sabato 10 febbraio 2018

Flat Tax, il re è nudo. Pronti a vivere come in Belize ?? - Rosanna Spadini

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O il sole o il welfare? Non vale più. Ora il treno della Flat Tax è partito, quello che contribuirà al definitivo massacro del welfare e dei diritti. Non è presente in nessun Paese dell’Europa occidentale, dove la qualità della vita è ancora mediamente alta. È presente invece nell’Europa dell’est e nel terzo mondo. La Flat Tax è una bufala, sarebbe meglio chiamarla «flop tax», perché è dannosa per il welfare, riveste la funzione di un Robin Hood al contrario, è incostituzionale, ed è altamente sconsigliabile per il mantenimento di un sistema fiscale attento alla ridistribuzione della ricchezza.
La tassa è iniqua perché non è progressiva, così come prevede la Costituzione, e mentre i milioni di contribuenti della fascia media risparmieranno poche decine di euro all’anno, i 130mila fortunati che dichiarano tra 90 e 100mila euro, avranno un beneficio molto più tangibile, perché è una tassa che favorisce le classi benestanti.
L’articolo 53 della Costituzione per altro dice che «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
La palude si addensa sulla proposta del Centrodestra, perché non ci sono ancora accordi condivisi sul livello effettivo della tassa che dovrebbe sostituire Irpef e Ires. Fissandola al 20% gli introiti fiscali calerebbero di 95,4 miliardi. Però Forza Italia sostiene che «si finanzierebbe da sola», così com’è avvenuto in Belize, Kazakhistan, Transnistria e un atollo polinesiano.
La Russia ha adottato l’aliquota unica nel 2001, aumentando del 16% le sue entrate, ma il Fondo monetario internazionale (Fmi) spiega che non ci sono prove del legame tra crescita e riforma fiscale. La scommessa sul nostro Paese è però un azzardo. Forse la tassa piatta potrebbe aiutare a portare alla luce i redditi da lavoro autonomo, ma rischia di aprire una voragine nei conti pubblici e far pagare la crisi alle famiglie.
Un’aliquota unica per persone fisiche e imprese al posto di Irpef e Ires, però tra una proposta e l’altra si agitano decine di miliardi. Per il Berlu, a giorni alterni, sarà «di poco superiore al 20%» o «del 20-22-25%».
Nel frattempo il Giornale della famiglia Berlusconi contesta le affermazioni del Sole24Ore sulla perdita di gettito che deriverebbe dalla riforma fiscale «la flat tax al 25% funziona benissimo, per dire, nel paradiso fiscale di Trinidad e Tobago. Mentre i contribuenti dell’arcipelago polinesiano di Tuvalu devono accontentarsi del 30%».

Matteo Salvini e Armando Siri

Sul valore dell’aliquota che dovrebbe sostituire i cinque scaglioni Irpef si stanno ancora «facendo i calcoli», ha ammesso l’ex condannato in un’intervista al Corriere, ed anche se l’idea era del ’94, i conti ancora non tornano. Nel frattempo la Lega ne ha fatto uno dei propri cavalli di battaglia, nella versione super light al 15% sostenuta da Salvini e Armando Siri, ex giornalista dei tg Mediaset e novello guru economico.
Nel libro «Flat tax», edito da Passaporta, Armando Siri  spiega come con la sua proposta lo Stato in un anno avrebbe mancate entrate complessive (tra persone e imprese) per 63 miliardi di euro. Liquidità però che resterebbe nelle tasche di famiglie e delle imprese stesse che aumenterebbero la domanda interna e la capacità di investimento. Oltre a procurare una semplificazione drastica di tutta la burocrazia a monte. 
Ma non era Claudio Borghi, il teorico del NoEuro, il santone leghista in materia economica? Sì, ma per l’emisfero nord, per quello sud c’è Armando Siri. E poi c’è anche Alvin Rabushka, della scuola dei Chicago Boys, professore a Stanford e già consigliere di Reagan, il vero profeta della «flat tax». Come diceva appunto Reagan, si tratta di «affamare la bestia», cioè lo Stato, e quello italiano è sempre stato particolarmente famelico, dicono i leghisti, da Romaladrona in giù.

Quel Matteo Salvini da Milano, fasciato di felpe parlanti, che ha varcato la linea del Po per sfondare mercati del centro sud, studi televisivi e soprattutto i like di Facebook.


«Occorre un piano strategico nazionale per il Sud, non soltanto per il Ponte sullo Stretto, e noi questo piano lo stiamo elaborando» dice Siri «Lui l’ho conosciuto ai tempi della candidatura di Roberto Maroni alla presidenza della Lombardia. Non è la figura rozza dipinta dai media, ha un ego permeabile ai buoni consigli, sa ascoltare con leale sincerità e, cosa più importante, mostra un coraggio intuitivo che Renzi non ha» e ancora «ormai destra e sinistra sono emisferi chiamati a comunicare e collaborare, come avviene nel luogo mediano del cervello chiamato corpo calloso, altrimenti diventano spastici e si annientano a vicenda». Insomma, basta con la nevrosi della democrazia.
Siri ha comunque le idee molto chiare, perché la cura della schizofrenia contemporanea per lui non è anti o post-politica, invece è pre-politica. In parole povere, non siamo più in grado di gestire correttamente l’eccesso di aggressioni patogene esterne (flussi migratori, debito pubblico, disoccupazione di massa, chiusura di aziende, crisi bancarie), e così siamo costretti ad usare vaccini super potenti, per la pandemia in atto. L’uomo italico esigerebbe un vasto programma di recupero dei valori umanistico rinascimentali, si dovrebbe ripartire da Marsilio Ficino, con un forte ideale anelito a farsi ubermensh.

I casi di «successo» dell’aliquota unica nel mondo sono tanti. Dei 38 Stati, otto sono membri dell’Unione europea, quelli di più recente adesione, quali Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia. Poi oltre alla Russia, ci sono paradisi fiscali come l’Isola di Jersey, quella di Guernsey, le Seychellese Trinidad e Tobago, regimi autoritari come il Kazakistan, repubbliche ex sovietiche come Turkmenistan e Kirghizistangli Stati non riconosciuti della Transnistria e del Nagorno Karabakh, il Sud Sudan. Non mancano l’Iraq e l’Abkhazia, il Belize e la nazione polinesiana di Tuvalu, 10mila abitanti disseminati su nove isolette per 26 chilometri quadrati complessivi.

