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sabato 6 dicembre 2025

Cosa prevede la proposta della Commissione sui beni russi? - Luciana Grosso

 

L'Unione ha urgenza di trovare i fondi per continuare a finanziare la difesa ucraina, e per farlo vuole utilizzare i beni congelati a Mosca dopo l'invasione. Ma la proposta presenta una serie di criticità che devono essere superate. Ecco come potrebbe accadere.

L’Ue si trova da alcuni mesi di fronte a un dilemma: come finanziare la difesa ucraina senza che questo leda la sua stessa liquidità. Il problema non è da poco, perché l’Unione, di fatto, dispone di risorse molto limitate: circa 2 mila miliardi di euro ogni sette anni, pari alla somma dell’1% del reddito nazionale lordo dei Paesi che la compongono, con i quali l’Ue deve fare fronte a tutte le sue spese. Spese che per la stragrande maggioranza non riguardano né la guerra né il sostegno a Paesi terzi, ma sono dedicati per lo più a coesione, sviluppo e agricoltura.

Così, da mesi, e soprattutto da quando la presidenza Trump ha deciso di smettere di fornire armi all’Ucraina, per iniziare a venderle all’Ue affinché sia quest’ultima poi la girarle all’Ucraina, le istituzioni europee si stanno interrogando su dove e come trovare i soldi per finanziare la difesa di Kiev. Il tutto è accompagnato dall’urgenza del fatto che, dati alla mano, al più tardi in primavera le casse ucraine non avranno più abbastanza fondi per fare fronte alle normali spese di gestione, come stipendi pubblici, apparecchiature sanitari e manutenzione.

I beni russi congelati in Europa ammontano a circa 200 miliardi.

La soluzione potrebbe arrivare dall’uso di circa 200 miliardi di beni russi congelati in Europa al momento dell’invasione che l’Ue, con un sardonico contrappasso, potrebbe usare per finanziare la difesa di Kiev. L’uso di questi asset però è reso problematico dal fatto che, in teoria, il loro congelamento equivale a una requisizione solo temporanea e che vale fin tanto che valgono le sanzioni nei confronti di Mosca. A guerra finita e sanzioni tolte, i beni russi che l’Ue ha congelato, in via teorica, dovrebbero essere restituiti tal quali ai loro proprietari. Una cosa che, evidentemente, non potrebbe succedere se, nel frattempo, fossero stati usati e consumati. 

Così, da mesi, l’Ue è ferma a un bivio: da un lato c’è l’uso di beni russi dei quali non è certa di poter disporre, dall’altro la necessità urgente di usarli. 

Sulla questione, come era prevedibile, ci sono molte discussioni, e se la Commissione insiste affinché l’uso di questi beni venga sbloccato, il Consiglio, che dovrebbe autorizzarne l’uso, appare più diviso del solito. Questo perché a essere contrari a finanziare in questo modo la difesa dalla Russia non sono solo i ‘soliti sospetti’ Ungheria e Slovacchia, ma anche il Belgio, Paese nel quale è fisicamente custodita la stragrande maggioranza (140 miliardi) di questi beni e che, non senza motivo, teme che un domani la Russia possa rifarsi sulle casse belghe di eventuali ammanchi. Per questo, da mesi, il Paese dice di non essere contrario in toto all’operazione, purché la responsabilità e il complessivo rischio finanziario siano condivisi da tutta l’Unione.

passo indietro della Bce.

Una prima soluzione al tema era parsa quella di una garanzia della Bce, ipotesi che però è sfumata pochi giorni fa, quando la Banca comunitaria ha detto che questo tipo di garanzia violerebbe il suo mandato. 

Così, si è cercata un’altra strada. Quest’altra strada, nello specifico, è stata presentata ieri dalla Commissione. “In base alla proposta - scrive Politico- l'Ue presterà 165 miliardi di euro all'Ucraina. Il prestito include 25 miliardi di euro di beni statali russi immobilizzati, detenuti in conti bancari privati ​​in Francia, Germania, Belgio, Svezia e Cipro, oltre a 140 miliardi di euro detenuti presso la banca Euroclear con sede a Bruxelles”. Si trattarebbe appunto di un prestito che l’Ucraina dovrebbe restituire solo quando la Russia dovesse porre fine alla guerra e pagare i danni di riparazione, un’ipotesi che ad oggi suona se non impossibile, piuttosto improbabile.

