Mentre attendiamo le scuse dei finti patrioti che una settimana fa ci insultavano per i nostri titoli sulle “Notti magiche inseguendo il Covid” e sulla “Trattativa Stato-Bonucci”, mentre l’assessore laziale alla Sanità attribuisce all’“effetto Gravina” il boom di nuovi contagiati e ricoveri in ospedale per i folli festeggiamenti legittimati da SuperMario (“Con quella Coppa possono fare ciò che vogliono”), concludiamo il racconto del Consiglio Europeo di un anno fa, quando Conte portava a casa 209 miliardi e i veri anti-italiani rosicavano di brutto. Vedi mai che qualcuno capisca la differenza tra tifare contro il proprio Paese e mantenere la lucidità (e la salute) dinanzi a undici tizi in mutande (più riserve).
Il 22 luglio 2020, al suo ritorno dalla battaglia vinta a Bruxelles, Conte viene elogiato persino da B. (“Accordo buono”), Meloni (“Abbiamo tifato Italia, poteva andare meglio, ma Conte è uscito in piedi”) e financo Renzi (“Conte in Europa ha lavorato bene”). Solo Salvini non ce la fa proprio (“È una superfregatura grossa come una casa, una resa senza condizioni alle scelte della Commissione”). Mattarella riceve il premier al Quirinale e si congratula, così come la stampa e le cancellerie estere. Ma i giornali italiani sono un mondo a parte: confondono gli sporchi interessi dei loro padroni con la realtà e non permettono ai fatti di disturbare i loro pregiudizi. Trovare il nome del premier su una prima pagina è un’impresa disperata, per esperti di nanoparticelle armati di microscopio elettronico.
Sambuca Molinari, su Repubblica, in evidente imbarazzo dopo le centurie alla Nostradamus dei giorni precedenti (“Sul ring europeo con le mani legate”, “Ue, l’Italia all’angolo”), scrive come se Conte a Bruxelles non fosse neppure presente: “Dopo 5 giorni di maratona negoziale (che poi sono 4, ndr) la battaglia di Bruxelles… si è conclusa con un successo del fronte franco-tedesco… La maratona mozzafiato… ha visto Francia e Germania determinate… contro i Paesi ‘frugali’… e sovranisti”. L’Italia non c’era. Sempre su Rep, Stefano Folli è nero di lutto e verde di bile: quella pippa di Conte “ha ottenuto solo in parte quello che ha chiesto (36,5 miliardi in più del previsto, ndr), ma vanterà in ogni caso una vittoria”. Roba da matti. Ma c’è ancora speranza che cada: “C’è una precisa discriminante ed è il Mes… Conte spera ancora di farne a meno, ma è difficile”. Infatti non prenderà il Mes né Conte né Draghi. Segue straziante appello a chi di dovere per “evitare che sia Conte a gestire in solitudine o quasi la leva di potere creata dal Recovery”.
Anche Massimo Franco, sul Corriere, è affranto per l’esultanza di Conte e del governo.
Quindi devono “evitare la tentazione più insidiosa: il trionfalismo”, perché sì, Conte ha “confermato le sue doti di negoziatore” e “ha scelto le sponde continentali giuste nella penombra dei consigli del Quirinale” (senza Mattarella, si sarebbe alleato ai frugali), ma “senza l’appoggio tedesco e francese, il risultato sarebbe stato ben diverso”. In effetti, se la partita l’avesse giocata Rutte da solo, avrebbe vinto l’Olanda. Ora Conte si guardi dal “rischio concreto” dell’“ideologia grillina” contro il Mes (sempre sia lodato). I noti economisti di Libero non riescono a riaversi: “Festeggiano Conte perché ci indebita” (Senaldi), “Occhio alla fregatura. Non illudetevi, alla fine pagheremo noi” (Feltri), “Conte lecca Berlusconi e teme l’ira popolare quando emergeranno le bugie sul Recovery” (Farina). C’è pure Facci, inconsolabile, che si sfoga come può ripescando dalla preistoria un incidente stradale del 1981: “Grillo, la vera storia dell’incidente mortale”. Apperò. Alla Verità sono sull’orlo del suicidio: “L’Ue ci presta i soldi (nostri) ma solo dall’anno prossimo” (Belpietro), “Da dove viene quel denaro? Guardate nei salvadanai” (Veneziani). Sul Giornale, l’autorevole Minzolingua rivela: “Il governo rischia il crac sui fondi Ue” perché “è il governo delle marchette” (bei tempi quelli delle nipoti di Mubarak, delle igieniste dentali e delle marchette a spese della Rai).
Per trovare un po’ di obiettività bisogna andare all’estero. Il 23 luglio Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia, in un lungo articolo sul New York Times porta il governo Conte a modello per gli Usa: “Perché l’America di Trump non può essere come l’Italia?”. “Dopo una terribile partenza, l’Italia si è mossa rapidamente per fare ciò che era necessario contro il Covid. Ha imposto restrizioni molto severe e vi si è attenuta. Gli aiuti del governo hanno sostenuto i lavoratori e le imprese… In un caso estremo di ‘non trumpismo’, il primo ministro si è persino scusato per i ritardi negli aiuti. E soprattutto l’Italia ha schiacciato la curva: ha mantenuto il blocco finché i casi sono diventati relativamente pochi ed è stata cauta riguardo alla riapertura… L’America avrebbe potuto seguire la stessa strada, ma Trump ha spinto per una rapida riapertura, ignorando gli epidemiologi… Oggi gli americani possono solo invidiare il successo dell’Italia… Che viene spesso definita ‘il malato d’Europa’. Ma, se è così, noi cosa siamo allora?”. Il 26 luglio, mentre Cassese sul Corriere paragona Conte a Orbán, El País lo elogia come l’ex “sconosciuto e sottovalutato”, il “figlio dell’emergenza” divenuto “protagonista dell’Europa”. Ma quelli, non essendo italiani, sono giornali veri.
(4 – fine)
ILFQ