Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 19 dicembre 2015
Libia: il nodo della Banca Centrale Libica, l'oro di Gheddafi, i beni congelati dalle megabanche, la sorte del dinaro. - Maria Grazia Bruzzone
Tripoli, banca centrale
Tra i tanti nodi che in Libia l’accordo politico deve sciogliere c’è la Banca Centrale Libica. Ovvero le due banche centrali, dal momento che nel gennaio 2014 le milizie del generale Khalifa Haftar (governo di Tobruk riconosciuto a livello internazionale) si sono impossessate della filiale di Bengasi della Banca Centrale Libica il cui quartier generale è a Tripoli. “Con $100 miliardi dentro” titolava Business Insider (22/1/2015). Mentre secondo il NewYorkTimes, i $100 miliardi era quel che rimaneva alla Banca Centrale nel suo insieme.
Non solo. Il governo di Tobruk licenziava l’attuale governatore della Banca Centrale a Tripoli, la sede principale, Sadiq al-Kabir e ne nominava uno di sua fiducia, Ali Salim al-Hibri. Ma Kabir continuava imperterrito a lavorare nella sede principale di Tripoli. Che fra l’altro controlla i ricavi del petrolio, vitali per il paese – raccontava Reuters a luglio.
La scelta (politica) del Fondo Monetario Internazionale.
Il FMI ha deciso di riconoscere Hibri come suo interlocutore unico, informava Reuters . E spiegava come questa mossa complicasse molto le cose. La Banca basata a Tripoli si è sforzata di star fuori dai conflitti. E sia il FMI sia i paesi stranieri fino a quel momento trattavano con entrambi i banchieri, cercando di dar vita a un budget comune dei due governi (che hanno da pagare stipendi delle milizie, stipendi pubblici, medicine e altro ancora).
“Il FMI ha rotto un accordo a cui erano giunti i due governi per un budget comune”, osservava Mattia Toaldo del Council of Foreign Relations Europe. Aggiungendo che il FMI difficilmente potrà tornare sui suoi passi.
Peraltro Hibri, il banchiere nominato da Tobruk, ha sì stabilito il nuovo quartier generale a Bengasi ma non è riuscito a convincere i clienti del petrolio a pagare attraverso i suoi conti in quanto le prove della proprietà degli asset petroliferi si trovano a Tripoli. Rendendo ancor più difficile la vendita di petrolio - la cui estrazione del resto si è quasi del tutto interrotta. Pur avendo la Libia le maggiori riserve petrolifere dell’Africa (ancora Reuters).
Anche secondo il NYT la banca centrale di Tripoli era una delle poche istituzioni ancora funzionanti nel paese, e Kabir aveva viaggiato all’estero per assicurare i leader stranieri dell’integrità dello Stato libico nella crisi.
Quel che è certo è che istituzioni esterne come il FMI entrano nel gioco politico, così come hanno fatto, e probabilmente si accingono a fare ancora, le megabanche straniere, in primo luogo anglosassoni che come vedremo più avanti hanno già avuto un ruolo.
Il bottino nella Banca Centrale di Bengasi.
“Il generale Haftar vuole che il governo di Tripoli sappia che può controllare la maggior parte del contante e delle riserve d’oro rimasti”, scrive BI. Che en passant qualifica come ‘disertore’ (renegade) quello che non è esattamente un bel personaggio, ma è vicino agli Usa dove ha vissuto a lungo dopo essere fuggito a suo tempo dalla Libia, ed è l’uomo forte nel governo di Tobruk.
A metà del 2014 la Banca Centrale aveva ancora $113 miliardi di riserve in valuta straniera, riportava Al-Ayat, uno dei maggiori giornali panarabi, basato in Libano. Molto meno dei $321 miliardi che deteneva prima delle sommosse del 2011, ma ancora abbastanza per pagare i salari e assicurare il funzionamento delle infrastrutture petrolifere - aggiungeva BI.
$113 miliardi in valuta estera rafforzate da 116 tonnellate d’oro, a dar retta a un post sul sito indipendente medio orientale Al-Monitor (luglio 2014). E faceva notare come le riserve estere ammontavano appunto a $321 miliardi prima della rivoluzione del 2011 – quando l’oro di Gheddafi era valutato dal World Gold Council in 143 tonnellate (150 t, secondo altri ). Con la rivoluzione vennero subito ritirati dai depositi bancari $20 miliardi costringendo la Banca Centrale a vendere 5 t d’oro, e poi anche a disfarsi di $19 miliardi di riserve estere, spiegava, sottolineando tuttavia le rassicurazioni della Banca Centrale: un collasso della Libia non è in vista, almeno per altri 5 anni. Va aggiunto per precisione che la Banca Libica aveva altre due filali, a Sirte e a Sabha, nel sud, ma di queste non si è più parlato. Cosa vi fosse dentro non sappiamo.
I ‘ribelli’ avevano subito dato vita a una loro Banca Centrale a Bengasi. Una mossa sospetta per la sua immediatezza, forse ‘pilotata’ (vedi The New American 30/3/20 11 ripreso da Global Research ).
Che una parte consistente delle riserve in valuta e oro di Gheddafi fossero nella filiale di Bengasi lo raccontava (6/6/ 2011) lo stesso vice capo della Banca Centrale nominato dai ‘ribelli’, Abdalgader Albagrmi (qui). Vivida la descrizione dello scasso.
