martedì 23 novembre 2010

Tra i due litiganti (Francia e Romania) ci si mette B. con un gesto equivoco.


E' giallo su quanto accaduto venerdì scorso al vertice Nato, al momento della foto ufficiale. Silvio Berlusconi si porta il dito alla tempia facendo il "gesto del pazzo" con il premier romeno Basescu, pochi secondi dopo che quest'ultimo ha avuto un acceso diverbio con Nicolas Sarkozy

PARIGI – Ma cos’è successo a Lisbona venerdì scorso al vertice della Nato? E’ il momento della foto ufficiale e il primo ministro Traian Basescu si avvicina a Nicolas Sarkozy. Dalle imagini rilanciate dal canale Bfm Tv, è chiaro che il presidente francese non vuole parlare con l’omologo rumeno. Sarkozy sembra liquidarlo in malo modo. Basescu, allora, si rivolge a Berlusconi, che muove il dito accanto alla tempia, quasi a dire «è un pazzo» (guarda il video). Ma chi è folle? Il premier italiano faceva riferimento all’esagitato Sarkozy, già uscito di scena?

Non è ancora chiaro cosa sia avvenuto. Ma è molto, molto probabile che il diverbio Basescu-Sarkozy (non una novità, i due si sono «azzuffati» già nel passato) sia da mettere in relazione con la caccia ai Rom innescata da fine luglio a Parigi e con le reticenze, più o meno velate, dei francesi ad accettare l’entrata della Romania e della Bulgaria nello spazio Schengen, a partire dal marzo 2011, come previsto.

L’unico a essersi espresso sull’incidente è stato proprio Sarkozy. Sabato ha assicurato: «Vado molto d’accordo con Basescu. Non mi sono assolutamente rifiutato di parlargli. L’ho già incontrato almeno una quindicina di volte: è un uomo di grande qualità, che aprezzo molto». Ma ha poi affrontato il nodo della questione: l’accesso dei rumeni e dei bulgari alla piena e libera circolazione all’interno dello spazio Schengen. «La Francia ritiene – ha detto – che i due Paesi abbiano vocazione ad aderirvi, ma in questo caso diventeranno guardiani dei confini europei, e, quindi, bisogna prima risolvere i loro problemi frontalieri». Un’allusione al fatto che la linea di confine tra Romania e Moldavia non sarebbe controllata sufficientemente. Non solo: Sarkozy ritiene che debbano esaurirsi le «procedure di sorveglianza» innescate a carico di Bucarest e Sofia da parte della Commissione europea, a causa di problemi di corruzione, prima che i due Paesi aderiscano a Schengen. Insomma, è chiaro che Sarkozy, al di là del solito fair play diplomatico, non vuole la Romania nello spazio. O almeno non a breve. Basescu non avrebbe apprezzato e per questo si sarebber “buttato tra le braccia” del Caimano… Questo potrebbe aiutarlo? Sull’entrata di Romania e Bulgaria nello spazio Schengen si sono già mostrati scettici pure l’Olanda e, soprattutto, un peso massimo come la Germania.

Ma ritorniamo al diverbio Basescu-Sarkozy. Non è la prima volta. Al consiglio europeo di Bruxelles, nel settembre scorso, erano già stati ritratti da diverse foto con le facce arrabbiate e muovendo minacciosamente le braccia. Qualche giorno più tardi Basescu aveva sminuito: «Abbiamo relazioni di amicizia. Ma è probabile che entrambi gesticoliamo molto quando parliamo». Poi la precisazione: «La Romania difenderà sempre i diritti dei Rom a circolare liberamente in Europa. Sono dei cittadini europei e, se non ci sono prove che abbiano infranto la legge, devono beneficiare degli stessi diritti degli altri». Il problema è tutto lì. La caccia ai Rom innescata da Sarkozy a fine luglio (ma che già era iniziata in sordina nei mesi precedenti), ha portato (e sta portando, non è ancora finita) a espulsioni di molte persone senza strascichi giudiziari. Secondo gli ultimi dati, resi noti nei giorni scorsi, nei primi nove mesi dell’anno la Francia ha espulso 21.834 stranieri. Ebbene, ben 12.491 erano rumeni, praticamente Rom. In 5.929 sono stati convinti ad andarsene con il pagamento del biglietto (solo andata) e un contributo di 300 euro a persona. Il resto ha fatto ritorno contro la sua volontà.

