Alexei Navalny, l’oppositore più carismatico di Putin, è stato avvelenato, e non è la prima volta che qualcuno prova ad eliminare l’antagonista più impavido del Cremlino. Per esempio, nel 2017, mentre stava uscendo dal suo ufficio moscovita, venne attaccato con uno spray tossico (un prodotto antisettico) spruzzato negli occhi. Nel luglio del 2019 era in prigione quando denunciò d’essere stato avvelenato da “un prodotto chimico sconosciuto”, ed per questo era stato trasferito in un ospedale.
In quell’occasione le autorità avevano replicato accennando ad una “reazione allergica” e avevano spergiurato che nessuna sostanza tossica era stata rintracciata, dopo accurate analisi. Tesi respinta fermamente dalla sua segretaria-portavoce, Kira Yarmick, la stessa che ha diffuso la notizia del nuovo avvelenamento, avvenuto dopo che Navalny aveva bevuto del tè in aeroporto, prima di imbarcarsi a Tomsk per rientrare a Mosca. Delle immagini lo mostrano alla caffetteria, apparentemente in perfetta salute.
Il quarantaquattrenne avvocato si è sentito male in volo e le sue condizioni sono talmente peggiorate da costringere ad un atterraggio d’emergenza a Omsk. C’è un video girato con un telefonino che documenta il malore, le urla disperate per richiamare l’attenzione del personale di bordo, la perdita di conoscenza di Navalny. Il leader dell’opposizione russa è stato immediatamente trasportato all’ospedale delle urgenze numero 1 di Omsk, dove è arrivata anche la polizia “chiamata su nostra richiesta”, ha precisato la Yarmick, temendo per la sicurezza dell’avvocato.
I medici hanno subito detto che le sue condizioni erano molto gravi, che era in coma e che sono state effettuate delle analisi per individuare la causa. Da Mosca la dottoressa personale di Navalny ha cercato di informarsi e di aggiornare i colleghi sulla situazione clinica del suo paziente (come vuole la prassi) ma i medici di Omsk si sono rifiutati di parlarle, così lei si è precipitata in Siberia. Uno strano “black-out” sanitario, come se le autorità avessero ordinato di tacere con chiunque, soprattutto con l’entourage di Navalny. Il che ha subito accreditato la tesi dell’avvelenamento “politico”, come in molti hanno scritto in Rete.
Che ci faceva Navalny in Siberia? Semplice: a settembre ci sono le elezioni regionali. E’ stato a Novosibirsk, città in cui il potere amministrativo non è tanto forte e dove serpeggiano malcontento e rivendicazioni sindacali che inquietano il Cremlino. Poi si è recato a Tomsk, città universitaria, dunque tantissimi giovani e tanto consenso nei confronti dell’opposizione. Lì la squadra di Navalny è piuttosto solida e rischia di ottenere un buon risultato elettorale. Non solo.
Aveva svolto, come suo solito ormai, delle inchieste sulla corruzione di alcuni funzionari locali, corredate da video denunce, da documenti ufficiali, da commenti feroci e spot umoristici. Insomma, si era mosso con l’abituale spregiudicatezza, dando seri fastidi ai cacicchi siberiani.
Bisogna dire che a Putin, nonostante tutto, l’operazione condotta da Navalny non lo stava turbando più di tanto, anzi, poteva risultare in un certo senso comoda, ed utile: con l’alibi degli scandali, poteva sbarazzarsi di imbarazzanti ed ormai impresentabili figure marginali del regime, comunque dannose in tempi elettorali. In fondo, un gioco sottile in cui lo zar e il suo grande critico si fronteggiano da anni. Un gioco che alcuni oppositori rinfacciano a Navalny, perché non lo ritengono una credibile alternativa politica a Putin…
Dunque, motivi per zittire l’avvocato leader della lotta contro la corruzione e gli imbrogli del potere, non ne mancavano. La doppia crisi economica e del Covid hanno indebolito il Cremlino, spostando equilibri tradizionali soprattutto in Siberia (dove ingombrante è il fantasma della Cina) e nelle grandi città, dove la società civile reclama più libertà e meno isolamento internazionale.
Un disagio che il gravissimo avvelenamento di Navalny ha accentuato e rischia di provocare, oltre che grande choc, anche proteste incontrollabili (l’esempio bielorusso potrebbe incoraggiarle). Disagio che ha scosso fortemente le file dell’opposizione, e pure tra chi non lo amava per il suo indubbio protagonismo. Negli ultimi due o tre anni c’erano stati segnali d’insofferenza nei suoi confronti, proprio perché l’accusavano d’essere troppo sensibile alle sirene mediatiche. In realtà, perché oscurava col suo indubbio talento politico, le figure più scialbe delle varie (e spesso conflittuali) correnti in cui l’opposizione russa si è frantumata, favorendo indirettamente il regime.
Sconcerta, inoltre, il fatto che sia stato avvelenato sotto gli occhi di chi lo pedina 24 ore su 24: a che cosa serve la sorveglianza? Se lo chiedono in molti, così come molti cercano di ragionare sul mandante. Putin? Difficile: perché creare una “sacra vittima” attorno alla quale coalizzare indignazione e rabbia popolare? Qualcuno che vuole guadagnare punti all’interno della lotta di potere che – si dice – sta scuotendo il Cremlino? Quanto alle varie ipotesi “private” (allergia, droghe, vendetta personale), non si capisce allora il comportamento dell’ospedale, il mistero sulle analisi e le diagnosi. La diffidenza è d’obbligo.
Tenuto conto della diffidenza nei confronti dello Stato e nell’interesse della guarigione di Navalny, “sarebbe meglio che venisse curato in un altro Paese, sempre che le sue condizioni lo consentano”, ha twittato Alexei Venediktov, redattore capo della Radio Echo di Mosca. Ma la lunga mano dei servizi russi agisce impunemente anche fuori dei confini, come hanno dimostrato i casi di Alexsandr Litvinenko, ex Kgb (come Putin) avvelenato a morte con il polonio nel novembre del 2006, e di Sergej Skripal, avvelenato a Salisbury nel marzo del 2018 con un agente neurotossico, assieme alla figlia (scampati perché ricoverati in tempo); infine, stessa sorte è toccata a Piotr Verzilov, fondatore di Mediazone, sito d’opposizione, avvelenato all’uscita di un tribunale di Mosca nel settembre del 2018, trasferito in un ospedale a Berlino dove si è salvato.
In questo caso, i sospetti si sono focalizzati sui medici, sebbene le analisi non abbiano trovato tracce di sostanze tossiche. Oggi Verzilov ricorda che allora i servizi segreti avevano bloccato gli accessi all’ospedale e che “mi ero ritrovato in rianimazione, proprio come sta succedendo a Navalny. Così c’è stato il tempo che serviva perché il mio organismo assorbisse le tracce della sostanza tossica” (lo potete leggere su Twitter). Morale della favola: l’Orso russo ha artigli che Lucrezia Borgia gli fa un baffo.
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