Alvin Rabushka

L’aliquota unica sembra però non funzionare bene in tutte le stagioni. Tra il 2010 e il 2013 Islanda e Slovacchia hanno abbandonato la tassa piatta, sull’onda della crisi finanziaria che ha messo in difficoltà i loro conti pubblici. Il governo di Bratislava ha deciso di fare retromarcia dopo nove anni e nel gennaio 2013 ha affiancato l’aliquota unica al 19% con un secondo scalino al 23%.
Nei primi quattro anni dall’introduzione della flat tax l’economia slovacca è cresciuta a tassi del 10%, ma sono aumentate anche le differenze di reddito. Con la crisi tra i cittadini slovacchi, ha spiegato Andrea Peichl, ricercatore dell’istituto per il Lavoro di Bonn, è aumentata la richiesta di una maggiore ridistribuzione del reddito che, in assenza di altri interventi, non si può ottenere tramite questa tassazione.
«La flat tax aiuta i ricchi? Sono contento» ha detto Matteo Salvini, a margine di una sua visita al mercato di via Pagano a Milano. E poi «Noi non tradiremo mai, non andremo mai al governo con Renzi, la Boldrini, i grillini, con Gentiloni» ha replicato a chi gli ha chiesto che cosa farebbe la Lega in caso il centrodestra non ottenesse la maggioranza dei seggi in Parlamento.
Ma i benefici della tassa piatta non si ridurrebbero alla crescita economica, perché troncando le imposte si stimolerebbe il lavoro così come l’emersione dei redditi in «nero», in quanto tutti i contribuenti sarebbero più disponibili a pagare le tasse, con una magica riduzione dell’evasione fiscale.
Le ultime dichiarazione dei redditi in Italia ci dicono che su 40 milioni di contribuenti solo 31.000 dichiarano più di 300.000 euro l’anno di reddito lordo, arrivano invece a 400.000 quelli che sfiorano i 100.000 euro. Quindi i redditi sono principalmente sotto questa soglia. In più come sostiene il centro di ricerca della Cgia di Mestre la tassazione delle imprese tra imposte dirette e indirette raggiunge anche il 64,8% sui profitti, percentuale che mette il nostro Paese al primo posto fra tutti quelli dell’area euro (affaritaliani.it).
Di conseguenza gli investitori sono più propensi ad investire altrove, dove la tassazione è più bassa. Quindi il sistema sistema burocratico fiscale necessita di riforme urgenti, però la tassa piatta appare troppo iniqua per risolvere il problema.
Perché applica la teoria liberista di Margaret Thatcher «Non ci può essere libertà se non c’è libertà economica», confermando la fede nella «mano invisibile» di Adam Smith e dando la definitiva mazzata turbo liberista al sistema.
Intanto la partitocrazia, assolutamente incapace di smentirsi, ha prodotto una legge elettorale che non può dar luogo a nessuna maggioranza, per avere piena disponibilità di fare scempio del voto degli elettori, attraverso consociazioni, lottizzazioni e inciuci vari, e per poter dar vita all’unico governo possibile delle larghe intese, sempre alle dipendenze della finanza nazionale ed estera.
Al mercato delle promesse e dei voti della campagna elettorale, le propagande partitocratiche sono vuote millanterie, perché i guai del Paese possono essere risolti solo da forze politiche oneste, coerenti e credibili.
Ebbene la tassa piatta, nonostante un sistema di deduzioni fisse che la renderebbe progressiva nelle fasce medio basse di reddito, è un regalo alla finanza nazionale e internazionale.
Una riduzione del carico fiscale sarebbe fondamentale per la crescita, dato che lo Stato italiano tassa più di quanto spende, quindi sarebbe necessario riportare il carico fiscale a livelli normali, però attraverso un deficit da finanziare sovranamente.
Le affermazioni di Salvini, secondo le quali ci sarebbe un sistema di deduzione fortemente progressiva, non reggono, perché questa progressività riguarderebbe soltanto le fasce di reddito inferiori e sfumerebbero fino ad azzerarsi man mano che le entrate aumentano.
L’attuale sistema tributario nazionale non ha voluto impedire l’accentramento costante di capitali nelle mani di poche persone, e la tassa piatta è l’ennesima truffa neoliberista, mascherata da fata turchina, risolutrice dei problemi e vendicatrice degli oppressi, in realtà continuerebbe a garantire i privilegi dei soliti noti.
In definitiva un’eventuale  politica espansiva finirebbe per accrescere i patrimoni di pochi, mantenendo l’oligarchia finanziaria al timone del Paese a danno del resto della popolazione.
Come ha notato Luigi Marattin dell’Università di Bologna: «Il ragionamento (comunque sbagliato) dell’emersione del sommerso vale per le imposte dove è concentrata evasione e elusione. In Italia si tratta soprattutto dell’Iva, che secondo molte stime nasconde più di 100 miliardi di evasione. La “flat tax” riguarda invece l’Irpef, un’imposta la cui platea di contribuenti è per circa il 90% è costituita da lavoratori dipendenti e pensionati. Vale a dire, contribuenti che non possono evadere, visto che hanno le trattenute direttamente in busta paga. Quindi la “magia” dell’emersione del sommerso sarebbe comunque assolutamente marginale».
Alla fine insomma perché il leader della Lega ha stretto questo patto di belzebù con il Berlu? Forse perché l’ex carcerato deve risparmiare sulle tasse, ed ha pensato bene di scaricarle sul groppone degli italiani, usando uno dei soliti giochetti illusionistici ?

PROF. STEPHEN F. COHEN: RIPENSARE PUTIN - UNA LETTURA CRITICA. - di cdcnet


Recentemente ho avuto il piacere di assistere ad una breve presentazione del Professor Stephen F. Cohen intitolata “Rethinking Putin“, tenuta all’annuale crociera Nation il 2 dicembre 2017. Nella sua breve presentazione, Cohen fa un ottimo lavoro nello spiegare cosa Putin NON è e questo include (ma, per favore, guardate il video originale prima di procedere).

Non è l’uomo che ha de-democratizzato la Russia (l’hanno fatto Eltsin e la Casa Bianca)
Non è il leader che ha creato corruzione e cleptocrazia in Russia (l’hanno creata Eltsin e la Casa Bianca)
Non è un leader criminale che ha ordinato l’omicidio di oppositori o giornalisti (nessuna prova)
Non ha ordinato l’hacking dei server DNC (nessuna prova)
Non era anti-USA o anti-occidente all’inizio (è cambiato nel tempo)
Non è un leader neo-sovietico (è molto critico di Lenin e Stalin)
Non è un leader aggressivo in politica estera (è stato un leader reattivo)
Non è in alcun modo definito dai suoi anni al KGB.


Il professor Cohen ha concluso il suo discorso suggerendo alcune cose che potrebbero far parte di una futura sincera biografia:
Da giovane ed inesperto leader posto al timone di uno stato al collasso:
ha ricostruito, stabilizzato e modernizzato la Russia in modo da prevenire futuri crolli
ha dovuto ripristinare il “verticale” del potere: “democrazia gestita” (cioè ordine ristabilito)
ha avuto bisogno di una storia consensuale che rattoppasse le ere zarista, sovietica e post-sovietica senza imporre una sola versione della storia
ha avuto bisogno del sostegno occidentale per modernizzare l’economia russa
ha voluto che la Russia fosse una grande potenza, ma non una superpotenza
non ha mai favorito l’isolazionismo da cortina di ferro; è un internazionalista (più europeo del 90% dei russi, perlomeno all’inizio).


