuttavia, aveva il volto parecchio tirato, e un po' scavato.
Insomma, il gelo era sceso nello studio, dopo che - intervistata da Gruber - Iryna Vereshchuk, divisa verde e sguardo di ghiaccio, ha detto a nome del governo ucraino, da lei rappresentato nella veste di vicepremier, le seguenti cose:
a) Il governo ucraino sa qual è la verità e ha il coraggio di dirla;
b) la verità è una sola;
c) il presidente è il popolo, il popolo si riconosce nel
presidente;
d) no-fly zone subito sulle centrali nucleari;
e) intervento militare degli USA in Ucraina;
f) garanzie internazionali occidentali, da parte di USA e GB, per l'Ucraina per il dopoguerra;
g) Crimea e Donbass restituite all'Ucraina, dopo periodo di monitoraggio internazionale;
h) né il riconoscimento delle repubbliche del Donbass né della Crimea né la neutralità dell'Ucraina possono costituire base di trattativa con la Russia.
Giannini, nonostante lo sconcerto - e, immagino, il brivido lungo la schiena - è stato lucido nel far notare a Vereshchuk che, con queste premesse, non ci potrà mai essere nessuna trattativa con la Russia.
La risposta è stata che l'Occidente deve prendersi ora quelle responsabilità che non si è preso in passato.
Caracciolo ha fatto notare alla vicepremier che questa base negoziale forse poteva andare bene nel 2014, certo non ora, con la situazione attuale sia politica sia militare. E che una trattativa realistica non poteva che avere come punto di partenza lo status ante 23 febbraio, poiché gli USA non interverranno mai in Ucraina in un confronto militare diretto,
poiché questo significherebbe lo scoppio di un conflitto mondiale.
La replica è stata che la Russia va fermata ora in Ucraina perché il conflitto ci sarà ugualmente.
In precedenza, su domanda di Gruber circa le vittime odierne a Donetsk e sul rimpallo delle responsabilità del bombardamento, la risposta è stata che i russi sparano sui (loro) civili per attribuire la responsabilità agli ucraini. Gli ucraini, ha aggiunto poco dopo, sono credenti e sono per l'amore.
Vereshchuk, che ha anche un passato come militare, è considerata esponente conservatrice e moderata nella
compagine di governo.
Ecco, lo sguardo angosciato di Giannini ha restituito l'istante dell'illuminazione, quando ha capito di non aver capito granché su chi fossero i difensori della libertà, su quali fossero i loro obiettivi e su quale fosse il "frame" psicologico - prima ancora che politico - su cui si organizzano le loro decisioni:
la mistica del sacrificio.
Di questa mistica è imbevuto, per esempio, il culto degli eroi di Maidan. E' uno dei tanti anacronismi del post-guerra fredda: un pezzo di medioevo partorito dai nazionalismi del dopo-URSS, ideologie di risulta nel vuoto politico della (breve) fine della storia.
La storia ha ripreso da tempo il suo cammino con questi grumi arcaici sopravvissuti chissà come e riportati alla superficie dalle correnti putride dei fascismi postmoderni.
Almeno spero che a Giannini da oggi sia chiara una cosa:
è sufficiente ricordare qual è la linea - a quanto pare ufficiale - del governo Zelensky.
E la linea è: nessuna linea, diritti allo scontro,
verso il sacrificio finale.
Se l'Ucraina vincerà, vincerà la verità,
se l'Ucraina verserà il suo tributo di sangue lo farà sacrificandosi per la verità. L'Apocalisse non fa paura quando è la verità che deve trionfare.
Auguri, Giannini.
Avete giocato
agli apprendisti stregoni con l'abisso, ora ce l'avete davanti.

lunedì 14 marzo 2022

CDC - Incontra - James Corbett - ENG (Sub-ITA)

Ma mi faccia il piacere. - Marco Travaglio

 

Scemi di guerra. “Piazza contro piazza, ‘cara Nato’ contro ‘cara Mosca’, la Bad Godesberg di Enrico Letta e del suo Pd contro la Cgil e l’Anpi ridotte a campo profughi dell’ideologia”. “L’inglese è la lingua della democrazia”. “Gli irriducibili che a San Giovanni, parlando la lingua morta dell’antiamericanismo, avevano manifestato per disarmare Zelensky”. “La piazza di Firenze è stata… il prologo della scelta definitivamente occidentale che la sinistra italiana insegue da 50 anni”. “Per la prima volta l’Europa è diventata una bandiera di piazza”. “La gloriosa Cgil ridotta a una Stalingrado del ‘come eravamo di sinistra’. Solo così si spiega che la Brigata Wagner, i mercenari scelti che Putin ha inviato a dare la caccia a Zelensky, piaccia in Italia, oltre che alle solite macchiette sopravvissute del vaffa, anche a quel gruppetto di professori… Luciano Canfora e Carlo Rovelli, nostalgici della Brigata Proust, che… si accontentano di Putin” (Francesco Merlo, Repubblica, 13.3). Votate la frase più scema, se ci riuscite: io le premierei tutte, ex aequo.

