Nella «lista nera» dell'ex tesoriere oltre a Maroni, Reguzzoni e Giorgetti. Archiviate anche foto, forse frutto di pedinamenti.
REGGIO CALABRIA - Dossier illegali per ricattare uomini della Lega. Documenti riservati, fotografie e altre informazioni segrete che Francesco Belsito custodiva nei files dei suoi personal computer. L'inchiesta sul tesoriere della Lega Nord accusato di riciclaggio e appropriazione indebita arriva a una svolta che potrebbe rivelarsi decisiva. Gli investigatori della Dia hanno recuperato il materiale informatico e adesso sono sulle tracce di un conto cifrato svizzero che il gestore contabile del Carroccio avrebbe utilizzato per alcuni investimenti. Si tratta di un deposito messo a disposizione dagli uomini che risultano emissari della 'ndrangheta a Milano, i procacciatori d'affari della «cosca De Stefano». Le verifiche già disposte dal pubblico ministero antimafia di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo dimostrano quanto stretto fosse il collegamento tra Belsito e il gruppo criminale. E quanto forte fosse diventata la loro capacità di infiltrazione nelle istituzioni con accessi illeciti alle banche dati degli Enti e il procacciamento di atti da usare contro gli avversari politici. Nella «lista nera» dell'ex tesoriere non c'erano soltanto Roberto Maroni e i suoi «barbari sognanti». Anche Marco Reguzzoni e Giancarlo Giorgetti sarebbero stati spiati.
Le commesse estere
Il sistema di archiviazione utilizzato da Belsito prevedeva la creazione di un sito internet al quale lui e i suoi presunti complici potevano accedere utilizzando la stessa password. In questo modo evitavano spedizioni di posta elettronica che avrebbero potuto essere intercettate. Proprio analizzando il contenuto di questi "faldoni informatici" gli specialisti della Dia e della polizia postale hanno rintracciato atti che riguardano appalti esteri ottenuti da Finmeccanica e Fincantieri, l'azienda di costruzioni navali di cui Belsito è stato vicepresidente. Carte coperte dal segreto che rivelano il procacciamento di informazioni preziose come i costi di gestione, i nomi dei mediatori scelti per le trattative, i manager impegnati, gli eventuali collegamenti di questi ultimi con uomini politici, le autorità straniere coinvolte negli affari. Dati "sensibili" che in alcune circostanze potrebbero essere addirittura coperti dal segreto di Stato visto che queste aziende si occupano di armamenti e di altre sofisticate apparecchiature impiegate nei sistemi di difesa.
Una mole impressionante di notizie che il tesoriere avrebbe acquisito grazie al proprio ruolo istituzionale, ma anche attraverso chiavi di accesso ottenute in maniera illegale. L'analisi del materiale informatico dimostra intrusioni abusive, ma il sospetto degli inquirenti è che Belsito abbia potuto contare anche su "talpe" interne alle aziende disposte a fornirgli materiale riservato. Certamente ha condiviso una parte di queste informazioni con Romolo Girardelli, conosciuto come "l'ammiraglio", il procacciatore d'affari della "cosca De Stefano" con il quale aveva creato una società a Genova; e ha potuto contare sulle ricerche effettuate da un investigatore privato che aveva assoldato negli ultimi mesi. Probabilmente lo stesso che si era occupato della «pratica Maroni». I contatti intercettati rivelano anche la collaborazione di un appartenente alle forze dell'ordine che poteva consultare gli archivi di polizia e degli uffici giudiziari e sul ruolo di questa persona sono state disposte ulteriori verifiche.
