Non è l’uomo che ha de-democratizzato la Russia (l’hanno fatto Eltsin e la Casa Bianca)
Non è il leader che ha creato corruzione e cleptocrazia in Russia (l’hanno creata Eltsin e la Casa Bianca)
Non è un leader criminale che ha ordinato l’omicidio di oppositori o giornalisti (nessuna prova)
Non ha ordinato l’hacking dei server DNC (nessuna prova)
Non era anti-USA o anti-occidente all’inizio (è cambiato nel tempo)
Non è un leader neo-sovietico (è molto critico di Lenin e Stalin)
Non è un leader aggressivo in politica estera (è stato un leader reattivo)
Non è in alcun modo definito dai suoi anni al KGB.
Il professor Cohen ha concluso il suo discorso suggerendo alcune cose che potrebbero far parte di una futura sincera biografia:
Da giovane ed inesperto leader posto al timone di uno stato al collasso:
ha ricostruito, stabilizzato e modernizzato la Russia in modo da prevenire futuri crolli
ha dovuto ripristinare il “verticale” del potere: “democrazia gestita” (cioè ordine ristabilito)
ha avuto bisogno di una storia consensuale che rattoppasse le ere zarista, sovietica e post-sovietica senza imporre una sola versione della storia
ha avuto bisogno del sostegno occidentale per modernizzare l’economia russa
ha voluto che la Russia fosse una grande potenza, ma non una superpotenza
non ha mai favorito l’isolazionismo da cortina di ferro; è un internazionalista (più europeo del 90% dei russi, perlomeno all’inizio).
La tesi chiave è questa: Putin ha iniziato come leader europeista filo-occidentale, e col tempo si è riallineato ad una visione del mondo molto più tradizionale e russa. Oggi è più in linea con gli elettori russi.
Il professor Cohen ha concluso affrontando due argomenti che, presumo, il suo pubblico aveva molto a cuore: ha detto che, contrariamente alla propaganda occidentale, le cosiddette leggi “anti-gay” in Russia non sono diverse dalle leggi presenti in 13 stati USA. In secondo luogo, che “col consenso generale di tutti, nessuno lo nega, gli ebrei in Russia sotto Putin stanno meglio di quanto non siano mai stati. Hanno più libertà, meno antisemitismo ufficiale, più protezione, più ammirazione ufficiale per Israele, più interazione, più libertà di spostamento”.
Tutte cose molto interessanti, specialmente se elargite ad un pubblico americano liberal-progressista di sinistra (con, probabilmente, un’alta percentuale di ebrei). Sinceramente, la presentazione del professor Cohen mi fa pensare a cosa avrebbe potuto provare Galileo quando fece le sue “presentazioni” davanti al tribunale dell’Inquisizione (gli articoli ed i libri di Cohen ora sono anche sull’equivalente moderno dell’Index Librorum Prohibitorum). In realtà, il professore è semplicemente fedele a sé stesso: si è opposto ai folli durante la vecchia guerra fredda ed ora si oppone agli stessi folli nella nuova Guerra Fredda.
Per tutta la vita, Cohen è stato un uomo di verità, coraggio ed integrità – un pacificatore nel senso delle Beatitudini (Matteo 5:9). Così, pur non essendo sorpreso dal suo coraggio, ne sono immensamente colpito. Alcuni potrebbero pensare che fare una breve presentazione su una nave da crociera non sia un segno di gran coraggio, ma io non sono d’accordo. Certo, nessuno gli sparerebbe alla nuca come, ad esempio, avrebbero fatto le ChK-GPU-NKVD sovietiche, ma io sostengo che questi metodi di “imporre” un singolo consenso ufficiale fossero molto meno efficaci dei loro equivalenti moderni: le tecniche di imposizione della conformità (vedi: Asch Conformity Experiment) così prevalenti nella moderna società occidentale. Basta vedere i risultati: nella società sovietica si leggeva e pensava di più (in qualsiasi senso) di quanto non si faccia oggi nel moderno Impero anglo-sionista (chiunque si ricordi della cattiva vecchia Unione Sovietica lo confermerà). Come dice una battuta: in una dittatura, ti viene detto di “star zitto”, mentre in una democrazia sei incoraggiato a “continuare a parlare”. Come volevasi dimostrare.
