martedì 15 dicembre 2020

Matteo Messina Denaro, 13 fermi: c’è anche ex direttore Atm di Trapani. Indagato un sindaco per corruzione elettorale. -

 

Non c'è solo la mafia nell’inchiesta della Dda di Palermo che ha portato all'emissione di misure per persone ritenute legate al boss latitante di Castelvetrano.

Un altro blitz per cercare di stringere il cerchio intorno a Matteo Messina Denaro. Mafiosi, imprenditori incensurati, sindaci e anche un manager ai vertici di una azienda pubblica. Non c’è solo la mafia nell’inchiesta della Dda di Palermo che ha portato al fermo di 13 persone ritenute legate al boss latitante di Castelvetrano. Nell’indagine, condotta dallo Sco della Polizia, c’è anche Salvatore Barone, ex presidente del consiglio di amministrazione ed ex direttore dell’azienda per i trasporti Atm di Trapani. Barone, che è stato fermato con l’accusa di associazione mafiosa, è anche presidente della cantina sociale Kaggera di Calatafimi e secondo gli inquirenti era al servizio del capo della famiglia mafiosa locale, Nicolò Pidone.


Secondo gli inquirenti Pidone, direttamente o attraverso il proprio uomo di fiducia, Gaetano Placenza, allevatore messo ai vertici della società, decideva chi assumere scegliendo il personale in modo da aiutare le famiglie dei detenuti mafiosi e disponeva che ad esponenti di Cosa Nostra venissero dati soldi. Tra le assunzioni più importanti, volte a favorire i clan, figura quelle di Veronica Musso, figlia del boss Calogero Musso, ergastolano, ex capo della “famiglia” di Vita. Barone, inoltre, avrebbe procurato voti al sindaco di Calatafimi Segesta (Trapani), Antonino Accardo, oggi indagato per corruzione elettorale. L’indagine è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Francesca Dessì e Piero Padova. Ad Accardo è stato notificato un avviso di garanzia. Dalle intercettazioni, secondo gli investigatori, è emerso che avrebbe pagato 50 euro a voto per le elezioni dell’anno scorso a sindaco del comune di Calatafimi Segesta (Trapani). Insegnante in pensione, 73 anni, Accardo ha alle spalle alcune esperienze da assessore e consigliere comunale a Calatafimi.

In ottale sono 13 i provvedimenti di fermo emessi dai magistrati della Dda, venti gli indagati. Le accuse ipotizzate, a vario titolo, nei confronti degli indagati sono associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. In corso anche una serie di perquisizione nelle campagne del trapanese per la ricerca di armi. Per chi indaga Pidone, già condannato per associazione mafiosa, è il personaggio chiave dell’inchiesta. Ritenuto a capo della cosca di Calatafimi, organizzava i summit in una dependance fatiscente vicina alla sua masseria; lì venivano prese le principali decisioni che riguardavano il clan. Tra gli indagati anche altri condannati per mafia come Rosario Leo, pregiudicato che vive a Marsala, e cugino di Stefano Leo, molto vicino al boss di Mazara del Vallo Vito Gondola, poi morto, e a Sergio Giglio, coinvolto nell’inchiesta sui favoreggiatori del capomafia Matteo Messina Denaro.

Nelle indagini sono finiti però anche insospettabili che, a vario titolo, hanno favorito le comunicazioni tra il capo della famiglia calatafimese, specie nel periodo in cui era sottoposto alla sorveglianza speciale, ed altri mafiosi, tra cui lo stesso Rosario Leo, anch’egli sorvegliato speciale. Tra coloro che favorivano gli incontri e le comunicazioni c’era il 46enne imprenditore agricolo vitese Domenico Simone, secondo quanto hanno ricostruito le indagini. Fermati anche l’imprenditore Leonardo Urso, di origini marsalesi, enologo, accusato di favoreggiamento, e l’imprenditore agricolo Andrea Ingraldo, di origini agrigentine, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, per aver assunto fittiziamente Pidone per far figurare l’esistenza di una regolare posizione lavorativa e attenuare la misura di sicurezza.

