venerdì 25 agosto 2017

Dalle onde gravitazionali primo passo verso nuova astronomia.

Dalle onde gravitazionali primo passo verso nuova astronomia (fonte: NASA Blueshift) © Ansa


Scoperti segreti dei buchi neri più distanti.

Dalle onde gravitazionali il primo passo verso la nuova astronomia, che permetterà di esplorare alcuni dei fenomeni più misteriosi dell'universo come i buchi neri. Lo indica l'analisi dei segnali registrati nel 2015 e nel 2017 che ha rivelato i segreti dei buchi neri più distanti, esterni alla Via Lattea. Pubblicata su Nature, l'analisi si deve al gruppo coordinato dall'italiano Alberto Vecchio, dell'università britannica di Birmingham, e da Ben Farr, dell'università americana di Chicago.
Per Vecchio l'astronomia gravitazionale è già reale: lo è diventata “il 14 settembre del 2015 con la prima osservazione delle onde gravitazionali” ossia le 'vibrazioni' dello spazio tempo originate da fenomeni violenti, come collisioni di buchi neri e supernovae, fino al Big Bang. “Questo studio è un esempio delle nuove informazioni che possiamo trarre sull'universo'' ha detto all'ANSA il fisico italiano. 

I ricercatori hanno analizzato i segnali prodotti durante quattro eventi di collisione fra coppie di buchi neri, esterni alla Via Lattea, e rivelati nel 2015 e nel 2017 dall'osservatorio americano Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory). I dati, ha spiegato Vecchio, sembrano confermare lo scenario secondo cui i buchi neri dei sistemi binari ''si formino in abbondanza'' dal collasso di stelle che si trovano in un ambiente molto ricco di astri, e che, ''data l'alta densità di questi corpi, due buchi neri si possano trovare sufficientemente vicini per 'catturarsi' e dar vita ad un sistema binario''.
Secondo un'altra teoria invece i buchi neri nei sistemi binari si formerebbero già in coppia: ossia nascerebbero dal collasso di due stelle molto massive che orbitano in un sistema binario. Tuttavia, per confermare l'ipotesi e riuscire a comprendere definitivamente l'origine dei buchi neri i ricercatori attendono altri dati sulle onde gravitazionali e stimano che l'analisi di altri 10 eventi potrebbe sciogliere ogni dubbio.

giovedì 24 agosto 2017

"Dopo 16 anni di errori, dall'Afghanistan dobbiamo solo andare via". Intervista al generale Franco Angioni. - Umberto De Giovannangeli



