Che sia davvero vicina la fine del mondo? Milioni di uccelli cadono, morti, dal cielo: dagli Stati Uniti alla Svezia e ora anche in Italia, a Faenza. Massimo Bolognesi del Wwf ci accompagna nel punto in cui, da domenica scorsa, stormi di tortore precipitano giù, senza vita. Siamo a un chilometro scarso dal centro storico. «Solo noi - ci dice Bolognesi - ne abbiamo raccolte quattrocento. Ma le tortore morte sono sicuramente molte di più: migliaia. Perché muoiono? Non lo sappiamo. Per il momento è un mistero». Qui a fianco c’è una grande azienda che lavora le farine animali e vegetali, le vinacce e alcune fonti di energia rinnovabile. Inquinamento? Sarebbe troppo semplice, e soprattutto poco logico: l’azienda c’è da tempo, le sue lavorazioni sono sempre le stesse, ma la morìa di uccelli è solo di questi giorni. E poi non è detto che le tortore si siano «ammalate» qui: potrebbero aver contratto il morbo altrove ed essere venute da queste parti per il congedo. Massimo Bolognesi è una delle «guardie giurate volontarie» che periodicamente svolgono controlli di questo tipo. Dice che la strage sta avvenendo nel disinteresse generale delle autorità: «Non abbiamo nemmeno avvisato la Provincia perché secondo noi la Provincia non è competente in materia. Pensiamo che sia una questione sanitaria, e quindi abbiamo avvisato l’Asl. Sa che cosa ci ha risposto? Prendiamo quattro tortore per farle analizzare. Ma delle carcasse non hanno voluto interessarsi. Eppure mi pare che un minimo di prevenzione per la popolazione sarebbe opportuno. Alcuni uccelli morti li hanno trovati anche in centro città: e se fosse un’epidemia contagiosa per l’uomo? Quanto a quelli dell’Arpa, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, hanno fatto spallucce: muoiono perché mangiano troppo, ci hanno risposto». Se la strage sia dovuta a un’indigestione collettiva oppure ad altro, lo diranno le analisi. Diciamo che se si accertasse che gli ingordi volatili se la sono cercata abbuffandosi per le feste di Natale, saremmo tutti più tranquilli. A patto che un analogo risultato lo dessero le analisi che si attendono dagli Usa: dove la misteriosa epidemia ha già scatenato una psicosi di massa. Migliaia di merli sono piovuti giù stecchiti in Arkansas, in Louisiana, in Kentucky. Qui una donna ha addirittura trovato dozzine di uccelli morti dentro casa: una scena terribile, degna del celeberrimo film di Hitchcock. E se il grande regista inglese utilizzò proprio gli uccelli per simboleggiare le nostre più ancestrali paure, un motivo ci sarà. In fondo dal cielo ci attendiamo tutto il bene e tutto il male possibile: la salvezza o un’eterna punizione. Così negli States profeti, astrologi, cartomanti e ciarlatani vari si sono scatenati assicurando che la strage di uccelli è un segno preciso che l’Altissimo ci sta inviando. Una specie di ultima chiamata prima del redde rationem. Non bastavano i Maya, insomma, a dirci che il 21 dicembre del 2012 il nostro tempo sarà scaduto. Adesso ci si mettono i telepredicatori americani. La setta cristiana di Harold Camping, da una radio californiana seguita da milioni di ascoltatori, assicura che «siamo agli sgoccioli» e fissa date ancora più vicine di quella stabilita dai Maya: il 21 maggio prossimo ci sarà il giorno del giudizio, e il 21 ottobre, quando la Terra prenderà fuoco, la fine del mondo. Non è chiaro se nei cinque mesi che intercorrono tra il giudizio e la fine ci sarà tempo per ricorrere alla Cassazione dell’Onnipotente; ma forse non è un caso che tutto avverrà dopo la decisione della nostra Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. C’è poco da scherzare, comunque, visto che un recente sondaggio del Pew Research Center ci ha informato che il 41 per cento degli americani si dice convinto che la Parusia, cioè il ritorno di Cristo giudice sulla Terra, avverrà entro il 2050. La percentuale sale se si considerano gli americani (bianchi) fedeli delle chiese evangeliche: 58 per cento. Ci si consola pensando che Harold Camping aveva già predetto la fine del mondo per il 1994, mentre di quell’anno almeno noi italiani ricordiamo solo la finale dei mondiali persa ai rigori con il Brasile e la discesa in campo di Berlusconi. Il credente un po’ più serio sa, poi, che Gesù ci ha detto che «nessuno sa né il giorno né l’ora», e che il giudizio arriverà inatteso e imprevisto come un ladro che entra in casa di notte. Chiunque abbia fissato una data per l’Apocalisse, finora è stato smentito dai fatti. I Testimoni di Geova hanno annunciato la fine, ovviamente toppando, più di una volta. E il 31 dicembre del Mille la grande attesa di dotti e chierici nei conventi e nei monasteri (la gente comune non sapeva neppure in che anno era) si concluse con un brindisi di mezzanotte. Tuttavia il valore simbolico di ogni segno che viene dal cielo è enorme. Dal cielo cadde la manna, ma anche sventure e punizioni. Di animali morti che piovono giù si parla in molti testi antichi, compresa la Bibbia: una delle piaghe d’Egitto fu una pioggia di rane, pidocchi, mosconi e cavallette. In America c’è chi sostiene che gli uccelli morti sono da collegare a quanto scritto dall’apostolo Giovanni nel Libro dell’Apocalisse, cioè della Rivelazione: è il libro che chiude il Nuovo Testamento. Ma in fondo per preoccuparsi non occorre agitare lo spauracchio della fine del mondo. E’ sufficiente pensare che la strage di animali di questi ultimi giorni potrebbe essere, più «semplicemente», l’effetto di una colossale epidemia, o dell’inquinamento che ci siamo procurati con le nostre mani, senza scomodare Iddio. Abbiamo detto dei merli caduti negli Stati Uniti. Ma ci sono da aggiungere i corvi volati giù morti a Göteborg, in Svezia. E, oltre agli uccelli, i pesci: martedì scorso hanno trovato due milioni di carcasse nella baia di Chesapeake, nel Maryland. Altri centomila pesci sono andati a morire sulle sponde dell’Arkansas River. «Io credo che la causa della morte di queste tortore - ci dice Massimo Bolognesi parlando del caso della sua Faenza - sia da ricercare fra una di queste: o un inquinamento temporaneo prodotto da qualche azienda; o l’aviaria o qualche altra malattia; oppure ancora l’avvelenamento. Qualcuno potrebbe averle avvelenate perché le tortore mangiano grandi quantità di sementi». Viene da aggiungere: speriamo. La paura della fine del mondo è tale che anche l’inquinamento, una pandemia o la cattiveria umana sarebbero buone notizie. | |
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 7 gennaio 2011
Faenza, il giallo delle tortore che cadono dal cielo.
La permalosità di mr. B.
Vista la quantità di cause intentate da B, deve essere il più permaloso d'Italia
ha querelato la Gabanelli per il Report su Antigua (in totale la Gabanelli ha cause per 150 milioni di €)
Di Pietro per aver parlato male di lui in campagna elettorale (ridicolo!)
tutti i libri che rivelano l'origine dei suoi soldi
Repubblica (per un milione di €) per avergli fatto le 10 domande a cui non ha mai dato risposta (è la prima volta al mondo che un premier querela un giornale per avergli fatto delle domande)
El Pais per le foto di Zappadu
l'Unità per 2 milioni
e Il fatto Quotidiano
L'independent per il suo dossier su di lui
che lo disegnava come un padrino della mafia
The Economist per aver scritto che non era adatto a governare l’Italia
l giornalista britannico David Lane per il suo libro "L’ombra di Berlusconi", che esplora le origini della sua fortuna e fa notare che alcuni dei suoi collaboratori sono stati indagati per rapporti con la mafia
Alxander Stille, docente alla Columbia University e autore di molti accurati libri sull’Italia
Diciamo che B perde tutte queste cause ma intanto rompe le balle, costringe gli avversari politici a faticose difese, fa loro perdere soldi e tempo
e appare sulla stampa come una vittima
L'apripista che gli ha dato l'idea di usare l'arma della querela è stato il solito D'Alema che querelò Forattini. La differenza sta nel fatto che B è l'uomo più potente e ricco d'Italia, uno che controlla anche i media dell'opposizione. E' immorale che chi ha una tale posizione di forza assoluta usi anche la querela. Per fare un es. Andreotti non ha mai querelato nessuno. Il punto non è vincere una causa, quanto intimidire i giornalisti e gli organi d’informazione con la prospettiva di un lungo e dispendioso processo. "Portarne a processo 1 per modificare il comportamento di altri 100" (come ha detto Stille). La sua squadra di avvocati è un minaccioso modello attraverso il quale B intend eintimidire la stampa.