Certo rimane il problema delle garanzie condivise che il Belgio chiede a gran voce. La soluzione, in questo senso potrebbe arrivare dal fatto che, secondo Politico, “i governi dell'Ue forniranno garanzie finanziarie bilaterali fino a 105 miliardi di euro fino al 2028 per garantire che il Belgio non sia l'unico a gestire i rischi associati all'iniziativa”. Il principio di base è che le capitali dell'Ue versino collettivamente l'intero importo del prestito qualora il Cremlino riesca a recuperare i suoi fondi, cosa che la Commissione ritiene improbabile. Per rassicurare ulteriormente il Belgio, inoltre, la Commissione istituirà un "meccanismo di liquidità" che consentirà di erogare prestiti ai governi per garantire che le garanzie possano essere erogate in qualsiasi momento.

I nodi ancora da sciogliere.

Soluzione trovata? Non del tutto, perché rimangono ancora alcuni nodi da sciogliere.

Per esempio non sappiamo se queste garanzie saranno considerate sufficienti dal Belgio. Se così non fosse, l’Ue potrebbe ricorrere all’extrema ratio di sottoscrivere un nuovo debito comune, ipotesi piuttosto remota, dal momento che per questo sarebbe richiesta l’unanimità del Consiglio e non solo la maggioranza qualificata necessaria per avere accesso agli asset russi.

Poi, sempre nella colonna dei nodi da sciogliere, c’è il fatto che gli asset sono congelati fin tanto che sono in vigore le sanzioni. Ma le sanzioni non sono in vigore a tempo indeterminato fino alla fine della guerra. Al contrario devono essere rinnovate dall’unanimità ogni sei mesi. In questo quadro è del tutto evidente che sarebbe sufficiente un solo voto contrario al rinnovo per mettere a repentaglio l’intero sistema. Per questo l’esecutivo comunitario sta valutando una manovra possibile ma ardita, ossia l’attivazione di una clausola dell'articolo 122 del trattato Ue,  che consente ai governi di decidere "in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure appropriate alla situazione economica". In altre parole, il rinnovo delle sanzioni potrebbe avvenire a maggioranza qualificata e non all’unanimità. Secondo Politico, “la Commissione intende interpretare questa affermazione nel senso che, alla luce dell'enorme posta in gioco finanziaria in questo caso, una maggioranza qualificata di nazioni sarà sufficiente per approvare il rinnovo delle sanzioni, privando l'Ungheria - o altri - di un potenziale diritto di veto. I giuristi dell'Ue concordano sul fatto che la fluidità del testo dell'articolo 122 giustifichi una revisione dell'unanimità, poiché un'inversione delle sanzioni avrebbe ripercussioni devastanti sull'economia europea”.

https://tg24.sky.it/mondo/2025/12/04/asset-russi-commissione-ue-proposta?intcmp=nl_editorial_insider_null.





sabato 16 agosto 2025

SE NO? Marco Travaglio FQ 15.08”25

 