La tesi chiave è questa: Putin ha iniziato come leader europeista filo-occidentale, e col tempo si è riallineato ad una visione del mondo molto più tradizionale e russa. Oggi è più in linea con gli elettori russi.
Il professor Cohen ha concluso affrontando due argomenti che, presumo, il suo pubblico aveva molto a cuore: ha detto che, contrariamente alla propaganda occidentale, le cosiddette leggi “anti-gay” in Russia non sono diverse dalle leggi presenti in 13 stati USA. In secondo luogo, che “col consenso generale di tutti, nessuno lo nega, gli ebrei in Russia sotto Putin stanno meglio di quanto non siano mai stati. Hanno più libertà, meno antisemitismo ufficiale, più protezione, più ammirazione ufficiale per Israele, più interazione, più libertà di spostamento”.

Tutte cose molto interessanti, specialmente se elargite ad un pubblico americano liberal-progressista di sinistra (con, probabilmente, un’alta percentuale di ebrei). Sinceramente, la presentazione del professor Cohen mi fa pensare a cosa avrebbe potuto provare Galileo quando fece le sue “presentazioni” davanti al tribunale dell’Inquisizione (gli articoli ed i libri di Cohen ora sono anche sull’equivalente moderno dell’Index Librorum Prohibitorum). In realtà, il professore è semplicemente fedele a sé stesso: si è opposto ai folli durante la vecchia guerra fredda ed ora si oppone agli stessi folli nella nuova Guerra Fredda. 

Per tutta la vita, Cohen è stato un uomo di verità, coraggio ed integrità – un pacificatore nel senso delle Beatitudini (Matteo 5:9). Così, pur non essendo sorpreso dal suo coraggio, ne sono immensamente colpito. Alcuni potrebbero pensare che fare una breve presentazione su una nave da crociera non sia un segno di gran coraggio, ma io non sono d’accordo. Certo, nessuno gli sparerebbe alla nuca come, ad esempio, avrebbero fatto le ChK-GPU-NKVD sovietiche, ma io sostengo che questi metodi di “imporre” un singolo consenso ufficiale fossero molto meno efficaci dei loro equivalenti moderni: le tecniche di imposizione della conformità (vedi: Asch Conformity Experiment) così prevalenti nella moderna società occidentale. Basta vedere i risultati: nella società sovietica si leggeva e pensava di più (in qualsiasi senso) di quanto non si faccia oggi nel moderno Impero anglo-sionista (chiunque si ricordi della cattiva vecchia Unione Sovietica lo confermerà). Come dice una battuta: in una dittatura, ti viene detto di “star zitto”, mentre in una democrazia sei incoraggiato a “continuare a parlare”. Come volevasi dimostrare.

Passando ai punti di discussione del professor Cohen, i numeri 1, 2, 3 e 4 sono fatti di base. Nulla da aggiungere – Cohen sta mettendo le cose in chiaro. Il punto 5 è molto più interessante e controverso. Per prima cosa, stiamo parlando di opinioni/intenzioni, difficili da giudicare. Putin è mai stato filo-occidentale? Chi lo può sapere? Forse i suoi amici più intimi? La mia convinzione è che questa domanda debba essere considerata in combinazione con il punto 8: il passato di Putin nel KGB.

In Occidente, c’è ancora molta ignoranza sul vecchio KGB sovietico. Per l’americano medio, un “agente del KGB” è un ragazzo di nome Vladimir, con gli occhi grigio-blu acciaio, che picchia i dissidenti, ruba i segreti tecnologici occidentali e spia le mogli dei politici (e a volte le porta a letto). È un comunista irriducibile, che sogna di bombardare o di invadere gli Stati Uniti e parla con un forte accento russo. 

In alternativa, c’è Anna Kushchenko (a.k.a Anna Chapman) – una subdola bambola del sesso che seduce gli uomini occidentali fino ad indurli a tradire la propria patria. Questi stereotipi sono corretti quanto James Bond è una rappresentazione accurata dell’MI6. La realtà non potrebbe essere più diversa.

Il KGB sovietico era prima di tutto un’enorme burocrazia con direzioni, reparti e sezioni completamente diversi e separati. Sì, una tale Direzione si occupava di dissidenti ed attivisti antisovietici (principalmente il 9° dipartimento della 5a Direzione), ma anche in questa (famigerata) quinta direzione c’erano alcuni dipartimenti che, in coordinamento con altre Direzioni e Dipartimenti del KGB, si occupavano di còmpiti più legittimi come, ad esempio, l’individuazione precoce di organizzazioni terroristiche (7° Dipartimento). Altre Direzioni del KGB si occupavano della sicurezza economica (6a Direzione), della sicurezza interna e del controspionaggio (2a Direzione) o persino della protezione dei funzionari (9a Direzione).
Putin era un ufficiale (non un “agente” – gli agenti sono reclutati al di fuori del KGB!) della Prima Direzione Principale (PGU) del KGB: intelligence straniera. Lo stesso Putin ha recentemente rivelato che lavorava nel Dipartimento più delicato del PGU, il “Dipartimento S”, dedicato agli “illegali”. Questo è molto importante. Il PGU era così separato da tutte le altre Direzioni del KGB che aveva il proprio quartier generale a sud di Mosca. Ma anche all’interno del PGU, il Dipartimento S era il più segreto e separato. Avendo passato molti anni da attivista antisovietico ed avendo avuto faccia a faccia con funzionari del KGB (di vari Consigli Direttivi), posso confermare che non solo il KGB nel suo complesso sceglie le menti russe più brillanti, ma che il PGU ottiene le migliori di queste, e solo le migliori di quel gruppo selezionato sono arrivate ​​al leggendario Dipartimento S. Ora diamo un’occhiata a quale tipo di competenze era richiesto agli ufficiali PGU (oltre agli ovvi due: essere molto brillanti ed affidabili).
Innanzitutto, deve essere uno specialista di alto livello nella sua area di competenza (nel caso di Putin la Germania, ovviamente, ma anche del resto d’Europa e, poiché l’Europa occidentale era – ed è tuttora – una colonia statunitense, Stati Uniti). Dato che ai sovietici veniva detto che l’Occidente era il nemico, quelli del PGU dovevano capire come e perché l’Occidente fosse quel nemico.