Il clan, secondo l’Antimafia, controllava il territorio attraverso l’esecuzione di “inchieste” per ricostruire episodi criminosi avvenuti in zona e non “autorizzati” e interveniva con atti intimidatori nei confronti di chi collaborava con la giustizia. In quest’ultimo ambito si inquadra l’incendio dell’auto dell’imprenditore Antonino Caprarotta, voluto da Pidone e realizzato insieme a Giuseppe Aceste e Antonino e Giuseppe Fanara. Caprarotta aveva denunciato l’imprenditore mafioso Francesco Isca ed altri soggetti implicati nella vicenda della gestione illecita dei parcheggi del parco archeologico di Calatafimi-Segesta. Tra i fermati anche Giuseppe Gennaro, altro esponente della famiglia mafiosa di Calatafimi, accusato, oltre che di associazione mafiosa, anche di aver rubato un trattore agricolo, nell’interesse del clan insieme a Francesco Domingo, Sebastiano Stabile e Salvatore Mercadante. In cella anche il trentasettenne calatafimese Ludovico Chiapponello, indagato per aver favorito l’associazione mafiosa bonificando dalle microspie la dependance di Pidone. Indagato infine un appartenente alla Polizia Penitenziaria, a cui è contestato il reato di rivelazione di segreto d’ufficio commesso per agevolare Cosa Nostra. Dall’inchiesta è emerso che il clan aveva la disponibilità di armi. Il fermo è motivato dall’intenzione di alcuni indagati di darsi alla latitanza e al progetto di pesanti ritorsioni verso uno dei mafiosi che sarebbe entrato in conflitto col capo della famiglia di Calatafimi.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/15/matteo-messina-denaro-13-fermi-ce-anche-ex-direttore-atm-di-trapani-indagato-un-sindaco-per-corruzione-elettorale/6037221/

Lega, soldi & poltrone: l’assalto alla sanità. - Stefano Vergine (2^puntata)

 

I nominati e il “sistema del 15%”. Attivo fino al 2019. Così i “piazzati” pagano il Carroccio. Il meccanismo è ancora attuale: nei documenti inediti c’è traccia dei versamenti fino allo scorso anno.

I versamenti sono continuati almeno fino al 2019. E la lista dei nominati non riguarda solo la sanità lombarda, ma un pezzo enorme dell’economia italiana: partecipate di Stato, banche, società finanziarie, fondazioni, multinazionali dell’energia, società aeroportuali, aziende di trasporti. Il “sistema del 15%” è pervasivo, capillare e non è una abitudine che la Lega di Matteo Salvini ha abbandonato. È stato il commercialista Michele Scillieri a rivelarne l’esistenza ai pm di Milano nell’ambito dell’inchiesta sulla Lombardia Film Commission.

Ma grazie a documenti finora inediti e a diverse testimonianze raccolte, Il Fatto però è in grado di provare come quel meccanismo sia in realtà strutturato e ben collaudato all’interno del partito di Salvini ancora oggi. Sul giornale di domenica abbiamo svelato il meccanismo usato dal Carroccio per finanziarsi attraverso le nomine di manager e dirigenti sanitari in Lombardia tra il 2008 e il 2010. La regola è chiara, come scritto in una delibera del consiglio federale del 2001: “È dovere morale di quanti saranno nominati, di contribuire economicamente alle attività del movimento con importi che equivalgano, mediamente, al 15 per cento di quanto introitato”.

Qui non stiamo parlando di persone iscritte alla Lega, di parlamentari, consiglieri regionali o comunali. Si tratta di manager ufficialmente slegati dalla politica, scelti per guidare aziende pubbliche come quelle sanitarie.

Domenica abbiamo pubblicato un elenco interno al partito con 34 nomi di dirigenti sanitari lombardi che dal 2008 al 2010 hanno versato regolarmente soldi al Carroccio. Donazioni da 6-7 mila euro all’anno ciascuno, che messi insieme hanno permesso al partito di raccogliere circa 350mila euro nel triennio.