“C’erano due camere blindate sotterranee incassate in doppi muri e protette da una pesante porta blindata per aprire la quale servivano tre chiavi. Due erano a Bengasi, mentre la terza era a Tripoli, ancora sotto il controllo di Gheddafi. Ci vollero tre giorni per riuscire a penetrare all’interno. Nella prima camera trovarono dinari e contante in valuta estera. Albagrmi non è autorizzato a rivelare la quantità, si limita a dire ‘tra 500 milioni e 1 miliardo di dinari’, quanto alla valuta estera ‘non era molto’.
Nella seconda camera c’era una grande pila di barre d’oro che alcuni hanno valutato in $1 miliardo”.
Albagrmi minimizzava? Molto probabilmente sì.
Una mossa subitanea che già in quei mesi del 2011 appariva a qualcuno sospetta, quella dei ‘ribelli’, che allora apparentemente non si sapeva neppure chi fossero. La rivolta a Bengasi scoppia il 15 febbraio 2011. Già il 27 febbraio nasce il TNC – Transitional National Council, autoproclamato governo provvisorio a Bengasi che si spaccia come ‘unico rappresentante del popolo libico’e a marzo la comunità internazionale si affretta a riconoscere – a settembre o farà anche l’ONU. Ebbene, già a marzo il TNC dà vita alla sua Banca Centrale e alla nuova Lybian Oil Company, anch’essa a Bengasi.
“Mai sentito di una banca centrale creata in poche settimane da una rivolta popolare” nota un analista economico nel post di The New American. “ Suggerisce che quei ribelli erano più che una banda di rivoltosi e che c’erano delle influenze sofisticate”.
Un altro blog a cui si rimanda è sarcastico: “Quando il conflitto finirà quei ribelli potranno diventare consulenti”. Il blog citato avanza il sospetto di un coinvolgimento esterno. “Sembra che qualcuno ritenesse molto importante controllare le banche e il rifornimento di denaro prima ancora che un governo vero fosse formato”.
Dubbi esprimevano anche media mainstream come CNBC. “E’ la prima volta che un gruppo rivoluzionario si preoccupa di dar vita a una banca centrale mentre sta ancora combattendo per prendere il potere. Un’indicazione di quanto straordinariamente potenti siano diventate le banche centrali oggi”.
La Banca Centrale statale e il piano OIL for GOLD fu la causa prima dell’intervento Nato per rimuovere Gheddafi?
“Alcuni osservatori sono convinti che il tema della Banca Centrale sia stato addirittura la motivazione alla base degli interessi internazionali nei confronti del regime libico” osserva il post di New American citando un altro pezzo che ha circolato molto sul web, secondo il quale “finanzieri globali e manipolatori del mercato non tolleravano l’indipendenza dell’autorità monetaria libica” sotto il Raiss. La Banca Centrale era infatti pubblica, dello Stato.
“Il governo libico crea la sua moneta attraverso la sua Banca Centrale, il dinaro libico agganciato al valore dell’oro. Il maggior problema dei cartelli bancari globalisti è che per fare affari con la Libia devono passare attraverso la Banca Centrale e la moneta nazionale, sui quali non hanno assolutamente alcun dominio né capacità di fare pressioni. Obama non ne parla, e nemmeno Sarkozy e Cameron, ma in cima all’agenda globalista c’è certamente la volontà di assorbire la Libia nel novero delle nazioni compiacenti”. Magari sostituendo il dinaro, comunque agganciandolo al dollaro: questa sarà la via da seguire alla fine, veniva ipotizzato.
OIL FOR GOLD.
Tanto più che Gheddafi pianificava di vendere il petrolio libico in cambio di dinari agganciati all’oro invece che in cambio di dollari come si era fatto fino ad allora. Oil for gold, appunto, il nome del piano. Una mossa che avrebbe potuto contagiare altri paesi, e minacciare molto da vicino la supremazia del dollaro fondata proprio sui petrodollari. “Ricordate Saddam Hussein? Nel 2000 voleva fare qualcosa di simile, vendere petrolio in euro, abbandonando il dollaro. La sua fine è nota”.
Così un altro blog. Una teoria diffusa soprattutto nei media non occidentali, rimarcava un successivo post NewAmerican (30/11/2011), molto più analitico del precedente e ricco di citazioni. Eccone qualcuna.
“Sarkozy arrivò a dichiarare che la Libia rappresentava una “minaccia per la ‘sicurezza finanziaria del mondo”.
“Nel 2009, in quanto capo dell’Unione Africana, Gheddafi aveva proposto che il continente azzoppato economicamente adottasse il dinaro il Dinaro aureo.
“Il suo piano avrebbe rafforzato l’intero continente africano agli occhi degli economisti – per non dire degli investitori. Ma sarebbe stato devastante per l’economia Usa, il dollaro americano e l’élite del sistema.
Non solo la moneta. Anche i progetti africani del Raiss andavano fermati.
In quell’estate del 2011, Gheddafi era ancora vivo e combatteva, ma la ‘rivoluzione’ libica appoggiata – chi dice preparata – dalla Nato aveva subito prodotto il congelamento dei beni all’estero del Fondo Sovrano Libico e nuove sanzioni. Mohammed Siala, ministro della cooperazione nonché direttore del fondo sovrano libico, rilasciava una interessante intervista. Ne aveva scritto a suo tempo Underblog .