Il sistema di archiviazione utilizzato da Belsito prevedeva la creazione di un sito internet al quale lui e i suoi presunti complici potevano accedere utilizzando la stessa password. In questo modo evitavano spedizioni di posta elettronica che avrebbero potuto essere intercettate. Proprio analizzando il contenuto di questi "faldoni informatici" gli specialisti della Dia e della polizia postale hanno rintracciato atti che riguardano appalti esteri ottenuti da Finmeccanica e Fincantieri, l'azienda di costruzioni navali di cui Belsito è stato vicepresidente. Carte coperte dal segreto che rivelano il procacciamento di informazioni preziose come i costi di gestione, i nomi dei mediatori scelti per le trattative, i manager impegnati, gli eventuali collegamenti di questi ultimi con uomini politici, le autorità straniere coinvolte negli affari. Dati "sensibili" che in alcune circostanze potrebbero essere addirittura coperti dal segreto di Stato visto che queste aziende si occupano di armamenti e di altre sofisticate apparecchiature impiegate nei sistemi di difesa.
Una mole impressionante di notizie che il tesoriere avrebbe acquisito grazie al proprio ruolo istituzionale, ma anche attraverso chiavi di accesso ottenute in maniera illegale. L'analisi del materiale informatico dimostra intrusioni abusive, ma il sospetto degli inquirenti è che Belsito abbia potuto contare anche su "talpe" interne alle aziende disposte a fornirgli materiale riservato. Certamente ha condiviso una parte di queste informazioni con Romolo Girardelli, conosciuto come "l'ammiraglio", il procacciatore d'affari della "cosca De Stefano" con il quale aveva creato una società a Genova; e ha potuto contare sulle ricerche effettuate da un investigatore privato che aveva assoldato negli ultimi mesi. Probabilmente lo stesso che si era occupato della «pratica Maroni». I contatti intercettati rivelano anche la collaborazione di un appartenente alle forze dell'ordine che poteva consultare gli archivi di polizia e degli uffici giudiziari e sul ruolo di questa persona sono state disposte ulteriori verifiche.
I ricatti ai politici
Si tratta di personaggi che, soprattutto negli ultimi mesi, compaiono spesso al fianco di Belsito. Lo scorso gennaio, quando il quotidiano di Genova "Il Secolo XIX" svela gli investimenti dei fondi della Lega in Tanzania e a Cipro, numerosi esponenti del partito chiedono conto al vertice di quanto sta accadendo. Sono le conversazioni telefoniche e ambientali a rivelare le preoccupazioni di Umberto Bossi e dei fedelissimi inseriti nel "cerchio magico" come Rosi Mauro, per le ricadute che la vicenda potrà avere sul movimento e soprattutto sulla leadership. Ma consentono anche di ricostruire le "pressioni" di alcuni esponenti di primo piano del Carroccio - ad esempio Roberto Castelli - su Belsito affinché scopra le carte e spieghi come ha gestito il denaro proveniente dai rimborsi elettorali e dal tesseramento. L'esame dei files ha consentito di scoprire come in quei giorni Belsito abbia intensificato la propria attività di raccolta di notizie e dunque di dossieraggio su coloro che ne sollecitavano le dimissioni.
Nel mirino entrano Maroni e i suoi collaboratori più stretti. Ma non solo. La raccolta di dati riservati riguarda molte altre persone: tra i nomi già emersi ci sono quelli di Reguzzoni e Giorgetti. Si tratta di materiale che, dicono gli investigatori, è stato certamente ottenuto utilizzando strumenti illeciti. Nei files archiviati ci sono fotografie e ciò fa presumere che gli esponenti politici possano essere stati pedinati, o comunque tenuti sotto controllo. Il resto degli elementi raccolti attraverso intrusioni illegali nei sistemi, riguarda aspetti della loro vita privata, con ricerche effettuate nelle banche dati dell'Agenzia delle Entrate, del Catasto, della Camera di Commercio e di altri Enti per conoscere l'entità dei redditi, le proprietà immobiliari e societarie, eventuali partecipazioni in aziende. Si tratta di informazioni riservate e spesso coperte dalla legge sulla privacy servite a costruire i dossier che, sostiene l'accusa, servivano a ricattare i nemici, a tenerli in scacco.
