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venerdì 22 settembre 2023

ECCO QUALE SAREBBE IL PIANO DI MATTEI PER L’AFRICA.

 

                             Enrico Mattei durante il suo viaggio in Cina nel 1958. Archivio ENI

Lettera aperta al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni

Di Liliana Gorini
Presidente di Movisol, Milano

Dallo scorso gennaio, e di nuovo in aprile quando si è recata ad Addis Abeba, lei ha parlato più volte di un “piano Mattei” per l’Africa che il governo italiano si accinge a proporre. Ha fatto il nome di Enrico Mattei, l’industriale e fondatore dell’ENI a cui dobbiamo il fatto che l’Italia divenne uno dei paesi industrializzati più importanti al mondo, grazie alla sua lungimirante politica di accordi commerciali diretti coi paesi produttori, e una sapiente politica per favorire lo sviluppo economico dell’Africa e del cosiddetto “terzo mondo” e la loro indipendenza dalle Sette Sorelle e dalle potenze coloniali. Dato che lei utilizza il nome di questo grande italiano nel promuovere la sua politica verso l’Africa, e dato che anche l’Italia, come l’Africa, è vittima di un atteggiamento colonialista da parte dell’Unione Europea e di Francia e Germania, mi sembra opportuno ricordarle che cosa fece Mattei e, soprattutto, che cosa farebbe oggi se fosse ancora vivo, e non fosse stato assassinato nel 1962 proprio per la sua politica di sviluppo.

A differenza del suo governo, che prende ordini dalla NATO favorendo una folle guerra in Ucraina che rischia di portarci alla terza guerra mondiale, Enrico Mattei aprì alla Russia, alla Cina, all’Iran e a tutto il Medio Oriente, nel nome della pace e della cooperazione economica per lo sviluppo, e lavorava ad una nuova architettura di pace e sviluppo simile a quella proposta dalla signora Helga Zepp-LaRouche dello Schiller Institute.

A differenza del suo governo, che accetta il diktat degli Stati Uniti sulla politica energetica, bloccando le forniture di gas a basso prezzo dalla Russia e accettando invece quelle di gas liquido americano, che costa dieci volte tanto ed è nocivo, Enrico Mattei divenne famoso come l’ideatore della vera indipendenza energetica dell’Italia, con i suoi accordi diretti coi paesi fornitori, a cui offriva condizioni molto più favorevoli rispetto alle Sette Sorelle.

A differenza del suo governo, che taglia le pensioni e riduce gli aiuti alle famiglie povere per finanziare la sua “splendid little war” in Ucraina (per usare un’espressione cara al Segretario di Stato americano John Hay che chiede il via alle “guerre permanenti” americane contro i paesi del sud del mondo), Mattei si preoccupava del benessere dei suoi lavoratori, andava di persona a controllare che il cibo della mensa fosse adeguato e si assicurava che avessero la necessaria assistenza sanitaria. Destinava inoltre il suo stipendio ai poveri, perché non era interessato alla ricchezza personale, ma al Bene Comune del suo paese.

A differenza del suo governo, che accetta passivamente tutto quello che gli viene ordinato dall’UE e dalla NATO, Mattei era a favore di una politica di pace e di dialogo con tutti, e se oggi fosse in vita sarebbe tra i promotori, insieme alla Cina, al Papa ed ai paesi africani, di una proposta di pace tra Russia e Ucraina senza imporre condizioni, fondata sul principio del dialogo diretto che rese possibile la fine della crisi missilistica di Cuba ed una guerra nucleare nel 1962. Non dimentichiamo che Mattei incontrò John F. Kennedy, e doveva incontrarlo nuovamente a Washington quando fu ucciso, e che John F. Kennedy ammirava il suo coraggio e la sua determinazione nel promuovere la pace e lo sviluppo economico, così come ammirava Papa Giovanni XXIII la cui enciclica “Pacem in Terris” fu fondamentale per evitare una guerra mondiale, e fu tradotta in inglese su richiesta del Presidente americano.

Se oggi fosse in vita, Mattei chiederebbe quindi lo scioglimento della NATO, che da alleanza difensiva si è trasformata in un’alleanza offensiva decisa ad usare le armi nucleari, e l’adesione dell’Italia al blocco dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) che con il vertice di luglio a Johannesburg sono saliti a 11 paesi e stanno dando vita ad un nuovo sistema economico e monetario che rilanci l’idea dello sviluppo del sud del mondo, negato per decenni dall’Occidente nel nome di un “ordine basato sulle regole” che ci sta portando sull’orlo del baratro e non solo non favorisce lo sviluppo dell’Africa e del sud del mondo, ma sta mandando in rovina anche la nostra stessa economia, con sanzioni che invece di colpire Russia e Cina si ritorcono contro di noi e con una politica energetica folle, che Mattei denuncerebbe come tale.

