Trecento milioni di euro subito per evitare che restino chiuse un terzo delle 12.564 scuole paritarie (religiose e non). Le famiglie hanno smesso di pagare le rette e si rischia che, con la crisi, a settembre non rinnovino l’iscrizione. Sarebbe in bilico il sistema scolastico di alcune Regioni, dove i servizi all’infanzia si fondano per lo più sul privato. Arrivano così, immancabili, il grido d’allarme e la conseguente richiesta di soldi da parte degli istituti privati e convenzionati che si andrebbero ad aggiungere ai circa 500 milioni di euro stanziati ogni anno, scatenando l’ennesima battaglia nella maggioranza giallorosa.
La spiegazione è nei numeri. Nel decreto Rilancio, all’esame della commissione Bilancio della Camera, sono stati già stanziati 65 milioni per le paritarie a compensazione del mancato versamento delle rette da parte delle famiglie per il servizio 0-6 anni. Poi c’è stata un’ulteriore erogazione da 70 milioni per coprire fino al liceo. In totale 135 milioni per 866.805 alunni (a fronte dei 7,5 milioni iscritti al pubblico) che però per gli istituti paritari non basterebbero “neanche a coprire la metà della retta di un mese” e a pagare gli stipendi a un settore che impiega circa 230 mila addetti tra docenti, personale tecnico e amministrativo. Laddove comunque nelle strutture che non hanno fatto didattica a distanza, i dipendenti hanno comunque percepito la cassa integrazione.
L’appello delle paritarie è stato nuovamente accolto dal Pd e dal deputato Iv Gabriele Toccafondi, che da ex sottosegretario al ministero dell’Istruzione ha sempre spinto per aumentarne i finanziamenti. Negli 8 emendamenti al dl Rilancio che hanno presentato, dem e renziani chiedono – con l’appoggio di tutto il centrodestra – una detrazioni sulle rette fino a 5.500 euro, un aumento di 130 milioni per i nidi e altri 140 milioni per sopperire ai mancati incassi delle rette. Ma M5S s’è detto pronto alle barricate. “Scegliere di finanziare con fondi aggiuntivi le paritarie significa sottrarre soldi alla scuola pubblica. Chi vuole anteporre altri interessi a quelli costituzionalmente garantiti non troverà il nostro sostegno”, ha spiegato il 5 Stelle Gianluca Vacca.
Una battaglia ideologica, che diventa di sistema se però gran parte delle strutture private oggi è chiamato sostituirsi alla scuola pubblica come nel caso degli asili nido, sopperendo alla mancanza di quelli comunali o statali. Rappresentano infatti il 49% delle strutture totali e il 70% di tutte le scuole paritarie. Sono 8.957 e vengono frequentate da 524mila bimbi da 0 a 3 anni. Anche questi istituti da settembre dicono che c’è il serio rischio che non riaprano. E per chi ce la farà, la prospettiva è di riempirsi di debiti. Mentre per le famiglie, da sempre fuori dalle graduatorie pubbliche, significa non sapere dove lasciare i figli piccolissimi e scegliere tra famiglia e lavoro. Secondo Save the Children, solo 1 bambino su 4 ha accesso al nido o ai servizi integrativi per l’infanzia, e, di questi, solo la metà frequenta un asilo pubblico. Un servizio pubblico che è quasi assente in Calabria (2,6%) e Campania (3,6%), a fronte delle più virtuose Valle d’Aosta (28%) o Emilia Romagna (26,6%). Ma anche i nidi che potrebbero ripartire da subito come centro estivo devono scontrarsi contro i protocolli di sicurezza che non sono stati ancora recepiti. Iniziative considerate sperimentali ci sono in Veneto e a Bolzano. “Nessuna delle nostre 30 strutture tra Lombardia, Toscana, Lazio e Campania è riuscita a riaprire”, spiega Domenico Crea di Crescere Insieme che gestisce decine di strutture in 4 Regioni. “Non si sa ancora quale sia il rapporto educatore-bambino. Potrebbe essere indicato un rapporto 1 a 3/4 tra operatori e bambini, rapporto consigliato ma non obbligatorio”, aggiunge. Nella realtà sono state date solo delle linee guida. Le Regioni devono recepirle e inoltrarle ai Comuni, che a loro volta hanno bisogno delle autorizzazioni dell’Asl. Così, dicono le associazioni, non riusciranno a resistere a lungo.