L’intervento in Libia, raccontava Siala, mira o comunque ha per conseguenza di bloccare non solo progetti di infrastrutture in Libia già assegnati a ditte europee, oltre che russe e cinesi. Ma di fermare anche progetti di cooperazione della Libia gheddafiana con paesi africani, volti a emancipare quelle economie. Col risultato, fra l'altro, di impoverire ulteriormente quelle popolazioni e spingerle a riversarsi in massa in Europa.
I libici col Raiss si erano infatti lanciati in grandi investimenti. In Libia. “Il primo era stato il canale di 4000 Km che trasporta l’acqua prelevata dal gigantesco bacino naturale sotterraneo scoperto anni fa, con una portata pari alle acque del Nilo per 50 anni, e rifornisce fra l’altro Bengasi e Tripoli. C’è chi dice che sullo sfruttamento di queste acque avrebbero messo gli occhi i francesi, primi nel mondo nel settore acque.
"C’è una ferrovia che attraversa il Nord Africa, ad eccezione della Libia. Vogliamo portare a termine l’integrazione nell’economia regionale e spingerla oltre. I cinesi costruiscono il tratto Tunisia-Sirte. I russi hanno il compito della Sirte-Bengasi. C’era una trattativa con l’Italia per la sezione Bengasi-Egitto, così come per le locomotive . Abbiamo anche iniziato la costruzione di una linea transcontinentale nord-sud, con il tratto Libia-N’Djamena. Sono investimenti di interesse internazionale e il G8 aveva promesso di aiutarci, ma non abbiamo visto arrivare nulla”. Così Siala.
E in Africa. Il visionario Gheddafi voleva sviluppare il continente. Una quota del fondo sovrano libico va in azioni di sviluppo del continente, in agricoltura, commercio, miniere, ecc. raccontava Siala. Per il quale è questo l’aspetto più critico del blocco.
“Il continente non è in grado di esportare materie prime. Noi investiamo in modo che queste siano trasformate e commercializzate in Africa, dagli africani. Si tratta di creare posti di lavoro e mantenere il plusvalore in Africa. Da un lato gli europei ci incoraggiano, perché si prosciuga il flusso migratorio, dall’altro si oppongono perché dovrebbero abbandonare lo sfruttamento coloniale”.
Un’Africa ‘gheddafiana’ aperta a russi e cinesi, oltre che agli europei, certo non poteva piacere all’Occidente e segnatamente agli Usa, che, sebbene nel 2004 avessero promosso un’apertura nei confronti della Libia, sull’Africa aveva in realtà altri piani. Per il Raiss fu un brusco risveglio.
Gli affari dell’Occidente con la Libia e le fregature date a Gheddafi.
“Fare affari con la Libia era legale anche per società americane dal 2004, dopo che Gheddafi aveva rinunciato al terrorismo e alle sue aspirazioni nucleari e Bush aveva cancellato le sanzioni”. Banche, petrolifere e ditte di costruzioni ci si erano buttate a capofitto.
Così il New York Times in un'inchiesta del 2011 . Che raccontava come la creazione dell’Autorità Libica per gli Investimenti avesse gasato le banche occidentali. Attratte dall’opportunità di mettere le mani sui 40 miliardi di $ del Fondo Sovrano. Cresciuti poi rapidamente, tanto da diventare 64 miliardi lo scorso settembre, secondo recenti documenti (Siala parla di di 70 miliardi$). Blair sorrideva in foto col Raiss, Saif al-Islam Gheddafi, il secondo e il più british dei figli, PhD all’LSE, era di casa a Londra, amico di lord Mandelson e di un Rothschild (non è un caso forse che a rilanciare Saif sia stato qualche mese fa Foreign Affairs, la rivista del CFR, vedi Underblog).
La britannica Hsbc era diventata il partner bancario occidentale maggiore del regime di Gheddafi, dal quale aveva ricevuto 1,4 miliardi $. Goldman Sachs a settembre 2011 aveva ancora $45 milioni, JPMorgan Chase $173milioni. Ma anche la francese Société Génerale e altre banche europee avevano aiutato il regime a gestire i proventi del petrolio. Al 22° piano del grattacielo più alto di Tripoli, sede dell’Autorità, c’era un gran via vai.
Ma questi investimenti ai libici hanno fruttato ben poco. Ritorni bassissimi o nulli, mentre le commissioni sono rimaste alte, documenta l’inchiesta del NYTcitata.
Per non dire della fregatura subita quando - vedi il Wall Street Journal online - l’Autorità per gli Investimenti affidò a Goldman Sachs 1,3 miliardi $ del fondo sovrano. La banca li investì in un paniere di valute e azioni di sei società: tre banche, l’americana Citigroup, l’italiana Unicredit e la spagnola Santander, più la società tedesca Allianz, l’Eléctricité de France e l’italiana Eni. Era la prima metà del 2008, con la crisi i capitali freschi facevano gola assai. Un anno dopo, il crack Lehman ancora fresco, Goldman Sachs comunicò ai libici che, causa crisi, l’investimento era andato male, e il fondo libico si era ridotto a 25 milioni: aveva perso il 98% del suo valore.
Furiosi, forse con qualche ragione, i libici piombano a Londra, finiscono per non accettare le proposte di Goldman, minacciano azioni legali internazionali che certo non avrebbero giovato alla reputazione della banca d’affari. In questo caso come per le perdite subite dagli investimenti fatti da varie altre società - l’americana Permal, l’olandese Palladyne, la francese Paribas, la britannica HSBC, il Credit Suisse, ecc. (vedi dettagli qui).