A leggere le nostre gazzette, si direbbe che Trump e Putin attendessero con ansia le istruzioni di Zelensky e dell’Ue (o dei suoi soci più mitomani, detti anche “volenterosi”) prima di incontrarsi oggi in Alaska per discutere delle loro faccenduole: Medio Oriente, Cina, Brics, Pacifico, Baltico, Artico, armi strategiche, gas, petrolio, terre rare, IA.
Le istruzioni sono perentorie:
“Non decidete nulla senza di noi”. Ovvio che Trump e Putin prendano buona nota scattando sull’attenti: “Ci mancherebbe, ogni vostro desiderio è un ordine. Anzi, mandateci qualche riga in ucraino e noi firmiamo a scatola chiusa”.
Questa versione fumettistica della geopolitica, basata sul manicheismo buoni/cattivi, anzi amici/ nemici, non smette di sortire effetti tragici: gli ucraini spinti 11 anni fa ad avventurarsi nella guerra civile poi sfociata nella guerra aperta con la Russia, entrambe perse in partenza.
Ma anche comici: i governi che hanno perso la guerra dettano condizioni ai russi che la stanno vincendo ogni giorno di più e, già che ci sono, pure agli americani.
La domanda che aleggia nell’aria quando parlano è semplice:
“Se no?”.
Di solito chi lancia ultimatum con la faccia feroce e la voce grossa ha il coltello dalla parte del manico:
se il destinatario disobbedisce, peggio per lui. Ma quali leve, armi di pressione, rappresaglie hanno in serbo i mitomani di Bruxelles e Kiev nel caso in cui Trump e Putin non ottemperino ai loro diktat? La linea Maginot europea si è vista alla prova dei dazi.
Appena ha visto Trump nel suo golf club privato in Scozia, Ursula si è sciolta come neve al sole: “Hai detto 15%? Ma non sarà poco?”. Un budino avrebbe resistito di più.
Zelensky è un presidente scaduto e sconfitto, tra l’esercito in ginocchio che tracolla su tutto il fronte e il popolo stremato che invoca una tregua purchessia e rimpiange i bei tempi della neutralità, dopo aver assaporato i balsamici effetti di quell’affarone chiamato Nato.
Trump l’aveva avvisato alla Casa Bianca: “Non hai carte”. Era un consiglio da amico: i falsi amici europei lo convinsero che fosse un “agguato”. Ora, se firma la pace sul fronte attuale, passa per uno che “cede” o “regala” territori, come se si potesse cedere o regalare ciò che si è perduto (in Donbass i russi stanno già ricostruendo e tutti sanno che quella ormai è Russia, come la Crimea); e deve guardarsi le spalle da nazionalisti e nazisti “amici”, tipo Azov.
Se non firma, condanna altri ucraini a morire senza sapere perché: l’ha ammesso lui stesso di non poter recuperare quei territori. E intanto ne perderà altri, perché Trump un’arma di pressione ce l’ha: appena chiude il rubinetto delle armi, Zelensky alza bandiera bianca.
Che non è l’inevitabile
“pace sporca” oggi rifiutata:
è la resa senza condizioni.

martedì 12 agosto 2025

Marco Travaglio - Europa

 

Mi sento schiacciata, inerme, l'Europa è diventata la servetta di burocrati senza coscienza che predicano democrazia, ma solo a parole, poichè esercitano potere, dettando leggi inique che esautorano, di fatto, chi è costretto ad applicarle. 

cetta.

domenica 13 marzo 2022

Da Bruxelles al massimo c’è l’Erasmus. - Antonio Padellaro

 

Immaginiamo qualcuno a cui viene promessa, e poi negata l’iscrizione a un circolo esclusivo, salvo poi garantirgli la partecipazione a qualche gita sociale. A leggere le cronache del vertice europeo di Versailles, è ciò che sarebbe accaduto a proposito della candidatura dell’Ucraina come Stato membro dell’Ue, accantonata come “una questione troppo grossa”. Mentre, stando sempre alle fonti diplomatiche, l’Europa dovrebbe concentrarsi “su cosa possiamo fare per gli ucraini nei prossimi mesi, offrendogli di entrare al limite nel programma Erasmus” (Il Foglio).

Immaginiamo che accedere ai programmi di mobilità studentesca non sia esattamente il sogno del popolo ucraino, né tantomeno quello del premier Zelensky che, in sovrappiù, ha dichiarato di “aver raffreddato molto tempo fa il suo entusiasmo per un’adesione alla Nato dopo aver capito che la Nato ha paura di uno scontro con la Russia”. E poiché l’uomo di Kiev e la sua gente “non hanno mai voluto essere un Paese che prega in ginocchio per qualcosa”, arrivederci e grazie.

Si discuterà, quando sarà il momento, sulle vere ragioni di tali attese tradite. O, se si preferisce, di tali promesse fraintese.

Infatti, può anche darsi che l’ex comico divenuto presidente abbia riposto eccessivo affidamento sulle possibili aperture politiche e militari dell’Unione. Che, tuttavia, non può essersi inventato di sana pianta, alla luce anche della insistente richiesta di una no fly zone. Di cui potrebbe aver parlato con chi a Bruxelles era legittimato a farlo, prima s’intende dell’aggressione di Putin. Con il risultato che oggi al “raffreddamento” di Kiev fa da contraltare il gelo dei 27 sul possibile ingresso di un partner accerchiato, bombardato e con sullo sfondo l’incubo nucleare. Sembra come se questi “preferirei di no”, di stampo europeo e atlantico, stessero preparando il terreno a quella neutralità dell’Ucraina da qui all’eternità, che resta per Mosca la condizione irrinunciabile per qualsiasi negoziato di pace. Zelensky (al contrario di Groucho Marx) non farebbe mai parte di un club che non accettasse tra i suoi soci uno come lui. Anche se qui c’è molto poco da ridere.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/12/da-bruxelles-al-massimo-ce-lerasmus/6523410/

sabato 9 ottobre 2021

Calabria ultima nella Ue per occupazione entro tre anni dalla laurea.

