venerdì 18 dicembre 2020

La “Stato Spa” cresce ancora. Vale 116 mld tra luci e ombre. - Nicola Borzi

 

Panoramica - Dai colossi agli hotel. È il 1° azionista in Borsa e col Covid entrerà in molte imprese. Ma non si sa con quale strategia.

La recessione innescata dal Covid spinge la presenza dello Stato nell’economia. D’altronde l’Italia è il Paese del capitalismo senza capitali, dove gli imprenditori sono sempre pronti a privatizzare i profitti negli anni buoni e a pubblicizzare le perdite in quelli di vacche magre. Già oggi le sole partecipazioni del Tesoro nelle imprese, dirette e indirette, valgono 116 miliardi. Troppi, pochi? Difficile dirlo. Ma di certo a breve cresceranno di altri 44.

La mano pubblica agisce nell’economia da oltre un secolo e mezzo: già nel 1861 lo Stato controllava il Monte dei Paschi di Siena, il San Paolo di Torino, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Risale al 1912 la fondazione dell’Istituto nazionale delle assicurazioni, al 1926 quella dell’Agip. “Quando lo chiuderemo questo convalescenziario?” chiese Mussolini il 23 gennaio 1933 alla firma del decreto istitutivo dell’Iri. L’Istituto per la ricostruzione industriale avrebbe dovuto essere temporaneo e invece sopravvisse al duce e al fascismo, prosperò durante tutta la prima Repubblica toccando il suo apice nel 1983 e scomparve solo nel 2002, un decennio dopo l’avvio della stagione delle privatizzazioni.

La ragnatela di imprese e settori.

Oggi lo “Stato padrone” spazia dalle banche (Mps, Mediocredito Centrale, Popolare di Bari) ai trasporti (Fs, Anas), dalle reti elettriche (Terna, Gse) a quelle di telecomunicazioni (Tim, Open Fiber), dal petrolio (Eni, Snam, Saipem) all’elettricità (Enel) e all’energia (Italgas), dall’acciaio (Ilva) alle navi (Fincantieri), dalle linee aeree (Alitalia) al traffico aereo (Enav) e alla difesa (Leonardo), dall’elettronica (Stm) ai media (Rai) e alle Poste, dalla Zecca alla finanza e alle assicurazioni (Amco, Sace, Simest). Sono in mano pubblica imprese alimentari (Inalca, Pomì), della moda (Versace), costruzioni (WeBuild), turismo (Rocco Forte, Th Resort), aeroporti (Napoli, Bologna, Torino, Alghero, Milano), farmaci (Kedrion), meccanica (Valvitalia), impiantistica (AnsaldoEnergia), agricoltura (Bonifiche Ferraresi), immobiliare (Eur, Arexpo, Manifattura Tabacchi, Manifatture Milano).

Lo Stato padrone ha forme diverse: dalle partecipazioni dirette del Tesoro a quelle indirette attraverso Cdp, Invitalia ed enti locali. Cambiano la tipologia dei fondi impiegati, da quelli pubblici del Mef a quelli della raccolta postale (Cdp) e le responsabilità. Il governo ha una missione politica di indirizzo sui settori strategici, Cdp è un mix tra un fondo sovrano e un operatore di private equity, cui corrispondono non solo le responsabilità civili e penali tipiche di una società privata, ma anche quelle soggette al controllo della Corte dei Conti.

Quanto vale lo Stato padrone.

All’ultima chiusura di Borsa di venerdì scorso, le partecipazioni dirette del Tesoro nelle quotate Eni (4,34%), Mps (68,25%), Enel (23,59%), Enav (53,28%), Leonardo (30,2%) e Poste (29,26%) valevano 27,2 miliardi, 19,7 nel solo gigante elettrico. Poi ci sono le partecipazioni indirette nelle quotate RayWay e StMicroelectronics per altri 4,7 miliardi. A queste si aggiungono, secondo calcoli effettuati dall’Università Bocconi, altri 84,7 miliardi di valore delle società non quotate controllate dal Tesoro: 50 miliardi Fs e Anas, Cdp per 30 miliardi, e poi Amco (gestione crediti in sofferenza), Rai, Invitalia, Gse, Poligrafico dello Stato, Eur, Gse. Il totale vale 116,6 miliardi. Il dividendo incassato dal Tesoro per l’esercizio 2019 è stato di 4,7 miliardi, -33% su base annua, ma si è consolato con la maxicedola da 7,8 miliardi che gli ha versato la Banca d’Italia, pure se l’istituto è totalmente indipendente.

Cdp, primo azionista della Borsa Italiana.