"Non dobbiamo uscire dall'Afghanistan per paura, ma per mettere a frutto le esperienze, anche negative, di questi sedici anni di errori". A sostenerlo, in questa intervista esclusiva concessa all'HuffPost, è il generale Franco Angioni, già comandante delle truppe terrestri Nato nel Sud Europa e del contingente italiano in Libano negli anni più duri della guerra civile che dilaniò il Paese dei Cedri. "L'Afghanistan così come l'Iraq c'insegnano – sottolinea Angioni – che lo strumento militare, anche quando si rivela necessario, non deve mai sostituire una strategia politica o surrogarla, perché quando è così, si producono solo disastri".
Generale Angioni, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha deciso di rilanciare la presenza militare degli Usa in Afghanistan e si accinge a chiedere anche agli alleati di seguirlo su questa strada. Dobbiamo farlo anche noi?
"Direi proprio di no. E non per viltà ma per lungimiranza. Vede, il fatto è che quando si commette un grave errore, gli errori successivi sono come le onde sussultorie di un terremoto seguito all'onda principale. Il problema dell'Afghanistan nasce nell'ottobre del 2001 e si chiama George Bush. Dopo lo choc dell'11 Settembre, la turbativa mondiale, e non solo americana, è stata grande. Ma l'errore maggiore è conseguente all'attacco alle Torri Gemelle, quando Bush, avendo individuato le cause e i colpevoli di quell'attacco, non aveva alcuna necessità di reagire in maniera massiccia, bombardando a tappeto quattro città dell'Afghanistan e uccidendo molti afghani, inconsapevoli del perché di tale tragedia. L'obiettivo dichiarato dalla Casa Bianca e dal Pentagono di quell'azione militare era di catturare due personaggi: Osama Bin Laden e il Mullah Omar. Ma per raggiungere un tale risultato non era necessario intervenire in maniera così massiccia e devastante su una popolazione inconsapevole dei motivi, quando invece sarebbe stato più opportuno e produttivo lavorare con l'intelligence al fine di punire giustamente i veri colpevoli. Cosa che è stata fatta successivamente e non attraverso operazioni massicce, invasive. Bin Laden è stato "punito" non con i bombardamenti a tappeto, ma attraverso un sistematico lavoro d'intelligence che, al momento opportuno, ha consegnato il capo di al-Qaeda nelle mani delle forze scelte statunitensi. Ma non basta. Dopo nemmeno tre anni dall'inizio dell'avventura afghana, lo stesso George Bush, decide di invadere l'Iraq. Giustizia il dittatore iracheno, Saddam Hussein, e senza una strategia politica affida il governo di questo Paese a una moltitudine di dirigenti impreparati e disonesti. Il risultato è che i seguaci di Saddam, soprattutto gli ufficiali del disciolto esercito iracheno, si riuniscono e danno spessore militare allo Stato islamico. Molto si parla e si favoleggia su Abu Bakr al-Baghadi, ingigantendone le capacità operative, invero alquanto mediocri, tralasciando il fatto che nella catena di comando militare dell'Isis il ruolo chiave l'hanno giocato gli ex ufficiali di Saddam. A questo punto una domanda sorge naturale...".
Qual è questa domanda, generale?
"Dopo 16 anni non pensiamo che sia finalmente giunto il tempo di porre fine a questa successione ininterrotta di errori politici?
La risposta, sia pure indiretta, offerta da Donald Trump non induce all'ottimismo. Qual è in merito, e sulla base della sua lunga e impegnativa carriera di comando militare, la sua opinione?
"Occorre finalmente adottare una linea politica di prospettiva e non di inutile vendetta. Nessuno mette in discussione la necessità di contrastare lo Stato islamico e quanto di esso rimane, sia in Iraq e Siria che, soprattutto, in Afghanistan, dove i talebani hanno ricevuto una potente cura ricostituente dalla dabbenaggine politica internazionale e dal sostegno di Paesi arabi e musulmani che venivano considerati alleati. L'attuale presidente degli Stati Uniti nella sua campagna elettorale tumultuosa aveva promesso di mettere la parola fine all'avventura afghana. L'opinione pubblica americana era preoccupata non tanto dal fine ma dal "come". Invece, delusione cocente, siamo costretti a constatare che queste promesse elettorali sono state tradite. Trump anche in questo è deludente. La decisione annunciata finirà per fornire benzina a un incendio che invece stava estinguendosi. E' tempo di dire basta. Il problema afghano-iracheno va risolto d'intesa con tutti i Paesi interessati e stavolta sotto la guida delle Nazioni Unite, e alla luce di una strategia di lungo termine che deve necessariamente dimostrarsi attenta ed efficace sul piano dei diritti umanitari, rinunciando a percorrere itinerari nati sull'errore politico e che nel corso di questi sedici anni hanno aggiunto errori ad errori. In Afghanistan, è bene ricordarlo, l'Italia ha pagato un alto tributo di vite umane garantendo un impegno sul campo, e questi nostri ragazzi in divisa vanno ricordati con onore e affetto. Essere alleati, sinceri e impegnati, non significa essere vassalli. A volte, dire dei "no" è prova di forza politica e non di debolezza o codardia. L'Afghanistan può essere il banco di prova"

Così cambierà l’Euribor, il tasso-guida dei mutui. - Maximilian Cellino e Marco Ferrando

Guido Ravoet (Imagoeconomica)
Guido Ravoet (Imagoeconomica)

