La capacità di altri Paesi di gestire masse ingenti di sfollati mettono in risalto l’inefficienza delle politiche migratorie europee.
Dopo la prima guerra mondiale, quando milioni di civili europei sono diventati rifugiati, costretti dall'occupazione nemica delle loro terre natie o dalla deportazione, un regime internazionale è stato in grado di formulare le risposte efficaci per alleviare le sofferenze di coloro che erano stati sradicati. Un secolo più tardi, un'altra crisi dei rifugiati è in corso, e questa volta, è l'Europa che ha il compito di fornire un rifugio sicuro alle persone disperate. Eppure non è all'altezza della situazione, con molti dei suoi risposte non riuscire a corrispondere l'urgenza della situazione.
Nei primi mesi del 2015 più di 38.000 persone hanno provato a raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo dal Nord Africa. Circa 1.800 di queste sono morte, il doppio di quelle che hanno perso la vita nel 2013.
Molti europei hanno risposto a questa crisi, simile a quella che dopo la Prima Guerra Mondiale ha visto milioni di civili europei sradicati e in cerca di un posto dove andare, chiudendo i battenti ai rifugiati o, peggio, chiedendoci di dimenticare. I populismi dilaganti infiammano gli animi con la loro retorica falsa sostenendo che questi flussi sono una minaccia per l’identità nazionale dei paesi ospiti. Ma questa crisi non riguarda tanto gli immigranti, quanto i rifugiati che fuggono dall’instabilità e dalla violenza che affliggono il Nord Africa e il Medio Oriente e la comunità internazionale è tenuta per legge a proteggerli.
L’Europa, d’altra parte, non è l’unica regione a dover sopportare i flussi migratori né quella ad esserne più toccata. Nove rifugiati su 10 fuggono nei Paesi vicini al loro. Così il campo rifugiati di Zaatari in Giordania ospita più di 82.000 persone: se fosse una città ufficiale, sarebbe tra quelle più popolose di tutto il Paese. Il Libano, in cui vivono 4,5 milioni di abitanti, ha accolto 111.6000 rifugiati, all’incirca l’equivalente della popolazione belga.
Con questi dati in mano è difficile giustificare l’incapacità dell’Europa a mettersi d’accordo su un sistema di integrazione di, diciamo, 20.000 rifugiati in un anno, da distribuire in 28 Paesi. Alcuni, come la Spagna o la Grecia, hanno accettato solo 4.000 persone, un numero esiguo se paragonato alla Giordania o al Libano.
Un accordo basato su delle quote aiuterebbe a distribuire il peso tra gli Stati europei. Ogni nazione – e non solo quelle che si affacciano sul Mediterraneo – dovrebbe contribuire alle operazioni di salvataggio in mare. Inoltre l’Europa dovrebbe impegnarsi ad aiutare le nazioni fragili e piagate dai conflitti a far fronte alle sfide, a migliorare il benessere dei cittadini e a sviluppare delle economie fiorenti.
Lo scorso secolo, in entrambe le guerre mondiali, erano gli europei a fuggire dalle persecuzioni e con il numero di sfollati di oggi, che non si era visto dalla Seconda Guerra Mondiale, l’Europa ha la responsabilità di ricordarsi la sua storia e di dimostrare che i valori dell’Unione Europea si estendono oltre le sue frontiere.
Di Javier Solana. The Daily Star Lebanon (03/06/2015). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.
Javier Solana è un membro della Brookings Institution ed ex Alto Rappresentante UE per la Politica Estera.
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