 

Solo 37,2% degli occupati a fronte di 59,5% in Italia e 81,5% medio nell'Unione Europea.


Ci sono due regioni italiane tra le tre peggiori per occupazione di giovani laureati a tre anni dal titolo: nel 2020 - secondo gli ultimi dati di Eurostat che ha pubblicato il libro sulle regioni nel quale si affronta anche il tema dell'istruzione e del lavoro - in Italia entro tre anni dalla laurea risulta occupato appena il 59,5% dei giovani tra i 20 e i 34 anni, a fronte dell'81,5% della media Ue a 27. In Calabria la percentuale è in calo al 37,2%, mentre in Sicilia è al 38,3%.

La terza regione peggiore è in Grecia. La regione che fa meglio è quella dello Schwaben, in Germania, col 97,6%, in crescita rispetto al 2019.

ANSA

giovedì 1 aprile 2021

Un Maccartismo disastroso. Usa e EU hanno perso la ragione?. - Fabio Massimo Parenti

 

La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. (Karl Marx)

di Fabio Massimo Parenti – Se molti pensavano che il duo Trump-Pompeo fosse pericoloso, che dire di Biden-Blinken? Invece di costruire nuove fondamenta per una più ampia cooperazione internazionale – soprattutto considerando che stiamo vivendo un periodo di molteplici crisi globali – Biden-Blinken identificano nemici – con toni bellicosi nei confronti di Russia e Cina – attribuendo responsabilità sempre e solo agli “altri” e restituendo, nei primi mesi di presidenza, un’immagine sempre più autoreferenziale delle autorità del paese. Gli Usa continuano a puntare il dito all’estero, pensando di poter dettare le condizioni al resto del mondo in nome di un “suprematismo valoriale” che mette in pericolo l’umanità. Rispondendo a Blinken, che aveva affermato di parlare da una posizione di forza, Yang Jiechi, membro dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale e Direttore dell’ufficio per gli affari esteri, ha ribattuto dicendo che “gli Usa non sono qualificati per parlare alla Cina da una posizione di forza”.

Colpire lo Xinjiang per colpire la BRI.

Ad Anchorage ed a Bruxelles il nuovo duo (anzi trio se aggiungiamo il consigliere Jake Sullivan) ha ribadito il mantra sulla violazione dei “diritti umani” per giustificare pacchetti sanzionatori in giro per il mondo, come per esempio quelli allo Xinjiang cinese. Legittimo e normale dovrebbe essere chiedersi quali siano le prove di tali accuse. Ebbene, si tratta di rapporti di ONG basati su informazioni e speculazioni non verificabili. Quali sono queste ONG o reti di…? CHRN e WUC, entrambe con sede a Washington e finanziate dal Congresso Usa (tramite la NED). Tristemente, l’UE ha seguito gli Stati Uniti, irrazionalmente e contro i propri interessi economici. Se poi aggiungiamo che queste accuse provengono da un paese che vede erodere costantemente lo stato dei diritti umani al proprio interno (il rapporto dell’Ufficio dell’Informazione del Consiglio di Stato cinese, elaborato su fonti ufficiali, è scaricabile a questo link), con 41500 persone uccise in “shooting incidents” nel 2020 – una media di più di 110 al giorno – 592 “mass shootings” – in media 1,6 al giorno – crescenti discriminazioni razziali e continui abusi letali da parte degli agenti di polizia, la credibilità degli accusatori è quanto meno imbarazzante. Anche questo è stato sinceramente, ed educatamente, ricordato ad Anchorage. Si potrebbe continuare a lungo, ma ci fermiamo qui. Peraltro, non solo le succitate accuse sullo Xinjiang si basano su “fonti” inaffidabili e “dati” inverificabili (per alcune ricostruzioni indipendenti, si ascolti ad esempio Daniel Dumbrill o si legga l’articolo di Ajit Singh), ma le stesse ragioni, quand’anche fossero mai provate, non coinciderebbero con quelle reali, che riguardano invece la volontà di bloccare lo sviluppo della Cina e la sua rinnovata influenza internazionale: è noto, infatti, che ben tre corridoi terrestri della BRI hanno origine in Xinjiang, quello Kashgar-Gwadar (il corridoio economico sino-pakistano) e i due che si separano in Kazakhistan (il corridoio eurasiatico e quello centro-asiatico occidentale). Per chi avesse dei dubbi suggeriamo di visionare questo discorso di Lawrence Wilkerson, capo di Stato maggiore dell’ex Segretario di Stato Colin Powell, tenuto nel 2018 al Raul Paul Institute mentre spiega (dal minuto 19) le ragioni della presenza militare statunitense in Afghanistan, tra cui la destabilizzazione dello Xinjiang per colpire la BRI (ricordando anche l’ampio uso degli Uiguri in Siria). Sappiamo bene, soprattutto noi italiani, quante pressioni gli Usa abbiano esercitato fino ad oggi sull’Europa in funzione anti-BRI. In questo caso le esercitano direttamente interferendo all’interno della Cina, andando all’origine del più grande progetto di investimenti della storia dell’umanità.