Passando ai punti di discussione del professor Cohen, i numeri 1, 2, 3 e 4 sono fatti di base. Nulla da aggiungere – Cohen sta mettendo le cose in chiaro. Il punto 5 è molto più interessante e controverso. Per prima cosa, stiamo parlando di opinioni/intenzioni, difficili da giudicare. Putin è mai stato filo-occidentale? Chi lo può sapere? Forse i suoi amici più intimi? La mia convinzione è che questa domanda debba essere considerata in combinazione con il punto 8: il passato di Putin nel KGB.
In Occidente, c’è ancora molta ignoranza sul vecchio KGB sovietico. Per l’americano medio, un “agente del KGB” è un ragazzo di nome Vladimir, con gli occhi grigio-blu acciaio, che picchia i dissidenti, ruba i segreti tecnologici occidentali e spia le mogli dei politici (e a volte le porta a letto). È un comunista irriducibile, che sogna di bombardare o di invadere gli Stati Uniti e parla con un forte accento russo.
In alternativa, c’è Anna Kushchenko (a.k.a Anna Chapman) – una subdola bambola del sesso che seduce gli uomini occidentali fino ad indurli a tradire la propria patria. Questi stereotipi sono corretti quanto James Bond è una rappresentazione accurata dell’MI6. La realtà non potrebbe essere più diversa.
Il KGB sovietico era prima di tutto un’enorme burocrazia con direzioni, reparti e sezioni completamente diversi e separati. Sì, una tale Direzione si occupava di dissidenti ed attivisti antisovietici (principalmente il 9° dipartimento della 5a Direzione), ma anche in questa (famigerata) quinta direzione c’erano alcuni dipartimenti che, in coordinamento con altre Direzioni e Dipartimenti del KGB, si occupavano di còmpiti più legittimi come, ad esempio, l’individuazione precoce di organizzazioni terroristiche (7° Dipartimento). Altre Direzioni del KGB si occupavano della sicurezza economica (6a Direzione), della sicurezza interna e del controspionaggio (2a Direzione) o persino della protezione dei funzionari (9a Direzione).
Putin era un ufficiale (non un “agente” – gli agenti sono reclutati al di fuori del KGB!) della Prima Direzione Principale (PGU) del KGB: intelligence straniera. Lo stesso Putin ha recentemente rivelato che lavorava nel Dipartimento più delicato del PGU, il “Dipartimento S”, dedicato agli “illegali”. Questo è molto importante. Il PGU era così separato da tutte le altre Direzioni del KGB che aveva il proprio quartier generale a sud di Mosca. Ma anche all’interno del PGU, il Dipartimento S era il più segreto e separato. Avendo passato molti anni da attivista antisovietico ed avendo avuto faccia a faccia con funzionari del KGB (di vari Consigli Direttivi), posso confermare che non solo il KGB nel suo complesso sceglie le menti russe più brillanti, ma che il PGU ottiene le migliori di queste, e solo le migliori di quel gruppo selezionato sono arrivate al leggendario Dipartimento S. Ora diamo un’occhiata a quale tipo di competenze era richiesto agli ufficiali PGU (oltre agli ovvi due: essere molto brillanti ed affidabili).
Innanzitutto, deve essere uno specialista di alto livello nella sua area di competenza (nel caso di Putin la Germania, ovviamente, ma anche del resto d’Europa e, poiché l’Europa occidentale era – ed è tuttora – una colonia statunitense, Stati Uniti). Dato che ai sovietici veniva detto che l’Occidente era il nemico, quelli del PGU dovevano capire come e perché l’Occidente fosse quel nemico.
In termini pratici, ciò implica non solo conoscere e comprendere le culturali, politiche, sociali ed economiche del sistema di governo del nemico, ma anche i reali rapporti di potere all’interno dello stesso. Tale comprensione è utile non solo per affrontare e valutare l’utilità potenziale di ciascuna persona con cui si interagisce, ma anche per capire in quale àmbito questa persona debba operare. L’immagine di ufficiali PGU bigotti comunisti è ridicola: questi uomini erano molto istruiti (avevano accesso illimitato a tutte le fonti di informazione occidentali, incluse quelle anti-sovietiche, report confidenziali e tutta la letteratura antisovietica immaginabile) ed erano ultra realisti/pragmatici.