Si tratta di personaggi che, soprattutto negli ultimi mesi, compaiono spesso al fianco di Belsito. Lo scorso gennaio, quando il quotidiano di Genova "Il Secolo XIX" svela gli investimenti dei fondi della Lega in Tanzania e a Cipro, numerosi esponenti del partito chiedono conto al vertice di quanto sta accadendo. Sono le conversazioni telefoniche e ambientali a rivelare le preoccupazioni di Umberto Bossi e dei fedelissimi inseriti nel "cerchio magico" come Rosi Mauro, per le ricadute che la vicenda potrà avere sul movimento e soprattutto sulla leadership. Ma consentono anche di ricostruire le "pressioni" di alcuni esponenti di primo piano del Carroccio - ad esempio Roberto Castelli - su Belsito affinché scopra le carte e spieghi come ha gestito il denaro proveniente dai rimborsi elettorali e dal tesseramento. L'esame dei files ha consentito di scoprire come in quei giorni Belsito abbia intensificato la propria attività di raccolta di notizie e dunque di dossieraggio su coloro che ne sollecitavano le dimissioni.
Nel mirino entrano Maroni e i suoi collaboratori più stretti. Ma non solo. La raccolta di dati riservati riguarda molte altre persone: tra i nomi già emersi ci sono quelli di Reguzzoni e Giorgetti. Si tratta di materiale che, dicono gli investigatori, è stato certamente ottenuto utilizzando strumenti illeciti. Nei files archiviati ci sono fotografie e ciò fa presumere che gli esponenti politici possano essere stati pedinati, o comunque tenuti sotto controllo. Il resto degli elementi raccolti attraverso intrusioni illegali nei sistemi, riguarda aspetti della loro vita privata, con ricerche effettuate nelle banche dati dell'Agenzia delle Entrate, del Catasto, della Camera di Commercio e di altri Enti per conoscere l'entità dei redditi, le proprietà immobiliari e societarie, eventuali partecipazioni in aziende. Si tratta di informazioni riservate e spesso coperte dalla legge sulla privacy servite a costruire i dossier che, sostiene l'accusa, servivano a ricattare i nemici, a tenerli in scacco.
Il conto svizzero cifrato
In questa partita giocata dal tesoriere un ruolo chiave sembra averlo avuto Girardelli. Gli interrogatori dei testimoni hanno consentito di scoprire che i rapporti tra quest'ultimo e la Lega non sono cominciati con la nomina dello stesso Belsito, ma ben prima, quando la cassa del partito era gestita da Maurizio Balocchi. In particolare è stata l'ex dipendente del settore contabilità di via Bellerio Helga Giordano, interrogata nuovamente ieri, a ricordare le visite dell'"ammiraglio" nella sede del partito. Sarebbe stato proprio Girardelli a metterebbe in contatto Belsito con Bruno Mafrici, l'avvocato calabrese con studio in via Durini a Milano, accusato di aver riciclato attraverso commesse pubbliche e transazioni private i soldi della 'ndrangheta. Tra i soci del legale figura anche Pasquale Guaglianone, condannato con sentenza definitiva per appartenenza ai Nar, i Nuclei armati rivoluzionari dell'estrema destra. Entrambi risultano aver avuto rapporti con il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti.
La scorsa settimana Mafrici è stato interrogato dal pubblico ministero Giuseppe Lombardo e ha dato la sensazione di voler "scaricare" Belsito. Quando gli sono stati chiesti chiarimenti su operazioni finanziarie comuni, l'avvocato ha dichiarato: «Belsito mi chiese di poter investire soldi all'estero e io gli misi a disposizione almeno dieci faccendieri di mia fiducia che avrebbero potuto aiutarlo ad operare in Svizzera, in particolare a Lugano». Nelle carte già acquisite dal magistrato ci sono tracce che fanno ipotizzare passaggi di denaro per un totale di almeno 50 milioni di euro. Soldi della Lega, ma non solo. Il sospetto è che quello stesso deposito cifrato possa essere stato utilizzato da tesoriere del Carroccio e dalla 'ndrangheta. Per questo nei prossimi giorni la Procura di Reggio Calabria inoltrerà una richiesta di rogatoria alle autorità svizzere per chiedere di interrogare i mediatori indicati da Mafrici e soprattutto di visionare la documentazione bancaria.