Affidabile, più volatile ma non troppo, agganciato il più possibile alla realtà e non alle supposizioni di un manipolo di banchieri. Non è facile trovare un indice che soddisfi i tre requisiti, ma all’European Money Market Institute (Emmi) ce la stanno mettendo tutta per offrire ai mercati entro fine anno un nuovo Euribor: da tempo si ritiene inappropriato un tasso, com’era anche il Libor travolto dagli scandali, frutto di una consultazione quotidiana tra un gruppo ormai ridotto a 20 banche, e non a caso le norme europee sui benchmark prevedono che quello attualmente in uso venga pensionato entro fine 2019.
Ma serviranno almeno un paio d’anni di tempo per modificare migliaia di pagine di contratti e centinaia di algoritmi, dal momento che oggi al tasso nelle sue varie scadenze sono agganciati 180mila miliardi di euro (compresi mille miliardi di mutui): di qui l’accelerata della task force istituita a Bruxelles presso l’Emmi, l’ente che governa le sorti dell’Euribor dagli albori, dove il segretario generale, Guido Ravoet conferma che «l’obiettivo che ci siamo dati è quello di avere una versione definitiva del nuovo schema entro la fine del 2017».
Dopo aver sancito tre mesi fa (si veda Il Sole 24 Ore del 10 maggio scorso) il fallimento della sperimentazione di un possibile nuovo indice basato sulle sole transazioni di mercato, troppo sottili per arginarne la volatilità, il gruppo di lavoro si è messo all’opera pancia a terra per studiare una nuova soluzione ibrida, che consenta di «basarsi sulle transazioni quando appropriate e disponibili, e nel caso in cui non lo siano consenta di usare altri dati», dice ancora Ravoet. Da giugno, secondo quanto risulta, il gruppo di lavoro si è riunito una volta ogni due settimane, con due incontri a Bruxelles, uno a Parigi, un altro a Londra e un altro ancora a Milano, più una serie di conference call: la settimana prossima riprenderanno i lavori e per i più ottimisti già alla fine di settembre o al massimo all’inizio di ottobre si potrebbe materializzare qualche passo in avanti.
«Puntiamo ad avere la nuova metodologia pienamente in vigore entro la fine del 2019», aggiunge il segretario generale dell’Emmi. Ma il 2020 è dietro la porta, e la strada ancora lunga: fissato il nuovo indice ci sarà da sperimentarlo, poi da avviare una consultazione, ottenere il via libera dalle varie authority competenti e quindi dare il tempo alle banche di prepararsi a una rivoluzione dal punto di vista formale, ma anche sostanziale.
La riforma dell’Euribor «è una specie di ordigno», dice un banchiere interpellato da Il Sole. Una bomba che non è detto faccia danni (l’auspicio è proprio questo), ma che in ogni caso è destinata a rivoluzionare il mercato dei mutui retail e corporate, quello dei derivati nonché le norme di funzionamento delle tesorerie delle banche, che viaggiano a ruota. Il tema, in pratica, è delicatissimo e qui si fonda la necessità di uscire dalla logica per certi aspetti autoreferenziale delle “telefonate” (cioè le rilevazioni mattutine sui tassi applicati dalle singole banche), per affidarsi ai prezzi reali, cioè alle transazioni, soldi prestati o impiegati, effettivamente condotte sul mercato. «Il problema è che con l’inondazione di liquidità proveniente dalla Bce in questo momento il mercato è diventato molto sottile», spiega un funzionario di tesoreria di una media banca italiana: pochi scambi, molta volatilità. E in più un panel ormai ristretto a 20 sole banche (nel 2012 erano 44) non aiuta: anche perché 9 di esse sono europeriferiche e i tassi applicati - e segnalati ogni mattina alle 11 - inevitabilmente risentono di chi presta a chi.
Così, se una maggior volatilità rispetto a oggi sembra inevitabile, altre questioni restano aperte. «Un panel allargato sarebbe senz’altro un segnale del commitment dell’intera comunità bancaria nel processo di riforma, dal momento che ogni istituto ne fa uso», si fa notare dall’Emmi. Ma, come già accaduto in passato a più riprese, c’è chi non disdegnerebbe l’intervento diretto della Bce, se non altro vista la mole di dati quotidianamente raccolta a Francoforte. Sul punto Ravoet non si esprime puntualmente, ma ci va vicino: «Emmi giudica positivamente qualunque iniziativa da parte delle istituzioni che possa aiutare il processo di riforma», dichiara a Il Sole. Certo è che l’Emmi governa anche l’Eonia, l’indice calcolato sulle operazioni overnight (a brevissima scadenza), per il quale Bce secondo diversi osservatori potrebbe avere una qualche forma di preferenza vista - appunto - la base transazionale.
Dunque per l’Euribor, con la valanga di attivi collegati, siamo all’ultima chiamata. Se seguirà le sorti del Libor una riforma potrebbe non essere garanzia di sopravvivenza: giusto a fine luglio, il responsabile della britannica Fca, la Financial conduct authority, Andrew Bailey, ha dichiarato che la revisione non è stata soddisfacente, dunque il parametro dovrà essere pensionato entro il 2021. Con buona pace dei 350 trilioni di prodotti finanziari che si porta dietro.

mercoledì 23 agosto 2017

Siria: ong, 167 morti in raid Usa a Raqqa in 8 giorni.