Ovviamente, come in qualsiasi organizzazione, i massimi dirigenti erano spesso nominati dalla politica, ed i burocrati e gli agenti di controspionaggio erano molto meno sofisticati. Ma, per ufficiali come Putin, capire veramente la realtà della società occidentale era un’abilità vitale.
Secondo, un buon ufficiale PGU deve essere piacevole; molto, molto piacevole. Essere apprezzato dagli altri è un’abilità cruciale anche per un buon ufficiale dell’intelligence. In termini pratici, ciò significa che lui/lei non solo deve capire cosa fa scattare l’altro, ma anche come indirizzarlo nella giusta direzione. Per gli “illegali”, si trattava anche di essere il loro miglior amico, confessore, sostegno morale, guida e protettore. Non puoi farlo se non piaci alla gente. Questi ufficiali dell’intelligence sono quindi maestri del mostrarsi buoni amici e compagni; sono bravi ascoltatori e si fanno piacere. Inoltre capiscono esattamente cosa vuoi sentire e vedere, e quali parole ed azioni ti rilassano e ti inducono a concedere fiducia.
Combina ora queste due cose: hai un uomo che è il miglior specialista sull’Occidente e che è ben addestrato per venir apprezzato dagli occidentali. Quant’è probabile che quest’uomo avesse molte illusioni sull’Occidente, tanto per cominciare? E supponiamo che un uomo come lui avesse avuto dei dubbi – li avrebbe mostrati?
Il mio istinto mi dice che questo è alquanto improbabile.
La cosa più probabile è che Putin abbia interpretato il ruolo del “miglior amico dell’Occidente” il più a lungo possibile, e poi l’ha terminato quando non era chiaramente più produttivo. E sì, nel farlo si è riallineato all’opinione pubblica russa tradizionale, ma questo è stato solo un utile effetto collaterale, non la causa o l’obiettivo di quel riallineamento.
Guardate i punti 9-13 (li riassumerei come “aggiustare la Russia”). Hanno tutti molto senso, anche che “era un leader giovane ed inesperto”. C’è un’enorme differenza tra l’essere un abile agente PGU ed essere l’uomo che governa la Russia. Ed anche se Putin avesse effettivamente perso alcune delle sue illusioni, sarebbe stato principalmente perché l’Occidente stesso è cambiato molto tra gli anni ’80 e gli anni 2010. Ma Putin deve aver sempre saputo che per implementare i punti 10-13 di Cohen aveva bisogno dell’aiuto dell’Occidente, o, se ciò non fosse stato possibile, perlomeno l’interferenza/resistenza minima dell’Occidente. Credere però che un uomo, che ha avuto pieno accesso alle reali informazioni sulle due guerre cecene, avrebbe avuto ancora qualche illusione sui reali sentimenti dell’Occidente verso la Russia è profondamente fuorviante. Chiunque abbia vissuto in Russia negli anni ’90 alla fine si sarebbe reso conto che l’Occidente voleva che tutti i russi fossero schiavi, o, più precisamente, e nelle parole del senatore McCain – “benzinai”.
Lo stesso Putin ha detto così quando ha dichiarato, parlando degli Stati Uniti, “loro non vogliono umiliarci, vogliono sottometterci. Vogliono risolvere i loro problemi a nostre spese, subordinarci alla loro influenza”.
Ha poi aggiunto che “nessuno nella storia ci è mai riuscito, e nessuno ci riuscirà mai”.
Innanzitutto, sostengo che Putin abbia compreso benissimo gli obiettivi dell’Occidente. In secondo luogo, dico anche che non l’abbia improvvisamente “scoperto” nel 2014. Penso che lo sapesse da sempre, ma che abbia iniziato a dirlo apertamente dopo il colpo di stato, appoggiato dagli Stati Uniti, in Ucraina. Inoltre, nel 2014, Putin aveva già raggiunto i punti 9-13 e non aveva più bisogno così tanto dell’Occidente.