Le nuove carte analizzate permettono di raccontare che questi versamenti sono proseguiti fino a oggi. Lo dicono gli stessi bilanci della Lega. Prendiamo Mara Azzi, oggi direttore generale dell’Ats di Pavia. Tra il 2008-2010, quando era a capo della Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda, Azzi avrebbe versato 18 mila euro alla Lega, secondo un documento contabile del partito. Davvero Azzi ha donato soldi alla Lega? Alle nostre domande la dirigente pubblica non ha risposto. Impossibile trovare riscontri per quegli anni nei bilanci della Lega: il partito ha iniziato solo nel 2014 a pubblicare le liste dei suoi donatori a livello nazionale, e solo dal 2015 gli elenchi dei finanziatori delle varie sezioni regionali. Proprio dal bilancio della Lega Nord relativo al 2015 emerge però il nome della Azzi. In quell’anno, quando Salvini era già segretario federale, la dirigente sanitaria ha donato 12 mila euro al Carroccio.

Storia simile per Walter Locatelli, all’epoca direttore generale della Asl di Milano, oggi commissario straordinario di Alisa, l’Azienda Ligure Sanitaria della Regione Liguria, che gestisce tutte le cinque Asl liguri e l’ospedale San Martino. Locatelli ha sicuramente donato soldi alla Lega nel 2014: 6mila euro, dice il bilancio del Carroccio. Chi ha invece continuato a versare l’obolo senza soluzione di continuità è Mauro Borelli, da una vita dirigente sanitario in Lombardia, prima direttore generale dell’Asl di Lecco, poi di quella di Mantova, adesso dell’Asst Franciacorta. Secondo il documento contabile interno, Borelli avrebbe versato 18mila euro alla Lega tra il 2008 e il 2010. Contattato da Il Fatto per un commento, Borelli non ha risposto. Impossibile dunque sapere con certezza se il dirigente pubblico abbia versato soldi alla Lega in quegli anni. Di certo, però, lo ha fatto negli anni seguenti.

I rendiconti del partito dicono che in tutti questi anni Borrelli non si è mai scordato della sua donazione. Con una precisione svizzera, ha versato 6 mila euro all’anno, ogni anno, dal 2014 al 2019. Sempre la stessa cifra, la stessa versata al partito da molti suoi colleghi. Come Alessandro Visconti, tra il 2008 e il 2010 direttore amministrativo dell’Asl Milano, oggi salito di grado e diventato direttore generale dell’Asst Fatebenefratelli Sacco: nel 2015 e nel 2016 ha donato in tutto 12mila ero alla Lega, dicono i bilanci, mentre negli ultimi tre anni non c’è più traccia di suoi contributi. Chi non ha invece mai saltato un giro è Fulvio Edoardo Odinolfi, fino al 2011 direttore sanitario della Asl di Lecco, oggi direttore generale dell’Asst Ovest Milano. I bilanci pubblici della Lega dicono che Odinolfi dal 2015 al 2019 ha donato in tutto 33mila euro al partito. Come abbiamo raccontato domenica, né i vertici della Lega (Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti) né i cinque dirigenti sanitari citati hanno risposto alle nostre domande sul meccanismo del 15%.

Ieri ci ha però inviato una email uno dei cinque dirigenti: Alberto Zoli, tra il 2008 e il 2010 direttore sanitario della Asl di Lecco, oggi direttore generale dell’Areu, l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza, l’unità di crisi presieduta da Attilio Fontana che si sta occupando dell’emergenza covid-19. Oltre a farci sapere di non aver più dato contributi alla Lega dopo il 2010, Zoli ha tenuto a precisare che quei versamenti non erano frutto di “una vera a propria richiesta”: era “consuetudine che i manager che aderivano al progetto della Lega sostenessero con una quota volontaria il partito. Avevo saputo di questa possibilità dall’allora capogruppo della Lega in Consiglio Regionale, che però non mi ha parlato di cifre, solo di opportunità su base volontaria, non certo obbligatoria”. Che cosa poteva succedere in caso di mancato versamento? “Non succedeva nulla”, è stata la risposta di Zoli. Una versione che non combacia con quella fornitaci da una ex segretaria della Lega, nell’amministrazione in via Bellerio per quasi 30 anni. Chiedendoci l’anonimato, la donna ha spiegato che il sistema del 15% nella pratica non funzionava davvero su base volontaria. “Tutti quelli nominati”, dice la fonte, “avevano l’obbligo morale di dare un tot alla Lega ogni anno, almeno quelli che venivano remunerati per quell’incarico. Chi non lo faceva riceveva una telefonata da Giampaolo Pradella, che si occupava allora degli enti locali della Lega, che gli diceva: ‘Guarda, non è arrivato il contributo, ricordati eh’. Insomma, in modo velato gli diceva: ‘Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato’”.