Siria: ong, 167 morti in raid Usa a Raqqa in 8 giorni © AP

Bombardamenti a sostegno offensiva anti-Isis.

Sono almeno 167 i civili, di cui 59 minori, morti a partire dal 14 agosto e fino a ieri sotto i bombardamenti della Coalizione internazionale a guida Usa su Raqqa, a sostegno dell'offensiva delle forze a predominanza curda che avanzano nella città siriana per strapparla al controllo dell'Isis. Lo afferma l'ong Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus). Secondo la stessa fonte, 27 persone sono state uccise domenica e 42 ieri.


Svolta di Trump sull'Afghanistan. I talebani: 'Sarà un cimitero per gli Usa'.

 © ANSA

Plauso Nato e Kabul. Pakistan rassicura. Bannon: 'Tradimento'.


Nato e Kabul plaudono insieme all'India, il Pakistan respinge le accuse di offrire protezione ai terroristi, la Cina lo difende, la Germania mette in chiaro che non metterà un uomo in più, mentre i talebani promettono di fare dell'Afghanistan "un cimitero per l'impero americano". Sono le prime reazioni alla nuova strategia sull'Afghanistan annunciata ieri notte in diretta tv da Donald Trump, che ha promesso di rafforzare la presenza americana in base alle condizioni sul campo e senza scadenze temporali, rimangiandosi le promesse elettorali di ritirarsi dalla più lunga e costosa guerra della storia americana: 16 anni, più del Vietnam. Un dietrofront bollato come un tradimento del trumpiano 'America first' da parte di Breitbart News, il sito di ultradestra tornato sotto la guida di Steve Bannon, il chief strategist nazionalista e isolazionista della Casa Bianca silurato nei giorni scorsi.
"Il mio istinto era di ritirarsi, e storicamente mi piace seguire i miei istinti, ma in tutta la mia vita ho sentito che le decisioni sono molto differenti quando siedi dietro la scrivania dello Studio Ovale", ha esordito il tycoon per giustificare la marcia indietro, usando per una notte toni presidenziali. Poi ha spiegato cosa lo ha convinto a cambiare idea: abbandonare l'Afghanistan significherebbe lasciare un vuoto che i terroristi, dai talebani all'Isis e Al-Qaida, riempirebbero subito trasformando quel Paese in una piattaforma per attaccare gli Usa. Trump ha volutamente evitato di fornire numeri (i media parlano dell'invio di 4000 militari in aggiunta agli 8400 presenti) e piani "per non favorire il nemico".
Trump pensava di poter disporre e decidere a piacimento...non aveva capito che la sua è una figura rappresentativa agli ordini di chi comanda.
Non meravigliamoci se l'islam continuerà a farci oggetto di terrorismo, sono 17 anni che gli Usa occupano il suolo afgano e non accennano ad abbandonarlo.

lunedì 21 agosto 2017

Turisti cafoni e monnezza: anche gli alieni ci schifano. Andrea Scanzi



E’ un peccato che gli alieni non si decidano a invaderci: ci aiuterebbero oltremodo. Certo, vanno capiti. Non siamo granché appetibili ed è difficile immaginare una razza venuta peggio di quella umana. Bastano piccole cose per capirlo, anche solo farsi un giro in treno o su Twitter, tra gente che urla al telefonino coi piedi sul sedile, sgrufolatori di panini immondi che ti masticano davanti – in un abisso parossistico di orrore – e intellettuali di riferimento che scrivono cinguettii da prima elementare convinti d’esser fighi. 

Il massimo della pochezza risiede però, e probabilmente, nella cafoneria che sa raggiungere l’essere umano. Soprattutto, ma non solo, d’estate. Tralasciando per carità di patria – e di ormoni – quelli che per sentirsi vivi fanno sesso in pubblico, e a vederli hai subito voglia di astinenza orgasmica eterna, le cronache di questi giorni sono un florilegio di fenomeni allo stato brado. Una rumenta variegata e spensierata, lanciata a bomba contro la truzzeria infinita. Poveri noi: condoglianze alla decenza minima. 