In termini pratici, ciò implica non solo conoscere e comprendere le culturali, politiche, sociali ed economiche del sistema di governo del nemico, ma anche i reali rapporti di potere all’interno dello stesso. Tale comprensione è utile non solo per affrontare e valutare l’utilità potenziale di ciascuna persona con cui si interagisce, ma anche per capire in quale àmbito questa persona debba operare. L’immagine di ufficiali PGU bigotti comunisti è ridicola: questi uomini erano molto istruiti (avevano accesso illimitato a tutte le fonti di informazione occidentali, incluse quelle anti-sovietiche, report confidenziali e tutta la letteratura antisovietica immaginabile) ed erano ultra realisti/pragmatici. 
Ovviamente, come in qualsiasi organizzazione, i massimi dirigenti erano spesso nominati dalla politica, ed i burocrati e gli agenti di controspionaggio erano molto meno sofisticati. Ma, per ufficiali come Putin, capire veramente la realtà della società occidentale era un’abilità vitale.
Secondo, un buon ufficiale PGU deve essere piacevole; molto, molto piacevole. Essere apprezzato dagli altri è un’abilità cruciale anche per un buon ufficiale dell’intelligence. In termini pratici, ciò significa che lui/lei non solo deve capire cosa fa scattare l’altro, ma anche come indirizzarlo nella giusta direzione. Per gli “illegali”, si trattava anche di essere il loro miglior amico, confessore, sostegno morale, guida e protettore. Non puoi farlo se non piaci alla gente. Questi ufficiali dell’intelligence sono quindi maestri del mostrarsi buoni amici e compagni; sono bravi ascoltatori e si fanno piacere. Inoltre capiscono esattamente cosa vuoi sentire e vedere, e quali parole ed azioni ti rilassano e ti inducono a concedere fiducia.
Combina ora queste due cose: hai un uomo che è il miglior specialista sull’Occidente e che è ben addestrato per venir apprezzato dagli occidentali. Quant’è probabile che quest’uomo avesse molte illusioni sull’Occidente, tanto per cominciare? E supponiamo che un uomo come lui avesse avuto dei dubbi – li avrebbe mostrati?
Il mio istinto mi dice che questo è alquanto improbabile.
La cosa più probabile è che Putin abbia interpretato il ruolo del “miglior amico dell’Occidente” il più a lungo possibile, e poi l’ha terminato quando non era chiaramente più produttivo. E sì, nel farlo si è riallineato all’opinione pubblica russa tradizionale, ma questo è stato solo un utile effetto collaterale, non la causa o l’obiettivo di quel riallineamento.
Guardate i punti 9-13 (li riassumerei come “aggiustare la Russia”). Hanno tutti molto senso, anche che “era un leader giovane ed inesperto”. C’è un’enorme differenza tra l’essere un abile agente PGU ed essere l’uomo che governa la Russia. Ed anche se Putin avesse effettivamente perso alcune delle sue illusioni, sarebbe stato principalmente perché l’Occidente stesso è cambiato molto tra gli anni ’80 e gli anni 2010. Ma Putin deve aver sempre saputo che per implementare i punti 10-13 di Cohen aveva bisogno dell’aiuto dell’Occidente, o, se ciò non fosse stato possibile, perlomeno l’interferenza/resistenza minima dell’Occidente. Credere però che un uomo, che ha avuto pieno accesso alle reali informazioni sulle due guerre cecene, avrebbe avuto ancora qualche illusione sui reali sentimenti dell’Occidente verso la Russia è profondamente fuorviante. Chiunque abbia vissuto in Russia negli anni ’90 alla fine si sarebbe reso conto che l’Occidente voleva che tutti i russi fossero schiavi, o, più precisamente, e nelle parole del senatore McCain – “benzinai”. 
Lo stesso Putin ha detto così quando ha dichiarato, parlando degli Stati Uniti, “loro non vogliono umiliarci, vogliono sottometterci. Vogliono risolvere i loro problemi a nostre spese, subordinarci alla loro influenza”.
Ha poi aggiunto che “nessuno nella storia ci è mai riuscito, e nessuno ci riuscirà mai”.

Innanzitutto, sostengo che Putin abbia compreso benissimo gli obiettivi dell’Occidente. In secondo luogo, dico anche che non l’abbia improvvisamente “scoperto” nel 2014. Penso che lo sapesse da sempre, ma che abbia iniziato a dirlo apertamente dopo il colpo di stato, appoggiato dagli Stati Uniti, in Ucraina. Inoltre, nel 2014, Putin aveva già raggiunto i punti 9-13 e non aveva più bisogno così tanto dell’Occidente.
Ora vediamo i punti 6 (la visione di Putin del periodo sovietico), 12 (storia consensuale) e 14 (la Russia come una grande potenza ma non una superpotenza). E ancora, consideriamo il fatto che i funzionari del PGU avevano accesso totale a qualsiasi libro di storia, archivi segreti, memorie, ecc. E che erano molto liberi di parlare in pragmatici termini di analisi su tutti i temi storici con i loro insegnanti e colleghi. Qui sostengo che sul passato sovietico Putin non avesse più illusioni di quelle che aveva sull’Occidente. Il fatto che definisse lo scioglimento dell’Unione Sovietica (che, ricordiamolo, avvenne in modo totalmente antidemocratico!) una “catastrofe” “completamente inutile”, non implica in alcun modo che non fosse assolutamente consapevole di tutto gli orrori, le tragedie, i rifiuti, la corruzione, il degrado ed il male in generale del regime. 

Tutto ciò mostra però che è anche conscio delle immense vittorie, risultati e successi che anche hanno fatto parte di quell’era. Infine, e soprattutto, mostra che si rende conto di quale disastro assoluto, un cataclisma di proporzioni veramente cosmiche, la disgregazione dell’Unione Sovietica abbia rappresentato per tutto il popolo dell’ex URSS,; e quale incubo assoluto sia stato per la Russia vivere un decennio pieno come colonia servile dello zio Sam. Sono sicuro che Putin abbia studiato abbastanza Hegel per capire che gli orrori degli anni ’90 siano stati il risultato delle contraddizioni interne dell’era sovietica, proprio come l’era sovietica è stata il risultato delle contraddizioni interne della Russia zarista. In parole povere, ciò significa che conoscesse benissimo i pericoli insiti nell’impero e che abbia deciso, assieme alla grande maggioranza dei russi, che la Russia non sarebbe mai più dovuta diventare un impero. Un paese forte, rispettato e sovrano? Sì. Un impero? Mai più. Neanche per idea!

Questa conclusione fondamentale è anche la chiave della sua politica estera: è “reattiva” per natura semplicemente perché agisce solo in risposta a quando qualcosa influenza la Russia. Si potrebbe dire che tutte le nazioni “normali” siano “reattive” perché non possono fare altrimenti. Intromettersi ovunque, in ogni combattimento o conflitto, è ciò che fanno gli imperi basati sulle ideologie messianiche, non i paesi normali, indipendentemente da quanto grandi o potenti siano. Per tutte le allucinazioni malate e paranoiche dei russofobi occidentali su una “rinascita della Russia”, la realtà è che i diplomatici russi hanno spesso menzionato quali siano veramente gli obiettivi della politica estera di Mosca: rendere i nemici neutrali, i neutrali partner, i partner amici e gli amici alleati. 

Ed è per questo che il professor Cohen ha assolutamente ragione, Putin non è affatto un isolazionista – vuole un nuovo ordine internazionale multipolare di paesi sovrani; non perché sia un ingenuo idealista, ma perché questo è ciò che è pragmaticamente utile per la Russia ed il suo popolo. Si potrebbe dire che Vlad sia un internazionalista patriottico.