2- Continua

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/15/lega-soldi-poltrone-lassalto-alla-sanita/6037145/

Non solo Guerra, per Speranza c’è un’altra grana. - Alessandro Mantovani

 

C’è l’inviato speciale dell’Oms, Ranieri Guerra, in conflitto con la direzione europea della stessa Organizzazione mondiale della sanità, che lo allontanerebbe da Roma se non fosse che il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus lo difende. E il segretario generale, il numero uno della struttura amministrativa del ministero, Giuseppe Ruocco, ai ferri corti con il viceministro M5S Pierpaolo Sileri, che ne ha chiesto le dimissioni perché è “sempre assente” al Comitato tecnico scientifico e perché è uno dei dirigenti a cui si deve, insieme agli ex ministri, la mancata revisione del piano pandemico antinfluenzale che risale al 2006, per quanto il sito del ministero lo dia per “aggiornato il 15 dicembre 2016”.

Era a capo della Prevenzione nel 2013, quando il Parlamento europeo ha dato disposizioni vincolanti e l’Oms ha modificato le linee guida. Nel 2014 arrivò Guerra, che a settembre 2017 lasciò scritto alla ministra Beatrice Lorenzin di rifare il piano, secondo le linee guida ulteriormente modificate dell’Oms, prima di trasferirsi proprio all’Oms quale assistente del direttore generale. Toccò poi a Claudio D’Amario, che nel 2018 istituì il gruppo di lavoro d’intesa con la nuova ministra Giulia Grillo del M5S, ricevette nuovo impulso da Speranza nell’autunno 2019 e lasciò una bozza a maggio, quando è andato a dirigere la Sanità dell’Abruzzo. Anni e anni non sono bastati per rifare il piano, anni di tagli fino alla tragedia sanitaria nazionale che, secondo la Procura di Bergamo, potrebbe essere stata favorita dalla parziale applicazione del vecchio piano e dei piani regionali, in primis quello lombardo: ritardi nella sorveglianza epidemiologica, negli approvvigionamenti e nei controlli su ospedali e laboratori, previsti fin dalla fase d’allerta nel piano del 2006. Questa, secondo alcuni, sarebbe cominciata il 5 gennaio con l’annuncio Oms di polmoniti sconosciute in Cina, seguito però – ricordano al ministero – da comunicazioni rassicuranti della stessa Oms. La definizione di “caso sospetto”, pure prevista dal piano, è stata indicata dal ministero fin dal 22 gennaio. Secondo fonti della Salute solo la dichiarazione d’emergenza dell’Oms, il 30 gennaio, obbligava a misure preventive, come il blocco dei voli dalla Cina (deciso sempre il 30) e lo stato d’emergenza (il 31). Le verifiche sui posti letto però sono state avviate solo il 12 febbraio dal Cts e gli interventi sugli ospedali a fine mese, quando c’erano mille positivi e 29 morti. Speranza e altri saranno ascoltati dai pm, come testimoni, a gennaio.

Chi ha parlato con Ruocco assicura che “non pensa a dimettersi”, che la sua assenza al Cts è “concordata con il ministro” e non ha niente da dire sui piani pandemici. Anche Guerra resta in Italia dopo lo scandalo sul ritiro del dossier del centro Oms di Venezia che criticava moderatamente la prima risposta italiana al Covid-19, pubblicato a maggio per poche ore con prefazione del direttore dell’Oms Europa Hans Kluge, nel quale proprio Guerra pretendeva fosse indicato l’aggiornamento del piano pandemico antinfluenzale nel 2016: il testo dice solo “riconfermato”. Guerra ne ha attribuito la frettolosa approvazione “condizionata” alla centrale europea di Copenaghen. Le email rese note da Report e dal Fatto raccontano di tensioni con il governo italiano, che però secondo l’Oms Europa non ha avuto alcun ruolo nel ritiro. Copenaghen assicura che, su richiesta, trasmetterà il rapporto ai media: una ripubblicazione che non farà piacere né a Guerra né a Ginevra. Kluge è in buoni rapporti con Speranza, farebbe a meno di Guerra a Roma, ma la missione dipende da Ginevra, non da lui. Speranza farebbe a meno di queste grane.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/15/non-solo-guerra-per-speranza-ce-unaltra-grana/6037141/