“Finché le sanzioni e l’intervento militare non hanno risolto il problema, congelando i fondi.
Hsbc e altre banche di investimento sono già sbarcate a Bengasi per creare una nuova Central Bank of Libya che permetterà loro di gestire i fondi libici quando saranno scongelati e i nuovi ricavi dell’export petrolifero, già ripreso”, raccontava Siala.
E poi....
Come si sa le cose in Libia si sono poi complicate. Fino ad arrivare ai due governi con rispettivi sponsor e agli accordi odierni, che dovranno essere approvati dalle rispettive assemblee. Risolutivi? Vedremo.
Quel che è andato avanti è il piano di Africom – il comando centrale americano per l’Africa creato da George W. Bush. Progetti che coinvolgono anche UK e soprattutto la Francia e vanno ben oltre la Libia per realizzare i quali tuttavia il regime del Raiss era un ostacolo. Vedi qui Underblog feb 2015 sulla scia del Guardian, vedi qui dove si dice che forze Usa stazionano già in 35 paesi, e qui un post ben più analitico di William Engdahl, giornalista americano controcorrente specialista in questioni geopolitiche.
venerdì 18 dicembre 2015
BUCCE DI BANANA: NON BUTTATELE! ECCO COSA POSSONO FARE.
La banana è un frutto dalle molteplici proprietà e dai tanti effetti benefici: e ciò vale anche per la sua buccia, che può essere adoperata per tanti scopi e per soddisfare una enorme varietà di esigenze. La buccia, per altro, non serve solo a fini cosmetici e non è solo un toccasana per la salute, ma può essere impiegata anche per la vita di tutti i giorni: per esempio, per le pulizie di casa, vista la sua azione antifungina, o in cucina, per purificare l’acqua o per mantenere la carne ben succosa in forno. Se si ha bisogno di pulire le scarpe, per esempio, strofinando sulle calzature la buccia esse si mostreranno più pulite sin da subito. Lo stesso vale per l’argenteria – cucchiai, coltelli, forchette e così via -.
La buccia della banana, inoltre, è perfetta per il compost: se si dispone di una compostiera in cui vengono buttati tutti i rifiuti organici, i lombrichi si mostreranno golosissimi di questo prodotto. Insomma, uno scarto davvero eccezionale, che può essere sfruttato anche come repellente per i pidocchi delle piante e per gli afidi: occorre tagliare la buccia in tanti piccoli pezzi, per poi interrarli in corrispondenza dei rosai o alla base degli arbusti. Così, le piante non saranno mai colpite dalle malattie. A proposito di piante, con la buccia di banana si può ottenere anche un eccellente fertilizzante: per raggiungere lo scopo, è necessario inserirla all’interno di un contenitore di vetro che dovrà essere riempito con un po’ di acqua.
Dentro lo stesso contenitore andranno collocate delle piante acquatiche, che grazie ai nutrienti provenienti dalla buccia trarranno notevoli benefici e cresceranno sane e rigogliose. Sempre in casa (o in giardino), la buccia è fondamentale per pulire le foglie delle piante e per attirare le farfalle, che saranno attirate dalla sua dolcezza. Ecco, poi, i cinque principali utilizzi a cui possono essere destinate le bucce di banana per la salute e per la cosmesi.
Contro le verruche
Grazie alle bucce di banana, è possibile prevenire la comparsa delle verruche o eliminarle, qualora fossero già presenti: è sufficiente strofinare un pezzo di buccia sulla zona da trattare, alcuni minuti per qualche giorno di seguito, e dopo un po’ si otterrà il risultato desiderato.
Contro le punture degli insetti
Anche il dolore e i fastidi provocati dalle punture degli insetti possono essere alleviati con le bucce di banana, che hanno il merito di ridurre le infiammazioni e di limitare il prurito.
Contro l’acne
Se si ha a che fare con l’acne, non c’è niente di meglio delle bucce di banana: come per le verruche, basta strofinarle sulla zona interessata ogni sera, prima di andare a dormire.
Contro le infiammazioni
Le bucce di banana riescono a calmare le infiammazioni di lieve entità: strofinandole sui punti coinvolti, in poco tempo si ottengono i risultati desiderati.
Contro le cicatrici
Il processo di cicatrizzazione viene accelerato in misura significativa con le bucce di banana: graffi e ferite guariranno più velocemente.
COSA SIGNIFICA L’ “AUMENTO DEL CAMBIO” DI IERI? - PAUL CRAIG ROBERTS
La FED ha aumentato il tasso di prestito intrabanca di 25 punti base, o un quarto dell’1%. I lettori si chiedono “cosa significa?”.
Significa che la FED ha avuto tempo di capire che l’effetto del piccolo “aumento del tasso” sarebbe praticamente zero. In altre parole, il piccolo aumento in un range che va da 0 a 0.25 a 0.50 non basta ad eliminare i problemi nel mercato dei derivati sul tasso d’interesse o a mandare al ribasso il valore di azioni e bond.
Prima dell’annuncio odierno della FED, il tasso di interscambio tra banche era dello 0.13% medio nel periodo iniziato con il Quantitaive Easing. In altre parole, non c’è stata abbastanza richiesta di liquidità da parte delle banche per spingere il tasso stesso sopra il limite dello 0.25%. allo stesso modo, dopo l’annuncio odierno dell’ “aumento del tasso” lo stesso dovrebbe assestarsi allo 0.25%, il massimo tra il tasso precedente e il minimo del nuovo corso.