Pussy Riot. “La censura imposta a media e social fa sì che la disinformazione sia… la verità” (Gianni Riotta, Repubblica, 7.3). Ora però non esageriamo con le critiche all’Occidente.

Alexsandr Sallustov. “Perché fu un errore rompere con lo Zar” (Alessandro Sallusti, Libero, 23.2). “Gli utili idioti di Putin. Come ai tempi del terrorismo, la sinistra politica e sindacale ci mette un po’ a scegliere da che parte stare della storia. Allora era ‘né con le Br né con lo Stato’, oggi è ‘né con Putin né con la Nato’” (Sallusti, Libero, 6.3). Quindi Sallusti è di sinistra.

Sturmtruppen. “Meno fiori nei nostri cannoni”, “Mettere Putin alla canna del gas”, “Serve più energia contro Putin” (prime pagine del Foglio, 8, 9 e 11.3). Mo’ me lo segno.

Lavoratoriiiii! “Ci serve l’‘ora et labora’” (Matteo Salvini, segretario Lega, Giornale, 8.3). Ogni tanto un’esperienza del tutto inedita ci vuole.

Sinceri democratici. “Un Paese in cui parla Marcello Foa e viene censurato Dostoevskij” (Marco Damilano, direttore uscente Espresso, 6.3). Giusto, tappiamo la bocca anche a Marcello Foa.

Google Maps. “Accogliere una donna africana che scappa dall’Ucraina? Bisogna vedere se scappa veramente dall’Ucraina. Non è facile stabilirlo, se no diventa un viatico per tutti quelli che scappano dall’Africa” (Susanna Ceccardi, eurodeputata Lega, SkyTg24, 4.3). Furbi, loro: fanno il giro largo.

Affinità elettive. “Berlusconi mi teorizzò una volta il perché dell’amicizia con Putin, che poi diventò personale. Così come con Erdogan e Gheddafi: proprio perché Berlusconi li considera dei ‘pericolosi farabutti’ – queste sono parole mie – la prima cosa che devi fare è cercare di renderli amici” (Alessandro Sallusti, Ottoemezzo, La7, 26.2). E poi tra colleghi ci si intende.

Lottatori continui. “La resistenza armata è etica” (Luigi Manconi, Repubblica, 9.3). Ne sa qualcosa il commissario Luigi Calabresi.

La Nato non esiste. “Non c’è stato alcun gesto negli ultimi anni che possa essere considerato una minaccia dei nuovi Paesi entrati nella Nato nei confronti della Russia” (Luciano Fontana, direttore Corriere della sera, 7.3). Nato? Quale Nato?

Le belle famiglie. “Vedi a cosa servono i social? A scoprire che tua figlia è diretta al confine ucraino” (Carlo Calenda, leader Azione, eurodeputato Pd, Twitter, 11.3). Quindi c’è qualcosa di peggio della guerra.

Slurp. “Draghi è stato criticato… per il suo ruolo dimesso, per non dire inesistente, nei negoziati sull’Ucraina, cosa che non quadra con la leggendaria reputazione dell’uomo che ha salvato l’euro con tre parole, un raro esemplare di statista italiano capace di far calare il silenzio quando prende la parola nei consessi internazionali… C’è però un’altra spiegazione per quella che qualcuno vede come una colpevole remissività del premier: Draghi è un realista. Questa visione… che solitamente si fa risalire a Tucidide… potrebbe far rileggere le sue mosse felpate sotto la luce della saggezza realista” (Mattia Ferraresi, Domani, 11.3). Ecco perché è sparito: perché Tucidide è morto.

Regressione all’infanzia. “Il ministro Bianchi salta la fila nell’ospedale pediatrico Bambin Gesù” (Verità, 10.3). Che tenero, ha perso il primo dentino da latte.

Wilma, la clava! “Ma, mi domando, i vecchi agit-prop No Vax e i nuovi No War sono proprio le stesse persone, ammesso che siano persone?” (Concita De Gregorio, Repubblica, 12.3). Ma no, dài, è chiaro che sono le stesse bestie.

Il titolo della settimana/1. “Draghi: non siamo fessi” (Libero, 123). Ah no?