Verificami questo. - Marco Travaglio

 

Al governo manca l’“anima”, l’“identità”, la “visione”, l’“ubi consistam” (Repubblica). È un “governo senza nome” col “mistero del premier” e senza “una piattaforma culturale, una ragion d’essere autonoma in una nuova interpretazione cultural-politica del Paese e del suo sviluppo” (Ezio Mauro). Ci vuole un governissimo. Di larghe intese. “Dei migliori” (Calenda, e lui modestamente lo nacque). No, basta un rimpasto. O un mini-rimpasto. Un “Conte-ter” (Repubblica). O un “piano B” (Domani). Almeno “un riequilibrio” (Pd). “Un salto di qualità” (Renzi). Ma senza “salti nel buio” né “crisi al buio” (Zingaretti). Intanto si fa il “tagliando” (Pd). Per “un cambio di passo” (Marcucci e Serracchiani). “Una verifica chiara” perché “il problema è chiarire i temi su cui andare avanti” (Serracchiani). “Proporre un piano serio al Paese” (Boschi). Una “scossa” (Zinga). Una “svolta di concretezza” e un “colpo d’ala” (Pd). Un’“agenda nuova” (Faraone). Un “nuovo slancio” (Confcommercio). ”Un rilancio e una ripartenza” (Zinga). Ma basta pure “un riassetto” (Bettini). Una “riorganizzazione col coinvolgimento dei migliori di tutti i partiti” (Boschi). Un “chiarimento” senza “fare penultimatum” (Faraone). Un “rafforzamento della squadra” (Serracchiani). Un’“ampia compagine parlamentare” (Renzi). “Accogliere le energie migliori”, cioè di FI (Bettini). A partire dai Responsabili.

Aprire “un tavolo” su cui mettere i problemi” (Zinga). “Ricomporre” e “condividere le scelte” per la “collegialità” (Bettini). Magari con “nuove figure di raccordo con i partiti”, con un “nuovo Gianni Letta” (Orlando). Guai se il premier “salta le mediazioni” e si chiude “nella piramide” (Espresso). Coi “super poteri” dell’“azzardo cesarista” (Stampa). Con lo “stato di emergenza senza più emergenza” e “soluzioni rococò” sul Recovery (Cassese). Con “indebiti tentativi accentratori, forzature, colpi di mano, personalismi” (Galli della Loggia). Ma “non è solo la governance del Recovery, è tutto il piano” (Renzi). Però, sia chiaro: “Siamo contrari all’immobilismo, alla chiusura in se stessi, a ogni forma di autocelebrazione” e “continueremo a svolgere una funzione unitaria, di collante, che non va confusa con un atteggiamento di subalternità”, ma solo con “un impegno costante per affrontare in modo adeguato i problemi” e voi non ci crederete, ma lo scopo è “risolverli insieme”, oltre a “praticare pienamente lo spazio del confronto produttivo e del rafforzamento collegiale della proposta”, sempre tesi al “massimo della corresponsabilizzazione e della collegialità”, cominciando a “implementare l’agenda green” (Zinga). Con scappellamento a destra.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/15/verificami-questo/6037128/

lunedì 14 dicembre 2020

Corrado Augias restituisce la Legion d'onore, i genitori di Regeni: grazie.

 

"Da lui un esempio di meravigliosa coerenza".


"Grazie a Corrado Augias per la decisione di restituire la Legion d'onore poiché è la stessa onoreficenza consegnata ad Al Sisi. L'esempio di Augias è di meravigliosa coerenza e di sostegno per le cause per i diritti civili".

Lo hanno detto Paola e Claudio Regeni, genitori del ricercatore ucciso al Cairo nel 2016, nel corso della trasmissione "Che tempo che fa".  

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2020/12/13/corrado-augias-restituisce-la-legion-donore-i-genitori-di-regeni-grazie-_599c7fe4-3433-4d68-9f75-ebb62677f616.html

Conte, task force mai sovrapposta ai passaggi istituzionali. Via alla verifica di governo, convocate delegazioni M5S e Pd.