Nella spiaggia rosa di Budelli, gioiello dell’Arcipelago di La Maddalena, un manipolo di furboni si è intrufolato di notte per rubare un po’ di chicchi rosa. Senz’altro, tornando a casa, quel manipolo si è sentito pure figo. Andrebbe premiato con qualche anno di galera, ma il cafone – di qualsiasi nazionalità – è così coccolato da essere quasi sempre protetto da una sostanziale impunità. 

E sono a milioni, i cafoni. A Caprera, ricordava giorni fa Nicola Pinna su La Stampa, “i vandali hanno abbattuto l’ormeggio in pietra della batteria militare di Candeo, fortezza della Seconda guerra mondiale. A colpi di mazza, cancellando un pezzo della storia militare di La Maddalena”. 
Dieci anni di prigione ascoltando Povia in filodiffusione, no? 
C’è poi chi ha svuotato un bidone intero di olio per motori all’interno della Fontana dei Tritoni di Roma, un gesto che anche solo a pensarlo andresti internato ad honorem. 

A Caserta una donna ha poi fatto il bagno seminuda nella Reggia, e dunque nella vasca di Diana e Atteone: appartiene senz’altro anche lei a quella galassia di diversamente esteti che passeggia nei centri storici vestita ancora da spiaggia. 
Costume, infradito e altri demoni. Giunti al tramonto – anzi alla putrefazione – di quel che resta dell’Occidente, non ci risulta granché dolce naufragare in questo mare di vandalismo & monnezza: è come se, in ogni suo gesto, una consistente parte di umanità dovesse ricordare a se stessa e al mondo quanto è brutta. 

E ci riesce, eh: ci riesce benissimo. Ci riesce alla grande. Ci riesce il “turista” che fa il bagno nella fontana di Trevi, e quando lo guardano è convinto che lo facciano per gli addominali (che non ha) e non per la demenza (che ha in disavanzo). E ci riescono i novelli Phelps che, con plasticità non pervenuta, si tuffano a Venezia dal ponte di Calatrava. A ogni loro respiro, siffatti eroi contemporanei intendono dar torto alle teorie evoluzionistiche di Darwin, pur non sapendo minimamente – va da sé – chi sia mai stato ‘sto Darwin. 
Solidarietà poi a Villamare nel Cilento, così bella e certo non meritevole della condanna biblica di quei “turisti” entrati in Chiesa in costume e infradito. Meritorio pure chi, ogni anno, fa puntualmente la foto di rito in Piazza del Popolo a Roma a cavallo dei leoni. Risulta poi epica e meritevole di solenne encomio la scienziata che, a Porto Pino in Sardegna, ha sciacquato la scatoletta di tonno in mare. E nel farlo si è sentita normale. Crede davvero che una cosa così sia normale. Ed è tutto lì il dramma. Ed è proprio per questo che, a invaderci, gli alieni non ci pensano proprio. (Il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2017)

http://www.andreascanzi.it/?p=5079

sabato 19 agosto 2017

A Barcellona manca solo un idraulico moldavo, poi il cast è al completo. Ma il segnale è arrivato. - Mauro Bottarelli

