“Noi lavoravamo. Io, Pecorella (Gaetano l’ex deputato, ndr) e altri lavoravamo fino alle 4 di mattina”.
“E quelli coglionavano… e sì, eh”.
“Hai capito?… Facevano i soldi questi”.
Quando parla l’avvocato Giancarlo Pittelli, il principale indagato dell’inchiesta “Rinascita-Scott”, spesso fa riferimento al periodo in cui è stato parlamentare di Forza Italia. In più di un’intercettazione finita nel fascicolo della maxi-operazione, Pittelli tira in ballo Giulio Tremonti, l’ex ministro dell’Economia nei vari governi Berlusconi.
Oggi il penalista è accusato di essere il massone al servizio del boss Luigi Mancuso e un concorrente esterno della ’ndrangheta di Limbadi. Ma dal 2001 al 2013 ha frequentato la politica che conta: è stato deputato, senatore e poi di nuovo deputato. Dodici anni vissuti tra Roma, sempre in contatto con i vertici di Forza Italia, e Catanzaro dove continuava a svolgere la sua professione e dove organizzava cene cui accorrevano anche magistrati e colonnelli dei carabinieri. Il trait d’union era sempre lui: Giancarlo Pittelli che i pm, guidati dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, definiscono “la cerniera tra i due mondi” in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”.
Oltre a boss, ufficiali dell’Arma, magistrati e politici, nella sua rete di relazioni c’erano diversi imprenditori. Ad alcuni ha proposto di entrare nel cosiddetto “affare Copanello”, il progetto di un complesso alberghiero che doveva sorgere in una frazione del Comune di Stalletì (Catanzaro): due ettari e mezzo di terreno che Pittelli, anni prima, aveva tentato di vendere a un costruttore presentatogli da un “generale della Guardia di finanza di Torino”.
L’affare sfumò e su quel terreno l’ex senatore si è ritrovato un’ipoteca di un milione di euro. Il 12 maggio 2018 organizza un pranzo, al ristorante “La Perla” di Soverato, con alcuni imprenditori interessati all’acquisto. A quel tavolo si parla anche di politica. Il trojan inoculato nel suo cellulare fornisce agli inquirenti numerosi aneddoti di palazzo e racconti inediti sui suoi anni da parlamentare. Pittelli si sfoga con Marcella Tettoni, consigliere comunale di Pisano, in provincia di Novara, arrivata a Catanzaro come amministratrice di diverse aziende nel Nord Italia: “Ti posso raccontare soltanto – sono le parole di Pittelli – che quando io stavo in Parlamento e noi votavamo le leggi… c’era Tremonti che si faceva pagare gli emendamenti, lo sai… Non lui direttamente, ma Milanese”.
Nelle carte dell’inchiesta “Rinascita” non compare il nome per intero e forse sarà un’altra Procura a valutare se il Milanese, indicato da Pittelli come longa manus di Tremonti, sia quel Marco Milanese consigliere e braccio destro dell’ex ministro dell’Economia. Lo stesso che nel 2018 in Cassazione ha ottenuto la prescrizione dopo la condanna a 2 anni e 6 mesi di carcere per traffico di influenze sul Mose di Venezia.
Un mese dopo il pranzo a Soverato, Pittelli torna a parlare di Tremonti. Lo fa con i boss Luigi Mancuso e Saverio Razionale durante un incontro che lo stesso avvocato ha definito un “summit”. Al mammasantissima di Limbadi e al capo locale di San Gregorio d’Ippona, il 12 giugno 2018 Pittelli spiega quanto è stato faticoso il ruolo di parlamentare di Forza Italia: “Lavoravamo fino alle 4 di mattina…”. Non era così per tutti: altri “facevano i soldi… Hanno fatto i soldi con… Tremonti si prendeva…”. “Quel cornuto – lo interrompe il boss Razionale – è uno scemo”. Pittelli ci tiene a finire il concetto sull’ex ministro: “Si prendeva 5 milioni a emendamento”.
Raggiunto telefonicamente, Tremonti si mette a ridere. Gli chiediamo un commento e torna subito serio: “Cosa vuole che le dica? Pittelli dice che ho preso 5 milioni a emendamento. Farò una citazione e richiesta di risarcimento danni nei suoi confronti. Mi ha dato una buona idea. Applicherò la stessa tariffa che mi accusa di avere adottato per gli emendamenti: gli chiederò 5 milioni di euro che poi devolverò per la lotta al Covid-19”.