Ora vediamo i punti 6 (la visione di Putin del periodo sovietico), 12 (storia consensuale) e 14 (la Russia come una grande potenza ma non una superpotenza). E ancora, consideriamo il fatto che i funzionari del PGU avevano accesso totale a qualsiasi libro di storia, archivi segreti, memorie, ecc. E che erano molto liberi di parlare in pragmatici termini di analisi su tutti i temi storici con i loro insegnanti e colleghi. Qui sostengo che sul passato sovietico Putin non avesse più illusioni di quelle che aveva sull’Occidente. Il fatto che definisse lo scioglimento dell’Unione Sovietica (che, ricordiamolo, avvenne in modo totalmente antidemocratico!) una “catastrofe” “completamente inutile”, non implica in alcun modo che non fosse assolutamente consapevole di tutto gli orrori, le tragedie, i rifiuti, la corruzione, il degrado ed il male in generale del regime.
Tutto ciò mostra però che è anche conscio delle immense vittorie, risultati e successi che anche hanno fatto parte di quell’era. Infine, e soprattutto, mostra che si rende conto di quale disastro assoluto, un cataclisma di proporzioni veramente cosmiche, la disgregazione dell’Unione Sovietica abbia rappresentato per tutto il popolo dell’ex URSS,; e quale incubo assoluto sia stato per la Russia vivere un decennio pieno come colonia servile dello zio Sam. Sono sicuro che Putin abbia studiato abbastanza Hegel per capire che gli orrori degli anni ’90 siano stati il risultato delle contraddizioni interne dell’era sovietica, proprio come l’era sovietica è stata il risultato delle contraddizioni interne della Russia zarista. In parole povere, ciò significa che conoscesse benissimo i pericoli insiti nell’impero e che abbia deciso, assieme alla grande maggioranza dei russi, che la Russia non sarebbe mai più dovuta diventare un impero. Un paese forte, rispettato e sovrano? Sì. Un impero? Mai più. Neanche per idea!
Questa conclusione fondamentale è anche la chiave della sua politica estera: è “reattiva” per natura semplicemente perché agisce solo in risposta a quando qualcosa influenza la Russia. Si potrebbe dire che tutte le nazioni “normali” siano “reattive” perché non possono fare altrimenti. Intromettersi ovunque, in ogni combattimento o conflitto, è ciò che fanno gli imperi basati sulle ideologie messianiche, non i paesi normali, indipendentemente da quanto grandi o potenti siano. Per tutte le allucinazioni malate e paranoiche dei russofobi occidentali su una “rinascita della Russia”, la realtà è che i diplomatici russi hanno spesso menzionato quali siano veramente gli obiettivi della politica estera di Mosca: rendere i nemici neutrali, i neutrali partner, i partner amici e gli amici alleati.
Ed è per questo che il professor Cohen ha assolutamente ragione, Putin non è affatto un isolazionista – vuole un nuovo ordine internazionale multipolare di paesi sovrani; non perché sia un ingenuo idealista, ma perché questo è ciò che è pragmaticamente utile per la Russia ed il suo popolo. Si potrebbe dire che Vlad sia un internazionalista patriottico.
Passiamo ora ad omosessuali ed ebrei.
Innanzitutto, entrambe le affermazioni fatte da Cohen sono corrette: le due categorie stanno alla grande nella Russia moderna. Potrei anche dire che non siano mai state meglio. Naturalmente, sia io che il professore ci basiamo sui fatti e siamo molto superficiali quando lo diciamo. E, siccome in passato ho discusso in dettaglio di entrambi questi argomenti, non ne tratterò qui. Vorrei piuttosto soltanto dire che in ambo i casi stiamo parlando di una piccola minoranza, il cui trattamento è, per un motivo o per l’altro, considerato come LA misura dell’umanità, della gentilezza, della civiltà e della modernità di un paese. Ok, a ciascuno il suo. Se in Occidente, il trattamento di queste due minoranze è l’Unico ed il Più Importante Argomento nell’Universo – bene. A me personalmente non interessa molto (soprattutto perché non ritengo di dover trattare con un’attenzione speciale nessuna delle due). Detto questo, vorrei anche affermare che la preoccupazione principale di Putin non è nemmeno rivolta ad una specifica minoranza. Tuttavia, ed è qui che la cosa è davvero molto interessante, il suo interesse per la maggioranza non implica affatto alcun tipo di disprezzo o mancanza di rispetto per le libertà fondamentali ed i diritti delle minoranze (e, in questo caso, non solo due minoranze trattate come “più uguali di altre”).