Passiamo ora ad omosessuali ed ebrei. 
Innanzitutto, entrambe le affermazioni fatte da Cohen sono corrette: le due categorie stanno alla grande nella Russia moderna. Potrei anche dire che non siano mai state meglio. Naturalmente, sia io che il professore ci basiamo sui fatti e siamo molto superficiali quando lo diciamo. E, siccome in passato ho discusso in dettaglio di entrambi questi argomenti, non ne tratterò qui. Vorrei piuttosto soltanto dire che in ambo i casi stiamo parlando di una piccola minoranza, il cui trattamento è, per un motivo o per l’altro, considerato come LA misura dell’umanità, della gentilezza, della civiltà e della modernità di un paese. Ok, a ciascuno il suo. Se in Occidente, il trattamento di queste due minoranze è l’Unico ed il Più Importante Argomento nell’Universo – bene. A me personalmente non interessa molto (soprattutto perché non ritengo di dover trattare con un’attenzione speciale nessuna delle due). Detto questo, vorrei anche affermare che la preoccupazione principale di Putin non è nemmeno rivolta ad una specifica minoranza. Tuttavia, ed è qui che la cosa è davvero molto interessante, il suo interesse per la maggioranza non implica affatto alcun tipo di disprezzo o mancanza di rispetto per le libertà fondamentali ed i diritti delle minoranze (e, in questo caso, non solo due minoranze trattate come “più uguali di altre”).
È qui che vari esponenti di destra ed Alt-Right “perdono” completamente Putin. Il Putin che a Mosca, ad un’assemblea di ebrei ortodossi, ha detto che l’80-85% dei leader bolscevichi era ebreico, il Putin che ha schiacciato gli oligarchi (in gran maggioranza ebrei) dell’era Eltsin non appena è arrivato al potere, ed il Putin che ha completamente ignorato tutti gli attacchi isterici di Netanyahu sul ruolo russo in Siria è anche lo stesso Putin che ha fatto di tutto per proteggere gli ebrei russi all’interno del paese e che ritiene che ebrei e russi siano per sempre uniti dal ricordo comune degli orrori della seconda guerra mondiale.

[nota a margine: personalmente desidero che la Russia denunci Israele per quella che è, un illegittimo e razzista stato canaglia votato al genocidio e all’espansione. Ma non ho parenti in Russia. Né sono il presidente di un paese con legami molto forti con le comunità ebraiche di lingua russa in tutto il mondo. Io personalmente non rispondo a nessuno se non alla mia coscienza e a Dio, mentre Putin deve rispondere a chi l’ha eletto e lo sostiene].

La colpa per associazione, la punizione di tutti per le azioni di alcuni, il trovare un capro espiatorio, la feroce persecuzione delle minoranze in nome di qualche ideale – tutto questo è già stato provato in passato, sia in Russia che in Occidente. I nazisti lo fecero, così come i sovietici. E sia i nazisti che i sovietici inflissero orrori indicibili ai molti popoli dell’Unione Sovietica ed oltre. Putin è ben conscio dei pericoli del nazionalismo, tanto quanto lo è di quelli dell’imperialismo, e lo ha ripetuto molte volte: la Russia non può permettersi altri conflitti nazionalistici, che hanno quasi completamente distrutto il paese negli anni ’90. Basta guardare l’Ucraina moderna per vedere cosa una Russia dilaniata dalle ideologie nazionaliste sarebbe potuto diventare, non avesse il presidente dato un giro di vite, con forza, ai vari nazionalisti (compresi e soprattutto quelli russi).

Lungi dal ricorrere ad una (dichiaratamente potente) lobby ebraica in Russia, Putin sta, in effetti, cercando di riunire quanti più popoli e minoranze possibili per il suo progetto di una Nuova Russia; e quel progetto include ebrei russi, non solo per il loro bene, ma principalmente per il bene del paese. Lo stesso vale per un’altra minoranza cruciale in Russia: i musulmani. Anche loro costituiscono una parte fondamentale del progetto che Putin ha in mente. Certamente, razzisti, nazionalisti ed altra gente poco brillante continueranno a sognare di espellere tutti gli ebrei (e i musulmani). Non succederà (anche perché non è fisicamente possibile), Putin e chi lo sostiene combatteranno tali progetti con ogni strumento legale a propria disposizione. Anche qui, si potrebbe dire che sia un internazionalista patriottico.

Nel frattempo, l’Occidente è ancora bloccato nelle sue vecchie divisioni ideologiche: da una parte imperialismo, nazionalismo ed esclusivismo messianico; dall’altra, una totale resa al postmodernismo, all’odio della propria cultura, alle futili politiche sulle minoranze ed al relativismo morale. Pertanto, non sorprende affatto che entrambi i campi tradizionali dell’Occidente abbiano completamente frainteso Putin e non riescano a capire cosa abbia in mente di fare.
Il professore Cohen ha ragione: il vero Putin non ha nulla, assolutamente nulla in comune con quello fasullo che i media occidentali raccontano al suo pubblico infinitamente credulone e zombificato. Ahimè, nessuno ascolterà Cohen, almeno fino a quando il regime di Washington e la struttura di potere che lo sostiene, ed i cui interessi rappresenta, non si infrangeranno. Ma credo fortemente che il professor Cohen alla fine passerà alla storia come l’esperto americano di Russia più intellettualmente onesto e coraggioso.

The Saker
Fonte: www.unz.com
Link: http://www.unz.com/tsaker/professor-stephen-f-cohen-rethinking-putin-a-critical-reading/
8.02.2018
Traduzione per www.comedonchisaciotteorg a cura di HMG

http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=6234

Berlusconi e l’amico pagato 27 milioni per stare zitto: “Hanno paura che canti le canzoni di Dell’Utri e di lui con la mafia”.

Berlusconi e l’amico pagato 27 milioni per stare zitto: “Hanno paura che canti le canzoni di Dell’Utri e di lui con la mafia”

Su FqMillenniuM, il mensile del Fatto Quotidiano in edicola, la storia inedita di Alberto Bianchi, amico dai tempi dell'università sia dell'ex senatore che del leader di Forza Italia. Accusato di appropriazione indebita, ha ricevuto 158mila euro al mese per 14 anni da Publitalia, la concessionaria delle reti del Biscione. Avrebbe dovuto vendere spot, ma dall'inchiesta emerge altro. "Sa che Bianchi può diventare un grande problema se non lo paga. Io non ho paura, deve avere più paura lui di me che io di lui", dice intercettato. Ai cronisti che sono andati a intervistarlo in esclusiva, invece, racconta particolari inediti sul rapporto tra l'ex premier e Vittorio Mangano.

“Sai fino a quando mi pagheranno? Fin quando c’è vivo Dell’Utri. Quando muore Dell’Utri non mi pagano più. Perché la loro paura è che io vada a cantare le canzoni di Dell’Utri e di lui con la mafia“. Parola di Alberto Maria Salvatore Bianchi, amico di Sivio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sin dai tempi in cui tutti e tre frequentavano l’università a Milano. A raccontarlo è di FqMillenniuMil mensile diretto da Peter Gomez, in edicola dal 3 febbraio con una serie di inchieste e scoop su politica e voto del 4 marzo. Dal quale emerge una vicenda assolutamente inedita legata a Marcello Dell’Utriil fondatore di Forza Italia per il quale molti esponenti politici vorrebbero la liberazione anticipato, e a Silvio Berlusconi, l’ex premier pregiudicato e incandidabile che però è tornato a guidare la coalzione di centrodestra in vista delle prossime politiche.