Se desidera davvero proporre un “piano Mattei” per lo sviluppo dell’Africa, la invito quindi a studiare ciò che fece Mattei, e seguirne le orme, senza usarne il nome per attuare in realtà un “piano Meloni” con qualche accordo raffazzonato senza alcuna visione per il futuro. L’Africa ha detto chiaramente che è stufa del colonialismo, inglese, francese e olandese (quello italiano durò ben poco, era più che altro una barzelletta, ma quello inglese e francese dura tuttora ed è la causa dei colpi di stato nel Niger ed altri paesi dell’Africa centrale). L’Africa è stufa di essere un fornitore di materie prime a costo zero per le potenze coloniali, che a loro volta impediscono il suo sviluppo, anche nel nome dei presunti “cambiamenti climatici”. E si è rivolta alla Cina, alla Russia ed ai BRICS che, a differenza dell’UE, investono da anni in grandi infrastrutture.

Mattei oggi sarebbe dalla parte dei BRICS e non della NATO. Un piano Mattei per l’Africa sarà tale solo se lei prenderà esempio da Mattei facendo accordi con tutti, dialogando con tutti, senza prendere ordini da nessuno, né dall’impero britannico, né da un Presidente americano fuori di testa che crede di vincere una guerra contro la Russia, e in realtà sta perdendo su tutti i fronti, militarmente ed economicamente, come hanno ribadito numerosi esperti americani alla recente conferenza dello Schiller Institute dal titolo “uniamoci al Sud del mondo per una vera politica di sviluppo economico”.

18.09.2023

Movisol, “Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà”, è stato fondato a Milano nel 1993.

Fonte: https://movisol.org/ecco-quale-sarebbe-il-piano-di-mattei-per-lafrica/


https://comedonchisciotte.org/ecco-quale-sarebbe-il-piano-di-mattei-per-lafrica/

venerdì 23 aprile 2021

Il piano Draghi da 221 miliardi. Dal superbonus alla banda larga. -

 

Da sciogliere i nodi della governance. Le misure valgono 3 punti di Pil.


Mario Draghi porta in Consiglio dei ministri un Piano nazionale di ripresa e resilienza da 221,5 miliardi totali, di cui 191,5 riferibili al Recovery fund e 30 miliardi per finanziare le opere "extra Recovery". La spinta stimata alla crescita è di 3 punti di Pil nel 2026.

L'obiettivo, secondo le slide inviate dal ministro Daniele Franco ai colleghi ministri, è non solo "riparare i danni della pandemia" ma affrontare anche "debolezze strutturali" dell'economia italiana. Il grosso del piano è definito, con 135 linee di investimento. E l'impianto "non cambierà", sottolineano dal governo, di fronte alla mole di richieste che emerge in queste ore dai partiti. Il M5s annuncia battaglia sul Superbonus (chiesto a gran voce anche da Confindustria), ma per ora senza ottenere modifiche. Il Pd vuole vederci chiaro sulla Rete unica, FI chiede welfare per le famiglie, la Lega annuncia che presenterà in Cdm "altri progetti da aggiungere" al Pnrr.

E resta da sciogliere il nodo della governance del piano, che agita i ministri. Tutto ciò in un clima sempre più teso in maggioranza, dopo l'astensione della Lega sul decreto per le aperture. All'indomani del netto stop al tentativo di Matteo Salvini di modificare l'accordo raggiunto nel governo sulle aperture, Draghi - che descrivono seccato per quanto accaduto - registra un clima costruttivo nella riunione della cabina di regia sul Recovery che in mattinata vede al tavolo tutti i capi delegazione, incluso il leghista Giancarlo Giorgetti. Non si parla del tema aperture, che vede forte il pressing delle Regioni sulla scuola, ma è chiaro a tutti che il premier non intende tornare indietro. E in serata il decreto bollinato non presenta modifiche sostanziali rispetto a quanto approvato in Cdm, a partire dal coprifuoco. Certo, spiegano da Palazzo Chigi, il governo darà chiarimenti ai dubbi delle Regioni e ogni quindici giorni si faranno verifiche sui dati per decidere eventuali ulteriori aperture. Dunque se i dati sul contagio e sui vaccini continueranno a migliorare, il coprifuoco alle 22 non durerà fino al 31 luglio.