È qui che vari esponenti di destra ed Alt-Right “perdono” completamente Putin. Il Putin che a Mosca, ad un’assemblea di ebrei ortodossi, ha detto che l’80-85% dei leader bolscevichi era ebreico, il Putin che ha schiacciato gli oligarchi (in gran maggioranza ebrei) dell’era Eltsin non appena è arrivato al potere, ed il Putin che ha completamente ignorato tutti gli attacchi isterici di Netanyahu sul ruolo russo in Siria è anche lo stesso Putin che ha fatto di tutto per proteggere gli ebrei russi all’interno del paese e che ritiene che ebrei e russi siano per sempre uniti dal ricordo comune degli orrori della seconda guerra mondiale.
[nota a margine: personalmente desidero che la Russia denunci Israele per quella che è, un illegittimo e razzista stato canaglia votato al genocidio e all’espansione. Ma non ho parenti in Russia. Né sono il presidente di un paese con legami molto forti con le comunità ebraiche di lingua russa in tutto il mondo. Io personalmente non rispondo a nessuno se non alla mia coscienza e a Dio, mentre Putin deve rispondere a chi l’ha eletto e lo sostiene].
La colpa per associazione, la punizione di tutti per le azioni di alcuni, il trovare un capro espiatorio, la feroce persecuzione delle minoranze in nome di qualche ideale – tutto questo è già stato provato in passato, sia in Russia che in Occidente. I nazisti lo fecero, così come i sovietici. E sia i nazisti che i sovietici inflissero orrori indicibili ai molti popoli dell’Unione Sovietica ed oltre. Putin è ben conscio dei pericoli del nazionalismo, tanto quanto lo è di quelli dell’imperialismo, e lo ha ripetuto molte volte: la Russia non può permettersi altri conflitti nazionalistici, che hanno quasi completamente distrutto il paese negli anni ’90. Basta guardare l’Ucraina moderna per vedere cosa una Russia dilaniata dalle ideologie nazionaliste sarebbe potuto diventare, non avesse il presidente dato un giro di vite, con forza, ai vari nazionalisti (compresi e soprattutto quelli russi).
Lungi dal ricorrere ad una (dichiaratamente potente) lobby ebraica in Russia, Putin sta, in effetti, cercando di riunire quanti più popoli e minoranze possibili per il suo progetto di una Nuova Russia; e quel progetto include ebrei russi, non solo per il loro bene, ma principalmente per il bene del paese. Lo stesso vale per un’altra minoranza cruciale in Russia: i musulmani. Anche loro costituiscono una parte fondamentale del progetto che Putin ha in mente. Certamente, razzisti, nazionalisti ed altra gente poco brillante continueranno a sognare di espellere tutti gli ebrei (e i musulmani). Non succederà (anche perché non è fisicamente possibile), Putin e chi lo sostiene combatteranno tali progetti con ogni strumento legale a propria disposizione. Anche qui, si potrebbe dire che sia un internazionalista patriottico.
Nel frattempo, l’Occidente è ancora bloccato nelle sue vecchie divisioni ideologiche: da una parte imperialismo, nazionalismo ed esclusivismo messianico; dall’altra, una totale resa al postmodernismo, all’odio della propria cultura, alle futili politiche sulle minoranze ed al relativismo morale. Pertanto, non sorprende affatto che entrambi i campi tradizionali dell’Occidente abbiano completamente frainteso Putin e non riescano a capire cosa abbia in mente di fare.
Il professore Cohen ha ragione: il vero Putin non ha nulla, assolutamente nulla in comune con quello fasullo che i media occidentali raccontano al suo pubblico infinitamente credulone e zombificato. Ahimè, nessuno ascolterà Cohen, almeno fino a quando il regime di Washington e la struttura di potere che lo sostiene, ed i cui interessi rappresenta, non si infrangeranno. Ma credo fortemente che il professor Cohen alla fine passerà alla storia come l’esperto americano di Russia più intellettualmente onesto e coraggioso.
The Saker
Fonte: www.unz.com
Link: http://www.unz.com/tsaker/professor-stephen-f-cohen-rethinking-putin-a-critical-reading/
8.02.2018
Traduzione per www.comedonchisaciotteorg a cura di HMG
http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=6234
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