Sarkozy si addolcirà? Assai improbabile. Tanto più che, una settimana fa, in occasione del rimpasto governnativo, Brice Hortefeux, amico da una vita del presidente e uomo duro della destra francese, già ministro degli Interni, ha assunto pure la competenza dell’Immigrazione. Lo scorso giugno Hortefeux è stato condannato in primo grado per ingiuria razziale. A un incontro dei giovani dell’Ump, il suo partito (e di Sarkozy), gli era stato presentato un militante di origini arabe. «Bisogna averne uno. Uno solo, va bene. E’ quando ce ne sono tanti che cominciano i problemi». Aveva detto. Serio in volto.

Alessandro Verani



Società offshore e paradisi fiscali: convegno svizzero fa il pieno di commercialisti italiani.


Arriva via mail l'invito per i professionisti a partecipare a un incontro con "professionisti del settore" che offrono le loro competenze tecniche per "evitare sequestri finanziari" e "proteggere l'anonimato". Moderatrice una giornalista che lavora per la Farnesina

L'homepage del sito che organizza il convegno

“L’evasione fiscale è illegale, l’elusione delle imposte non lo è”. Con questo slogan la Gringas International Società Anonima invita i commercialisti italiani alla conferenza “I paradisi fiscali nel 2011 e le società offshore: la frontiera tra il legale e l’illegale” in programma il 27 gennaio al Palazzo dei congressi di Lugano (“a soli 60 minuti da Milano” recita l’invito). La Gringas si qualifica come “società organizzatrice di eventi”. L’invito al convegno arriva via mail a vari studi di commercialisti italiani. E’ una mail che non si può inoltrare, ma solo leggere. Ma tanto basta per scatenare l’interesse dei professionisti del nord: “Le adesioni sono già 250, i partecipanti saranno almeno il doppio”, scrive oggi il quotidiano La Provincia di Varese che cita fonti della Gringas. A scorrere il programma del convegno, “il confine tra legale e illegale” (questo è proprio il titolo della mail inviata ai commercialisti), appare molto labile. Se, secondo l’invito, ”l’elusione è un diritto del cittadino che, sempre piú, viene stretto dalla morsa fiscale”, ecco che “professionisti del settore” offrono le loro competenze tecniche per “evitare sequestri finanziari” e ”proteggere l’anonimato”. La sorpresa arriva leggendo il nome del moderatore: Mariangela Pira, giornalista italiana, curatrice per il ministero degli Affari esteri di Esteri News, il tg settimanale della diplomazia italiana prodotto da Class Cnbc sulle attività della Farnesina e della Cooperazione italiana all’estero. Contattata da Ilfattoquotidiano.it la giornalista cade delle nuvole: “Mi avevano proposto di partecipare a un incontro a Lugano per il mese di gennaio – spiega – . Sono stata contattata da un’agenzia a cui ho mandato curriculum e foto, riservandomi di approfondire gli argomenti e dare la mia adesione”. Ma l’adesione formale della giornalista non è mai arrivata: “Apprendo ora di essere online sul sito http://www.iparadisifiscalinel2011.com/ come moderatrice”. Mariangela è stupita: “Da come mi avevano parlato dell’incontro, si doveva trattare di un’analisi economica del fenomeno dei paradisi fiscali, non certo di un loro elogio!”. Stando così le cose, la giornalista è perentoria: “Non parteciperò a quel convegno se le cose stanno così come appaiono proposte sul sito”.

A sdoganare l’elusione fiscale, in effetti, ci aveva già pensato Silvio Berlusconi nel febbraio del 2004, quando, durante una conferenza stampa (guarda il video) a Palazzo Chigi aveva dichiarato: “Le tasse sono giuste se al 33%, ma lo Stato mi chiede il 50% e oltre, è una richiesta scorretta e mi sento moralmente autorizzato, per quanto posso, a evadere questa domanda”. Lo stesso concetto il premier lo aveva ribadito a novembre dello stesso anno durante una visita al comando generale della Guardia di Finanza di Roma: “C’è una norma di diritto naturale che dice che se lo Stato ti chiede un terzo di quello che, con tanta fatica, hai guadagnato, ti sembra una richiesta giusta e glielo dai. Se ti chiede di più, o molto di più, c’è una sopraffazione dello Stato nei tuoi confronti. Allora ti ingegni per trovare dei sistemi elusivi o addirittura evasivi che senti in sintonia con il tuo intimo sentimento di moralità e che non ti fanno sentire colpevole”.