C’è una sola cosa che mi sento di dirvi senza timore di smentita: anche dopo la peggior notte di bisboccia, il mattino dopo ho sempre fornito versioni dell’accaduto più lineari e credibili di quelle degli inquirenti spagnoli. Sempre. Magari sbiascicando ma mai inondando di cazzate il mio interlocutore come il fiume in piena di non-sense che arriva a getto continuo dalla Catalogna. Riassumo, per quanto sia riuscito a capirci qualcosa, per sommi capi. Attorno alle 5 del pomeriggio di ieri, un furgone entra nella rambla all’altezza di Plaza de Catalunya e falcia 13 persone, lasciandone ferite sul selciato oltre un centinaio. Schiantatosi contro un chiosco, dal van esce una persona con una camicia bianca a righe azzurre, qualcuno dice che stia ridendo e si dilegua.
Prima certezza. chi guidava il furgoncino della strage, l’esecutore materiale, è sparito. In compenso, fioccano i comprimari come in un film di Woody Allen: prima è un solo complice, con il quale il guidatore fuggitivo si sarebbe asserragliato in un ristorante turco con alcuni ostaggi, pare il personale. Balla. Poi, gli attentatori diventano quattro: uno in fuga, due arrestati e un morto. Poi, altro colpo di scena: nella migliore tradizione, dentro il furgone viene trovato un passaporto, spagnolo ma con identità araba: si tratterebbe di un cittadino di origine maghrebina ma residente a Marsiglia. Et voilà, compare all’orizzonte la pista del radicalismo francese. Il titolare della carta, però, vistosi tirato in ballo, va dalla polizia a dire che non c’entra un cazzo e che gli hanno rubato i documenti, poi utilizzati per noleggiare il van della strage. Sarebbe stato il fratello.
Nel frattempo, a Barcellona è caccia all’uomo. Anzi, agli uomini. Anzi, no, perché alle 20 la polizia autorizza tutti a uscire dai luoghi pubblici in cui avevano trovato rifugio durante l’emergenza, la rambla parzialmente riapre. E l’autista? E il presunto complice del ristorante? Sa il cazzo, spariti. Comincia la danza macabra della contabilità di morti e feriti, cominciano le dichiarazioni ufficiali di solidarietà dal mondo intero, si spegne la Torre Eiffel. Insomma, la solita menata. Si va a dormire con il computo fermo a 13 morti e oltre 100 feriti, 15 dei quali gravi. Ma, colpo di scena, attorno all’una di notte scatta una seconda parte del presunto piano terroristico, questa volta a un centinaio di chilometri da Barcellona, a Cambrils, di fatto la Pinarella di Cervia di Tarragona: chi non va a immolarsi lì per trovare gloria eterna, santo cielo!
I morti sarebbero 5, tutti terroristi che avrebbero cercato di emulare il commando di Barcellona, facendo però solo 7 feriti, tre dei quali pare poliziotti. Tre sono anche le versioni che danno altrettanti quotidiani spagnoli dell’accaduto: due terroristi sarebbero stati ammazzati in uno scontro a fuoco e tre all’interno del van; tutti e cinque uccisi all’interno del van; quattro morti, di cui due per ferite di armi da taglio e uno in fuga. Anche qui, chiarezza assoluta. In compenso la notte folle di Cambrils ha un elemento in comune: i cinque terroristi avrebbero tutti indossato cinture da kamikaze. Finte, ovviamente.
Ora, capite da soli che mancano solo un trapezista uzbeko e un odontotecnico macedone e il quadro di questa caccia all’uomo pare completo. C’è tutto: il furgone-killer, l’autista in fuga, il passaporto, lo scambio di persona, il secondo commando e i kamikaze annientati. Roman Polanski pagherebbe oro per l’esclusiva. Ovviamente, l’Isis ha rivendicato l’atto come opera di suoi soldati. Lo ha fatto un po’ alla cazzo, però, tipo conferenza stampa per l’addio al calcio di Antonio Cassano: prima sì, poi no, poi la versione ufficiale. Ormai anche SITE di Rita Katz fatica a credere alle cazzate che spara e tende a scordarsi le rivendicazioni, salvo metterci pezze ben peggiori del buco. Insomma, abbiamo un clamoroso caso di violazione di una zona interdetta da parte di un furgone killer e poi una serie di eventi che definire quantomeno poco chiari è dir poco.
Ci sono i morti e i feriti, per carità: lungi da me mettere in campo tesi tipo quelle dei figuranti pagati o dei manichini con il succo di pomodoro addosso. Resta il fatto che lasciar fare a un mezzo squinternato – come al solito, noto alla polizia – equivale a non aver fatto il proprio dovere: non credo minimamente al fatto che la polizia catalana sia precipitata in un vortice di errori e incapacità tali. A meno che, stante l’approssimarsi del referendum sull’indipendenza da Madrid e il rischio di nuove elezioni anticipate, qualcuno non si sia divertito a far fare loro una bella figura di merda in mondovisione, dimostrando inconsciamente come sia necessario stare uniti per vincere la minaccia terroristica. La quale era pressoché sparita, dopo un paio di colpi di coda tutti da ridere in Francia (tipo l’attentatore in retromarcia che arriva indisturbato davanti alla sede dell’antiterrorismo), salvo ora ritornare in grande stile.