Comunque, la questione è che la liquidità disponibile superava la domanda al vecchio tasso. Il proposito di alzare l’interesse è di soffocare la richiesta di credito, anche se non era necessario bloccarla quando essa era appena sufficiente a mantenere il tasso medio alla metà del vecchio range. Questo “aumento” è una truffa. Serve solo agli idioti dei media finanziari che spingevano da sempre per un aumento dei tassi e per la necessità che la FED proteggesse la propria credibilità aumentando i tassi d’interesse stessi.
Vediamola in quest’ottica. Il sistema bancario nella sua interezza non ha bisogno di richiedere prestiti, standosene adagiato su 2.42 trilioni di dollari di riserve in eccesso.
L’impatto negativo dell’aumento dei tassi crea problemi solo alle banche più piccole che prestano ad aziende e consumatori. Se queste banche si ritrovano senza disponibilità e hanno bisogno di ulteriori fondi per coprire le proprie necessità di riserve, si ritroverebbero a dover chiedere prestiti a banche con un maggior disavanzo. Quindi, l’aumento del tasso ha come conseguenza che le banche più piccole pagheranno spese maggiori alle grandi banche favorite dalla FED.
Un modo diverso di vederla è che l’ “aumento dei tassi” favorisce le banche dotate di abbondanti riserve rispetto alle banche che erogano prestiti agli imprenditori ed ai consumatori.
In altre parole, l’aumento come al solito favorisce i saccheggi dell’Un Percento.
(Paul Craig Roberts è un ex assistente segretario del Tesoro USA e Editore Associato del Wall Street Journal. Il suo libro How the Economy Was Lost è disponibile su counterpunh in formato digitale.Il suo ultimo libro è How America Was Lost.)
Link: http://www.countercurrents.org/pcr171215.htm
autore della traduzione FA RANCO
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16006
E SE IL SISTEMA FINANZIARIO MONDIALE SALTASSE IL 21 DICEMBRE? - VALENIN KATASONOV
Il mondo sta entrando in una fase caotica. Molti hanno detto che sono stati gli Stati Uniti a creare il «caos gestibile» a livello globale. Ma gli eventi in Medio Oriente hanno dissipato l'illusione che chi ha istigato questo caos sia ancora in grado di gestirlo e un caos ingestibile molto presto invaderà anche il mondo della finanza internazionale. Ancora una volta gli Stati Uniti sono colpevoli di aver buttato dentro questo caos finanziario ingestibile, anche i 3 miliardi di dollari del debito che l'Ucraina ha verso la Russia e sarà questo il pretesto che potrà far cominciare il processo.
Non è un caso che il problema del debito ucraino si stia gonfiando, Washington lo sta deliberatamente utilizzando per cercare di danneggiare la Russia. La distruzione finale dell'ordine finanziario globale stabilito con la conferenza internazionale di Bretton Woods nel 1944, potrebbe avvenire come effetto collaterale di una politica anti-russa.
Gli Stati Uniti hanno ideato il sistema monetario di Bretton Woods, poi hanno cominciato ad indebolirlo nel 1970 quando Washington bloccò il cambio dollaro-oro.
L'oro fu demonetizzato, il mondo passò alla carta moneta, e furono eliminati i tassi di cambio fissi. I mercati finanziari, così come la speculazione finanziaria, cominciarono ad espandersi ad un ritmo frenetico, riducendo notevolmente la stabilità dell'economia globale e della finanza internazionale. Il Caos finanziario era già a portata di mano, ma allora era ancora ad un livello gestibile. Il Fondo Monetario Internazionale, creato nel dicembre del 1945, era lo strumento per gestire la finanza internazionale.
Eppure oggi siamo testimoni oculari della distruzione del FMI, che minaccia di esasperare l'instabilità della finanza mondiale nel bel mezzo del caos finanziario globale. Il ruolo del FMI nel mantenere un relativo ordine finanziario nel mondo non consisteva solo nell'emissione di prestiti e crediti per specifici paesi, ma anche nell'agire come autorità assoluta e nello scrivere le regole del gioco per i mercati finanziari globali.
Dopo che gli Stati Uniti - l'azionista principale del FMI (di cui controlla circa il 17% dei diritti di voto all'interno del fondo) - hanno trascinato il FMI nei loro giochi in Ucraina, questa istituzione finanziaria internazionale è stata costretta a infrangere le regole che aveva scritto, sviluppato e affinato nel corso di decenni. Le ultime decisioni del fondo hanno creato un precedente in una partita giocata senza regole, dove è quasi impossibile calcolare quali saranno le conseguenze per la finanza internazionale.
La norma più recente di questo tipo - datata 8 dicembre - è stata programmata poco prima della data dell'ultima scadenza per il pagamenti di 3 miliardi di dollari per il debito ucraino con la Russia - il dicembre 20.
Washington continua a spingere il governo ucraino a non rimborsare il debito russo. Ma se Kiev non riuscesse a ripagare ciò che deve, quasi automaticamente arriverà ad un vero default sovrano, e quindi il Fondo Monetario Internazionale, nel rispetto delle regole - in vigore quasi fin dalla nascita del fondo - non avrà più diritto a fare prestiti all'Ucraina.