In ultimo, è doveroso ricordare che negli ultimi anni un’ampia maggioranza di stati ha espresso ufficialmente, al Consiglio dei diritti umani dell’Onu, il proprio sostegno alle politiche adottate nello Xinjiang, tra cui molti paesi musulmani, mettendo in minoranza i documenti di denuncia a firma US-UK.

Non abbiamo bisogno di una nuova guerra fredda.

Invece di definire un piano per la cooperazione sanitaria, invece di spiegare come vogliono risolvere i loro problemi domestici (maggiore disuguaglianza di reddito, povertà, conflitti razziali ecc.), ci troviamo a dover assistere alle sceneggiate di “cercatori di tempesta” e “seminatori di odio”. Basti ricordare che pochi giorni fa, coerentemente col quadro sopra descritto, il generale McConville, per fare un altro esempio emblematico, ha dichiarato alla George Washington School of Media and Public Affairs che l’esercito americano sta preparando l’installazione di nuovi missili ipersonici in Europa e nel Pacifico. Dovremmo congratularci, accettare o denunciare?

Sarà in grado l’UE di fornire un suggerimento autonomo per rafforzare la cooperazione internazionale, anziché continuare a giocare un gioco di divisione come richiesto dagli Stati Uniti e i suoi pochi sodali? Sembra proprio di no. Durante le ultime visite di Blinken-Biden in Europa, le autorità statunitensi hanno richiamato alle presunte minacce di Russia e Cina, facendo pressione contro il completamento del North Stream2, etichettato come “cattiva idea”, e chiedendo all’Italia di ritirarsi dalla BRI. Per di più c’è anche qualcun altro che chiede la sospensione del CAI. È come se chiedessimo più crisi socioeconomiche e finanziarie…

Anche negli Stati Uniti e in UK molti credono che il primo approccio di politica estera di Biden sia obsoleto e sciocco. In un articolo sul settimanale britannico The Spectator, scritto da Roger Kimball, l’autore ha chiesto: “Qualche presidente degli Stati Uniti ha mai avuto un capitolo di apertura così disastroso sulla scena mondiale? Nessuno che io possa ricordare”. In un episodio dello show satirico The Real TimeBill Maher denuncia le sciocche guerre culturali che colpiscono l’America, confrontando i successi economici di un paese in via di sviluppo, la Cina, con un paese pigro e in stagnazione, gli Stati Uniti. In modo satirico, dicendo alcune verità. Quando la realtà materiale cambia – cambiamento globale nelle relazioni di potere – essa viene fuori e non si cura della propaganda degli ex-dominatori.

Al di là della complessità geopolitica ed economica delle relazioni internazionali, anche un bambino comprenderebbe l’irrazionalità dell’attuale approccio USA-UE verso la Cina, finalizzato ad aprire una nuova stagione di guerra fredda. Non basta la pandemia? Come potrebbero le persone accettare una tale divisione ideologica e imperialistica del mondo in un periodo di pandemia, emergenza sanitaria globale, emergenza ambientale, ecc. Come potrebbero le persone accettare di combattere una guerra globale, invece di lavorare al fine di giungere a compromessi e nuovi accordi in grado di contrastare le crisi socio-economiche in atto? Una semplice previsione? Gli Stati Uniti e l’UE saranno sempre più isolati…