Ah, dimenticavo: uno dei fermati/latitanti – visto che non si capisce un cazzo, inserisco entrambe i ruoli – sarebbe di Medilla, una delle due enclave spagnole in Marocco sotto assedio dalla nuova tratta dei migranti, la quale dopo mesi e mesi di fedeltà al Mediterraneo, ha stranamente deciso di cambiare rotta nelle ultime due settimane, scegliendo la penisola iberica come meta dei viaggi di fine stagione. Nel caso a Ceuta e Medilla, nelle prossime settimane, servisse usare il pugno duro – magari anche con scafisti e ONG – chi potrebbe dire nulla, a fronte di un sospettato e 13 morti sul marciapiedi?
E poi, culmine dei culmini, ecco che due mesi fa la CIA avrebbe avvisato le autorità catalane proprio del forte rischio di un attentato sulle Ramblas durante l’estate. E i catalani? Niente, duri come il muro: e adesso si piangono vittime e inseguono fantasmi in camicia bianca a righe azzurre. Incredibilmente, l’avviso della CIA è stata la seconda notizia giunta ieri da Barcellona, dopo quella del camion sulla folla: che tempismo, trattandosi di materiale d’intelligence, non vi pare? D’altronde, ultimamente con il tempismo e i servizi gli americani ci vanno forte, basti vedere il caso Regeni, riesploso dalla sera alla mattina nella noia sudaticcia di Ferragosto. Ma attenzione, perché come ci mostra questo video tratta dalla diretta,della CNN di ieri pomeriggio
spesso anche le cose raffazzonate, possono risultare utili: soprattutto quando una delle principali tv del mondo scende così in basso da mettere in relazione diretta quanto accaduto a Charlottesville e sta grigliando il presidente USA fra le critiche con l’attacco a Barcellona, dicendo che i perpetratori di quest’ultimo avrebbero forse preso esempio dai suprematisti in azione in Virginia. Insomma, in prime time, l’americano medio, il quale non sa nemmeno dove stia Barcellona, viene indottrinato sul rischio che quanto sta accadendo in America attorno ai monumenti confederati possa addirittura ispirare gli atti di terrore dell’Isis. E tranquilli, nessuno – di fronte a quei corpi sul marciapiedi – si chiederà come mai, di colpo, i miliziani dello Stato islamico abbiano deciso di venir meno a una delle loro regole numero uno, ovvero applicare il martirio a ogni loro azione. A Barcellona, nessuno era intenzionato a morire.
Two things corporate media consistently does.
1) Scare people
2) Convince them to give up liberties to fight the enemy du jour.
Anche perché, al netto delle chiacchiere dei presunti “esperti anti-terrorismo” che parlano di un reticolo di contatti e cellule ben radicate nel territorio, a Barcellona sono morti solo civili: l’autista è in fuga e gli altri presunti membri del commando non si sa bene quale fine abbiano fatto. Né, se esistano. I cinque di Cambrils, poi, se è andata come dicono, più che terroristi erano partecipanti a un addio al celibato con sorpresa, finito male. Occorreva dare un po’ di adrenalina da paura all’Europa, adagiatasi troppo sulla sua ritrovata serenità post-elezioni francesi? Serve aprire un fronte spagnolo del timore radicalista e dei foreign fighters? Bisogna minare alla radice il referendum sull’indipendenza di Barcellona da Madrid? Bisogna tenere vivo lo spaventa-folle chiamato Isis in Europa, dopo le debacle sul campo in Siria e Iraq?

O magari fiaccare lo spirito che in febbraio ha portato in piazza, proprio a Barcellona, 200mila persone per dire sì all’arrivo di migranti, in nome dell’accoglienza e della solidarietà? E non perché i migranti non siano un problema, anzi ma perché occorre creare nell’opinione pubblica un clima particolare proprio in certe roccaforti dell’immaginario collettivo liberale, quale Barcellona è. Chissà, può essere tutto e può essere nulla. Ma quando si parla senza il minimo dubbio di reticolati di contatti e commando jihadisti sul territorio a fronte di un autista-killer sparito nel nulla, il dubbio che quelle lacrime e quei volti straziati dalla paura siano strumentali a qualcosa, sorge davvero spontaneo. E si staglia nitido. Come un documento nella cabina di un van. Perché ricordatevi che la paura deve essere il vostro unico Dio.