Ma che ci sia un problema, è opinione unanime tra gli alleati di governo. La tensione è altissima. Dal Pd trapela irritazione per il metodo leghista, di lotta e di governo: "O dentro o fuori", è il messaggio di Enrico Letta, che rilancia la proposta di un patto modello Ciampi per la corresponsabilizzazione degli alleati di governo, per cogliere l'occasione storica del Recovery. I Dem affermano che l'uscita leghista riflette la difficoltà di Salvini rispetto a Giorgia Meloni, che guadagna consensi all'opposizione. Certo, affermano fonti parlamentari di centrosinistra, non sarebbe poi così male se la Lega decidesse di uscire dal governo, lasciando con Draghi una maggioranza "Ursula", con la sola FI. Ma la risposta leghista è netta: restiamo assolutamente nel governo. Salvini e Giancarlo Giorgetti negano anche distanze tra di loro: c'è stata, assicurano i loro staff, "sintonia totale" sull'astensione in Cdm. Il tentativo è accreditarsi come interlocutore fondamentale di Draghi in maggioranza. Il leader leghista, che tiene alti i toni, fa sapere che i suoi contatti con il premier sono diretti, annuncia una nuova telefonata (a sera non risulta avvenuta). Come si possa andare avanti con continui strappi, però, ci si interroga a vari livelli nel governo. Il precedente è "grave", ha annotato Draghi. Il rischio è che lo strappo che si ripeta presto. Perché alla vigilia dell'approdo in Cdm del Recovery plan, la Lega fa trapelare irritazione per la consegna dei documenti a ridosso dell'esame e fa sapere, dopo un vertice di Salvini con i ministri, che intende aggiungere alcuni progetti al piano, raccogliendo "richieste dai territori" in particolare sulle infrastrutture. Se si fa il paio con i toni battaglieri del M5s sulla necessità di prorogare il Superbonus fino al 2023, fino a definire l'intervento "essenziale" per sostenere il Pnrr, si concretizza il rischio di un dibattito burrascoso da qui all'invio del Pnrr in Europa il 30 aprile.

Draghi nelle prossime ore farà la sua informativa in Cdm sul Pnrr e ascolterà le proposte che verranno messe sul tavolo, ma il Piano - viene sottolineato da Palazzo Chigi - nell'impianto non è destinato a cambiare. Il via libera arriverà solo dopo un secondo Consiglio dei ministri, che si svolgerà a metà della prossima settimana, dopo l'informativa che il premier svolgerà lunedì e martedì alle Camere. Italia viva, lette le tabelle del piano, esulta: "Prima era un elenco di spese, oggi è un piano per rilanciare il Paese". Ma gli altri partiti chiedono aggiustamenti, spiegando di non aver letto ancora il testo completo del Pnrr (il primo draft sarebbe stato scritto in inglese). Ci sono per la digitalizzazione 42,5 miliardi; per il Green 57 miliardi (il 30% del totale); per infrastrutture 25,3 mld; per istruzione e ricerca 31,9 mld; per inclusione e coesione con 19,1 mld; per la salute con 15,6 mld (in totale 19,7 miliardi, sommando altri fondi). Ma il Pd, rappresentato al tavolo da Andrea Orlando, chiede "attenzione alle clausole per l'occupazione delle donne e dei giovani, al Mezzogiorno, il potenziamento del progetto per l'autosufficienza, la garanzia sulla sicurezza per il cloud dei dati pubblici, la richiesta di chiarimento sulla strategia per la rete unica". Fonti di governo di FI spingono su Sud, Pa, partecipazione degli enti locali all'attuazione del piano. Leu dice no a interventi che possono portare più inquinamento. Da 'fuori', anche Confindustria chiede la proroga del Superbonus. Il dibattito è appena agli inizi.