In questa partita giocata dal tesoriere un ruolo chiave sembra averlo avuto Girardelli. Gli interrogatori dei testimoni hanno consentito di scoprire che i rapporti tra quest'ultimo e la Lega non sono cominciati con la nomina dello stesso Belsito, ma ben prima, quando la cassa del partito era gestita da Maurizio Balocchi. In particolare è stata l'ex dipendente del settore contabilità di via Bellerio Helga Giordano, interrogata nuovamente ieri, a ricordare le visite dell'"ammiraglio" nella sede del partito. Sarebbe stato proprio Girardelli a metterebbe in contatto Belsito con Bruno Mafrici, l'avvocato calabrese con studio in via Durini a Milano, accusato di aver riciclato attraverso commesse pubbliche e transazioni private i soldi della 'ndrangheta. Tra i soci del legale figura anche Pasquale Guaglianone, condannato con sentenza definitiva per appartenenza ai Nar, i Nuclei armati rivoluzionari dell'estrema destra. Entrambi risultano aver avuto rapporti con il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti.
La scorsa settimana Mafrici è stato interrogato dal pubblico ministero Giuseppe Lombardo e ha dato la sensazione di voler "scaricare" Belsito. Quando gli sono stati chiesti chiarimenti su operazioni finanziarie comuni, l'avvocato ha dichiarato: «Belsito mi chiese di poter investire soldi all'estero e io gli misi a disposizione almeno dieci faccendieri di mia fiducia che avrebbero potuto aiutarlo ad operare in Svizzera, in particolare a Lugano». Nelle carte già acquisite dal magistrato ci sono tracce che fanno ipotizzare passaggi di denaro per un totale di almeno 50 milioni di euro. Soldi della Lega, ma non solo. Il sospetto è che quello stesso deposito cifrato possa essere stato utilizzato da tesoriere del Carroccio e dalla 'ndrangheta. Per questo nei prossimi giorni la Procura di Reggio Calabria inoltrerà una richiesta di rogatoria alle autorità svizzere per chiedere di interrogare i mediatori indicati da Mafrici e soprattutto di visionare la documentazione bancaria.
Il direttore di Arner
Secondo Nadia Dagrada, segretaria amministrativa della Lega, nello studio di via Durini Belsito aveva a disposizione una stanza. Gli inquirenti stanno cercando di scoprire perché il tesoriere del Carroccio avesse deciso di usufruirne, visto che a Milano la sua sede era in via Bellerio. In realtà il sospetto è che proprio lì svolgesse incontri riservati, attività che faceva figurare come svolte per la Lega, ma che in realtà servivano a gestire il denaro dei personaggi collegati alla 'ndrangheta. In questo quadro viene inserita una riunione che si sarebbe svolta nel febbraio scorso.
È il periodo di massima allerta per Belsito che ha urgenza di recuperare le somme investite in Tanzania e a Cipro: oltre sette milioni di euro portati all'estero attraverso due distinte operazioni finanziarie. Il partito reclama il rientro dei capitali, il tesoriere chiede aiuto a Stefano Bonet, l'imprenditore ora indagato insieme a lui per riciclaggio. E l'interlocutore è categorico: «Gli unici che possono aiutarti sono quelli di Arner». Si tratta della banca diventata famosa perché il suo conto numero uno è intestato a Silvio Berlusconi e tutti i "fedelissimi" del Cavaliere - da Cesare Previti a Salvatore Sciascia, il direttore dei servizi fiscali del gruppo Fininvest condannato in via definitiva dalla Cassazione a 2 anni e 6 mesi per la corruzione di alcuni ufficiali della Guardia di Finanza - hanno un deposito aperto presso l'istituto. Belsito decide di provarci e qualche giorno dopo viene organizzato un incontro con il direttore di Arner Italia proprio nello studio di via Durini. Non si sa che cosa sia accaduto, quali accordi siano stati presi, ma l'operazione comunque salta perché poco dopo scattano le perquisizioni e la Lega viene travolta dalle inchieste avviate dalle Procura di Milano, Reggio Calabria e Napoli.