Gli organizzatori del convegno si muovono sulla stessa linea del premier. Sull’homepage del sitodedicato al convegno si legge: “L’elusione è un diritto del cittadino che, sempre piú, viene stretto dalla morsa fiscale. Molti imprenditori e professionisti italiani, anche medio-piccoli, vessati dalla crisi, hanno deciso di approdare al mondo dell’offshore attraverso strutture di paesi considerati “paradisi fiscali” che offrono “società anonime” e conti bancari offshore, attraverso i quali é possibile operare pagando meno tasse o zero tasse, proteggendo il proprio capitale attraverso l’anonimato”. Questa scelta avrebbe consentito a molti imprenditori di “non cadere nel baratro della grande crisi finanziaria attuale”. Assurdo quindi secondo gli organizzatori combattere il fenomeno dell’elusione, perché “la maggior parte delle società quotate in Borsa e dei gruppi bancari hanno partecipazioni, quasi sempre di controllo in società residenti nei paradisi fiscali”. “Se sono illegali, come ci vogliono far credere – si legge sempre sulla homepage - perché le maggiori imprese italiane hanno sedi in paradisi fiscali?”

Scopo del convegno, al quale hanno aderito già 250 commercialisti italiani, è “spiegare in modo semplice, diretto e pratico” argomenti ben precisi: “Come e dove si costituiscono le società offshore, cosa e dove sono i paradisi fiscali, come proteggere i propri beni in Italia e all’estero, come evitare sequestri finanziari e proteggere l’anonimato, cause, effetti e comportamenti da adottare nei confronti della grande crisi finanziaria”. I relatori chiamati ad affrontare questi temi sono due. Giovanni Caporaso, ideatore del sito paradisifiscali.org e considerato “il guru italiano delle offshore”. Titolare dello Studio legale Caporaso&Partners di Panama e della Opm Corporation, Caporaso vive a Panama da 20 anni e ha pubblicato tre libri guida “per mettere a fuoco e proteggere i propri beni offshore”:
“Come pagare Zero Tasse, i paradisi fiscali”, “Come usare una società offshore”, “I segreti della banca offshore”. Tra i servizi offerti dalla Opm Corporation, troviamo non solo la consulenza per la “costituzione di società e fondazioni anonime”, ma anche per “società di gestione di gioco d’azzardo e società di banca (per finanziarie, residenze estere, seconda cittadinanza, secondo passaporto, divorzi per procura e divorzi unilaterali, divorzi esteri, adozioni internazionali, investimenti immobiliari, e ovviamente “servizi di tramitazione di banca offshore”. Secondo relatore è Fabrizio Zampieri, consulente finanziario esperto in “analisi e studio dei mercati finanziari, gestione del rischio di cambio e degli strumenti finanziari, gestione della tesoreria aziendale multivalutaria, gestione dell’indebitamento e dei rapporti con gli istituti bancari. Moderatrice del convegno, in quota rosa, è arruolata a sua insaputa la giornalistaMariangela Pira.

Con 260euro la Gringas International Società Anonima offre quindi una guida completa per “operare nei paradisi fiscali in modo del tutto sicuro” e guidare i partecipanti “attraverso questo misterioso mondo che muove il 60% dei capitali mondiali”. E a chi non bastasse la sola giornata di convegno per apprendere tutti i trucchi “del misterioso mondo”, gli esperti rimangono a disposizione il giorno dopo per tutti gli eventuali chiarimenti del caso. Del resto, non occorre essere miliardari per aspirare a “eludere” il fisco. Come recita l’invito al convegno: “In realtà qualsiasi professionista o imprenditore, con un fatturato di 30-40mila euro l’anno, può ottenere grandi vantaggi usando i paradisi fiscali. Oggi tutti possono trovare grandi vantaggi in operazioni o schemi d’ingegneria fiscali affrontando costi irrisori”. E quali sono questi “costi irrisori”? “Meno di 2mila euro senza nemmeno spostarsi dall’Italia. Insomma, un gioco da ragazzi. Al confine tra legale e illegale.