La (buona) diplomazia dei vaccini e il suo contrario

Da una parte abbiamo un paese, la Cina, che si vaccina senza fretta perché l’epidemia è sotto controllo (grazie a uno dei più avanzati sistemi di diagnosi e tracciamento). Nel frattempo, lo stesso paese sta producendo e distribuendo dosi di vaccini a più di 70 paesi, soprattutto in via di sviluppo e meno sviluppati, attraverso una combinazione di donazioni, contratti standard, prestiti di sostegno ecc., fornendo anche la licenza per riprodurre i propri vaccini, secondo il principio del vaccino “bene comune” e della solidarietà internazionale. Diplomazia dei vaccini? Obiettivi politici? Si tratta semplicemente di buona politica (eventualmente, di buona diplomazia dei vaccini), in quanto volta al soddisfacimento di bisogni reali innegabili. D’altra parte, abbiamo un paese, gli Stati Uniti, che sta vaccinando solo la propria popolazione, bloccando le esportazioni e la liberalizzazione delle licenze presso l’OMC, anche qui con l’appoggio dell’UE. Quindi: nessuna solidarietà, nessuna cooperazione internazionale, nessuna azione globale proprio quando più ce ne sarebbe bisogno. Peggio: quest’ultimo paese si è impegnato in un confronto internazionale con il primo, alimentando il razzismo in patria e la divisione all’estero. Se questo è un modo di agire democratico ed ispirato ai più alti valori umani, direi che siamo messi molto male.

Invitare le autorità cinesi e trattarle come colpevoli dei problemi del mondo è semplicemente un atto di ostilità inaccettabile, tanto più quando basato su ricostruzioni fantasiose. Arrivare in Europa e rilanciare una strategia da guerra fredda, giudicare il North Stream2 come un brutto progetto (solo perché rafforza i legami tra paesi sulla base di bisogni reciproci) o chiedere all’Italia di uscire dalla BRI è semplicemente un atteggiamento da bulli. Chi minaccia chi? Chi rappresenta una minaccia per la sicurezza mondiale? Usa ed Ue hanno perso la ragione? Oppure non riescono ad affrancarsi dalla sindrome imperialista dei conquistatori-dominatori?

Gli Usa sono i benvenuti nella costruzione di un destino condiviso e di una cooperazione tra pari finalizzata a creare beni comuni e risolvere problemi comuni. Si parta dal prendere atto che il mondo è già cambiato e non accetta più i diktat di Washington (o di qualsiasi altro egemone) che insieme a pochi sodali suole autodefinirsi “comunità internazionale”. È l’era della multipolarità e del futuro condiviso. Nessun paese dovrà agire come se fosse superiore ad un altro. Questo è progresso, il resto è sclerosi.

IlblogdiBeppeGrillo

mercoledì 17 giugno 2020

Ue, Conte: il Parlamento voterà su proposta definitiva. Il governo è unito su progetto di riforme ambizioso.

Conte al Senato per parlare del Mes: la diretta live - Corriere.it

Il premier alla Camera per l'informativa in vista del consiglio Ue. La Lega abbandona l'Aula dopo l'intervento del loro capogruppo Molinari. 

