Nessuno ostacolo alla pubblicazione dei dati. Per i furbastri di Montecitorio che hanno ottenuto il bonus da 600 euro previsto dal governo per sostenere le partite iva messe in ginocchio dall’emergenza coronavirus si mette male: il collegio del Garante della Privacy è infine intervenuto per dire non si potranno nascondere dietro questo scudo che semmai serve a proteggere chi è in condizioni di disagio economico o sociale: non certo i parlamentari o gli altri amministratori locali “per i quali, a causa della funzione pubblica svolta, le aspettative di riservatezza si affievoliscono, anche per effetto dei più incisivi obblighi di pubblicità della condizione patrimoniale cui sono soggetti”. Ora però la questione della privacy in questa storia di miserabili (il copyright è del maggiorente del Pd nonché Commissario europeo agli affari economici, Paolo Gentiloni) non finisce qui: i tre nomi dei deputati che avrebbero beneficiato della sovvenzione nonostante il lauto stipendio di Montecitorio, restano coperti. Tra i pentastellati, che pure attaccano a testa bassa la Lega perché la lista degli amministratori locali del Carroccio reo confessi si allunga, il nome del deputato che avrebbe incassato il malloppetto ancora non viene fuori. E questo nonostante il pressing dei vertici del Movimento. Sospettati da alcuni di sapere e da tempo di chi si tratti dati gli ottimi rapporti con l’Inps di Pasquale Tridico. E da altri addirittura di aver orchestrato tutto agendo in combutta con lui per annichilire il fronte del no al referendum sul taglio dei parlamentari che da qualche settimana aveva ricominciato a sperare che il clima fosse cambiato rispetto a qualche mese fa quando una vittoria del Sì a valanga pareva scontato.
Non si sa se per uscire dall’imbarazzo in cui lo scandalo bonus ha fatto precipitare la Lega o perché ci crede davvero, lo dice senza mezzi termini, l’ex ministro salviniano Gian Marco Centinaio. Per il quale il caso è una “bufala” montata ad arte per fare da volano decisivo al referendum confermativo della riforma costituzionale del taglio dei seggi . “Avendoci governato insieme per quattordici mesi so che tutto quello che viene fatto dal M5s ha un secondo fine”. E poco importa se Luigi Di Maio insista sulla questione di principio: “Questa non è una gogna mediatica ma una questione di giustizia”.
Dalle parti del Carroccio per la verità, l’imbarazzo monta di pari passo al ridicolo delle scuse che hanno preso ad accampare i consiglieri regionali eletti sotto le insegne salviniane per giustificare di aver ottenuto il bonus nonostante lo stipendio erogato a fine mese non esattamente da fame: il direttivo del partito medita di non metterli in lista per le prossime elezioni di settembre, come rivela il commissario del Veneto Lorenzo Fontana in linea con Luca Zaia che pare meno incline alla linea che pare più morbida da parte del Capitano. Che per i deputati in odore di bonus ha parlato di semplice sospensione. Facendo intanto calare la cortina fumogena del silenzio stampa. Bocche cucite dunque sui due principali sospettati Andrea Dara e Elena Murelli. Quest’ultima peraltro tra i deputati che più ferocemente denunciarono le falle registrate nel sistema informatico dell’Inps il 1° aprile quando partì la procedura telematica per aver accesso al bonus. Con un’interpellanza al vetriolo (primo firmatario il tesoriere Giulio Centemero) aveva chiesto conto al ministro vigilante (quello del Lavoro) quali urgenti iniziative intendesse adottare per “garantire la conservazione dei dati sensibili” che gli aspiranti al bonus avevano fornito al server dell’Istituto di previdenza. Che aveva fatto cilecca per il sovraccarico delle richieste e pure perché gli hacker avevano fatto la loro parte. Determinando a ogni modo – secondo la denuncia leghista – , “una pericolosa esposizione dei dati degli utenti”. Tra cui c’erano tanti italiani e tra questi pure alcuni parlamentari. Ora il fatto è che se sulla questione della privacy è chiaro che non ci sono più scuse sulla possibilità di pubblicare i loro nomi, il Garante ha però evidenziato anche un altro fatto denso di conseguenze.
Ossia che aprirà un’istruttoria sul caso che tiene banco da oltre tre giorni. O meglio sulla “metodologia seguita dall’Inps rispetto al trattamento dei dati dei beneficiari e alle notizie al riguardo diffuse”. Secondo quel che risulta al Fatto gli uffici del collegio presieduto da Pasquale Stanzione scriveranno ai vertici dell’Inps per capire come e perché si è arrivati a compiere un approfondimento specifico sui politici che avrebbero fatto richiesta del bonus pur non violando alcuna legge, se non quella dell’etica pubblica. Ma a quanto pare di capire i commissari alla Privacy che si sono riuniti ieri mattina in teleconferenza sono anche particolarmente interessati a capire se è stata davvero la direzione antifrode dell’Inps a mettere insieme i casi dei tre deputati beneficiati dalla sovvenzione, i due che l’avrebbero solo chiesta ma senza riuscire a ottenerla e tutti gli altri. Ossia circa 2mila amministratori locali, tra consiglieri e assessori regionali (che prendono comunque signori emolumenti) e comunali (che invece percepiscono solo gettoni di presenza): casi troppo diversi sotto il profilo del reddito e legati solo alla natura dell’incarico.
E poi al Garante non sono neppure sfuggite le altre indiscrezioni di stampa, quelle relative alla tempistica: ossia che la segnalazione sarebbe scattata già a maggio. E dunque da maggio a oggi che è successo? O meglio chi ha visto questi nomi e per quali percorsi il caso è stato dato in pasto alla pubblica opinione? Quesiti a cui anche in Parlamento si vuol vedere chiaro. Un vasto fronte che va da Fratelli d’Italia ai renziani di Italia Viva ha chiesto che la commissione Lavoro di Montecitorio convochi in audizione Tridico. Che però può stare tranquillo almeno fino al 24 agosto quando la Camera, dopo le ferie, riaprirà i battenti.
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