lunedì 22 novembre 2010

Rifiuti, valorizzazione intelligente


Rifiuti. La questione legata alla valorizzazione.
Lo stato. Dopo 11 anni dall’ingresso ufficiale nell’emergenza, la Sicilia non ha ancora risolto i problemi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, nonostante una spesa abnorme e un costo collettivo insopportabile.
Il Piano. Il commissario delegato, Lombardo, ha previsto in contemporanea l’aumento delle discariche, la raccolta differenziata e la valorizzazione energetica dei rifiuti. Le linee guida devono essere riviste.

PALERMO – La crisi dei rifiuti vive giorni di grande intensità. Nel collasso generale del sistema, incluso il rischio dello sciopero degli addetti alla raccolta che paralizzerebbe tutto, si spera nell’ulteriore implementazione del piano “rimandato” da Roma e ora al vaglio dei tecnici della Regione. Paiono inevitabili sia la differenziata che la progettazione di un processo a lungo periodo con nuovi impianti di recupero e valorizzazione energetica del rifiuto. Proprio la valorizzazione, quasi una condicio sine qua non per restare in Europa, è stata ribadita sia nella l.r. 9/2010 che nel provvisorio aggiornamento del piano.

La soluzione si chiama dissociatore molecolare, impianto che permette una comunione tra sostenibilità ambientale e valorizzazione energetica del rifiuto.
Il sonno di una virtuosa gestione dei rifiuti continua a produrre mostri. Le difficoltà burocratiche e politiche bloccano un sistema sostenibile di valorizzazione dei rifiuti e continuano ad affossare la gestione finanziaria degli ambiti isolani. Gli aggiornamenti del piano del 2002 mandati a Roma sono stati rinviati a Palermo per ulteriori implementazioni, come largamente anticipato e approfondito nelle scorse settimane. Altrove la gestione dei rifiuti produce ricchezza per tutti con impianti di valorizzazione energetica, recupero dei materiali e tariffe tarate per un servizio funzionante, mentre nell’Isola a guadagnarci sono in pochi e soprattutto i proprietari delle discariche, principalmente soggetti privati che vantano crediti milionari e stanno chiudendo le porte all’immondizia.

Uno dei grandi dilemmi irrisolti ruota ancora sulla questione della valorizzazione energetica del rifiuto. In tal senso sia la l.r. 9/2010, ancora inapplicata, che l’aggiornamento del Piano rifiuti del 2002 inviato a Roma, non nascondono il progetto di utilizzo di impianti per la valorizzazione energetica del rifiuto. Un’attestazione ovvia, perché non farlo sarebbe una scelta anti-europea, dal momento che questo trattamento è previsto anche nella normativa partorita da Bruxelles ed è una modalità largamente utilizzata in Europa (20% dei rifiuti europei finiscono per essere valorizzati energicamente contro il 12% della media italiana). Resta il problema della modalità. Chiusa definitivamente la stagione dei quattro termovalorizzatori previsti nel piano Cuffaro del 2002, si continua a parlare di impianti di valorizzazione energetica (nella fase a regime del piano di aggiornamento si definiscono genericamente “impianti dedicati a tecnologia complessa ed avanzata” tali da “minimizzare i rischi ambientali ed igienico sanitari”).

Nei giorni scorsi il governatore Lombardo è tornato su questi temi precisando sul suo blog come Franco Gabrielli, neo sottosegretario alla Protezione Civile, abbia apprezzato “la strategia di fondo del documento regionale pianificatorio dei rifiuti”, dove sono previsti “impianti di termovalorizzazione a tecnologia evoluta con potenzialità fortemente correlata alla quantità di rifiuto residuo”. Ma Bertolaso, proprio il giorno del suo pensionamento (11 novembre), ha rimandato il piano, tra le altre cose, anche perché sulla valorizzazione energetica dei rifiuti “sarebbe opportuno che, laddove si optasse per la loro presenza nel ciclo, le relative attività fossero inserite nel piano e avviate fin dalla prima fase emergenziale”.