I giornalisti Giuseppe Pipitone e Giovanna Trinchella raccontano in esclusiva la storia di un’intercettazione captata dalla Guardia di finanza il 24 febbraio 2015, agli atti di un’indagine della procura di Milano che vede tra gli indagati lo stesso Bianchi, accusato di appropriazione indebita, e Berlusconi, per il quale i pm Mauro Clerici e Giordano Baggio hanno chiesto al gip l’archiviazione. Publitalia, la concessionaria pubblicitaria di Mediaset, ha patteggiato il pagamento di 18 milioni di euro con l’Agenzia delle entrate. L’inchiesta, infatti, è partita dai pagamenti per un totale di ben 27 milioni di euro arrivati da Publitalia ad Alberto Bianchi nell’arco di 14 anni, fino al 2013. Soldi giustificati e fatturati come provvigioni per la vendita di spazi pubblicitari per le reti del Biscione. Grazie alle intercettazioni e alle testimonianze dirette dei funzionari della concessionaria, però, l’indagine ha documentato che Bianchi non ha mai procacciato neppure un singolo cliente. Da qui è partita l’inchiesta sulla reale natura di quei pagamenti.

I pm hanno chiesto l’archiviazione per Berlusconi perché non è emersa la prova che fosse lui il demiurgo dei pagamenti. Restano però le intercettazioni di Bianchi, in cui lui stesso coetaneo del leader di Forza Italia sostiene di avere ricevuto bonifici a sei zeri in cambio del suo silenzio sui rapporti tra Dell’Utri e la mafia. Un concetto ribadito più volte .”Sa che Bianchi può diventare un grande problema se non lo paga. Io non ho paura, deve avere più paura lui di me che io di lui”, inveisce parlando di sé in terza persona, quando dopo l’azienda sospende le elargizioni dopo l’apertura dell’inchiesta. “Loro hanno paura a pagarmi, dovrebbero avere più paura a non pagarmi. La mia disgrazia è che Dell’Utri sta morendo”, dice Bianchi ancora nella conversazione del 24 febbraio 2015. Quando l’ex senatore è già detenuto nel carcere di Parma (poi sarà trasferito a Rebibbia) dopo essere stato condannato a sette anni per concorso esterno a Cosa nostra. Una sentenza diventata definitiva nel maggio del 2014, nove mesi prima che Bianchi pronunciasse quelle parole piene di rancore. E molto simili a un ricatto, seppur soltanto ventilato.
Ma perché le “canzoni” che l’amico di Berlusconi potrebbe cantare dovrebbero essere una minaccia? Perché dovrebbero impensierire qualcuno, se già da tempo Dell’Utri è stato condannato in via definitiva e ha cominciato a scontare la sua pena? Bianchi sa per caso qualcosa di inedito sui rapporti tra l’ex senatore e Cosa nostra? Qualcosa che non è contenuto nella sentenza confermata dalla Cassazione? E poi chi è quel “lui“, quel “lui con la mafia” al quale si riferisce nell’intercettazione? È sempre Dell’Utri? O è forse  lo stesso Berlusconi? Domande senza risposta. Anzi: domande alle quali può rispondere solo lo stesso Bianchi.

E infatti i cronisti di Fq MillenniuM sono andati a intervistarlo in esclusiva nella sua modesta abitazione milanese, dove vive nonostante i milioni incassati in pochi anni.  “Ho fatto speculazioni sbagliate”, si giustica il diretto interessato, prima di cacciare i giornalisti da casa sua, alla richiesta di spiegazioni su quelle frasi intercettate. L’amico di gioventù del leader del centrodestra e del fondatore di Forza Italia ha però rivelato un aneddoto inedito su Vittorio Mangano, lo “stalliere” mafioso impiegato nella residenza di Berlusconi ad Arcore negli anni Settanta. Secondo Bianchi, ad Arcore si accorsero che Mangano era un delinquente in occasione di una festa in villa che durò fino a notte fonda, suscitando la protesta di un vicino di casa. “Mangano andò da Berlusconi e disse: ‘Dottore, se vuole lo brucio a lui e a tutta la sua famiglia, compresa la villa accanto. Così impara a gridare’. Berlusconi si spaventò: ‘Questo qui è matto, disse. E invece non era solo matto era proprio un professionista sparafucile‘”. In seguito, racconta sempre Bianchi, Mangano avrebbe anche minacciato direttamente Berlusconi. “Lo chiama al telefono – ricorda l’amico d’infanzia dell’ex premier – e gli dice: se non mi dai tre miliardi ti rapisco tuo figlio Dudi“. Cioè Piersilvio.

Salvate il soldato Rosato. Editoriale di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano 10 febbraio 2018



Lo dicevo che prima o poi, per Ettore Rosato, ci sarebbe voluta la scorta. Non per difenderlo dai terroristi, ma dai pidini. Più le elezioni si avvicinano, più il pericolo del fuoco, anzi del linciaggio amico, si fa probabile. 
Tutti ricordano come e perché nacque il Rosatellum: siccome i 5Stelle sono sempre primi nei sondaggi e il Pd e Forza Italia sono secondo e terzo, bisognava trovare il modo di far perdere i primi e far vincere i secondi e i terzi. 
Non esistendo al mondo, nemmeno nell’Africa nera, un sistema elettorale che arrivasse a tanto, i cervelloni renzusconiani si spaccavano la testa alla ricerca di un’ideona originale.

Mettere fuorilegge il M5S? Troppo forte, poi la gente se ne accorge. 
Assegnare l’incarico per il nuovo governo in base all’ordine alfabetico, ignorando i voti? B. è perfetto, ma Renzi no perché la R viene dopo la Di di Di Maio. 
Andare in ordine di anzianità? Gli 81 anni di B. sommati ai 43 di Renzi fanno 124, esattamente il quadruplo dei 31 di Di Maio, ma c’è il rischio che la Consulta bocci tutto. 

A quel punto saltò su Rosato con un’idea meravigliosa per la testa, meglio di quella di Cesare Ragazzi: una legge che sottrae i voti ai 5Stelle e li moltiplica a Pd e FI, grazie a finte coalizioni valevoli fino al 4 marzo, ma solubili e biodegradabili la sera stessa. 
Il pregiudicato prende i voti con Salvini e Meloni e li porta a Renzi. Renzi, a sua volta, prende i voti con la Bonacci (un mostriciattolo nato dall’unione fra Bonino e Tabacci), la Lorenzin e tale Santagata, e li porta al pregiudicato.
Tanto gli italiani – pensavano lorsignori in perfetta sintonia con Di Battista – sono rincoglioniti e ci cascano. Anzi, siccome la legge è fatta apposta per creare ingovernabilità, sondaggisti e politologi lanceranno l’allarme ingovernabilità, come se non fosse un effetto studiato, ma un accidente causato dalle condizioni climatiche sfavorevoli. E si potrà ricattare la gente col solito “voto utile”, che però stavolta non deve andare al partito maggiore (chiamato M5S). 
Intanto si riabilita il pregiudicato ineleggibile e incandidabile come “argine” e “baluardo” contro il “populismo antieuropeo” (essendo il più grande populista antieuropeo dell’orbe terracqueo). 
Gli si fa scrivere sulla scheda “Forza Italia Berlusconi Presidente” (come “acqua asciutta”, “zucchero salato”, “vegetariano carnivoro”). Si tace sulle sue corruzioni, frodi fiscali, regali alla mafia, conflitti d’interessi e si spera che gli elettori si bevano pure questo. Il Pd, in un eccesso di generosità, candida nei collegi una ventina di ex berlusconiani travestiti da seguaci della Lorenzin, coi petali di peonia in testa.

