mercoledì 12 agosto 2020

Gli smemorati del taglio dei parlamentari. - Lorenzo Giarelli

Gli smemorati del taglio dei parlamentari

C’è riforma e riforma, quando si parla di tagliare il numero dei parlamentari. E soprattutto c’è chi – politici, opinionisti, giuristi – oggi filosofeggia sui “rischi per la democrazia” qualora gli eletti dovessero passare da 945 a 600 (come da riforma voluta dai 5 Stelle e già approvata in Parlamento e in attesa di conferma al referendum del 20-21 settembre) ma appena quattro anni fa digeriva senza indugi il progetto di revisione costituzionale Renzi-Boschi. Quello che aboliva il bicameralismo paritario mandando in Senato cento tra consiglieri regionali e sindaci nominati dai partiti. Ma i tempi son cambiati e oggi c’è da gridare al pericolo per la Nazione e guai, come ha scritto Mattia Feltri sull’Huffington Post, a “buttare il Parlamento” per colpa “di 5 rubagalline”, ovvero i furbetti del bonus partita iva. Ecco una rassegna da ieri (2016) e oggi (2020) per farsi un’idea di chi e come abbia cambiato idea.
Sabino Cassese, giudice emerito della Consulta.
Ieri: “L’assetto costituzionale che esce dalla riforma si iscrive nella nostra tradizione repubblicana e le fa fare un passo avanti, consolidandola”.
Oggi: “Le motivazioni sono solo quelle di dare un segno al Parlamento: tu conti di meno. Il risultato sarà rafforzare i partiti, il sistema diventa più oligarchico”.
Matteo Orfini, Pd.
Ieri: “La vittoria dei No significa far trionfare il Paese dei bronci e del pessimismo. Votiamo Sì, diamo forza alla speranza e al cambiamento”.
Oggi: “La riforma fa schifo. Era accettabile in un contesto con il proporzionale e altri contrappesi. Non si può dare indicazione di voto per il Sì”.
Mario Lavia, giornalista.
Ieri: “La domanda è se si vuole un sistema istituzionale più semplice o più complicato. Secondo me, se si sta al merito, l’elettorato preferisce il Sì”.
Oggi: “Zingaretti rischia di passare alla storia come il leader che avalla uno strappo alla Costituzione in cambio della sussistenza del governo. In gioco c’è la qualità della nostra democrazia”.
Luciano Violante, già presidente della Camera.
Ieri: “Il prossimo referendum ricorda quello del 1946 sull’alternativa tra Monarchia e Repubblica. Anche lì si decideva l’Italia del futuro. I sostenitori della riforma costituzionale hanno una visione realistica: non è perfetta ma fa funzionare meglio il Paese”.
Oggi: “Il taglio dei parlamentari senza il proporzionale e la fine del bicameralismo paritario potenzierebbe enormemente l’esecutivo e condannerebbe il Parlamento all’immobilismo o al disordine”.
Graziano Delrio, Pd.
Ieri: “Il Sì al referendum vuol dire puntare sulla crescita. Se prevalesse il No l’Italia tornerebbe dentro le sacche delle politiche di austerity ”.
Oggi: “La riduzione dei deputati e dei senatori, abbinata all’attuale legge elettorale ipermaggioritaria, crea uno squilibrio serio per l’assetto istituzionale del Paese: rischia di produrre maggioranze in grado di cambiare da sole, senza il necessario dialogo con le opposizioni, la Costituzione”.
Emma Bonino, +Europa.
Ieri: “Non è drammatico dire che a volte si sceglie il meno peggio”.
Oggi: “Io ho paura dei danni irreparabili per la democrazia italiana che deriveranno sul piano istituzionale dalla mera amputazione della rappresentanza democratica”.
Tommaso Nannicini, Pd.
Ieri: “Se dovesse vincere il No perderemo una bella occasione per poter continuare sul percorse delle riforme, di cui si parla da 30 anni senza fare niente”.
Oggi: “Il taglio dei parlamentari piace a chi vuol sostituire le Camere con Rousseau. Senza i correttivi richiesti a questa riforma malfatta e mal pensata si lascerebbe il Parlamento in balia del trasformismo. La riforma andava fermata prima”.
Riccardo Magi, +Europa.
Ieri: “Non è la nostra riforma ma permette di superare il bicameralismo e il disastroso regionalismo italiano”.
Oggi: “Mi preoccupa l’assurdità di questa riforma. Motivi fondati per questa amputazione del Parlamento non ce ne sono”.
Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato all’Università di Perugia.
Ieri: “Considerato tutto, ritengo che la riforma si meriti un 8 pieno, perché nessuna riforma costituzionale è perfetta essendo figlia di un compromesso politico. Tuttavia questa risponde, con rispetto e giudizio, ai problemi che in questo Paese si porta appresso da almeno 40 anni”.
Oggi: “Una riduzione dei parlamentari senza i necessari interventi di riequilibrio significherebbe sacrificare pesi e contrappesi sull’altare di un populismo illiberale. Sarebbe in gioco la democrazia rappresentativa”.
Giorgio Gori, sindaco Pd di Bergamo.
Ieri: “Abbiamo bisogno di una democrazia più efficiente, più semplice e più capace di prendere le decisioni”.
Oggi: “Non è questione di correttivi. Se anche si dovesse arrivare in extremis al proporzionale la sostanza non cambia. Il Pd ha fatto un errore madornale nel piegarsi al populismo e alla cultura antiparlamentare dei 5 Stelle. La riforma mina i fondamenti della nostra democrazia rappresentativa”.
Carlo Calenda, Azione.
Ieri: “Il referendum è uno snodo fondamentale per avere istituzioni più forti e più efficienti”.
Oggi: “Sono molto contrario, sono favorevole a un monocameralismo secco. Questa è una riforma fatta coi piedi”.
Ernesto Carbone, Iv.
Ieri: “Sono ottimista e sono convinto che vincerà il Sì. Se dovesse vincere il No, l’Italia rimarrebbe nella palude”.
Oggi, retweettando Gori: “Le leggi elettorali si fanno e si disfano. Dobbiamo pensare che il taglio dei parlamentari diventi a quel punto pericoloso per la democrazia?”.
Pierluigi Castagnetti, Pd.
Ieri: “Qusta è una riforma che modernizza il Paese”.
Oggi: “Non voglio assecondare pulsioni populiste”.
Beppe Fioroni, Pd.
Ieri: “Gli italiani sapranno scegliere il Sì al referendum perché serve al Paese”.
Oggi: “Voterò No perché senza un’adeguata legge elettorale non si fa altro che alterare la qualità della democrazia. Non si può inseguire il sentimento del tempo dei grillini”.

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