Il problema è che il documento resta ancora opaco nei termini sostanziali di questi impianti: costo, destinazione, tempi. Conciliare sostenibilità ambientale e valorizzazione? Una strada esiste e si chiama dissociatore molecolare. Non è solo un gioco di terminologia, ma di sostanza, perché la tecnica e le conseguenze tra le due tipologie di impianti sono assai differenti: emissioni, conti economici, dimensioni tarabili sulle esigenze. Un tassello essenziale, quindi, da inserire in una riforma che dovrà partire dal superamento dell’emergenza attuale, che, conseguenza inevitabile, è anche finanziaria. Infatti, questo continuo gioco al rimando - l’aggiornamento del piano del 2002, nonostante due squadre di supertecnici della regione era prevedibilmente incompiuto – non fa altro che continuare ad affossare gli ambiti isolani sempre più devastati da debiti e parallelamente aumentare i crediti pretesi dalle discariche isolane.

Il nuovo Piano prevede tra ampliamenti e nuove discariche 17 interventi tra 2010 e il 2013, che andranno ad aggiungersi alle discariche che resteranno aperte delle 14 ancora disponibili al febbraio del 2010. Di queste ultime le quattro private sono le più capienti della Regione, compresa la discarica di Motta che, se ampliata, sarà una delle più gradi della Regione. Senza valorizzazione e con le attuali medie di smaltimento in discarica (88% del totale) ci sarà una pioggia di euro per proprietari di discarica visto che le tariffe attuali arrivano fino a 109,50 euro a tonnellata per lo smaltimento. E per i comuni sarebbero dolori: a Motta Sant’Anastasia la società Oikos, proprietà della famiglia Proto, tra settembre e ottobre ha accumulato crediti per poco meno di due milioni di euro. Il giro d’affari dell’abbancamento complessivo è presto detto: 2 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti all’anno smaltite in discarica per 100 euro di media producono affari per 2 miliardi mezzo di euro.

Senza contare le porzioni controllate dalla malavita organizzata, dove il sistema discarica-trasporti, come ha denunciato la commissione Pecorella, ha garantito per anni una vera manna dal cielo per le cosche. Ripulire il sistema è priorità per la Sicilia e l’Italia.

No agli inceneritori
Lombardo: sì ad impianti di ultima generazione
PALERMO – Legambiente non ci sta. A seguito del rinvio di Bertolaso dell’aggiornamento del piano varato dalla Regione l’associazione del cigno ha espresso la sua contrarietà. “La vera questione dirimente tra le previsioni della commissione, supportate dal Governo regionale, e quelle del Governo nazionale – ha spiegato Mimmo Fontana, presidente regionale di Legambiente - è ancora una volta la realizzazione degli inceneritori. Inceneritori che vengono considerati sostanzialmente inutili dall’esecutivo Lombardo ed indispensabili da quello Berlusconi”. In realtà, Raffaele Lombardo ha sempre escluso i termovalorizzatori del piano Cuffaro, ma non ha mai escluso la logica della valorizzazione energetica dei rifiuti.
Infatti, quando Pier Carmelo Russo era ancora assessore all’Energia, Lombardo firmò una nota congiunta in cui attestavano, nell’ottica della normativa comunitaria, la necessità di “procedure di autorizzazione accelerate, per garantire in tempi rapidi la realizzazione degli impianti di ultima generazione (in particolare: pirolisi, trattamento meccanico-biologico; dissociatore molecolare e similia)”.



domenica 21 novembre 2010

Traffico di rifiuti tossici e truffa allo Stato Ecco chi si dimentica del dottor Scotti



L'inchiesta giudiziaria lancia un grave allarme per la salute pubblica. Eppure i grandi quotidiani nazionali relegano la notizia in poche righe. Scelta giornalistica o altro? La risposta, forse, sta ancora una volta nella cronaca. E la cronaca racconta che il dottor Scotti da sempre è uno dei maggiori investitori pubbliciatri.

