Per la prima volta ovociti umani sono stati coltivati in laboratorio dal primissimo stadio fino a essere pronti per la fecondazione. Un traguardo importante per una tecnica che fino a questo momento aveva avuto un’alta percentuale di insuccesso, nel senso che gli ovociti non arrivavano a maturazione.
Pubblicata sulla rivista Molecular Human Reproduction, la ricerca è stata condotta all'Università di Edimburgo e costituisce un grande passo in avanti verso possibili cure sia per la fertilità, ad esempio per le donne malate di cancro che vogliono salvaguardare la possibilità di avere figli, sia per la medicina rigenerativa.
Un risultato che è stato preceduto da altri studi importanti, come quello del team giapponese di Katsuhiko Hayashi della Kyushu University, che nel 2016 è riuscito per la prima volta a far crescere in laboratorio cellule uovo fertili di topo partendo da cellule staminali. Le uova hanno poi dato origine a cuccioli dopo essere state fecondate e impiantate in roditrici adottive. Il metodo - che produceva uova difettose e aveva una percentuale di successo inferiore all'1% - è stato decisivo per identificare i geni chiave coinvolti nello sviluppo e nella maturazione dell'uovo.
«Tuttavia, qualsiasi applicazione alle cellule umane è molto lontana» aveva commentato lo stesso Hayashi, a cui la prestigiosa rivista scientifica Nature aveva dato ampio risalto.
Invece, a soli due anni di distanza, l’Università di Edimburgo, che da anni porta avanti questo tipo di ricerca in collaborazione con l’Harvard Medical School di Boston, ha raggiunto l’obiettivo.
Un risultato «interessante e bello», reso possibile dalla lunga ricerca che ha portato a trovare il mix ideale di sostanze utili per far maturare gli ovociti: così il direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell'università di Pavia, Carlo Alberto Redi, ha commentato l'esperimento che per la prima volta ha dimostrato la possibilità di coltivate in laboratorio ovociti umani.
«Adesso si aprono molte opportunità, che vanno dal laboratorio al letto del paziente», ha detto pensando alle donne infertili o che soffrono di menopausa precoce, o ancora alle donne colpite da un tumore che intendono preservare la fertilità dopo avere affrontato la chemioterapia, o ancora alle donne che decidono di posticipare il momento in cui avere figli.
Importanti, ha proseguito Redi, anche le ricadute nel campo della medicina riproduttiva e della ricerca. «Diventa possibile, ad esempio, ottenere in laboratorio grandi quantità di ovociti da utilizzare nella ricerca, cosa che attualmente pone seri problemi etici a causa delle dolorose stimolazioni cui debbono sottoporsi le donne o dell'eventuale commercio di ovociti».
Per Redi è particolarmente interessante che i ricercatori guidati dall'università di Edimburgo abbiamo trovato le condizioni ideali per il terreno di coltura capace di far sviluppare gli ovociti: «Una sorta di terreno nutriente per far crescere frammenti prelevati dalla parte più superficiale dell'ovaio. È ancora difficile dire se questi possano essere follicoli ovarici primordiali oppure cellule staminali perché in proposito c'è ancora grande disparità di vedute nel mondo della ricerca. Quello che è certo è che il terreno di coltura per ottenere gli ovociti umani funziona ed è probabile, ha aggiunto, che le agenzie regolatorie vorranno avere dettagli in modo da verificare eventuali problemi».