"Anche se non rientra nel perimetro di questa informativa confermo che il governo vuol farsi trovare pronto" all'utilizzo delle risorse europee "e già in questi giorni ho avviato un'ampia consultazione per elaborare un piano di rilancio da cui potrà essere preparato un più specifico Recovery Plan che l'Italia presenterà a settembre. Quando il progetto" sarà più definito "verrò doverosamente in Parlamento per riferire dei suoi contenuti pronto a raccogliere proposte e suggerimenti". Ha detto il premier. "La proposta di Next Generation Eu è una buona base di partenza di cui condivido la logica e lo spirito. Per far ripartire le nostre economie è fondamentale raggiungere l'obiettivo primario di un consenso il prima possibile sull'adozione tempestiva" del Recovery Plan: "Una decisione tardiva sarebbe già di per sé un fallimento". Ha sottolineto Conte. "La poposta di Next Generation Eu conferma che la commissione europea non ha mancato l'appuntamento con la storia così come non l'ha mancato la Bce. In queste settimane è il Consiglio europeo ad essere chiamato all'appuntamento con la storia".
Al momento "manca la proposta formale di un quadro finanziario pluriennale da Michel e l'incontro avrà una natura solo consultiva per fare emergere convergenze e dissensi. Prima di un accordo definitivo sarò in Parlamento per chiedere il vostro voto alla luce proposta formale dell'Italia"- ha sottolineato Conte. "La decisione politica del Consiglio Ue è un obiettivo storico davanti alla peggiore crisi economica da oltre 70 anni , noi non possiamo permetterci liturgie e compromessi al ribasso, non lo permettono le vittime del Covid e le famiglie, i giovani e le imprese che affrontano le consegue economiche e sociali. Per questa ragione politica e morale tutti gli stati membri sono chiamati a decisioni di alto profilo", ha precisato il premier sottolineando"L'talia chiede che la proposta non si discosti dalla proposta della Commisisone quanto al volume delle e rimanendo fermo il principio del finanziamento straordinario a lungo termine"."Dobbiamo far ripartire l'economia italiana su nuove basi per un progetto di riforme ambizioso per dare un futuro migliore al paese. Il governo è coeso, ci spinge la fiducia" nel rilanciare l'Italia. Così il premier Giuseppe Conte nell'informativa alla Camera in vista del consiglio ue.
"In queste settimane sono in gioco la reputazione, un miglior futuro dell'Europa e dei suoi stati membri. E' il momento di agire con spirito di piena coesione anche sul piano nazionale perché la sfida non rechi all'Italia il doppio danno di vederla perdere la sfida europea e quella, forse più difficile, di vedere riformare alcune criticità. Coesi in Italia per cogliere subito e per intero l'opportunità che l'Europa offre a se stessa e ai Paesi più colpiti dal Covid. Questo spirito auspico caratterizzi il dibattito politico italiano in questa fase cruciale per la futura generazione""L'esperienza della coraggiosa risposta all'emergenza, della resilienza dimostrata da molti settori economici pubblici e privati, sono le stesse leve che consentiranno di far ripartire l'economia italiana su nuove basi che assicurino una rapida ripresa e un nuovo modello di sviluppo che superi i ritardi e gli ostacoli del vecchio. Le decisioni del Consiglio europeo consentiranno di mettere in campo ulteriori risorse economiche importanti per rafforzare gli investimenti pubblici in Italia, che sono su livelli assai inferiori rispetto agli altri Paesi europei", ha concluso Conte.  
Da parte dell'Ue "è in atto una manovra a tenaglia", da una parte con il Mes, il fondo Sure e il Recovery Fun aspetta che l'Italia si indebiti "per venirci poi a prendere casa". Lo ha detto il capogruppo della Lega alla Camera Maurizio Molinari intervenendo in Aula dopo le comunicazioni del premier Conte. "Se lei da avvocato degli italiani si è trasformato nel commissario liquidatore noi la aspetteremo qui in Parlamento", ha concluso. La Lega ha abbandonato l'Aula della Camera dopo l'intervento del capogruppo Maurizio Molinari, dopo l'informativa del premier Conte.

mercoledì 10 ottobre 2018

L'ARMATA BRANCALEONE - Marco Travaglio

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Quando vai alla guerra, prima studi il nemico, poi ti guardi intorno in cerca di alleati, infine prepari le armi più efficaci per vincere. Oppure ti vedi L’Armata Brancaleone e poi fai il contrario.
Ora, non c’è dubbio che il governo giallo-verde abbia deciso di andare alla guerra contro tutti i poteri, nazionali e internazionali, palesi e occulti, che governano per davvero l’Italia e l’Europa: Commissione Ue, Bce, Fmi e i famosi “mercati”, cioè la grande finanza e i grandi speculatori che scommettono immense fortune su o contro questo o quel Paese. E giù giù a cascata fino ai nostri poterucoli da riporto: Quirinale, Bankitalia, ragionerie e burocrazie ministeriali, Confindustria, lobby varie, partiti sconfitti nelle urne e vincenti nei media.
Il primo atto di guerra è stato vincere le elezioni, sbaragliando i due partiti-architrave del sistema che sognavano l’ennesima ammucchiata, Pd e FI, e lasciando in gramaglie un bel po’ di prenditori, lobbisti e giornalisti vedovi inconsolabili.
Il secondo è stato profanare alcuni santuari da sempre intoccabili: il precariato del Jobs Act, la corruzione impunita, i prenditori privati delle concessionarie pubbliche (vedi Autostrade Spa dopo il crollo del ponte), la lobby del gioco d’azzardo, i vitalizi, il business della cosiddetta accoglienza ai migranti.
Il terzo, il più imperdonabile, è la prima manovra finanziaria non concordata con l’Ue, dunque non recessiva e non tagliata su misura dei ricchi.