Per consentire al FMI di continuare a trasferire i fondi del prestito all'Ucraina (nel mese di aprile 2015 è stato firmato un contratto di finanziamento per 17.5 miliardi di dollari), Washington ha ordinato al fondo stesso di riscrivere le regole in modo che, anche in caso di insolvenza di Kiev su quanto deve a Mosca, il FMI potrebbe ancora prestare denaro all'Ucraina.
Il FMI - sempre sottomesso - ha obbedito a un ordine apparentemente irrealizzabile.
Aleksei Mozhin, il direttore del FMI per la Federazione russa, ha riferito che l'8 dicembre il Consiglio Esecutivo del Fondo ha approvato le riforme che permetterebbero prestiti a debitori anche in caso di un default sul debito sovrano. Tutti hanno perfettamente compreso che il fondo ha preso una decisione tanto rivoluzionaria solo per sostenere il moribondo regime di Kiev e per stuzzicare la Russia. Parlando ai giornalisti, il Ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha dichiarato «La decisione di cambiare le regole appare frettolosa e di parte, è stata presa unicamente per danneggiare la Russia e per legittimare la possibilità di Kiev a non pagare i debiti ».
Ci sono state altre decisioni di carattere così radicale nella storia del FMI. Ad esempio, nel 1989 il fondo si arrogò il diritto di fare prestiti anche ai paesi che non avevano potuto ancora esigere debiti da banche commerciali estere. E nel 1998 il fondo è stato autorizzato a concedere prestiti ai paesi con debiti in essere sui titoli sovrani in mano a investitori privati. E comunque, il rimborso dei debiti ai creditori sovrani è sempre stato un sacro dovere per i clienti del FMI. I creditori sovrani sono i debitori di ultima istanza, che vengono in aiuto agli stati che vengono scavalcati da finanziatori e investitori privati.
Secondo le regole del FMI, le passività di uno Stato verso un creditore sovrano (ad esempio, un altro Stato) sono altrettanto «sacre» quanto le passività verso il fondo stesso. Questo è, in un certo senso, una pietra miliare per la finanza internazionale. E qui vediamo come, in una riunione ordinaria del Consiglio Esecutivo del FMI, questa pietra miliare è stata frettolosamente sottratta dalle basi dell'edificio della finanza internazionale. Il Ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha richiamato particolare attenzione su questo aspetto della decisione del Comitato esecutivo:
«Le regole per il finanziamento dei programmi del fondo esistono da decenni e non sono mai cambiate. I creditori sovrani hanno sempre avuto priorità su quelli commerciali. Le regole servono per enfatizzare il ruolo particolare dei creditori ufficiali, che è particolarmente importante in tempi di crisi, quando i creditori commerciali si sovrappongono alle nazioni privandole dell'accesso alle risorse ».
La sottomissione del fondo e l'ardire del suo principale azionista (USA) si possono arguire dal modo in cui, l'8 dicembre, in quattro e quattr'otto hanno preso questa decisione, mentre per cinque anni Washington aveva bloccato qualsiasi sforzo per riformare il fondo (revisione delle quote dei singoli Stati membri e il raddoppio dei capitali). Secondo Siluanov, data la decisione del Comitato Esecutivo del FMI dell'8 dicembre, «la mancanza di volontà degli Stati Uniti di affrontare il problema della ratifica dell'accordo per ricostituire il capitale del FMI appare particolarmente clamorosa, soprattutto quando questo capitale sarebbe stato molto utile per risolvere i problemi del debito dell'Ucraina».
Il 10 dicembre, è stato pubblicato un rapporto di 34 pagine, con tutti i dettagli della riforma approvata dal comitato esecutivo FMI dell'8 dicembre. In base a questo documento alcune delle variazioni sono valide per i debiti verso creditori sovrani che non fanno parte degli accordi del Paris Club. Comunque, un paese debitore deve rispettare un certo numero di condizioni per poter mantenere l'accesso ai fondi del FMI, incluso " fare sforzi in buona fede" per ristrutturare il proprio debito.
Il riferimento a «sforzi in buona fede» solleva un punto molto interessante. Finora Kiev non ha fatto nessuno sforzo nella sua qualità di stato debitore. Le dichiarazioni del Primo Ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk non contano. Quelli non erano tentativi di fare «sforzi in buona fede,» ma piuttosto erano ultimatum per la Russia, un creditore sovrano: in altre parole, o prendete parte ai colloqui sulla ristrutturazione che abbiamo avviato con i nostri creditori privati oppure non vedrete nemmeno una lira. E' curioso anche che queste affermazioni non siamo giunte attraverso i canali ufficiali della corrispondenza, ma siano stati detti, a voce, in televisione. Ho trovato un dichiarazione di Yatsenyuk particolarmente commovente, quando dice di non aver ricevuto nessuna proposta formale da Mosca per quanto riguarda il debito drell'Ucraina.
E' una cosa nuova nelle relazioni intergovernative in generale e su quelle monetarie e creditizie internazionali in particolare. Quasi fin dalla nascita del Fondo monetario internazionale è sempre esistita una regola (e esiste ancora), secondo cui:
a) Ogni iniziativa per modificare le condizioni originarie di un prestito deve provenire dal debitore e non dal creditore;
b) L'iniziativa (la richiesta) deve essere formulata in forma scritta e inviata al creditore attraverso canali ufficiali.