Cassa depositi e prestiti, controllata per l’82,77% dal Tesoro con il resto in mano alle fondazioni bancarie, con asset totali per 474 miliardi è il terzo operatore finanziario in Italia dopo Intesa Sanpaolo e UniCredit. La sua raccolta è rappresentata soprattutto dai depositi di quasi 30 milioni di clienti delle Poste. Ha depositato 154,6 miliardi sul conto di Tesoreria dello Stato, che le fruttano assai poco, ma possiede redditizie partecipazioni a Piazza Affari: si va dal 25,96% di Eni al 35% di Poste, dal 9,89% di Tim alle quote in Terna, Snam, Itagas, Saipem, Fincantieri, Trevi Finanziaria Industriale, WeBuild (la vecchia Salini Impregilo) e Bonifiche Ferraresi. Cdp ha il controllo di Terna, Snam, Italgas e Fincantieri, è presente nel board senza controllo in Saipem, WeBuild e Bonifiche Ferraresi, mentre non siede nei cda di Eni, Tim e Poste. Questo tesoro vale 23,7 miliardi, 19,6 dei quali riferibili al Tesoro, e rende Cdp il primo investitore a Piazza Affari con il 4,6% della capitalizzazione complessiva delle 40 società dell’indice Ftse Mib (peraltro Cdp diventerà azionista del nuovo gruppo che ingloberà la Borsa: Euronext) .

Ma questa è solo la punta dell’iceberg. L’Istat il 19 febbraio scorso ha censito i dati riferiti al 2017 delle società partecipate dallo Stato e da Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane. Si tratta di un esercito di 6.310 imprese attive con 847mila addetti. Le aziende sono calate del 4%, gli occupati sono rimasti stabili. Le imprese controllate dal settore pubblico hanno creato un valore aggiunto di 58 miliardi (+4,4% sul 2016), il 7,5% del totale nazionale realizzato nello stesso anno dall’industria e dai servizi (779 miliardi).

Non è tutto oro quello che luccica.

Non sempre però il capitalismo di Stato funziona. A fine ottobre il governo ha firmato il decreto per vendere la quota del 68,25% posseduta in Mps e pagata 5,4 miliardi nel 2017 dall’esecutivo Gentiloni, che in Borsa ora vale meno di un miliardo. Anche l’investimento di Cdp nel 10% di Tim per bloccare i francesi di Vivendi, costato un miliardo, ora vale appena 600 milioni. Ci sono poi operazioni delle quali sfugge la ratio: che senso ha avuto per Cdp acquistare il 20% di Bonifiche Ferraresi, maggiore società agricola italiana e unica del settore quotata in Borsa in Europa? Perché, tra le tante imprese del turismo, Cdp ha investito negli hotel Rocco Forte (con sede in Inghilterra)? C’è chi ricorda lo scivolone del sostegno di Cdp al gruppo Valtur, al cui patron Carmelo Patti e ai suoi eredi nel 2018 la Dia confiscò 1,5 miliardi per legami con la mafia. E perché investire nei plasmaderivati della Kedrion della famiglia Marcucci? I maligni sottolineano i ruoli dei fratelli Marialina, ex vicepresidente Pd della Toscana, e Andrea, capogruppo Pd al Senato.

L’espansione continuerà: il “patrimonio destinato”.

Ma la presenza pubblica si estenderà ancora. Venerdì scorso lo Stato ha firmato con ArcelorMittal l’accordo per riacquistare il 50% dell’Ilva di Taranto (salirà poi al 60%, con una spesa di 1,1 miliardi). La nuova Alitalia, rifinanziata dal Tesoro con 3 miliardi, tornerà a volare. Poi c’è il piano di Cdp per rilevare l’88,06% di Autostrade per l’Italia detenuto da Atlantia insieme a Blackston e Macquarie (si parla di offerte intorno agli 8 miliardi). Se poi Mps si fondesse con UniCredit, il Tesoro diverrebbe socio di riferimento del nuovo gruppo bancario. Lo stesso avverrebbe se invece Mps si unisse a Mediocredito Centrale, controllata di Invitalia, che a sua volta ha investito 900 milioni per salvare Popolare di Bari. Cdp lavora poi alla fusione tra Open Fiber, la società di reti a banda larga di cui controlla il 50% (l’altra metà è dell’Enel), con Tim, di cui possiede quasi il 10%, ma il progetto avanza a rilento.

Non è finita qui: complice la crisi causata dalla pandemia, aumentano le imprese che vedranno un ingresso dello Stato. Il decreto Rilancio ha previsto che, per “attuare interventi e operazioni di sostegno e rilancio del sistema economico”, Cdp possa costituire un “patrimonio destinato” da 44 miliardi in cui confluiranno “beni e rapporti del Tesoro” finanziati con obbligazioni di scopo emesse da Cdp. Alcuni osservatori, però, pongono due quesiti: qual è la visione degli obiettivi di sviluppo, qual è la logica di lungo termine di questo piano? Il Parlamento avrà un reale potere di controllo o le imprese “salvate” saranno scelte solo dal Tesoro e dai vertici di Cdp, nominati dal governo? Il nuovo capitalismo di Stato che avanza pare destinato a durare a lungo, ma dovrebbe darsi una visione d’insieme, che per ora manca.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/14/la-stato-spa-cresce-ancora-vale-116-mld-tra-luci-e-ombre/6036106/

Nessun commento:

Posta un commento