ANSA

mercoledì 3 giugno 2020

Conte, un piano Marshall per scacciare i fantasmi. - Luca De Carolis

Conte, un piano Marshall per scacciare i fantasmi

Oggi il premier parla della ricostruzione.
Innanzitutto chiederà responsabilità e cautela, a tutti. Perché oggi le Regioni riapriranno i confini, e potrebbe bastare poco per ridare forza e artigli al coronavirus, fiaccato da settimane di chiusura e dai provvedimenti che l’avvocato diventato premier rivendica come sacrifici indispensabili. Ma oggi pomeriggio, nel suo ennesimo discorso alla nazione, sotto forma di conferenza stampa, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, proverà soprattutto a declinare il futuro: del Paese e di fatto del suo governo.
Sarà il mercoledì del suo piano Marshall, parafrasando il Sergio Mattarella che due giorni fa aveva ricordato l’immediato dopoguerra, l’Italia del 1946, invocando “un nuovo inizio” per una nazione ferita. E la chiave di Conte sarà il Recovery Plan, il piano di rilancio che aveva già illustrato in una lettera al Fatto pochi giorni fa.
Sette punti, dalla riduzione della burocrazia “con una rivoluzione culturale nella Pubblica amministrazione” al rilancio degli investimenti pubblici e privati, per arrivare agli “incentivi alla digitalizzazione, ai pagamenti elettronici e all’innovazione” e alla “transizione verso un’economia sostenibile”. Fino a processi più veloci e a una riforma del Fisco, annunciata anche dal M5S tramite una dimaiana di ferro come il viceministro all’Economia, Laura Castelli.
Tante voci e promesse per ripartire, usando come leva i miliardi che dovranno arrivare con il Recovery Fund dell’Unione europea: la benzina indispensabile ”per impostare l’ avvenire da qui a dieci anni” come dicono da Palazzo Chigi. Perché vuole mostrare di pensare in grande, il premier. Svoltata la boa dei primi due anni a Palazzo Chigi, sa che deve puntare su se stesso e su un’agenda “forte” per sottrarsi ai venti contrari, fuori e dentro la sua maggioranza. Avverte e vede movimenti traversali, il presidente che non vuole avere casacche, ma che da terzo è anche più solo, più esposto. Per questo, raccontano, ha apprezzato l’intervista di ieri di Romano Prodi a Repubblica, in cui l’ex premier lo ha difeso. “Questo governo non può cadere, non esiste alternativa”, ha sostenuto il fondatore dell’Ulivo. Duro nei confronti del presidente di Confindustria Carlo Bonomi (“Dicendo che la politica rischia di fare più danni del Covid ha pronunciato un’affermazione distruttiva”): favorevole all’entrata dello Stato in alcune aziende “indispensabili per il nostro futuro”, così da “difenderle da mire straniere”, proprio come intende fare Conte. Ma per tutelarsi l’avvocato deve mettere in campo soluzioni concrete, garantire che ha una rotta che va oltre il crinale del Covid. E da qui si torna al suo piano, che guarnirà insistendo sulla necessità di uno spirito da unità nazionale. “Ma senza appelli particolari alle opposizioni o ai partiti in generale” spiegano fonti qualificate. Conte ha evitato di commentare la manifestazione di ieri del centrodestra a Roma.
Ma da Palazzo Chigi filtra la convinzione che il corteo “sia andato in direzione opposta a quanto auspicato dal presidente della Repubblica” appena poche ore prima. E il filo che Conte e i suoi vogliono tirare è sempre quello che porta al Quirinale, il punto di riferimento del presidente del Consiglio, l’unica certezza a cui non ha mai rinunciato in due anni in cui ha cambiato maggioranza, parola d’ordine e piani. Per non cadere.

giovedì 17 dicembre 2015

PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA.



PREMESSA 

1) L'aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema.

2) Il piano tende invece a rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori. 

3) Il piano si articola in una sommaria indicazione di obiettivi, nella elaborazione di procedimenti - anche alternativi - di attuazione ed infine nell'elencazione di programmi a breve, medio e lungo termine. 

4) Va anche rilevato, per chiarezza, che i programmi a medio e lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione - successivi al restauro delle istituzioni fondamentali. 

OBIETTIVI 

1) Nell'ordine vanno indicati: 

a) i partiti politici democratici, dal PSI al PRI, dal PSDI alla DC al PLI (con riserva di verificare la Destra Nazionale) 

b) la stampa, escludendo ogni operazione editoriale, che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV va dimenticata; 

c) i sindacati, sia confederali CISL e UIL, sia autonomi, nella ricerca di un punto di leva per ricondurli alla loro naturale funzione anche al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera associazione dei lavoratori; 

d) il Governo, che va ristrutturato nella organizzazione ministeriale e nella qualità degli uomini da preporre ai singoli dicasteri; 

e) la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi; 

f) il Parlamento, la cui efficienza è subordinata al successo dell'operazione sui partiti politici, la stampa e i sindacati. 

2) Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economico-finanziario. La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo. Governo, Magistratura e Parlamento rappresentano invece obiettivi successivi, accedibili soltanto dopo il buon esito della prima operazione, anche se le due fasi sono necessariamente destinate a subire intersezioni e interferenze reciproche, come si vedrà in dettaglio in sede di elaborazione dei procedimenti 

3) Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l'eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità. Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale. 

Continua qui:

http://www.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2010/07/Il-Piano-di-rinascita-democratica-della-P2-commentato-da-Marco-Travaglio.pdf