Se Yatsenyuk non conosce queste regole, forse i funzionari del FMI potrebbero spiegargliele. Tuttavia, nulla di ciò è ancora stato fatto.
Torniamo alla decisione dell'8 dicembre. Che Kiev voglia o che non voglia, per continuare a ricevere credito per mezzo del fondo, l'Ucraina deve almeno dare prova di un tentativo di negoziare con il suo creditore, cioè, con Mosca. Deve dare almeno prova di fare «uno sforzo di buona fede» per così dire.
E in che cosa dovrebbe consistere questa prova? Si devono fare almeno tre passi:
- deve redigere una richiesta formale di avviare colloqui per rivedere i termini del prestito e inviarla al creditore;
- il debitore deve ricevere una risposta ufficiale da parte del finanziatore;
- se il creditore è d'accordo - si devono avviare dei negoziati per rivedere i termini.
Non dimenticate che il termine ultimo per ripagare il debito con la Russia scade domenica (20 dic.). Kiev ha molto poco tempo per dimostrare «la propria buona fede» e anche nel migliore dei casi non potrebbe più gestire le prime due delle tre fasi dette sopra. Inoltre non c'è tempo nemmeno per la terza e più importante delle fasi.
Sarà molto interessante ascoltare quello che dirà il FMI lunedi, 21 dicembre. Come potrà trovare le prove sugli «sforzi fatti in buona fede» da Kiev? O continuerà ad aspettare di essere imboccato ancora dal suo principale azionista?
Anche se quell' azionista non è famoso per l'acume, sicuramente lo è per la sua ottusità che dà sui nervi.
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Questo prossimo 21 dicembre promette di essere il giorno più vergognoso nella storia del Fondo Monetario Internazionale, che potrebbe essere seguito dalla fine di questa istituzione finanziaria internazionale. Purtroppo, il FMI potrebber far saltare tutto il sistema finanziario mondiale prima della sua stessa estinsione, servendosi del debito dell'Ucraina verso la Russia come il detonatore.
Naturalmente è Washington il vero giocatore - il Fondo è solo un giocattolo nelle sue mani. Ma perché Washington vuole che questo accada? A rigor di termini, non è nemmeno la Washington ufficiale a volerlo, ma sono i«maestri del denaro» (i principali azionisti della Federal Reserve), e ogni lfunzionario che abbia qualche collegamento con la Casa Bianca, con il Dipartimento del Tesoro, e con le altre agenzie governative degli Stati Uniti, di quelli che sono sul loro libro paga.
I maestri del denaro sono stati costretti a difendersi contro l'indebolimento del dollaro, utilizzando degli strumenti già consolidati - come la creazione del caos fuori dei confini americani. Qualsiasi tipo di caos andrà bene - quello politico, quello militare, quello economico e anche quello finanziario.
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Dopo la decisione del Consiglio esecutivo del FMI dell'8 dicembre 2015, che è stata emanata per sostenere il regime in bancarotta di Kiev e con il solo scopo di danneggiare la Russia, alcuni esperti finanziari hanno prudentemente espresso la loro opinione sul fatto che presto la Russia avrà ben pochi motivi per rimanere nel Fondo Monetario Internazionale. Posso solo concordare con questa posizione, anche se il ritiro della Russia dal FMI sarebbe una condizione necessaria ma non sufficiente per rendere più forte lo Stato russo. La Russia deve ancora crearsi una difesa valida contro il caos finanziario globale, che, dopo il 21 dicembre, si farà rapidamente sempre più ingestibile.
Fonte: http://www.strategic-culture.org/
autore della traduzione Bosque Primario.
http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=article&sid=16007
giovedì 17 dicembre 2015
PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA.
PREMESSA
1) L'aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema.
2) Il piano tende invece a rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori.
3) Il piano si articola in una sommaria indicazione di obiettivi, nella elaborazione di procedimenti - anche alternativi - di attuazione ed infine nell'elencazione di programmi a breve, medio e lungo termine.
4) Va anche rilevato, per chiarezza, che i programmi a medio e lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione - successivi al restauro delle istituzioni fondamentali.
OBIETTIVI
1) Nell'ordine vanno indicati:
a) i partiti politici democratici, dal PSI al PRI, dal PSDI alla DC al PLI (con riserva di verificare la Destra Nazionale)
b) la stampa, escludendo ogni operazione editoriale, che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV va dimenticata;
c) i sindacati, sia confederali CISL e UIL, sia autonomi, nella ricerca di un punto di leva per ricondurli alla loro naturale funzione anche al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera associazione dei lavoratori;
d) il Governo, che va ristrutturato nella organizzazione ministeriale e nella qualità degli uomini da preporre ai singoli dicasteri;
e) la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi;
f) il Parlamento, la cui efficienza è subordinata al successo dell'operazione sui partiti politici, la stampa e i sindacati.
2) Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economico-finanziario. La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo. Governo, Magistratura e Parlamento rappresentano invece obiettivi successivi, accedibili soltanto dopo il buon esito della prima operazione, anche se le due fasi sono necessariamente destinate a subire intersezioni e interferenze reciproche, come si vedrà in dettaglio in sede di elaborazione dei procedimenti
3) Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l'eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità. Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale.