Già, perché B. è in overbooking e non può farli eleggere tutti. Quel volpone di Renzi invece sì, al posto della sinistra Pd, rasa al suolo per buttar via un altro po’ di voti.
Poi purtroppo Frankenstein sfugge al controllo dei suoi creatori. I sondaggi danno il finto centrodestra sempre più vicino al 40%, soglia di autosufficienza, il finto centrosinistra sempre più prossimo al 25 e dunque il Renzusconi sempre più impossibile. Tant’è che B. inizia a domandarsi se non sia meglio andare al governo con gli alleati della campagna elettorale, che hanno i voti, anziché con Renzi che non li ha. 
È l’eterogenesi dei fini, tipica delle leggi elettorali incostituzionali che: studiate per fregare l’avversario, finiscono per fottere l’autore. Era accaduto nel 2006 col Porcellum: B. lo impose per far perdere Prodi, invece lo fece vincere grazie agl’italiani all’estero (col vecchio Mattarellum avrebbe rivinto B.). E riaccade ora col Rosatellum. È vero, al centrodestra potrebbe mancare una ventina di seggi. Ma, come nota Diego Pretini sul nostro sito, a riempire quel vuoto in nome della governabilità potrebbero essere proprio i 20 ex berlusconiani, cuffariani e lombardiani (nel senso di Raffaele) candidati da Renzi
Gente a cui basta un fischio, ma soprattutto una poltrona sfusa, per sentire il richiamo della foresta, scattare sull’attenti e votare qualunque governo pur di conservare il seggio, l’immunità e il vitalizio.
Ed eccoli, i potenziali “responsabili”, come lui chiama chi passa dal centrosinistra al centrodestra (da non confondere con i ladri di voti, traditori, voltagabbana e ribaltonisti che fanno il percorso inverso) Beatrice Lorenzin, Pierferdy Casini, Sergio Pizzolante (tre volte deputato Pdl), i ciellini Gabriele Toccafondi, Angelo Capelli e Paolo Alli (già braccio destro di Formigoni), Maurizio Bernardo (forzista dal ’94), Nico D’Ascola (socio di Ghedini), Guido Viceconte (ex eurodeputato FI e sottosegretario in due governi B.), Gioacchino Alfano (tre volte parlamentare Pdl), Federica Chiavaroli (ex Pdl), Giuseppe De Mita (ex Udc), Giacomo Mancini jr. (primo dei non eletti FdI in Regione Calabria); Paolo Ruggirello (già luogotenente del governatore siciliano Lombardo), Nicola D’Agostino (ex capogruppo regionale del partito di Lombardo), Valeria Sudano (ex deputata regionale col forzista Saverio Romano), Salvo Lo Giudice (già eletto con la lista Musumeci), Giuseppe Sodano (figlio dell’ex sindaco di Agrigento e senatore di destra), Leopoldo Piampiano (ex Pdl), Luca Sammartino (ex Udc), Franco Manniello (ex Udc), Francesco Spina (ex FI e Udc), Benedetto Della Vedova (ex FI), Valentina Castaldini (ex Ncd), Cosimo Ferri (ex pm, sottosegretario con Letta in quota FI e lì rimasto con Renzi e Gentiloni fino alla candidatura nel Pd).
Molti nel 2011 votarono festosi la leggendaria mozione “Ruby nipote di Mubarak”. Quindi hanno uno stomaco abbastanza forte per digerire di tutto. Anche un governo B.-Salvini. Nel caso, ragazzi, ricordatevi dell’amico Rosato e dei pericoli che corre. E fatelo ministro, ad honorem.

venerdì 9 febbraio 2018

Ovociti umani nati in provetta pronti per la fecondazione. - Francesca Cerati

(Afp)

Per la prima volta ovociti umani sono stati coltivati in laboratorio dal primissimo stadio fino a essere pronti per la fecondazione. Un traguardo importante per una tecnica che fino a questo momento aveva avuto un’alta percentuale di insuccesso, nel senso che gli ovociti non arrivavano a maturazione.
Pubblicata sulla rivista Molecular Human Reproduction, la ricerca è stata condotta all'Università di Edimburgo e costituisce un grande passo in avanti verso possibili cure sia per la fertilità, ad esempio per le donne malate di cancro che vogliono salvaguardare la possibilità di avere figli, sia per la medicina rigenerativa.
Un risultato che è stato preceduto da altri studi importanti, come quello del team giapponese di Katsuhiko Hayashi della Kyushu University, che nel 2016 è riuscito per la prima volta a far crescere in laboratorio cellule uovo fertili di topo partendo da cellule staminali. Le uova hanno poi dato origine a cuccioli dopo essere state fecondate e impiantate in roditrici adottive. Il metodo - che produceva uova difettose e aveva una percentuale di successo inferiore all'1% - è stato decisivo per identificare i geni chiave coinvolti nello sviluppo e nella maturazione dell'uovo.
«Tuttavia, qualsiasi applicazione alle cellule umane è molto lontana» aveva commentato lo stesso Hayashi, a cui la prestigiosa rivista scientifica Nature aveva dato ampio risalto.
Invece, a soli due anni di distanza, l’Università di Edimburgo, che da anni porta avanti questo tipo di ricerca in collaborazione con l’Harvard Medical School di Boston, ha raggiunto l’obiettivo.
Un risultato «interessante e bello», reso possibile dalla lunga ricerca che ha portato a trovare il mix ideale di sostanze utili per far maturare gli ovociti: così il direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell'università di Pavia, Carlo Alberto Redi, ha commentato l'esperimento che per la prima volta ha dimostrato la possibilità di coltivate in laboratorio ovociti umani.
«Adesso si aprono molte opportunità, che vanno dal laboratorio al letto del paziente», ha detto pensando alle donne infertili o che soffrono di menopausa precoce, o ancora alle donne colpite da un tumore che intendono preservare la fertilità dopo avere affrontato la chemioterapia, o ancora alle donne che decidono di posticipare il momento in cui avere figli.
Importanti, ha proseguito Redi, anche le ricadute nel campo della medicina riproduttiva e della ricerca. «Diventa possibile, ad esempio, ottenere in laboratorio grandi quantità di ovociti da utilizzare nella ricerca, cosa che attualmente pone seri problemi etici a causa delle dolorose stimolazioni cui debbono sottoporsi le donne o dell'eventuale commercio di ovociti».
Per Redi è particolarmente interessante che i ricercatori guidati dall'università di Edimburgo abbiamo trovato le condizioni ideali per il terreno di coltura capace di far sviluppare gli ovociti: «Una sorta di terreno nutriente per far crescere frammenti prelevati dalla parte più superficiale dell'ovaio. È ancora difficile dire se questi possano essere follicoli ovarici primordiali oppure cellule staminali perché in proposito c'è ancora grande disparità di vedute nel mondo della ricerca. Quello che è certo è che il terreno di coltura per ottenere gli ovociti umani funziona ed è probabile, ha aggiunto, che le agenzie regolatorie vorranno avere dettagli in modo da verificare eventuali problemi».