Viviana Vivarelli.
giovedì 6 gennaio 2011
Valico dei Giovi, cattedrale incompiuta da sei miliardi di euro.
Il Cipe ha stanziato a novembre altri 500 milioni di euro per il tratto dell'Alta velocità che dovrebbe collegare Milano a Genova. Intanto restano bloccati i fondi per la ricostruzione de L'Aquila e delle scuole del Sud, che vantano un credito di 600 milioni di euro, denaro assegnato ma fermo da un anno
Il quadro drammatico delle casse statali impone delle scelte. Per riaprire i cantieri del Valico dei Giovi, ad esempio, si rinuncia alle ultime assegnazioni per la ricostruzione degli edifici in Abruzzo e alla ristrutturazione delle scuole meridionali: a tutt’oggi, i fondi bloccati per completare questi due interventi ammontano a circa 600 milioni. In pratica, manca all’appello il 40% di ciò che è stato previsto dopo il terremoto abruzzese per la ricostruzione di edifici pubblici e privati e circa la metà di quanto promesso dal Cipe nel 2009 alle opere medio-piccole del Mezzogiorno. Quindi, perché secondo il Cipe l’antipasto della Tav Genova-Milano è prioritario rispetto ai terremotati abruzzesi e agli studenti meridionali? Se qualcuno lo chiede al segretario del Comitato, Gianfranco Miccichè, si sente rispondere che i soldi stanziati dall’ultimo governo vanno solo verso le opere del Nord e che «bloccheremo tutti i fondi se non arrivano i fondi anche per le opere nelle altre regioni». Invece, il sindaco de L’Aquila Massimo Cialente ha un’altra spiegazione: «In Italia si pensa prima a rifare il salotto buono e poi la cucina, cioè prima si pensa alla grande opera e poi a quelle essenziali per il territorio. Perché? L’infrastruttura nuova si annuncia, crea consenso elettorale, invece i soldi impiegati per le piccole opere non hanno visibilità. Ma prima di fare il Ponte sullo Stretto bisogna mettere in sicurezza il Paese. Ed è il governo in carica che decide quali siano le priorità».
«Il Governo farebbe bene a decidere quali infrastrutture sono prioritarie e a minor impatto ambientale, sociale ed economico», tuonava qualche tempo fa il Wwf. E il governo lo ha fatto: due su tre sono al Nord. Riprende Cialente: «Mi sono dimesso da vicecommissario alla ricostruzione per i ritardi nelle assegnazioni dei finanziamenti selezionati dal Fas: un miliardo di euro che non possiamo usare perché la governance che sovrintende i lavori, decisa dal governo, è inadeguata. A volte mi viene il sospetto che sia fatto tutto apposta per non farci usare i fondi. Ma noi come facciamo a non essere prioritari con 14mila persone che ancora non hanno ripreso possesso della propria casa?». Sarà anche perché scarseggiano gli sponsor per l’Abruzzo e per le opere di manutenzione al Sud. Mentre per il Valico dei Giovi non mancano: in primis, l’ex ministro Claudio Scajola e quindi il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli. Scajola, in particolare, al Valico è legato per provenienza: ligure d’origine e dominus di molti progetti infrastrutturali in regione, l’ex ministro sa che la Tav Milano Genova è il sogno di molti conterranei. A cominciare dai 150mila pendolari che transitano ogni mattina tra il capoluogo lombardo e quello ligure, per proseguire con gli abitanti delle zone interessate che vedrebbero occupazione e sviluppo, e concludere con gli imprenditori che collegando il porto genovese a Milano incrementerebbero ricavi e investimenti.