Chi dimentica il dottor Scotti? Di questi tempi sono in molti. Strano, proprio ora che i grandi quotidiani dovrebbero occuparsene. Senza fare molto di più che una banale cronaca. Raccontando, ad esempio, dell’operazione che il 17 novembre 2010 ha coinvolto sette persone. Tra queste il dottor Giorgio Radice, presidente della Scotti energia spa, uno dei fiori all’occhiello del gruppo ed anche la vera gallina dalle uova d’oro per il patron Angelo Dario Scotti. Eppure non è così. La vicenda è stata relegata in poche righe dal Corriere della Sera, da Repubblica, dalSole 24 ore e dalla Stampa. La cronaca, però, racconta anche che il dottor Scotti da sempre è uno dei maggiori investitori pubblicitari. Milioni di euro ogni anno vengono riversati sulle pagine dei grandi quotidiani. Scelta obbligata, dunque. Della storia non si parla. Anzi no. Della Riso Scotti si può parlare. Lo ha fatto, ad esempio, Repubblica. L’argomento però è un altro. Anche la tempistica è diversa. E ‘ il 5 luglio e il titolo sul giornale è questo. “Scotti dai chicci ai bit: il riso punta al web”.

In realtà l’inchiesta giudiziaria fa emergere responsabilità gravi, anzi gravissime. Anche per questo avrebbero meritato più spazio. Ma andiamo con ordine. Chi indaga (Il Corpo forestale) scopre che per anni, almeno dal 2007 al 2009, nello stabilimento pavese della Scotti energia si brucia di tutto. Anche rifiuti tossici, i cui fumi hanno inquinato il cielo della provincia pavese. Reato grave, dunque. Che diventa gravissimo spulciando l’ordinanza d’arresto nella parte in cui si parla di denaro pubblico (oltre 60 milioni di euro) incassato dal dottor Scotti. Denaro pagato dallo Stato in cambio di energia. Questo il motivo per cui nell’hinterland pavese il gruppo Scotti costruisce un inceneritore. Dentro bisogna bruciarci la lolla, ovvero lo scarto biologico della lavorazione del riso. Questa produce energia che viene poi venduta. Lo Stato la paga a prezzo maggiorato. Con il tempo, però, dentro all’inceneritore ci finisce di tutto. Oltre 33mila tonnelate di rifiuti che provengono da tutta Italia e da ogni tipo d’azienda. Ci sono anche scarti di lavorazioni farmaceutiche. Finisce così che lì dentro si brucia una miscela composta per il 70% da plastica e solo per il 10% da lolla. Il giochetto è semplice: basta falsificare le analisi. Lo strumento si chiama Analytica srl. I due soci sono stati arrestati. Ancora più inquietante, il passaggio dell’inchiesta dalla procura di Pavia a quella antimafia di Milano. Indaga il procuratore Ilda Boccassini , la stessa che il 13 luglio ha assestato un duro colpo alla ‘ndrangheta lombarda. Mafia dunque. Un nome che potrebbe rientrare anche nell’indagine sul dottor Scotti. E si sa, quando i boss trasportano rifiuti, non si tratta certo di terra di coltivo.

L’allarme sociale, dunque, è oggettivo. Qui è in gioco la salute delle persone. Eppure nemmeno questo smuove il Corriere della Sera e Repubblica. Il 18 novembere, il quotidiano di via Solferino confina la notizia in 12 righe nell’edizione nazionale. Pezzo breve affogato a pagina 25. Più spazio nell’edizione locale, dove si dà la notizia e le si affianca un ritratto di Angelo Dario Scotti. Il titolo è un virgolettato che riassume la filosofia del patron. “La bussola dell’azienda è il business pulito”. Due righe in più per Repubblica. Il Sole 24ore, invece, relega la notizia in una breve. La Stampa fa poco di più. Silenzio. La faccenda non stuzzica i vertici delle redazione.