Elezioni, il padre è condannato: Forza Italia candida il figlio. Che offendeva magistrati e pentiti: “Figli di pulla”. - Giuseppe Pipitone

Elezioni, il padre è condannato: Forza Italia candida il figlio. Che offendeva magistrati e pentiti: “Figli di pulla”

Il partito di Silvio Berlusconi candida Andrea Mineo, consigliere comunale a Palermo e figlio di Franco, storico braccio destro di Gianfranco Micciché, ex consigliere regionale condannato nel giugno del 2014 a otto anni e due mesi in primo grado per intestazione fittizia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra e peculato. Il processo d'appello in corso, ma nell'inchiesta a suo carico era stato intercettato anche il figlio.

Della pm Anna Maria Palma non aveva una buona opinione: “Minchia, questa è una pulla“. Non era migliore l’idea che si era fatto sul pentito Francesco Campanella: “Sta combinando danni con tutti“. Ma, più in generale, negativo era il giudizio sull’intero fenomeno dei collaboratori di giustizia: “Quei figli di pulla dei pentiti“. Non ci sono solo ex aspiranti Miss Italia o integerrime magistrate tra i candidati di Forza Italia in Sicilia. Nossignore. Gianfranco Micciché, da coordinatore del partito azzurro, si ritiene “assolutamente insoddisfatto dalle liste”. Il motivo? “Per la prima volta – dice – mi hanno mandato troppa gente da fuori. Non era mai successo prima, si vede che sono invecchiato”. Mistero su quali siano i candidati “mandati da fuori” al viceré di Silvio Berlusconi sull’isola.
Di sicuro non è un nome segnalato dall’alto quello di Andrea Mineo, inserito al secondo posto nella lista degli azzurri ad Agrigento. Capolista nel proporzionale per la Camera è Giusi Bartolozzi, giudice in corte d’appello a Roma e compagna di Gaetano Armao, pupillo di Berlusconi e vice del governatore Nello Musumeci. Bartolozzi ha preso il posto di Ylenia Citino, ex tronista di Uomini e Donne, depennata dalla lista nelle ultime ore e probabilmente spostata in Lombardia. Fisso al numero due è, invece, Mineo, un candidato evidentemente voluto dallo stesso Micciché. Consigliere comunale a Palermo, Andrea Mineo è figlio di Franco, storico braccio destro del leader di Forza Italia, ex consigliere regionale condannato nel giugno del 2014 a otto anni e due mesi in primo grado.

Pesanti le imputazioni per Mineo senior, condannato a cinque anni per intestazione fittizia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra e a tre anni e due mesi per peculato legato all’uso di un’auto del comune. Per l’accusa Mineo senior era il prestanome di Angelo Galatolo, rampollo e volto pulito dell’omonima famiglia mafiosa dell’Acquasanta, borgata marinara di Palermo. “Sei una persona certamente esuberante ma non mafioso, però se scopro che per vent’anni mi hai preso in giro e che sei davvero un gran mafioso, ti do una testata”, era stato il moderato commento di Micciché quando al suo braccio destro era stato recapitato l’avviso di garanzia. Il processo d’appello di Mineo è ancora in corso: il viceré di Berlusconi, quindi, non ha ancora potuto decidere se dar seguito o meno alla promessa avanzata nei confronti del suo fedelissimo. Nel frattempo ha deciso di candidargli il figlio.
Estraneo a qualsiasi imputazione o indagine, Mineo junior era però finito intercettato, quand’era appena ventenne, nell’ambito dell’inchiesta che poi porterà alla condanna del padre alla fine del processo di primo grado. A raccontarlo, qualche tempo fa, era stato il giornalista Salvo Palazzolo su Repubblica. È il 5 febbraio del 2007 e all’agenzia di assicurazioni di Mineo senior – all’epoca assessore al comune di Palermo – si presenta Pietro Scotto, condannato per traffico di droga, processato e assolto per la strage di via d’Amelio. È il fratello di Gaetano, anche lui coinvolto nell’inchiesta sull’eccidio di Paolo Borsellinoscarcerato dopo anni di carcere solo in seguito al pentimento di Gaspare Spatuzza, ma indicato da alcuni pentiti come il trait d’union tra Cosa nostra e gli ambienti dei servizi segreti. “Nel quartiere ci si conosce tutti, sin da bambini. E io poi sono l’assicuratore di centinaia di persone all’Arenella”, è sempre stata la versione di Mineo senior davanti ai magistrati che gli chiedevano conto di quelle frequentazioni.

Il giorno in cui Scotto va a fare visita al politico, però, le cimici degli investigatori registrano anche il parole pronunciate dal giovane Mineo. Un dialogo in cui quello che oggi è un aspirante parlamentare non risparmia offese a magistrati e pentiti. Dice Scotto intercettato: “Minchia un pericolo è questa… “. Mineo senior suggerisce: “Anna Maria Palma…”. Cioè uno dei pm che ha indagato sulla strage di via d’Amelio. “Mi ci sono litigato”, spiega Scotto. Il giovane Mineo fornisce la sua opinione: “Minchia, questa è una pulla. A quel punto – come scrive la Dia nel rapporto poi finito nell’atto d’accusa del pm Pierangelo Padova -“entra nell’ufficio la segretaria dell’assessore e gli passa il cellulare, c’è una persona al telefono”.  A discutere rimangono solo Scotto e Mineo junior. Che propone subito un nuovo argomento di discussione: il pentito di Villabate, Francesco Campanella, grande accusatore – tra gli altri – di politici importanti come Totò Cuffaro e Renato Schifani. “Ora c’è questo Campanella”. Scotto rilancia: “È un cornuto questo Campanella”. “Sta combinando danni con tutti”, spiega Mineo junior, prima di rivolgersi genericamente a tutti collaboratori di giustizia: Quei figli di pulla dei pentiti“, si lascia scappare. Giudizi pesantissimi per i quali il giovane politico non ha mai chiesto scusa. “Purtroppo quando si è forti certi attacchi sono ormai una prassi”, si era limitato a scrivere su facebook nel giorno della pubblicazione di quelle intercettazioni. La speranza è che in caso di elezione in Parlamento non proponga una qualche riforma sul sistema dei collaboratori di giustizia.