Secondo Nadia Dagrada, segretaria amministrativa della Lega, nello studio di via Durini Belsito aveva a disposizione una stanza. Gli inquirenti stanno cercando di scoprire perché il tesoriere del Carroccio avesse deciso di usufruirne, visto che a Milano la sua sede era in via Bellerio. In realtà il sospetto è che proprio lì svolgesse incontri riservati, attività che faceva figurare come svolte per la Lega, ma che in realtà servivano a gestire il denaro dei personaggi collegati alla 'ndrangheta. In questo quadro viene inserita una riunione che si sarebbe svolta nel febbraio scorso.
È il periodo di massima allerta per Belsito che ha urgenza di recuperare le somme investite in Tanzania e a Cipro: oltre sette milioni di euro portati all'estero attraverso due distinte operazioni finanziarie. Il partito reclama il rientro dei capitali, il tesoriere chiede aiuto a Stefano Bonet, l'imprenditore ora indagato insieme a lui per riciclaggio. E l'interlocutore è categorico: «Gli unici che possono aiutarti sono quelli di Arner». Si tratta della banca diventata famosa perché il suo conto numero uno è intestato a Silvio Berlusconi e tutti i "fedelissimi" del Cavaliere - da Cesare Previti a Salvatore Sciascia, il direttore dei servizi fiscali del gruppo Fininvest condannato in via definitiva dalla Cassazione a 2 anni e 6 mesi per la corruzione di alcuni ufficiali della Guardia di Finanza - hanno un deposito aperto presso l'istituto. Belsito decide di provarci e qualche giorno dopo viene organizzato un incontro con il direttore di Arner Italia proprio nello studio di via Durini. Non si sa che cosa sia accaduto, quali accordi siano stati presi, ma l'operazione comunque salta perché poco dopo scattano le perquisizioni e la Lega viene travolta dalle inchieste avviate dalle Procura di Milano, Reggio Calabria e Napoli.
Gli immobili a Cap d'Antibes
La divisione dei fascicoli appare ormai definita: mentre in Lombardia ci si concentra sui soldi utilizzati per pagare i conti della famiglia di Umberto Bossi e di altri politici del Carroccio, in Campania viene esplorata la pista delle commesse internazionali di Finmeccanica e in Calabria quella dei rapporti con la criminalità organizzata. Il pubblico ministero Lombardo ha interrogato ieri il "pentito" di 'ndrangheta Luigi Bonaventura che vive sotto protezione. Altri collaboratori di giustizia potrebbero essere ascoltati nelle prossime settimane.
Al centro delle verifiche c'è il ruolo di Girardelli e i rapporti con i tesorieri della Lega per scoprire se anche loro possano essere stati coinvolti in alcuni investimenti immobiliari effettuati in Costa Azzurra, in particolare a Cap d'Antibes, per conto della «cosca De Stefano». Si tratta di operazioni da milioni di euro servite soprattutto a riciclare denaro proveniente dai traffici illeciti e in questo caso si deve verificare se gli esponenti politici possano essere stati utilizzati come «copertura» e per fornire garanzie.
La divisione dei fascicoli appare ormai definita: mentre in Lombardia ci si concentra sui soldi utilizzati per pagare i conti della famiglia di Umberto Bossi e di altri politici del Carroccio, in Campania viene esplorata la pista delle commesse internazionali di Finmeccanica e in Calabria quella dei rapporti con la criminalità organizzata. Il pubblico ministero Lombardo ha interrogato ieri il "pentito" di 'ndrangheta Luigi Bonaventura che vive sotto protezione. Altri collaboratori di giustizia potrebbero essere ascoltati nelle prossime settimane.
Al centro delle verifiche c'è il ruolo di Girardelli e i rapporti con i tesorieri della Lega per scoprire se anche loro possano essere stati coinvolti in alcuni investimenti immobiliari effettuati in Costa Azzurra, in particolare a Cap d'Antibes, per conto della «cosca De Stefano». Si tratta di operazioni da milioni di euro servite soprattutto a riciclare denaro proveniente dai traffici illeciti e in questo caso si deve verificare se gli esponenti politici possano essere stati utilizzati come «copertura» e per fornire garanzie.
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