 

Il premier: "Il virus non conosce confini". Gentiloni: "Nessun ritardo sul Recovery Fund. I primi fondi in tarda primavera-estate".

E' in corso il vertice tra il premier Giuseppe Conte, i ministri Boccia, Lamorgese, D'Incà, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Fraccaro, i capidelegazione di maggioranza e il Comitato tecnico scientifico per valutare un'ulteriore stretta sulle restrizioni nel periodo natalizio.

"Nel 2020 la sfida che abbiamo di fronte non è solo quella di liberare le potenzialità inespresse dell'Italia. In primo luogo dobbiamo serrare i ranghi, per battere il nemico.

E serve una solida cooperazione interazionale. Il virus non conosce confini ma attraversa barriere". Lo dice il premier Giuseppe Conte nel corso del Rome Investment Forum. 

"Il governo è al lavoro per definire compiutamente la struttura per il monitoraggio e l'attuazione" del Recovery Plan " e che potrà avvalersi anche di un quadro normativo ad hoc. Questa struttura in nessun caso sarà sovraordinata o sovrapposta ai doverosi passaggi istituzionali. Molti dei progetti del piano avranno successo solo innescando sinergie tra pubblico e privato", aggiunge Conte.

Comincerà oggi, a quanto si apprende, la verifica di governo da parte del premier Giuseppe Conte. La prima delegazione ad incontrare il capo dell'esecutivo sarà, alle 16:30, quella del M5S e sarà presente anche l'ex capo politico Luigi Di Maio. La delegazione dovrebbe essere inoltre composta dai capigruppo Ettore Licheri e Davide Crippa, dal capo politico Vito Crimi e dal capodelegazione Alfonso Bonafede. Alle 19 toccherà al Pd. Domani alle 13 sarà a volta del leader di Italia Viva, Matteo Renzi per l'incontro con il premier, insieme alla delegazione, a Palazzo Chigi. 

Gentiloni, i primi fondi in tarda primavera-estate - "L'idea iniziale era quella di avere una prima approvazione del piano" e quindi "la possibilità di erogare il prefinanziamento del 10%, circa 20 miliardi per l'Italia", nella "tarda primavera: la decisione finale" sul Next Generation Eu "è arrivata la scorsa settimana, i tempi saranno quelli della tarda primavera o inizio estate". Così il commissario Ue Paolo Gentiloni al Rome Investment forum 2020 della Febaf. "Si sta discutendo, spero la discussione si chiuda stasera, perché il Parlamento richiede di alzare il 10% vedremo dove si arriverà".

Sul Recovery Fund "nessuno è in ritardo in questo momento", ha detto Gentiloni precisando che "eravamo leggermente in ritardo per l'approvazione finale ma ora abbiamo ricevuto una bozza di progetto dagli stati membri e a gennaio sono sicuro che riceveremo da ogni stato membro la bozza e poi la versione definitiva".

(foto: Il premier Giuseppe Conte. ANSA /Ufficio stampa Palazzo Chigi)

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/12/14/covid-conte-serrare-ranghi-e-cooperazione-per-batterlo_87e234d7-1cba-41ad-af88-81d71987c3f9.html

Sassoli smentisce Pd e Iv: “In tutti i paesi Ue task force Recovery”. - Wanda Marra

 

I dem, spaventati dalla crisi, fanno retromarcia su rimpasto e cabina di regia. Di Maio: “Discutere il premier fuori dal mondo”. Renzi isolato.

“La parola crisi mette paura in Europa, bisognerebbe accostarcisi con un po’ di pudore e prudenza perché può dare la sensazione di un paese che mette meno a fuoco i propri obiettivi”. David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, ripete a In mezz’ora in più da Lucia Annunziata, quello che va dicendo da un paio di giorni. “Dobbiamo avere paura della crisi, non assecondarla”. È netto Sassoli. A Bruxelles la preoccupazione di una crisi di governo in Italia, mentre parte il processo del Recovery Fund, aumenta.