Il titolo della settimana/2. “Giudici che non sanno dire qual è la colpa di Moretti nella strage di Viareggio” (Domani, 9.3). E pensare che è semplice: i 32 morti si suicidarono bruciandosi vivi.

Il titolo della settimana/3. “Londra, quartiere di Kensington. La bella vita di Polina, figliastra di Lavrov. ‘Requisitele la casa’” (Repubblica, 12.3). Per riaffermare i valori della liberaldemocrazia.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/14/ma-mi-faccia-il-piacere-260/6524792/

Il bello, il brutto e il cattivo: tre scenari della guerra per i nostri risparmi. - Enrico Marro

 

Tregua, guerra di attrito o escalation? Il punto sulle conseguenze di lungo periodo del conflitto in Ucraina per azioni, obbligazioni e materie prime.

La guerra in Ucraina rappresenta uno dei maggiori shock geopolitici dell’ultimo ventennio. I suoi effetti di medio-lungo termine non sono facili da prevedere, ma nel breve stiamo già assistendo a nuovi picchi di inflazione, al rallentamento della crescita e alla possibilità di recessione e stagflazione, in particolare in Europa. Tutto comunque dipende dagli esiti della guerra.

Per questo Pictet Asset Management ha provato a delineare tre scenari sull’evoluzione del conflitto, ciascuno con le sua ricadute su azionario e obbligazionario (nello studio “The Ukraine crisis: what’s at stake for investors?”). 

Primo scenario: de-esclalation con tregua.

Lo scenario base, al quale gli analisti di Pictet attribuiscono il 50% delle probabilità, è rappresentato da una de-escalation del conflitto, con Russia e Ucraina che nell’arco di alcune settimane concordano un cessate il fuoco e negoziati davvero costruttivi.

Le sanzioni più pesanti, come il congelamento delle riserve estere della Banca centrale russa o il bando di alcune banche dal sistema di pagamenti Swift, vengono cancellate. Altre restano in piedi, per esempio il blocco dei beni degli oligarchi e le restrizioni alle esportazioni.

In questo caso la traiettoria di crescita e inflazione di Stati Uniti ed Europa non si discosterebbe troppo dalle previsioni pre-belliche per il 2022. La Federal Reserve continua la sua stretta monetaria, ma senza dare spazio ai “falchi”.

In questo scenario, l’azionario globale potrebbe crescere del 15% entro la fine dell’anno rispetto ai livelli attuali, trainato da un aumento del 10% degli utili corporate, mentre i tassi dei titoli di Stato decennali statunitensi potrebbero toccare il 2,2%.

Secondo scenario: la guerra di logoramento.

Il secondo scenario immaginato da Pictet è quello di una “guerra di attrito” lunga e sanguinosa, con nuove sanzioni imposte dall’occidente a Putin. In questo caso l’Europa andrebbe incontro a una recessione, con una potenziale contrazione del Pil dell’1,5%, mentre la crescita degli Stati Uniti rallenterebbe poco sopra la sua media di lungo periodo del 2%.

L’inflazione resterebbe alta a lungo, pesando sul sentiment e ritardando la ripresa post-pandemica dei consumi. In questo caso, la Banca centrale europea non procederebbe ad alcuna stretta, mentre la Federal Reserve non rinuncerebbe a una stretta sui tassi (anche se molto più morbida del previsto). Le Borse perderebbero un 10% rispetto ai valori attuali, gli utili corporate si ridurrebbero del 10% e i tassi del Treasury decennale si attesterebbero entro fine anno intorno all’1,7%.

Un brutto scenario di possibile stagflazione, insomma, con materie prime e azionario statunitense destinati a performare meglio delle altre asset class. Ma esiste anche uno scenario peggiore.

Terzo scenario: escalation Nato-Russia

Questo è il “worst-case scenario” secondo Pictet: “sanzioni totali” da parte dell’occidente, con un isolamento economico totale della Russia e il taglio completo delle forniture di petrolio e gas da parte di Mosca.

L’impatto sarebbe durissimo: una recessione globale nella quale l’economia europea perde circa il 4% Pil (contro un calo di appena lo 0,5% di quello statunitense), perdipiù a “doppia gobba” per il Vecchio Continente, che vedrebbe la sua industria in serie difficoltà per prezzi e scarsità di energia.

