ENERGIA - L’Ucraina lo acquista formalmente dai Paesi vicini, ma prelevandolo mentre passa sul suo territorio: Gazprom le sborsa 1,4 mld all’anno per i tubi.
La geopolitica del gas impatta sulla guerra tra Mosca e Kiev. Dopo decenni di scontri politici e di contenziosi economici sul sistema di transito del metano russo verso l’Europa e sui suoi costi, dalla fine del 2019 le due parti del conflitto parevano aver appianato i dissidi grazie a un accordo siglato con la mediazione di Stati Uniti e Germania. A dispetto del conflitto, i due paesi restano comunque legati dalle commissioni incassate da Kiev per il servizio di passaggio e dalla bolletta che l’Ucraina paga alla Russia per la fornitura. Kiev formalmente non dipende più dall’energia di Mosca, ma in realtà acquista un decimo dei suoi consumi ancora da Gazprom, sebbene solo indirettamente. In questa complicata partita doppia, l’Ucraina incassa ogni anno royalties per i servizi di trasporto per oltre un miliardo di dollari, ma poi è costretta a pagare trasversalmente il proprio aggressore.
I dati. Nel 2021 l’Ucraina ha consumato 27,3 miliardi di metri cubi di gas naturale. La sua produzione nazionale è stata pari a circa 19,8 miliardi di metri cubi, il resto è arrivato per 4,9 miliardi di metri cubi dalle riserve stoccate nei suoi depositi sotterranei e per altri 2,6 miliardi di metri cubi dalle importazioni. Secondo Gtsou, l’operatore pubblico del sistema di trasporto del gas dell’Ucraina, l’anno scorso attraverso il territorio di Kiev sono arrivati in Europa 41,6 miliardi di metri cubi di metano russo, in calo del 25% rispetto al 2020. Nello stesso periodo, l’Europa ha formalmente esportato in Ucraina 2,6 miliardi di metri cubi di metano, sei volte in meno rispetto al 2020. In sostanza, i gasdotti ucraini sono stati utilizzati per meno del 30% della loro capacità massima. L’import di gas in Ucraina è avvenuto per l’89% mediante l’inversione virtuale (il cosiddetto backhaul). Si tratta di una forma di trattenuta del gas introdotta da Gtsou all’inizio del 2020. In sostanza, in accordo con i Paesi di destinazione che comprano metano dalla russa Gazprom, Kiev ha trattenuto per sé una quota di metri cubi dalle forniture pattuite da questi ultimi con Mosca. Così ha evitato contatti diretti con l’invasore, come avviene sin dal 2015 dopo l’occupazione militare russa della Crimea e del Donbass.
Prima dell’escamotage introdotto nel 2020, invece, il metano di Mosca attraversava fisicamente l’Ucraina in andata verso i clienti europei e poi da lì tornava fisicamente indietro in direzione di Kiev. Per la loro “riesportazione”, oggi virtuale, l’Ucraina versa ai Paesi limitrofi le somme corrispondenti alla quantità di gas trattenuta, che poi questi ultimi girano a Mosca. L’Ungheria l’anno scorso è diventata il principale fornitore di gas russo a Kiev: oltre 2,2 miliardi di metri cubi di gas (-47% rispetto al 2020). Altri fornitori sono stati poi la Slovacchia (285,3 milioni di metri cubi, -97%) e la Polonia (78,6 milioni di metri cubi, -95%). Oltre alla questione diplomatica, per Kiev c’è un vantaggio formale: comprare gas dai paesi Ue costa all’Ucraina meno che acquistarlo direttamente da Mosca, che le praticava prezzi più elevati.
Ci sono poi gli incassi per Kiev, regolati da un contratto di transito tra Naftogaz, la società nazionale ucraina del metano, e la compagnia nazionale russa Gazprom. Queste transazioni commerciali e finanziarie sono regolate da un’intesa, patrocinata da Washington e Berlino e firmata il 30 dicembre 2019 per un periodo di cinque anni. Il contratto prevedeva la prenotazione da parte di Gazprom di capacità di transito pari a 65 miliardi di metri cubi nel 2020 e a 40 miliardi di metri cubi nel quadriennio 2021-24. Per i suoi servizi di trasporto, nel 2020 Naftogaz ha incassato da Gazprom royalties di passaggio per 2,11 miliardi di dollari. Altri 1,27 miliardi di dollari l’anno sono previsti come entrate minime garantite, per un totale superiore a 7,1 miliardi nel quinquennio e pari a una media di oltre 1,4 miliardi di dollari l’anno. In questo modo, Mosca paga Kiev anche dopo averla aggredita (e di qui si spiega l’attenzione a non bombardare le pipeline), mentre l’Ucraina però deve restituire il favore alla Russia versandole attraverso Ungheria, Slovacchia e Polonia milioni di dollari che finiscono per finanziare indirettamente la macchina bellica di Putin. Un paradosso della geopolitica del metano e dei gasdotti che testimonia ancora una volta, se ve ne fosse ulteriore bisogno, quanto intricate e oscure siano le relazioni che passano, come i tubi del metano, sotto la superficie del campo di battaglia.
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