Sarà magari anche per questo, ma la giornata di ieri fa registrare toni più bassi. A partire proprio dal Pd. In un primo momento Nicola Zingaretti ha mandato avanti Matteo Renzi. Poi al Nazareno hanno capito che c’è il rischio di una crisi “al buio”. E così correggono il tiro. Con lo stesso segretario che avverte: “Il governo ha bisogno di un rilancio ma il rimpasto adesso non è prioritario”. E Goffredo Bettini che condanna le “opache manovre” perché “se cade il governo si vota”.

Nel frattempo, a Palazzo Chigi si preparano alla “verifica”. Il premier vuole guidare il processo. E dunque sta mettendo a punto un’agenda di incontri con le delegazioni dei partiti e poi con i loro leader, che dovrebbero partire già oggi.

Le trattative sotto traccia, a partire proprio dalla gestione delle risorse europee, vanno avanti. Afferma Bettini: “Conte ha confermato che la bozza del piano di ripresa e resilienza è una bozza aperta”. Come dire, il Pd ha tutte le intenzioni di frenare quella che i dem definiscono la voglia di “accentramento” di Conte. E così oggi ci sarà un seminario di tutto il partito, proprio per discutere del Recovery Plan. Sul tavolo, c’è qualche modifica (anche se l’impianto resta lo stesso) al piano in se stesso. E soprattutto la struttura di governance: azzerarla, come vorrebbe Renzi, per il Pd non è possibile. L’idea è quella di lavorare sulla task force, sia delimitando i poteri sostitutivi e derogatori dei manager, sia dando un ruolo chiaro ai ministeri. A lavorare sul piano e sulla struttura di governance sono in questi giorni però tutti i partiti, M5s compreso. In discussione c’è il “come” non il “sé”. E’ ancora Sassoli a chiarire: “La lite sulla cabina di regia per il Recovery plan? Ce l’avranno tutti. Il riferimento è il governo. Ma l’Italia ha 209 miliardi e vanno amministrati: come fai a farlo se non hai una regia? Serve un coordinamento che aiuti la macchina”. Affonda: “Io sento che le indicazioni date da Conte possono essere contestate, migliorate, però certamente servirà un aiuto al governo”. Da notare che sabato anche Paolo Gentiloni (anche lui un big del Pd con un ruolo di primo piano in Europa, Commissario agli Affari Economici) ci aveva tenuto a mettere l’attenzione sulle “procedure” e cioè sull’”attuazione” del piano: “Più che sui nomi, sulle task force, ragionerei sulle procedure. I piani vanno attuati perché poi ogni sei mesi deve arrivare un bonifico da Bruxelles. Per questo deve esserci una corsia preferenziale”. Un altro tema, quello di una normativa ad hoc (di cui aveva parlato lo stesso premier un paio di mesi fa), che entrerà nella discussione.

Politicamente, il Pd passa alla fase successiva dell’attacco al premier: non è in discussione il suo ruolo tout court, ma i dem vogliono pesare di più. Nella stessa dinamica si inserisce la richiesta di misure anti Covid più restrittive, dopo le immagini di assembramento ieri nelle vie dello shopping delle grandi città. Ma intanto anche Anche Maria Elena Boschi (sempre negli studi della Annunziata) fa un relativo passo indietro: “Non vogliamo nessuna crisi. L’argomento rimpasto è chiuso. La priorità è usare bene i fondi europei e allo stesso tempo coinvolgerci”. Ma poi fa cadere lì l’avvertimento neanche tanto velato: “Se c’è crisi, non credo che andremo al voto. M5S ha un problema non solo per il secondo mandato ma anche perché tanti di loro non tornerebbero in Parlamento”. Come dire: un’altra maggioranza la troviamo. Va detto pure che Luigi Di Maio, corteggiato dai renziani come eventuale premier al posto di Conte, e considerato uno dei principali “congiurati contro di lui, smentisce categoricamente via Tweet: “Ancora fake news su di me, evidentemente qualcuno semina zizzania, quindi voglio essere chiaro: è fuori dal mondo mettere in discussione Giuseppe Conte. Se poi ci sono differenze di vedute, si risolvono da persone adulte, ma basta falsità!”.

Si riparte dalla verifica e dalla parlamentarizzazione del percorso del Recovery. Esiti, comunque, imprevedibili.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/12/14/sassoli-smentisce-pd-e-iv-in-tutti-i-paesi-ue-task-force-recovery/6036082/