L’azionario mondiale crollerebbe del 30%, gli utili societari del 25%, i tassi dei Treasury decennali statunitensi scivolerebbero intorno allo 0,8%. E gli investitori scapperebbero verso beni rifugio come oro e titoli di Stato.

https://24plus.ilsole24ore.com/art/il-bello-brutto-e-cattivo-tre-scenari-guerra-i-nostri-risparmi-AEeAhIJB?s=hpf

domenica 13 marzo 2022

DIAMO UN OCCHIATA VERSO LA GRANDE AMERICA. - Gioacchino Musumeci

 

DIAMO UN OCCHIATA VERSO LA GRANDE AMERICA.

Piace parlare di resistenza e sovrapporre lo scenario bellico Ucraino a quello del secondo conflitto mondiale. Ma in questo parallelismo si offende proprio la resistenza Ucraina.
Gli alleati combattevano contro i tedeschi sul campo, gli ucraini contro la Russia si attaccano e tirano forte. Alle invocazioni di Zelensky possono seguire solo proclami.
I sostenitori del militarismo da salotto radical chic, belligeranti col culo degli Ucraini dovrebbero vergognarsi un tantino. Esacerbare la tensione in un braccio di ferro col dittatore Putin avrebbe prodotto un solo esito : GUERRA. Infarcire lo scenario di ipocrisia strumentale fatta di vorrei ma non posso, porterà un solo risultato: GUERRA.
Ora siamo tutti d'accordo sul fatto che Putin è colpevole di aver scatenato la guerra ma dopo due settimane possiamo concentrarci solo un momento sui nostri amici Atlantici?
Bisogna riconoscere con rassegnazione il merito strategico degli USA : non vogliono una guerra frontale con la Russia, sarebbe un disastro totale.
In alternativa, che fare: studiare negli anni le manie di Putin, le ambizioni Ucraine e il limiti della UE, strattonare quanto basta Zelensky per intrappolare la Russia in un ipotetico nuovo Afghanistan. Se fossi uno stratega americano avrei lavorato per questo. Dubito che oltreoceano siano meno scaltri. Guardiamo cos'hanno da perdere gli Usa in questo quadro: praticamente nulla. Noi? Tanto da perdere.
La Clinton, guarda caso, ha commentato la faccenda della guerra proprio così: "Se le forze ucraine sono fornite di armi sufficienti, possono combattere la Russia e riprendere il controllo. Penso che dobbiamo osservarlo attentamente. Dobbiamo fornire armi sufficienti per l'esercito e i volontari ucraini e dobbiamo continuare a stringere le viti"
C'è ancora bisogno di spiegare la strategia Usa? Foraggia la guerra alimentando un miraggio. Sul piano concreto ciò equivale a distruzione e morti. Putin ha sicuramente cominciato un conflitto secondo modalità inaccettabili ma gli Usa non hanno alcun interesse a indirizzare la politica verso la pace. Vogliono che la guerra continui.
La Nato guarda esclusivamente interessi americani e questi comprendono due cose: combattere i russi col minimo sforzo e il massimo vantaggio economico, costi quel che costi agli Ucraini e a noi.
In definitiva è evidente che non possiamo integrare l'Ucraina nella UE com'è evidente che sul piano energetico non siamo emancipati, occorrerà tempo e abbiamo solo troppi problemi da risolvere.
Smettiamo di essere miopi. Gli Usa hanno spinto verso questo quadro sconveniente per noi, e vantaggioso per loro.
Dovremmo seguire proprio i consigli della Clinton e migliorare un punto: oltre guardare attentamente lo scenario, dobbiamo separare nettamente i nostri interessi da quelli americani.
Dopo due settimane di conflitto mi sento di dire che un mondo senza dittatura Russa e ingerenze Americane, sarebbe un mondo di pace sicura. Come Europei avremmo il dovere di emanciparci completamente dagli Usa per spingere verso un processo di pace autentico, senza commercio di armi in sottofondo, nei reali Interessi dell'Ucraina non come corollario di una strategia Americana o Russa.

Da Bruxelles al massimo c’è l’Erasmus. - Antonio Padellaro

 

Immaginiamo qualcuno a cui viene promessa, e poi negata l’iscrizione a un circolo esclusivo, salvo poi garantirgli la partecipazione a qualche gita sociale. A leggere le cronache del vertice europeo di Versailles, è ciò che sarebbe accaduto a proposito della candidatura dell’Ucraina come Stato membro dell’Ue, accantonata come “una questione troppo grossa”. Mentre, stando sempre alle fonti diplomatiche, l’Europa dovrebbe concentrarsi “su cosa possiamo fare per gli ucraini nei prossimi mesi, offrendogli di entrare al limite nel programma Erasmus” (Il Foglio).