Quando, in quattro mesi, si lanciano tutte queste bombe contro chi ha sempre comandato sarebbe folle non prevedere una reazione uguale e contraria. E non comportarsi di conseguenza. 
La reazione è sotto gli occhi di tutti: scomuniche europee, moniti quirinaleschi, toni apocalittici su tutti i media che gridano pure alla censura di regime (domenica, in prima serata, Rai1 mandava in onda gli anatemi di Cottarelli e Burioni, noti portabandiera della tirannide giallo-verde), spread a 300 e Borsa in crollo.

Non c’è nessun complotto: c’è, semplicemente, il rabbioso sgomento di un intero sistema che non si dà pace di non comandare più. Quando i soliti noti raccontano che “i mercati sono neutrali” perché badano al sodo, anzi al soldo, viene da scompisciarsi: è proprio perché badano al sodo, cioè al soldo, che non sono neutrali.

Immaginiamo che accadrebbe se, puta caso, il governo varasse una legge appena più drastica della Fornero, che imponesse il suicidio obbligatorio a tutti i pensionati: i mercati e le Borse festeggerebbero, lo spread e il deficit-Pil finirebbe sottozero. Idem se una legge prevedesse lo sterminio di tutti i poveri.
Per questo esiste il suffragio universale: per evitare che comandino quelli che badano al sodo, cioè al soldo. 
Infatti, da quando gli elettori han cominciato a votare “male”, si studia il sistema di mandare alle urne solo chi vota “bene”. 
Avrete notato con quali facce disgustate si parla dei populisti che, non contenti di prendere tanti voti, pretendono pure di mantenere le promesse elettorali.
E con quali occhietti estasiati si guarda a Cottarelli, a Calenda, a Monti e ad altri noti frequentatori di se stessi, celebratissimi proprio perché non hanno mai preso un voto (infatti già si riparla di un bel governo tecnico).
I mercati, si dice, fanno il loro mestiere: verissimo. Ma il loro mestiere è speculare, non dirigere o rovesciare i governi, fare o disfare le leggi.
Questo è compito della politica.
Purtroppo però la politica non può governare contro i mercati, capaci di mangiarsi non uno, ma dieci Def con un colpo di spread.
Dunque la politica deve farci i conti, mediare e rassicurarli. E qui casca l’asino dei giallo-verdi: sono andati alla guerra in ordine sparso, spensieratamente, cazzeggiando.
Il ministro Tria ha garantito – chissà perché e a nome di chi – all’Ue e ai mercati un deficit-Pil all’1,6%,ben sapendo che basterebbe a malapena per scongiurare l’aumento dell’Iva ereditato dai predecessori, senza avviare una sola delle riforme promesse. 
E ha azzerato il suo potere negoziale. Poi, tomo tomo cacchio cacchio, ha comunicato la novità del 2,4%. E ha azzerato la sua credibilità.
Intanto ministri e urlatori vari davano i numeri più disparati sulla manovra e per giunta insultavano come ubriacone Juncker e cialtrone Moscovici.
I quali sono entrambe le cose e anche peggio.
Ma, finché non verranno spazzati via dagli elettori (i loro partiti sono già morti), hanno potere di vita o di morte sul nostro governo. E lo esercitano nel più sleale dei modi, per puri scopi elettorali: gabellano pochi decimali di deficit in più per la fine del mondo (dopo aver digerito ben di peggio da Francia, Germania, Spagna, persino Italia).
E contribuiscono allo sfascio sui mercati con le loro sparate razziste contro l’Italia e il suo legittimo governo. Moscovici l’ha confessato spudoratamente al Pais: “Non si possono confrontare Italia e Spagna” non solo per le differenze di debito e deficit, ma anche perché “Madrid ha un governo pro-europeo” e l’Italia no.
Intanto il Fmi e i suoi valletti di Bankitalia avvertono il governo di non toccare la Fornero e il Jobs Act. Dal che si deduce che l’Europa, come la intendono i suoi tenutari, è incompatibile con la nostra Costituzione: la sovranità non appartiene più al popolo, che vota chi gli pare (nel nostro caso, due partiti che vogliono cambiare l’Europa, il Jobs Act e la Fornero); bensì a pochi tecnocrati che non rappresentano nessuno (a parte i soliti “giri”), ma contano più di milioni di elettori.
Nemici come questi si combattono senza cedere di un millimetro, ma con la massima serietà: non una parola di troppo; solo atti formali inattaccabili; e tanta mediazione e persuasione.
Finora i giallo-verdi han fatto l’opposto: hanno visto L’Armata Brancaleone e, anziché evitarla, l’hanno imitata.

Marco Travaglio FQ 10 ottobre