Guadagnano fino a 600mila euro l'anno e costano 108 milioni di euro. Il ministro Mogherini annuncia un ddl per ridurre gli stipendi d'oro della diplomazia. Ma la riforma, a conti fatti, potrebbe portare ulteriori vantaggi alla categoria e maggiori costi per lo Stato grazie a pensioni ancora più alte.
Guadagnano fino a 600mila euro l’anno e di retribuzioni ne hanno due, quella a Roma e quella all’estero. Ma ora la musica cambia per tutti. “Basta stipendi d’oro agli ambasciatori d’Italia”, ha promesso il ministro degli esteri, Federica Mogherini, annunciando giovedì 3 aprile un disegno di legge per modificare il trattamento economico del personale diplomatico all’estero. Dopo 48 ore si scopre però che anche invertendo l’ordine dei fattori il costo della Casta non cambia. E forse, se possibile, aumenta. Il ministro ha incontrato i sindacati della Farnesina per presentare le linee guida del piano che deve essere ancora formalizzato in un documento. Le prime reazioni sono di sconcerto. Alcuni delegati sono convinti sia un’operazione di facciata, utile a dare un contentino al Mef, al Commissario Cottarelli e all’opinione pubblica, che non intaccherà le prebende della diplomazia più costosa al mondo. Al contrario, rimodulando le voci che compongono le loro retribuzioni – in media 15-20mila euro netti al mese – l’intervento potrebbe portare ulteriori vantaggi alla categoria e maggiori costi per lo Stato. Un passo indietro. Quanto guadagna un diplomatico italiano? Due anni fa ilfattoquotidiano.it ha fornito cifre e paragoni con altri Paesi che non si potevano credere e l’economista Roberto Perotti, docente alla Bocconi, le ha confermate un mese fa: l’ambasciatore a Tokyo 27mila euro netti al mese, a Mosca 26mila, a Parigi 21mila fino a città delMessico, dove l’ambasciatore si “accontenta” di 18mila euro. Trattamenti economici superiori a molti capi di Stato derivanti dalla somma di diverse voci.
Le principali sono il cosiddetto “stipendio metropolitano” cioè quello preso a Roma, tassato e soggetto a trattenute previdenziali, che oscilla mediamente tra i 180-200mila euro netti l’anno, più della media del dirigente pubblico nazionale. Poi c’è l’indennità di servizio estero (Ise), una voce forfettaria onnicomprensiva che varia a seconda della distanza e del coefficiente di disagio della sede, è esentasse e può raggiungere cifre stratosferiche. Mediamente 20mila euro al mese per l’ambasciatore, 13-18mila euro per i consoli. Come si modulano le due voci? Quando il diplomatico va in missione (sono 123 attualmente all’estero) la prima voce pesantemente ma tale riduzione è sostituita e compensata abbondantemente dalla seconda. L’ambasciatore a Parigi, ad esempio, come stipendio riceve “solo” 5.385 euro al mese, per di più soggetti a trattenute fiscali e previdenziali. Ma si consolerà brindando a un Ise da 15.610 euro esentasse. Così messe, non stupisce che le retribuzioni di 901 diplomatici (31 ambasciatori, 201 ministri plenipotenziari e 357 consiglieri e 303 segretari) costino allo Stato 184milioni di euro l’anno, una media per persona di 199mila euro. Poi ci sono le residenze da sogno gratis, le indennità di sistemazione e trasloco, per i famigliari a carico, per l’istruzione dei figli nelle scuole internazionali e così via. Bene.
Quali sono le linee guida presentate dal ministro per mettere un freno a tutto questo? L’idea da tradurre in legge, secondo le indiscrezioni trapelate nella serata di venerdì, è quella di rimodulare le retribuzioni invertendo i rapporti tra stipendio base e indennità. Grosso modo dovrebbe funzionare così. Indifferentemente che resti a Roma o vada all’estero, il diplomatico italiano riceve lo stipendio metropolitano per intero, senza decurtazioni e agli attuali livelli ministeriali. Dunque senza le riduzioni che immagina il commissario Cottarelli. Pericolo scampato. L’indennità di servizio all’estero – finora voce forfettaria onnicomprensiva – invece sarebbe abbattuta e sostituita da rimborsi scorporati e riconosciuti a fronte di spese effettivamente sostenute, a garanzia di maggiore trasparenza. Ben venga la trasparenza, certo. Ad addolcire l’amaro calice alle Feluche ci sarebbe però un effetto indiretto che sa di miele. Il calo del superbonus indennità sarà compensato da un formidabile aumento della base imponibile ai fini previdenziali. In pratica tutti e 901 i funzionari della carriera diplomatica riceveranno una pensione ancor più alta di quella che percepiscono oggi, sia che restino a Roma e sia che girino il mondo. Più che una dieta mirata, dunque, un lifting con tonico per tutta la categoria.
Problema: come indorare la pillola anche per il Mef, che chiede ben altre riduzioni? A quanto risulta al fattoquotidiano.it si cercherà di accreditare che, assoggettando l’intero stipendio agli oneri fiscali e previdenziali, tale impianto avrà effetti positivi sulle entrate tributarie. Così al Tesoro non metteranno paletti e si potrà sostenere che l’operazione fa bene ai conti pubblici. Certo i singoli dettagli sono ancora da definire, ma il quadro generale è già abbastanza complicato da rendere difficile capirne gli effetti. Se in ambasciata la festa è finita o solo rimandata, se il sacrificio di oggi contiene in realtà un regalo più grande domani: uno stipendio d’oro che in nome del risparmio diventa una pensione di platino.
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