Immaginiamo che accedere ai programmi di mobilità studentesca non sia esattamente il sogno del popolo ucraino, né tantomeno quello del premier Zelensky che, in sovrappiù, ha dichiarato di “aver raffreddato molto tempo fa il suo entusiasmo per un’adesione alla Nato dopo aver capito che la Nato ha paura di uno scontro con la Russia”. E poiché l’uomo di Kiev e la sua gente “non hanno mai voluto essere un Paese che prega in ginocchio per qualcosa”, arrivederci e grazie.

Si discuterà, quando sarà il momento, sulle vere ragioni di tali attese tradite. O, se si preferisce, di tali promesse fraintese.

Infatti, può anche darsi che l’ex comico divenuto presidente abbia riposto eccessivo affidamento sulle possibili aperture politiche e militari dell’Unione. Che, tuttavia, non può essersi inventato di sana pianta, alla luce anche della insistente richiesta di una no fly zone. Di cui potrebbe aver parlato con chi a Bruxelles era legittimato a farlo, prima s’intende dell’aggressione di Putin. Con il risultato che oggi al “raffreddamento” di Kiev fa da contraltare il gelo dei 27 sul possibile ingresso di un partner accerchiato, bombardato e con sullo sfondo l’incubo nucleare. Sembra come se questi “preferirei di no”, di stampo europeo e atlantico, stessero preparando il terreno a quella neutralità dell’Ucraina da qui all’eternità, che resta per Mosca la condizione irrinunciabile per qualsiasi negoziato di pace. Zelensky (al contrario di Groucho Marx) non farebbe mai parte di un club che non accettasse tra i suoi soci uno come lui. Anche se qui c’è molto poco da ridere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/12/da-bruxelles-al-massimo-ce-lerasmus/6523410/

Salvare il salvabile. - Marco Travaglio

 

Se l’Unione europea esistesse, i suoi ridicoli e ridanciani rappresentanti non si sarebbero riuniti a Versailles, ma da due settimane (anzi da prima, quando il peggio si poteva forse evitare) farebbero la spola fra Kiev e Mosca per trascinare Putin e Zelensky a quel tavolo che, almeno a parole, nessuno dei due esclude. E proporrebbero un negoziato sui tre punti che, almeno a parole, Putin ritiene fondamentali e Zelensky ha definito trattabili: Donbass, Crimea, Nato. E, se gli Usa non fossero d’accordo, l’Ue andrebbe avanti comunque, perché dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia all’Ucraina, i loro interessi sono diametralmente opposti ai nostri. A Biden questa guerra nel cuore dell’Europa fa stracomodo: deve far dimenticare l’umiliante débâcle afghana e allevarsi il nemico ideale, il nuovo Male Assoluto, per non perdere le elezioni di mid-term, mentre la sua economia ingrassa sull’indebolimento di quella europea dissanguata dal conflitto armato, dall’instabilità politica, dalla catastrofe umanitaria dei profughi e dal boomerang economico delle sanzioni. Perciò i servi furbi dello Zio Sam, ben nascosti dietro l’eroica resistenza ucraina, soffiano sul fuoco affinché la guerra criminale di Putin duri il più possibile e faccia più morti possibili (inviando sempre più armi) e criminalizzano come quinta colonna del nuovo Hitler chiunque lavori o accenni a una via diplomatica. Che non è utopica: è pragmatica.

Le sanzioni, specie se danneggiano più il sanzionatore che il sanzionato, vanno modulate e condizionate. Se lo scopo è ricacciare Putin entro i confini russi, non c’è misura economica o invio di armi che tenga: serve la terza guerra mondiale (che però nessuno vuole). Se invece l’obiettivo è salvare il salvabile della sovranità ucraina e il maggior numero di vite, non resta che concedere alla Russia ciò che già ha – Donbass e Crimea – e rassicurarla con una nuova conferenza di Helsinki per la sicurezza europea che impegni tutti (Ue, Nato, Ucraina e Russia), parta dalla neutralità di Kiev, rimedi agli errori passati, blocchi nuove provocazioni e invasioni. Le sanzioni possono diventare un’ottima arma di ricatto se l’Ue è disposta ad attenuarle in cambio di un impegno russo a risparmiare i civili (che però, inviando armi, è molto più difficile distinguere dai militari) e a revocarle in cambio di un cessate il fuoco e di un negoziato vero. Senza chiedere il permesso a Biden, che somiglia tanto a quel personaggio del film di John Landis Ridere per ridere: il “cacciatore di pericoli” che irrompe ad Harlem, urla “Negriii!” e scappa, inseguito e menato da una gang di teppisti di colore. Con la differenza che, quando gli americani vengono a far danni in casa nostra, quelli inseguiti e menati non sono loro: siamo noi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/13/salvare-il-salvabile/6524119/