Infatti nel caso del Terzo Valico il problema non è la volontà, ma la disponibilità: l’opera è antieconomica. Pian piano l’hanno ammesso tutti: la Banca europea per gli investimenti, l’Ispa (Cassa depositi e prestiti), gli imprenditori. Il tratto costa oltre sei miliardi e per ora la Ue non ha intenzione di sborsare un euro. Tant’è che l’estate scorsa Giovanni Calvini, presidente di Confindustria Genova ha dichiarato a proposito del Valico: «A questo punto sarebbe meglio rinunciare. Le abbiamo provate tutte ma da soli non ce la facciamo». Ed è comprensibile visto che con questi chiari di luna dovuti alla crisi è improbabile che lo Stato sborsi sei miliardi per un tratto della Tav considerato tra i più cari d’Europa: 6.200 milioni per 54 chilometri di tracciato, 114 milioni di euro per chilometro. Per alleggerire il peso sull’Erario Castelli ha proposto di spalmare la cifra necessaria per tutti gli anni di lavoro, almeno altri otto secondo le previsioni: in pratica, una tassa in più. E poi una volta terminato il Valico, secondo alcune stime i costi di gestione ricadrebbero per l’85% sullo Stato: la tassa, quindi, sarebbe definitiva.
A proposito del Valico, un anno fa il Wwf ha acceso il sospetto di cantieri rilanciati per soli fini elettorali: «Alcuni commi della finanziaria appena votata alla Camera rischiano di trasformare i primi cantieri delle Grandi Opere in colossali incompiute, cattedrali nel deserto». In effetti uno dei commi stabilisce che «il contraente generale o l’ affidatario dei lavori nulla abbia a pretendere nel caso dell’eventuale mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi». E perfino l’Ance (Associazione nazionale dei costruttori edili) è d’accordo con gli ambientalisti: «I timori del Wwf sono condivisibili – spiega Stefano Delle Piane, vicepresidente nazionale di Ance – (…) È come se lo Stato dicesse: sappi che oggi i quattrini ci sono ma non potrai eccepire se in futuro non arriveranno. Diciamo che io, che lavoro con i miei soldi, un contratto del genere non lo firmerei».
Il Valico però si deve fare, costi quel che costi, anche se a spese del costruttore. Fin dal 1994 – quando l’opera valeva appena 1,5 miliardi di euro – la vicenda è stata ricca di previsioni definitive e smentite categoriche. Con alcuni esponenti politici in rilevanza. Uno di questi è il senatore Luigi Grillo, fedelissimo di Scajola, finito sotto l’occhio degli inquirenti nel 1999: alcune associazioni ambientaliste avevano denunciato i tempi e i costi dei lavori per il Valico che lievitavano in maniera irrazionale. Il 24 febbraio 1998 si decide il sequestro dei cantieri aperti nell’alessandrino, tra Franconalto e Voltaggio, e nel 1999, per decreto del ministro Ronchi, i cantieri sono chiusi. Intanto, a tal proposito, la Procura di Milano rinvia a giudizio per truffa aggravata nei confronti dello Stato proprio il senatore Luigi Grillo (al tempo presidente della Commissione ambiente del Senato) ed Ercole Incalza, che ha qualcosa in comune con Scajola: anche lui sembra abbia usato soldi ricevuti dalla “cricca” per acquistare una casa a Roma. A proposito dell’inchiesta sull’opera alessandrina, nel 2006 i reati cadono in prescrizione: Grillo, Incalza ed altri manager fruiscono della legge ex Cirielli. In ogni caso, nel 2005 Grillo è di nuovo sui cantieri auspicando la pronta ripresa dei lavori e a giugno del 2010 il senatore è ancora a Voltaggio per promettere che presto la Tav si rimetterà in moto: a ottobre, però, non c’era ancora nessuno a popolare i prefabbricati cantieristici, abbandonati o quasi da almeno tre anni.