Scelta dubbia. Che un po’ scandalizza scorrendo le pagine dell’inchiesta in cui gli investigatori annotano, impresa per impresa, il materaile che è finito dentro all’inceneritore. Vediamone qualcuno. Partendo, magari, dai 712.640 chili di “rifiuti prodotti dall’estrazione tramite solvente 06″. Tutta monnezza che deriva da una società farmaceutica. E ancora 1.399.910 chili di “fanghi di scarto contenenti carbonato di calcio”. Ma ci sono anche rifiuti da fibre tessili grezze e “fanghi bilogici prodotti dal trattamento di acque reflue industriali”. Tutto questo finisce nell’inceneritore che produce energia. Una colpa divisia a metà. da un lato la Riso scotti energia e dall’altro, annotano gli investigatori, “tutte quelle società che hanno conferito presso la Riso scotti energia rifiuti generati dalla raccolta dei Rs falsificandone il codice di identificazione”. Il tutto “finalizzato a eludere i normali oneri”. Questo è quanto. Non sembra poco. Anzi.



Trattativa Stato-mafia. Amato ''Pressioni dal Viminale per revocare il 41 bis''.


L'ex capo del Dap, parlai con Parisi e Mancino.


di Maria Loi - 20 novembre 2010.


Palermo.
Nel marzo del 1993 suggerì all’ex Guardasigilli Giovanni Conso la revoca del carcere duro per i boss mafiosi detenuti. E’ per spiegare questa sua posizione che l’ex capo del Dap Nicolò Amato, autore di un documento (6 marzo 1993) in cui si pronunciava contro le proroghe del provvedimento carcerario, è stato sentito nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa mafia–Stato dai magistrati della Dda di Palermo.

Interrogato per circa quattro ore, Amato ha riferito che questa linea “più morbida” sul regime carcerario era stata discussa il 12 febbraio 1993 al Viminale durante una riunione del Comitato per l’Ordine e la sicurezza pubblica.
E in quell’occasione il capo della polizia Vincenzo Parisi espresse pesanti riserve sull’eccessiva durezza delle misure carcerarie (41 bis ndr) introdotte d’urgenza tra le stragi di Capaci e via d’Amelio e trasformate in legge dopo l’assassinio del giudice Borsellino.

Amato ha ricordato che, sempre dal Viminale, arrivarono “pressanti insistenze” per la revoca del decreto del carcere duro negli istituti di pena di Secondigliano e Poggioreale.

Si trattò solo di una “discussione politica”, ha fatto sapere l’ex capo del Dap ribadendo che non ci fu nessun legame tra il suo documento e la cosiddetta trattativa.

Nessuna anomalia dunque, secondo Amato, sul suggerimento dato a Conso. A breve anche lui verrà sentito dai pm di Palermo.

Fatto curioso è che a giugno del 1993 Nicolò Amato viene improvvisamente rimosso dalla direzione del Dap e sostituito con Adalberto Capriotti.
Il 16 luglio il ministro Conso firma oltre 240 proroghe di 41 bis per i mafiosi (notificate la notte delle bombe di Roma e Milano).
E tre mesi dopo, il 4 novembre, lo stesso Conso cambia idea decidendo “in assoluta solitudine” di non rinnovare i decreti per 140 mafiosi.
Amato invece torna alla sua professione di avvocato e assume la difesa proprio di Vito Ciancimino.
A tirarlo in ballo è Massimo Ciancimino che ha dichiarato ai magistrati palermitani in corso di interrogatorio che l’ex direttore delle carceri, venne segnalato come difensore di suo padre dal generale Mario Mori.
“All’epoca mio padre era in carcere e il nome del legale da nominare lo fece Mori a me e all’avvocato Ghiron”.
Siamo nel giugno 1993, quando Amato non era più direttore del Dap e l’ex sindaco di Palermo era detenuto.
“Ricordo che andavo spesso nello studio dell'avvocato Amato – ha concluso il figlio di Don Vito –, per consegnare o prendere delle buste chiuse”.
Amato ha replicato alle accuse del figlio di don Vito annunciando querela.




Senza titolo.


Così lo Stato scippa i fondi no profit.