Continua qui:
http://www.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2010/07/Il-Piano-di-rinascita-democratica-della-P2-commentato-da-Marco-Travaglio.pdf
Il nipote di Fanfani, renziano eletto al Csm, difensore di Banca Etruria. - Alessandro De Angelis
Arezzo come metafora del potere e dei suoi intrecci. Accusa e difesa accomunati dal legame col potere politico del governo Renzi. Uno dei più grandi “difensori” della Banca Etruria è Giuseppe Fanfani, che al Csm è stato eletto su indicazione di Renzi e della Boschi. Da sindaco di Arezzo, prima lasciare l’incarico per trasferirsi al Csm, Fanfani diceva: “La Banca Etruria non si tocca”. Un sindaco aretino si sentiva in dovere di difendere “per contratto” l’icona bancaria cittadina, 186 sportelli e 1800 dipendenti con un modello fondato su un groviglio di interessi intrecciati tra loro.
Giuseppe Fanfani, grande avvocato, nipote di Amintore, anzi Nipotissimo – così lo chiamano ad Arezzo – non solo è stato il difensore “politico” della banca. Ma anche il difensore legale. Ora allo studio Fanfani, il più importante e prestigioso di Arezzo, c’è il figlio che nell’affaire banca Etruria ha un cliente di peso: Davide Canestri, direttore centrale, responsabile del Risk Management. Il reato contestato è ostacolo all’organo di vigilanza.
Giuseppe Fanfani, grande avvocato, nipote di Amintore, anzi Nipotissimo – così lo chiamano ad Arezzo – non solo è stato il difensore “politico” della banca. Ma anche il difensore legale. Ora allo studio Fanfani, il più importante e prestigioso di Arezzo, c’è il figlio che nell’affaire banca Etruria ha un cliente di peso: Davide Canestri, direttore centrale, responsabile del Risk Management. Il reato contestato è ostacolo all’organo di vigilanza.
Fin qui la difesa.
Il procuratore capo di Arezzo, della procura che indaga sul presunto conflitto di interessi degli ex vertici di Banca Etruria, è invece un consulente del governo Renzi. Ne dà notizia il Fatto, in un articolo di Fabrizio D’Esposito: “Per la precisione – scrive il Fatto - la struttura di riferimento di Rossi, da consulente, è il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi, che ha come capo Antonella Manzione, l’ex comandante dei vigili urbani di Firenze chiamata dal premier a palazzo Chigi”.
Accusa e difesa, accomunati dal legame col governo. Ma i loro destini si incrociano anche direttamente. Perché il Csm, raccontano fonti di palazzo Marescialli, ha autorizzato l’incarico extra-giudiziario (ovvero la consulenza a palazzo Chigi) di Roberto Rossi e la successiva proroga che ha esteso la consulenza fino al 31 dicembre. Richiesta di proroga arrivata a maggio, dunque dopo il commissariamento dell'istituto di credito.
Da sempre lo studio Fanfani è stato lo studio di riferimento di Banca Etruria, con vari presidenti. Davide Canestri è l’ultimo di una serie di clienti illustri, legati al mondo della banca. Qualche anno fa, proprio grazie alla difesa di Fanfani padre e figlio, furono assolti due direttori di una filiale dell'istituto perché “il fatto non sussiste”. L’accusa era di aver applicato tassi di interesse sopra la soglia di usura. Grazie alla difesa è stata riconosciuta la buona fede dei direttori della banca che si sarebbero sono attenuti scrupolosamente al metodo di calcolo del tasso soglia contenuto, prima del 2008, nelle circolari della Banca d’Italia e dei decreti ministeriali dell’epoca.
Lo scorso 31 ottobre a un convegno su legalità e sviluppo c’erano sia il procuratore Rossi sia Giuseppe Fanfani. L’incarico di Rossi a palazzo Chigi scade a fine anno, il 31 dicembre e prevede una retribuzione di 5000 euro lordi. Tra i documenti rivelati da ilFatto ci sono due attestazioni sull’assenza di conflitto di interessi, firmate dallo stesso Rossi. Oggi la procura di cui Rossi è a capo sta indagando su uno scandalo che può lambire Pier Luigi Boschi, già vicepresidente della Banca Etruria e padre del ministro Maria Elena. Proprio Maria Elena il 31 ottobre era l’ospite d’onore del convegno, con Rossi e Fanfani. Il Nipotissimo, da sindaco di Arezzo, è stato uno strenuo difensore della banca Etruria. Nel maggio del 2014 si schierò appassionatamente contro l’Opa della Popolare di Vicenza: “La decisione della Banca Popolare di Vicenza è inaccettabile”.
Sulla stessa posizione, al suo fianco, c’erano papà Boschi, il vicepresidente, e Lorenzo Rosi, l’ex presidente indagato per conflitto di interesse. Era il maggio del 2014. A settembre sarebbe approdato al Csm. L’operazione è stata gestita personalmente da Maria Elena Boschi e dai suoi colonnelli toscani, il segretario regionale Dario Parrini e il giovane deputato Marco Donati, che ha sempre avuto un ottimo rapporto col Nipotissimo. È il momento da tempo atteso, l’approdo a Roma in grande stile, desiderato sin da quando Francesco Rutelli lo indicò come responsabile nazionale Giustizia della Margherita facendogli coltivare il sogno del dicastero nel secondo governo Prodi. Arriva l’incarico al Csm. In quota Renzi. O meglio: in quota Arezzo.
Ecco come il Puffo fiorentino si assicura lunga vita al governo, attorniandosi di gente accondiscendente.
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