Ma è Claudio Scajola il vero promoter del Valico durante i governi Berlusconi. Nel 2001, Lunardi inserisce il tratto tra le opere prioritarie del governo e la Banca europea per gli investimenti promette fondi che nel 2007 ritirerà: è un’infrastruttura antieconomica. Il governo rilancia: l’opera sarà pagata tramite obbligazioni dell’Ispa (Infrastrutture Spa). Ma nel 2006 il presidente della società, Andrea Monorchio, smentisce in maniera categorica: «Si sapeva da sempre che la Milano-Genova non era finanziabile con le modalità finora seguite per le altre tratte dell’alta velocità. Costa 5 miliardi e l’opera non è redditiva perché i ricavi valgono solo il 15% dei costi». E anche Mauro Moretti, ad di Ferrovie dello Stato, affermava tre anni fa: «Nessuno vuole cancellare il progetto del Terzo Valico, però oggi le priorità sono altre». Ma quando nel 2008 Berlusconi torna al governo e Scajola approda al ministero dello Sviluppo economico, Moretti cambia idea sull’importanza dell’opera, che torna ad essere prioritaria. E alla prima riunione del Cipe il Valico dei Giovi ottiene subito lo stanziamento dei primi 500 milioni. Soldi che un mese fa sono stati confermati e che rimetteranno in moto i cantieri per un altro anno – forse qualcosa di più – poi si vedrà. Intanto, la ristrutturazione in Abruzzo e le piccole opere del Mezzogiorno dovranno aspettare il prossimo giro: i soldi non possono bastare se le priorità sono altrove.
di Gianluca Schinaia – FpS Media
Miracolo italiano: un Previti è per sempre. - di Marco Lillo
Continua a fare l'avvocato e potrebbe anche ricandidarsi. Grazie a indulto e sconti ad hoc è libero dal 2009 e sono decadute anche le pene accessorie
“L’avvocato Cesare Previti? E’ fuori studio, può riprovare domattina”. Fa impressione sentire la voce cortese che risponde al telefono dello studio Previti fondato nel 1958 dall’allora esordiente Cesare insieme al padre Umberto e ora ereditato dai figli. Non tanto perché l’avvocato amico diSilvio Berlusconi sia in giro per Roma. Teoricamente sarebbe stato condannato a sette anni e mezzo di carcere ma si sa come vanno le cose in Italia: l’avvocato settantaseienne ha scontato pochi giorni di galera nel maggio del 2006 e poi un periodo di arresti domiciliari e di affidamento ai servizi sociali all’associazione di don Picchi. Grazie all’indulto e ai tanti sconti, alcuni introdotti dal Governo Berlusconi come la legge ex Cirielli, Previti è libero dal dicembre del 2009.
Nel 2007, per evitare che
Sono passati quindici anni da quando Stefania Ariostoraccontò le mazzette pagate negli anni ottanta ai giudici dall’avvocato per vincere le cause di Berlusconi e di altri clienti. Previti è stato condannato in via definitiva due volte e prescritto per una terza vicenda. Sono passati più di quattro anni e mezzo dalla prima condanna definitiva per corruzione in atti giudiziari per la vicenda Imi – Sir, una bazzecola da mille miliardi di allora. Sono passati 3 anni e cinque mesi dalla seconda condanna per la sentenza in favore di Silvio Berlusconi sul Lodo Mondadori, una robetta da 750 milioni di euro, eppure l’ex ministro della difesa è ancora iscritto all’albo degli avvocati. L’avvocato che aveva trasformato il foro romano in un suk è stato graziato dalla lentezza della giustizia della casta dell’Ordine professionale che si è dimostrata incredibilmente più lenta di quella della casta dei parlamentari.
Non uno dei 25 mila avvocati di Roma ha trovato da ridire sulla sua iscrizione all’Ordine. Un silenzio che offre argomenti a chi invoca l’abolizione di un’istituzione che limita la concorrenza e che dovrebbe giustificare la sua stessa esistenza con la tutela dell’ etica e della deontologia. Il Fatto Quotidiano si era occupato dell’incredibile caso della mancata radiazione nell’ottobre del 2009. Allora ci spiegarono che Previti era stato radiato dall’Ordine di Roma nel 2008 ma la decisione era stata impugnata davanti al Consiglio Nazionale Forense. Il presidente nazionale, il professor Guido Alpanell’ottobre scorso ha fatto il suo dovere: “Il consiglio su mia proposta ha disposto la radiazione dell’avvocato Previti ma esiste un terzo grado di giudizio”. Ovviamente Previti non si è fatto sfuggire l’occasione: “Abbiamo presentato ricorso in Cassazione”, spiega il difensore dell’ex ministro della difesa,Alessandro Sammarco “così la sanzione disciplinare dell’Ordine è sospesa fino alla decisione definitiva delle sezioni unite civili della Cassazione”. Ci vorrà almeno un altro anno. “Fino ad allora”, continua Sammarco, “Cesare Previti è un avvocato a tutti gli effetti e potrebbe difendere in giudizio i suoi clienti anche se, per sua scelta, preferisce non farlo”.