In Finanziaria tagli per gli enti benefici. Il 5 per mille ormai non esiste più, il cittadino italiano può liberamente disporre, al massimo, dell’1,25. Il resto se lo prende il governo

E tu a chi lo dai il tuo 1,25 per mille? Con la nuova legge di stabilità bisogna aggiornare il lessico sociale: il 5 per mille ormai non esiste più, il cittadino italiano può liberamente disporre – al massimo – dell’1,25. Il resto se lo prende il governo. Nella prima bozza della Finanziaria era stata abolita in tronco la possibilità per ogni contribuente di devolvere una piccola parte del gettito fiscale a enti no profit. Ora l’esecutivo ha deciso di reinserire l’opzione ma con un tetto fisso: 100 milioni di euro contro i 400 degli anni passati. “Il problema sta innanzitutto nella norma” spiega Marco Granelli, presidente delCoordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato.

Il tetto massimo di 100 milioni

Il 5 per mille nacque nel 2006 come singolo articolo da inserire in Finanziaria. Non è quindi una legge dello Stato, ma un dispositivo che ogni anno viene rimaneggiato. Fino al 2010, lottando e vigilando, le onlus hanno ottenuto il rinnovo e una fedele rispondenza tra somme raccolte e denaro materialmente devoluto. A luglio il governo aveva cancellato in blocco il dispositivo, salvo reintegrarlo ora ma con un tetto massimo di 100 milioni. Il resto delle cifre devolute a maggio dai contribuenti lo gestirà il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, come meglio crede. E non possiamo fare nulla, non c’è una norma da impugnare, una legge cui far riferimento. Semplicemente dobbiamo subire la decisione: noi associazioni così come i contribuenti”.

In pratica saranno le associazioni di volontariato, i centri di ricerca e gli enti no profit (oltre 55 mila quelli accreditati) a procurare denaro allo Stato. Perché finora gli italiani hanno assegnato circa 400 milioni di euro ogni anno tramite il 5 per mille: stavolta invece i 15 milioni di contribuenti (dato 2008) saranno traditi diventando finanziatori involontari di altre politiche governative. Per chi dovrà spartirsi il poco rimasto, sarà guerra tra poveri. Per fare un esempio, la scelta che si pone è questa: o tutti i soldi del 2010 andranno ad Airc, Emergency e Medici senza frontiere (che di solito incassano rispettivamente 70, 10 e 9 milioni ciascuno) oppure tutti gli enti dovranno ricevere una cifra decurtata del 75 per cento.

“Provocazione inaccettabile” dice Michele Mangano, presidente nazionale
Auser, associazione che si occupa di anziani. In questa manovra non ci sono scelte anticicliche e risorse da destinare alla ripresa del lavoro o per i settori produttivi, mentre persiste l’attacco ai diritti universali: istruzione pubblica, cultura, assistenza”.

Spariscono i fondi per il sociale

Il guaio è che con queste cifre sarà impossibile mantenere il livello di servizio garantito fin qui dal mondo no profit. Specie nei settori più delicati. Quest’anno, 5 per mille a parte, il taglio drammatico è stato fatto all’insieme dei fondi per il sociale: un miliardo e mezzo di euro la cifra stanziata per il 2010, 350 milioni per il 2011. “Praticamente sono rimaste le briciole” ha detto Rosi Bindi, mentre c’è chi fa notare come la situazione rischi di diventare pesantissima non solo per gli assistiti ma per gli stessi operatori del settore. Giuseppe Guerini, presidente di
Federsolidarietà, lancia l’allarme: “Gli effetti sull’occupazione saranno inevitabili, soprattutto sul lungo periodo. Non vorrei che a fronte di qualche risparmio immediato sulle politiche sociali ci fossero maggiori spese per la cassa integrazione. Oltre la beffa il danno”.

Il Pdl Maurizio Lupi, storico sostenitore del 5 per mille, ha solennemente promesso di attivarsi presso il ministro Tremonti per far rivivere il 5 per mille il prossimo aprile. “Speriamo – conclude Granelli – intanto chiediamo a tutti di firmare l’appello (su www.csvnet.it) per una modifica immediata del provvedimento. Anche perché al Senato esiste già da giugno 2009 una legge per stabilizzare il 5 per mille. E’ già passata in commissione legislativa, basterebbe un ok. Sa da che è bloccata? Mancanza di copertura finanziaria. Ma se si paga da sola! La verità è che nessun governo vuole preventivamente blindare una quota fissa dei tributi. Tenersi la mani libere è molto più comodo”.