Secondo l’Ordine di Roma le cose non stanno così: Previti non potrebbe operare comunque perché la sentenza di condanna prevede per lui l’interdizione perpetua che impedisce l’esercizio della professione a prescindere dalla radiazione dell’Ordine. “Quella pena accessoria però”, ribatte sicuro l’avvocato Alessandro Sammarco, “si è estinta a seguito dell’esito positivo dell’affidamento ai servizi sociali nel dicembre del 2009. L’articolo 47 comma 12 dell’Ordinamento penitenziario dice chiaramente che: ‘l’esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale’, quindi”, prosegue Sammarco, “anche le pene accessorie”. E qui arriva il colpo di scena: tutte le pene accessorie, anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici in sede politica. Ergo, come spiega l’avvocato Sammarco, “in linea teorica Cesare Previti potrebbe candidarsi alle prossime elezioni, anche se si tratta di un’ipotesi astratta come quella della sua difesa in un processo”. Altro che scandalo per la presenza del difensore Cesare Previti in un tribunale. Presto l’avvocato potrebbe tornare in Parlamento. E allo studio di via Cicerone, per parlare con il pluripregiudicato, bisognerà chiedere dell’“Onorevole avvocato Previti”.
da Il Fatto Quotidiano del 5 gennaio 2011
Su gentile concessione di:
http://ilgiornalieri.blogspot.com/2011/01/miracolo-italiano-un-previti-e-per.html
Ristoratori padovani contro Zaia: "Basta cene al ristorante cinese"
"Con perplessità e discutibilità abbiamo mal digerito la foto apparsa sul mattino che ritrae il governatore Zaia con l'amico Marco Hu Lishuang nella serata di Capodanno al ristorante Wok-sushi - spiegano i ristoratori in una lettera inviata al mattino che domani sarà pubblicata integralmente dal giornale - Con quale soddisfazione il governatore si batte in difesa dei saporiti prodotti veneti?".
Qualità, attenzione al territorio, accoglienza del cliente: tutte caratteristiche che i cuochi padovani rivendicano dalla loro parte contro la concorrenza dei ristoranti cinesi. "I prezzi che pratichiamo sono lo specchio dell'equità e dell'onesta - spiegano - E siamo soggetti agli studi di settore con dei parametri ben definiti per i giusti ricarichi".
"Invitiamo poi il Governatore Luca Zaia a frequentare pure i nostri locali - concludono i ristoratori - Assieme al calore familiare e a eleganti tavoli (non striminziti e non self service) il governatore troverà e degusterà vini e cibi con prodotti della nostra meravigliosa agricoltura, di quella terra che è anche la sua, con accattivanti ricette non di importazione".
La lettera di protesta, con nomi e cognomi e indirizzi dei ristoranti, è stata inviata anche al presidente Zaia e all'Appe, l'associazione che tutela i pubblici esercizi (leggi l'intervento). Si tratta del "Cancelletto" di Camin, delle trattorie Berton e Ai Porteghi di Padova, del ristorante Palestro29, della trattoria Tunnel di Busa di Vigonza, del ristorante Bastione di Bastia di Rovolon, dell'antica trattorio da Dorio di Vigodarzere e del "Di...vino" di Villatora di Saonara.
Il governatore veneto ha deciso di rispondere a stretto giro di posta con un'altra lettera. "Mi pare che ciò che mi state chiedendo è di giustificare un mio spazio familiare, nel quale ho accettato l'invito di un gruppo di amici che, non per il veglione di Capodanno, ma il giorno dopo, per cena, mi avevano chiesto di partecipare ad un momento conviviale - scrive Zaia ai ristoratori - Ero stato da Marco quattro anni e mezzo fa, per l'inaugurazione del suo locale. Nel frattempo, e ve lo dico solo di sfuggita, diverse volte a settimana frequento ristoranti che hanno fatto della cucina veneta il proprio point of difference, giusto per utilizzare il gergo delle agenzie di pubblicità. E come ministro ho applicato la "tolleranza zero" contro i prodotti etnici arrivati in Italia per minacciare la salute dei consumatori".